5Ma alla differenziazione anatomica non corrisponde, alla nascita, una
differenziazione psicologica (Baldaro Verde, 1991): l’identità
intrapsichica si struttura soprattutto attraverso le relazioni ed in
particolare attraverso quelle con i genitori.
Il fenomeno del transessualismo, oggetto di questo studio,
dimostra proprio il fatto che il sesso biologico non sempre rappresenta
il fondamento innegabile su cui costruiamo la nostra identità.
Negli ultimi decenni il transessuale ha acquisito una sempre
maggiore “visibilità sociale”, diventando una “vedetta dello show
business”. Il pubblico sembra sempre più attratto dal mito
dell’androgino, che in parte il transessuale incarna: iper-femmina, che
ostenta veli, trasparenze e sensualità esagerata, che sostituisce al
mistero della femminilità, l’equivoco del pene.
Tale successo potrebbe essere motivato dal fatto che
fondamentalmente ognuno di noi conserva parti di sé maschili e parti
di sé femminili, esprimendo prevalentemente una delle due.
Ma frequentando i transessuali e affacciandosi nel loro mondo, ci si
può rendere conto che non si trovano solo lustrini, trucchi e
perversione: si tratta di giovani dall’identità indefinita e dal sesso
6incerto, che ricevono cure psicologiche, ormonali e chirurgiche per
raggiungere il sesso desiderato. Ci sono transessuali che, senza tante
esibizioni, ogni giorno, vivono il proprio dramma senza far notizia.
Qualcuno di loro è convinto che il transessualismo non sia altro che
una bugia, in ogni caso: se il transessuale (che vuole trasformarsi in
donna) resta uomo, è una bugia, perché non riuscirà a cancellare il suo
senso di femminilità; se diventa donna, è una bugia, perché in lei
continuerà, in qualche modo, a sopravvivere il maschio.
Tra gli studiosi, in questi ultimi anni, è cresciuta la consapevolezza
che la componente sessuale, su cui il termine stesso “transessualismo”
fa leva, è solo la punta di un iceberg , che affonda le sue radici in
tematiche ben più complesse, inerenti lo sviluppo della personalità
psicobiologica (Ruggeri, Ravenna, 1999).
Sulla base di queste considerazioni, l’attenzione della presente
ricerca si focalizza sull’analisi delle relazioni genitoriali, vissute da un
gruppo di 49 transessuali maschi (che vogliono diventare femmine),
in età infantile.
Nella parte teorica vengono presi in considerazione i fondamenti
biologici e sociali dell’identità di genere (cap. 1), con un’analisi
7particolare del transessualismo, nelle sue caratteristiche storiche,
mediche, psicologiche e legali (cap. 2). Successivamente vengono
descritte le ipotesi avanzate circa l’eziologia del fenomeno (cap. 3),
con un’analisi dell’importanza del ruolo genitoriale (in particolare
quello paterno) per la crescita psicologica del bambino (cap. 4).
Nella parte sperimentale è descritta la ricerca e i risultati ottenuti
(cap. 5, 6, 7).
8
Parte teorica
Identità sessuale:
una, nessuna…
o centomila?
9Capitolo 1
Il Maschile e
Il Femminile
“…Ma cos’è l’identità? /Capire dov’è il proprio posto,
conoscere il proprio centro,/il proprio valore?
Sapere chi siamo?/Come si riconosce l’identità?
Noi costruiamo un’immagine di noi stessi
e ci sforziamo di somigliare a quest’immagine…”
Wim Wenders
1.1 – Considerazioni Generali
Il termine sesso, genericamente inteso, indica una complessa e
variabile combinazione di elementi biologici, psicologici,
comportamentali, individuali, sociali e giuridici. Ciò che in ogni caso
risulta evidente è l’esistenza di un dimorfismo sessuale (Simonelli, 1996)
che è biologicamente espresso in diverse forme:
9 Sesso genetico o cromosomico, determinato all’atto del concepimento
(conseguente alla fecondazione della cellula uovo femminile da
parte della cellula spermatozoo maschile; in seguito si formano
uova fecondate, gli zigoti, con corredo XY, per il futuro maschio, e
XX, per la futura femmina).
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9 Sesso gonadico, dato dal riscontro della presenza di organi genitali
differenziati funzionalmente ed anatomicamente.
9 Sesso endocrino, conferito dai particolari aspetti ormonali,
metabolici e somatici.
9 Sesso psicologico o sociale, che è determinato dall’integrazione di
aspetti psicologici, sociali, comportamentali e culturali.
