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promemoria, il processo si completa con la valutazione del
risultato dell’intenzione.
La realizzazione di un’intenzione prospettica procede attraverso
le seguenti fasi (Ellis, 1996; Brandimonte, 1991; Einstein,
McDaniel, 1996; Ellis, Freeman, 2008):
1) formazione dell’intenzione (encoding)
2) intervallo di ritenzione (retention interval)
3) intervallo di prestazione (retrival)
4) esecuzione dell’intenzione (execution)
5) valutazione del risultato (evaluation)
La prima fase fa riferimento alla codifica del contenuto
dell’intenzione, il cosa, ovvero la decisione di fare qualcosa, e
del contesto di recupero, il quando, cioè il momento giusto per
eseguire l’azione. La seconda fase fa riferimento all’intervallo
tra il momento della codifica dell’intenzione e l’inizio
dell’intervallo di prestazione. La terza fase del processo
prospettico si riferisce all’intervallo di prestazione, cioè al
momento durante il quale l’intenzione deve essere recuperata.
La quarta fase riguarda la realizzazione dell’intenzione, che si
ha solo se si inizia a eseguire l’azione. Infine, con la quinta fase
si valuta il risultato del processo prospettico confrontando
l’intento precedentemente codificato, ovvero ciò che si era
programmato di fare, con la situazione corrente, ossia ciò che
realmente è stato fatto. I paragrafi successivi esaminano ogni
singola fase.
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1.2 Le fasi della Memoria Prospettica
1.2.1 Codifica
Nel testo “Prospective Memory” (2008) Ellis e Freeman
presentano gli studi comportamentali relativi alla fase di codifica.
Goschke e Kuhl (1993; 1996) hanno esaminato l’attivazione del
contenuto delle intenzioni durante la codifica, concludendo che
alcuni item vengono codificati meglio di altri. Ad esempio,
parole che riguardano azioni da eseguire sono rievocate e
riconosciute più facilmente rispetto a parole relative ad azioni
che devono essere soltanto osservate. Goschke e Kuhl hanno
denominato questo fenomeno “effetto di superiorità delle
intenzioni” (intention superiority effect, ISE). L’effetto descrive
l’attivazione o l’aumentata accessibilità (Marsh, Hicks, Bink,
1998) di item associati alle azioni da eseguire rispetto ad altri tipi
di informazione in memoria. Nello studio di Goschke e Kuhl
(1993) l’ISE è stato esaminato usando un paradigma di intenzioni
ritardate, cioè da realizzare dopo un certo intervallo di tempo.
Nell’esperimento, ai soggetti veniva presentata una serie di
azioni di cui alcune dovevano essere solo rievocate o
riconosciute, altre, invece, dovevano essere messe in pratica. I
risultati hanno evidenziato che i soggetti riconoscevano meglio le
parole e le azioni che si riferivano a compiti che dovevano essere
eseguiti anziché solo rievocati. Una ricerca successiva condotta
da Marsh, Hicks e Bink (1998) ha utilizzato un compito di
decisione lessicale, ritenendolo un paradigma maggiormente in
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grado di misurare l’attivazione e l’accessibilità delle tracce
mnestiche. Tale compito, di decisione lessicale, consisteva nel
chiedere ai soggetti di valutare se uno stimolo, presentato
uditivamente o visivamente, fosse una parola o una non parola.
L’ISE è stato osservato anche da Freeman ed Ellis (2003) sia nei
giovani sia negli adulti utilizzando un paradigma di laboratorio
simile a quello impiegato da Goschke e Kuhl (1993).
1.2.2 Intervallo di ritenzione
Nella memoria retrospettiva, memoria degli episodi del passato,
(Neisser, 1982) la performance peggiora con l’aumento
dell’intervallo di tempo tra la fase di studio e la fase test. Un
secolo fa Ebbinghaus (1887-1924) ha osservato che l’oblio
prende la forma di una curva logaritmica inizialmente rapida nei
primi minuti o ore dopo la codifica, per poi diventare quasi
piatta. Questo fenomeno è stato replicato in diversi esperimenti
(Bahrick, Phelps, 1987).
