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INTRODUZIONE
La crisi di impresa rappresenta un fenomeno alquanto articolato e vasto, soprattutto
in un contesto di mercato dinamico, come l’attuale, dove numerosi settori sono ormai
molto concentrati provocando enormi pressioni competitive sulle imprese che vi
operano; diviene quindi ovvio che, in tale situazione, alcune di esse possano entrare in
momenti di difficoltà. Negli ultimi venti anni, ma soprattutto in quest’ultimo periodo, in
cui si è manifestata una complessa situazione di mercato con lunghe fasi di “bear
market”, i casi di patologia aziendale si sono infatti molto accentuati; a fronte di tale
incremento numerico si riscontrà però anche una maggiore complessità degli stessi, sia
come effetti generati che come meccanismi di risanamento adottati. In numerosi paesi
sono stati quindi avviati degli studi volti sia ad analizzare i meccanismi e gli elementi
che incidono sulla competitività delle singole imprese e sull’economia nel suo insieme,
sia ad individuare le procedure di risanamento e gli istituti giuridici adottabili; tutto
questo riscoperto interesse per i fenomeni di crisi di impresa ed anche le terribili
conseguenze che tali situazioni possono provocare sull’intero mercato, ne giustificano
conseguentemente l’analisi in questo elaborato. Da un punto di vista strettamente
economico, è comunque necessario riconoscere che la manifestazione di una crisi è un
fenomeno in parte positivo, poiché è in grado di selezionare le imprese che sono capaci
di competere, di mantenere una forte dinamicità rispetto al mercato e di essere
innovative e quelle che non lo sono, eliminandole, e ampliando di conseguenza gli spazi
di mercato per le altre, garantendo prodotti e servizi migliori ai clienti. Dello stesso
avviso è anche Guatri il quale ritiene che:” la crisi aziendale e la scomparsa di singole
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aziende sono il prezzo da pagare per il riequilibrio del settore. Si tratta di un processo
naturale di selezione”. Se da quanto appena esposto si comprende la rilevanza del tema
del turnaround e la sua attualità (considerando soprattutto il prolungato periodo di bear
market che tutti i paesi stanno vivendo) in questo contesto l’obiettivo di questo
elaborato è quello di analizzare il mercato del corporate turnaround in UK.
La scelta di trattare questo tema deriva da un personale interesse nei confronti delle
procedure risanatorie e dei fenomeni di patologia aziendale, viceversa la decisione di
focalizzarsi sul mercato anglosassone, è dovuta all’occasione di effettuare un soggiorno
in Inghilterra, ed in particolare uno stage in una società, che ci ha permesso di compiere
realmente delle ricerche sul campo e quindi di arricchire la trattazione con dati effettivi
e reali; grazie a questa opportunità abbiamo quindi deciso di focalizzare l’attenzione sul
mercato del corporate turnaround in UK, molto più dinamico ed evoluto e
conseguentemente in grado di fornirci un maggiore contributo all’analisi delle
procedure, strumenti e modelli utilizzabili. In Uk infatti, anche grazie alla complicità
dell’ordinamento, che vede la presenza di numerose società di grandi dimensioni,
quotate, e con una grande complessità di interessi che gli gravitano intorno, c’è stata
una maggiore evoluzione delle procedure e del mercato del turnaround, favorendo la
nascita di professionisti con un’elevata specializzazione ed una vasta esperienza nei
risanamenti. Tutto ciò ci ha quindi convinti che, volendo analizzare il tema del
corporate turnaround ed i meccanismi di intervento applicabili, avremmo potuto trarre
maggiori benefici dal concentrare l’analisi su un mercato più evoluto, dove sono
presenti molteplici società di consulenza specializzate nel corporate restructuring e
dove, tale disciplina, avendo potuto contare su diverse decadi di sviluppo, fosse giunta
ad un livello di maturità più elevato e ad un utilizzo di tecniche più efficienti. Infine vi è
un ultima motivazione derivante dal fatto che, sebbene ogni società e paese possiede
caratteristiche uniche, numerosi studiosi hanno presentato delle teorie evoluzionistiche
dei sistemi capitalistici, postulando, una futura convergenza verso il modello market
oriented, tipicamente anglosassone; ciò, a maggior ragione, giustifica ulteriormente
l’analisi e lo studio dei vari modelli, istituti e procedure adottate in UK che, con le
dovute modifiche, sono e saranno applicabili anche in Italia. Infatti a causa dell’impatto
che le crisi possono avere sul mercato e sulle altre società, sono stati sviluppati, in tutti i
paesi ma a maggior ragione in quelli in cui la disciplina ha vissuto una maggiore
evoluzione, in molti campi, dagli studi empirici alla realtà politica, una serie di modelli,
il cui fine è creare un corpo di strumenti attendibili ed affidabili per prevenire terribili
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collassi societari o per guidare le stesse verso un processo di risanamento, oppure, in
fine, qualora non esista altra alternativa, per garantire una decorosa fuoriuscita del
management e dell’attuale proprietà, nel rispetto di tutti i creditori e degli altri
stakeholders. Ovviamente il nodo centrale di questi modelli è quello di proporre
soluzioni credibili, che garantiscano un rinnovamento della classe manageriale di
riferimento, creando una forte discontinuità nel sistema di attribuzione della
responsabilità, ed anche l’immissione di mezzi finanziari sufficienti a superare le
difficoltà; questi processi devono portare ad un rinnovamento completo e sostenibile nel
lungo periodo, nella tutela e nel rispetto delle esigenze e dei diritti dei vari stakeholders
che gravitano intorno alla realtà societaria.