Non va, inoltre, dimenticato il cosiddetto dimorfismo sessuale del
cervello, coinvolgente, soprattutto, il sistema ipotalamo-ipofisario: è
stato innanzi tutto osservato negli animali, ad esempio nei roditori,
ma è stato cautamente ritenuto estensibile anche all’uomo. In
particolare è stato trasferito alla specie umana il dimorfismo
endocrino della secrezione gonadotropinica: il sistema nervoso
centrale, come altre strutture extragonadiche, sembra avere una
spontanea tendenza all’organizzazione di tipo femminile; lo sviluppo
di tipo maschile avverrebbe soltanto con l’intervento, nel periodo
fetale e/o perinatale, di ormoni androgeni.
Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra ormoni e
comportamento sessuale ci si trova ancora in un terreno colmo di
ambiguità e confusione.
11
Nelle ricerche finora condotte in ambito sessuologico è possibile
rintracciare il tentativo di interpretare ed inquadrare il
comportamento sessuale di un soggetto e riconoscere la causa
determinante della deviazione tra indicatori di genere.
Non è stata ancora raggiunta chiarezza in tale ambito, soprattutto per
quanto concerne i casi di individui che presentano ‘anomalie sessuali
di tipo psicologico’, nei quali l’identificazione e il ruolo sessuale si
verificano e si svolgono in contrasto con le caratteristiche
cromosomiche, gonadiche ed endocrine: omosessualità,
transessualismo e travestitismo. Sono questi fenomeni che, tra gli altri,
dimostrano come la sessualità sia una per ognuno e mai la stessa per tutti.
12
1.2 - L’Identità di Genere
L’identità di genere può essere considerata come un aspetto del più
ampio processo di sviluppo dell’Io.
L’io, d’altro canto, può essere inteso come, ad un tempo, “il prodotto
di continue operazioni di sintesi e l’organizzatore d’ogni ulteriore
comportamento”.
Dal punto di vista psicofisiologico l’identità è quel processo
dinamico di corrispondenza tra esperienza sensoriale,
rappresentazione del corpo presente a livello cerebrale (immagine
corporea) e rappresentazione di sé (Ruggeri/Ravenna, 1999).
Il termine è stato coniato da Money e Ehrhardt (1972), in
riferimento al vissuto di appartenenza ad un genere maschile o ad
uno femminile, o in modo ambivalente ad entrambi. Più
specificamente Money intende l’identità di genere come “il senso di se
stesso”, o meglio come “l’esperienza di percezione sessuata di se stessi
e del proprio comportamento” (Money, Ehrhardt, 1977).
L’espressione esteriore dell’identità di genere, è invece definibile come
“ruolo di genere”, compendio di tutti quei “messaggi che l’individuo,
maschile o femminile, invia al mondo che lo circonda, manifestando
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così il grado, l’entità e l’armonia della sua sessualità” (Simonelli,
1996). Sicuramente riconoscere nel proprio corpo un insieme di parti
fra loro integrate e non una somma caotica di sensazioni, riconoscere
il proprio corpo come una totalità che ci appartiene, è un’operazione
psicologica lunga e difficile, fondamentalmente non solo per
l’equilibrio psicofisico generale della persona, ma proprio per la
costituzione, l’organizzazione ed il funzionamento del corpo.
In questi termini eterosessualità, omosessualità, transessualità,
bisessualità costituiscono le espressioni contigue della problematica
ricerca di un equilibrio e di un’identità sessuale personale.
Il genere non è, dunque, solo una costruzione biologica:
indubbiamente le determinanti socioculturali non sono da ignorare.
Infatti il neo-nascituro è giudicato in primo luogo in base alle sue
caratteristiche di ‘maschio’ o di ‘femmina’ ed è solo dopo la fatidica
dichiarazione “È Maschio!”, o “È Femmina!” che si inizia a
considerarlo una ‘persona’.
Anche la scelta del tipo di educazione dipenderà strettamente
dall’attribuzione sessuale fatta alla nascita: al 'nuovo individuo’
vengono immediatamente attribuiti gli stereotipi del sesso
14
d’appartenenza e il mondo delle relazioni è impiantato diversamente
a seconda del sesso.
Sembra perciò innegabile che socialmente si sia innanzi tutto maschi o
femmine e poi soggetti, con propri individuali e unici modi di sentire
e affrontare la vita.
Inoltre non può essere assolutamente dimenticato come anche per la
psicanalisi tale dicotomizzazione sia stata fondamentale: la presenza
del pene, come metro di individuazione sessuale, rende la femmina
un non-maschio, eternamente ‘invidiosa’ dell’organo sessuale
maschile.
La differenziazione dei ruoli sembra essere fondamentale per la
società e si tende a riportarla ad un determinismo biologico, quale
fattore innato condizionante e inalienabile.
Ma la determinazione biologica non è così assoluta, come ad
un’analisi superficiale può sembrare.