La ricerca sugli effetti dell’intervallo di ritenzione, nel ricordo
prospettico, invece, ha messo in evidenza risultati divergenti.
Loftus (1971) ha osservato che a intervalli più lunghi di
ritenzione corrispondono performance prospettiche meno
accurate. Similmente, Meacham e Leiman (1982) hanno
osservato un maggiore declino della capacità prospettica, dopo
un intervallo di 5-8 giorni rispetto ad un intervallo di 1-4 giorni,
in assenza di un aiuto esterno. Al contrario, Wilkins (1986) non
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ha osservato nessun peggioramento di performance dopo un
intervallo di 36 giorni, simili risultati sono stati riportati usando
anche intervalli molto più brevi, ossia di 15 versus 30 minuti
(Einstein, Holland, McDaniel, Guynn, 1992) e di 4 versus 20
minuti (Guynn, McDaniel, Eistein, 1998). Brandimonte e
Passolunghi (1994) propongono che l’oblio nei compiti della MP
si verifichi nei primi 3 minuti dopo la codifica. È stato osservato
l’oblio anche dopo intervallo di tempo inferiore al minuto da
Harris, Wilkins (1984) e Eistein, McDaniel, Manz, Cochran,
Baker (2001).
1.2.3 Intervallo di prestazione
L’ intervallo di prestazione, o intervallo di performance, è la
terza fase del processo prospettico in cui viene recuperata
l’intenzione pianificata. Il recupero dell’intenzione è collegato a
una situazione ben precisa: l’azione intenzionale si realizza alla
comparsa del contesto appropriato, riconosciuto come tale.
Affinché un’azione venga ricordata con successo è necessaria
una corrispondenza, matching, tra il contesto di recupero e la
situazione corrente (Brandimonte, 2004). Il contesto di recupero
è il momento giusto in cui eseguire l’azione e può essere
rappresentato da una persona, da un luogo, etc., ad esempio, alla
vista di un amico ci si ricorda di dargli un messaggio. Inoltre,
affinché si recuperi il contenuto dell’intenzione e si svolga
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correttamente l’azione, non è sufficiente ricordarsi di dover fare
qualcosa, ma è necessario ricordarsi cosa fare.
1.2.4 Esecuzione
L’esecuzione dell’intenzione è la fase della MP che riguarda la
realizzazione dell’azione pianificata. Essa implica, non solo che
il soggetto ricordi una data azione che deve essere realizzata in
un determinato momento, ma che decida di eseguirla. Tale
decisione prende il nome di compliance (Dobbs, Reeves, 1996).
Pochi studi hanno esaminato direttamente la compliance,
chiedendo ai soggetti perché non avessero eseguito l’azione. Da
alcuni studi (Alpert, 1964; Cooper, Love, Raffoul, 1982;
Cosgrove, 1990) è emersa la differenza tra compliance
intenzionale e compliance non intenzionale. La compliance
intenzionale è la decisione volontaria di non eseguire l’azione,
quella non intenzionale, invece, può essere attribuibile alla
dimenticanza da parte del soggetto (Dobbs, Reeves, 1996).
Quest’ultima è stata osservata in uno studio con pazienti affetti
dalla malattia di Alzheimer (Stevens, 1992) e in uno studio su
pazienti con disturbo post-traumatico da stress, sia i primi che i
secondi dimenticavano di presentarsi agli appuntamenti (Hedin,
Haas, 1988). In altri studi la compliance è stata associata alle
variabili di personalità (Lay, 1988; Orne, 1970; Searleman,
Gayduesk, 1989), al disagio (Meacham, Kushner, 1980),
all’importanza del compito (Kvavilashili, 1987).
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1.2.5 Valutazione
Se un’intenzione è stata recuperata ed eseguita con successo è
importante confrontare il risultato di ciò che realmente è stato
fatto con ciò che si aveva l’intenzione di fare. Il termine output
monitoring è stato usato da Koriat e Ben-Zur (1988) per
descrivere i processi di valutazione e controllo del risultato
concernenti la registrazione o meno dell’azione intenzionale. Si
possono verificare due tipi di errori: omissioni, dovute all’errata
convinzione di aver completato un’intenzione incompiuta, e
ripetizioni dell’intenzione, dovute alla convinzione di non aver
realizzato l’intenzione pianificata (Marsh, Hicks, Hancock,
Munsayac, 2002).
Marsh e collaboratori (2002) hanno messo a punto un paradigma
di laboratorio che ha permesso di distinguere questi errori. Ai
soggetti, infatti, è stato chiesto di premere il tasto con il simbolo
“/” sulla tastiera del computer, quando la parola target compariva
per la prima volta e di premere il tasto con il simbolo “=”, se
fosse comparsa una seconda volta. È stato possibile in questo
modo esaminare la performance di risposte corrette e non
corrette, sia dopo la prima comparsa delle parole target, sia dopo
la seconda presentazione delle parole. I ricercatori hanno
concluso che il fallimento di MP era determinato da errate
convinzioni dei soggetti. Alcuni errori di omissione si sono
verificati perché i partecipanti hanno creduto erroneamente di
aver già compiuto l’intenzione. Alcuni errori di ripetizione,
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invece, non erano dovuti al non ricordare di aver già visto la
parola target, ma all’erronea convinzione che l’azione non
doveva essere eseguita alla comparsa di quella determinata
parola. Ellis e Harvey (2005) hanno condotto una serie di
esperimenti per esaminare eventuali differenze nel numero e nel
tipo di errori che adulti e giovani possono commettere. Per capire
le possibili cause di questi errori hanno utilizzato il paradigma di
Marsh e collaboratori (2002). Il compito prospettico, utilizzato in
alcuni esperimenti, consisteva nel premere un tasto ogni
qualvolta sullo schermo del computer apparivano nomi di
animali. In altri casi, invece, il compito consisteva nel premere il
tasto corrispondente alla prima lettera della parola target, se
questa compariva per la prima volta, e nel premere il tasto con il
simbolo “=”, alla seconda comparsa. In questo compito sono
state confrontate le performance dei giovani e degli adulti. I
risultati hanno indicato che, per quanto riguarda il numero di
omissione, non c’era differenza tra i giovani e gli adulti. Al
contrario, gli errori di ripetizione erano maggiormante commessi
dagli adulti (Koriat, Ben-Zur, 1988).
In questa serie di esperimenti Ellis e Harvey hanno anche
confrontato la performance dei giovani in condizione di
attenzione totale (full attention) e attenzione divisa (divided
attention), utilizzando il paradigma di Marsh e collaboratori
(2002). Entrambi i gruppi di giovani hanno commesso lo stesso
numero di omissioni. I giovani in condizione di divided attention
risultavano più inclini a dare risposte non corrette, rispetto ai
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giovani in condizione di full attention. I dati così ottenuti
lasciano presumere che l’attenzione divisa aumenti la
vulnerabilità agli errori di ripetizione e quindi che la propensione
degli adulti a commettere tali errori sia dovuta alla ridotta
capacità di attenzione.
1.3 Memoria prospettica e memoria retrospettiva
La memoria prospettica (MP) è spesso messa a confronto con la
memoria retrospettiva (MR), per esaminarne la struttura e i
processi sottostanti. La memoria retrospettiva ci permette di
ricordare ciò che abbiamo fatto; quella prospettica, ciò che
dobbiamo fare (Neisser, 1982). Il legame tra le due, rappresenta
il nodo intorno al quale si è articolato un importante dibattito
negli studi sulla memoria prospettica. Mentre alcuni autori
(Baddeley, 1990; Ellis, 1996; Burgess e Shallice, 1997; Burgess,
2000) sostengono che entrambi i tipi di ricordo si fondano su
principi simili, altri (Eistein e McDaniel, 1990; Winograd, 1988)
pensano che essi rappresentino due forme di memoria separate.
Secondo Baddeley (1990) una rigida divisione tra memoria
prospettica e memoria retrospettiva non sembra essere
auspicabile. Egli ritiene, infatti, che una buona parte della
memoria del futuro coinvolga la memoria del passato dal
momento che, ad esempio, per ricordarsi di tirare fuori la torta
dal forno, bisogna anche ricordarsi di averla preparata.