Un esempio lo sono le errate attribuzioni di sesso alla nascita
(quando, cioè, il sesso fenotipico non corrisponde a quello genotipico):
osservazioni sperimentali dimostrano come l’individuo tenda a
comportarsi coerentemente con l’identità sessuale che gli viene
15
attribuita all nascita. Ciò prova quanto grande sia il peso degli aspetti
socio-educativi sulla formazione dell’identità di genere.
Altri esperimenti, al contrario, testimoniano quanto ciò che è stato
detto finora possa risultare parziale e relativo. Infatti ci sono studi che
testimoniano l’influenza dei fattori biologici sugli aspetti del carattere
e dell’identità, come può essere desunto, ad esempio, dalle ricerche
relative agli effetti delle somministrazioni ormonali androgenizzanti
durante il periodo fetale sulle femmine. Il risultato, secondo Money
(1978), non è di un’inversione dell’identità di genere, ma la
manifestazione di comportamenti tendenzialmente maschili.
In breve, si può desumere da quanto finora affermato, che, sia i
fattori naturali-biologici sia quelli psico-socio-culturali pesano in
tempi e modi diversi sulla formazione dell’identità di genere.
In effetti pare che l’identità di genere sia delineata in certa misura
già all’età di 18 mesi, quando con l’emergere del linguaggio il
bambino/a testimonia la capacità di definirsi e di comprendersi come
maschio o come femmina. Ciò non vuol dire altro che il bambino/a,
per mezzo dell’identificazione, imita il modello di comportamento del
16
caregiver dello stesso sesso, imparando a rispondere per
complementarità all’altro sesso.
La Simonelli (1996) afferma che sembra ragionevole pensare che
“gli schemi relativi ai comportamenti adeguati ai due sessi sarebbero
presenti alla mente del singolo individuo anche se […] ci si esprime
attraverso una sola delle due modalità, quella legata all’identità di
genere, mentre l’altra avrà la funzione predittiva e di adattamento
nell’interazione con l’altro sesso”.
In questo caso si potrebbe addirittura parlare di “androginia
psicologica”, considerando la coesistenza in un singolo individuo, di
caratteristiche maschili e femminili.
In questo contesto il transessualismo può essere considerato come
una risposta a bisogni psicologici che prevaricano quelli biologici.
Questi ultimi dominano l’organismo e spingono l’individuo alla
ricerca dell’unico modo in cui possono essere soddisfatti, ma quelli
psicologici possono anche imboccare “strade diverse”, alternative
divergenti. L’identità transessuale può permettere di soddisfare
bisogni che diversamente, restando insoddisfatti, potrebbero portare
alla morte e alla psicosi.
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1.3 - Essere maschio, essere femmina
La mascolinità è una conquista, non solo nel senso socio-relazionale
di una ricerca della propria identità, ma anche da un punto di vista
più specificatamente biologico. A dimostrarlo sono le ricerche in
ambito embriologico, e in particolare gli studi del biologo francese
Alfred Jost (1947), in cui emerge che la femminilità è il programma di
base del feto ed occorre qualcosa in più affinché la mascolinità prenda
forma.
Ad esempio, sei settimane dopo il concepimento il cromosoma Y del
maschio innesca la produzione di una proteina chiamata antigene H-
Y, che permette lo sviluppo dei testicoli. Di questa proteina non ne
esiste un corrispondente femminile, per cui la sua assenza permette lo
sviluppo nel senso delle ovaie.
Analizzando la differenziazione degli organi riproduttivi esterni ed
interni si può inoltre notare quanto sia errato il principio secondo cui
“gli uomini sono uomini e le donne sono donne” (Crews, 1988).
Ogni feto normalmente possiede, per gli organi riproduttivi interni
(gonadi e dotti riproduttivi), precursori separati per le gonadi
maschili (midollo) e femminili (corteccia) e per i dotti riproduttivi
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maschili (dotti di Wolff) e femminili (dotti di Müller); poi solo uno si
svilupperà.
Se ci si sofferma, poi, sullo sviluppo dei genitali esterni, l’inesistenza
di un netto confine maschio-femmina, si fa più evidente. Infatti i
genitali si sviluppano per uomini e per donne dallo stesso precursore,
per questo definito ‘bipotenziale’.
Quindi lo sviluppo della maschilità oltre ad essere più complicato
sembra essere anche più vulnerabile: implica una dissociazione dal
programma femminile di base e si realizza attraverso una serie di
induzioni.
Gli “incidenti di percorso” possono essere molteplici, ma in ciascun
caso le ricerche finora condotte mostrano che il ‘maschio in
formazione’ è rimandato al programma femminile di base.
Protofemminilità è la definizione che molti studiosi (ad es. Crepault,
1989; Stoller, 1978 e 1980; Bohem, 1930; Zinboorg, 1944; Greenson,
1968) danno a questa condizione biologica di “programma di base
femminile”, anche se, pur collegandosi con il senso comune, resta
difficile da verificare inconfutabilmente.