Questo elaborato si propone quindi, dopo aver fornito nel primo paragrafo una
necessaria premessa e definizione del concetto di turnaround e delle sue procedure, di
analizzare il mercato inglese del corporate restructuring; in tal senso, il primo capitolo
descriverà il mercato inglese (introducendo anche alcuni elementi, al fine di permettere
un rapido confronto, con l’ordinamento italiano), e ne definirà i principali attori. Nel
secondo capitolo sarà inoltre tracciato il profilo degli strumenti sia giudiziali che
stragiudiziali comunemente in uso in Gran Bretagna. Interessante è anticipare fin da
subito che in tale parte non ci soffermeremo solamente sull’analisi, eminentemente
descrittiva dello “statement inglese” ma analizzeremo anche il ruolo che i creditori
possono assumere e come essi siano rilevanti nella scelta di ricorrere agli strumenti
giuridici infatti, l’“insolvency law” anglosassone è un regime “creditor-oriented”
(questo orientamento è una diretta conseguenza delle innovazioni introdotte tramite l’
“insolvency act” del 1986; è inoltre assolutamente in contrapposizione con l’approccio
debitor-oriented americano), cioè è volto a mantenere la priorità dei creditori e
presuppone forti sanzioni in capo agli amministratori per i danni che loro causano,
particolarmente in caso di vendite od alienazioni di asset per fini personali, che
viceversa avrebbero potuto essere utilizzati per rimborsare i creditori. Ciò ha ispirato
l’approccio seguito nella trattazione di questo tema, volto a concentrare l’attenzione sui
vari players coinvolti durante un potenziale risanamento, e la successiva indagine volta
a comprendere come le leggi creano opportunità o restrizioni al loro modo di agire.
Nell terzo capitolo cercheremo invece di analizzare i vari attori ed il loro contributo,
sempre rispetto alla disciplina inglese ed al suo mercato, che sono coinvolti durante il
processo di risanamento. L’analisi sarà quindi volta a comprendere il contributo che essi
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possono offrire nella prima fase del processo di turnaround; saranno quindi considerati
sia coloro che svolgono ruoli significativi e attivi e che non esistono in Italia, sia gli
attori, che seppur presenti, assumono ruoli tendenzialmente diversi e operano con
logiche dissimili a quelle italiane. I soggetti trattati sono quelli che nutrono interessi di
tipo creditizio nei confronti della società e che quindi operano secondo un principio di
massimizzazione vincolata, porremo inoltre particolare attenzione all’analisi loro
logiche di azione e alle relazioni che vanno a stabilire con l’insieme di stakeholders
societari al fine di favorirne la partecipazione alle procedure di risanamento.
Nel quarto capitolo, l’analisi si concentrerà anche sulle operazioni e le strategie
applicate e realizzate da soggetti specializzati nel mercato delle “società distressed”;
evidenziandone il modo di operare ed i rischi e le opportunità tipicamente sottesi a
simili interventi. Partiremo quindi da un’analisi generale circa il modo di operare del
turnaround team, fino ad arrivare a considerare e a concentrare l’attenzione anche su
alcune tipologie di fondi di investimento specializzati. In particolare saranno analizzate
sia le caratteristiche strutturali, sia i contributi che gli hedge fund possono offrire
durante un processo di risanamento; la scelta di trattare questo tema deriva dal fatto che,
sebbene questi attori sono poco presenti in Italia, viceversa occupano un ruolo molto
rilevante all’estero.
Saranno infine presentati quattro casi di studio, opportunamente scelti per essere
rappresentativi delle forme societarie più comuni nel mercato inglese e dei modelli
applicati, al fine di creare una più strinegente relazione con la trattazione teorica.
1. IL
MERCATO
DEL
CORPORATE
RESTRUCTURING
IN
UK
1.1. Il
contenuto
del
corporate
restructuring
Il tema di questo elaborato è l’analisi delle procedure, modelli e strumenti utili per
dar vita a processi di corporate turnaround, riferendosi in particolare al mercato inglese;
chiaramente, prima di entrare nel vivo della trattazione è necessaria una preventiva, se
pur breve, analisi preliminare del problema. In particolare, l’obiettivo che ci
proponiamo in questo paragrafo è quello di definire il concetto di corporate turnaround,
spiegando la rilevanza che esso assume nei mercati (in sostanza dando una
giustificazione alla trattazione di tale tema in una tesi specialistica, mostrando come i
casi di crisi societaria siano abbastanza comuni) e individuando le conseguenze che
possono provocare le crisi di impresa ed infine, per evitare possibili fraintendimenti,
cercheremo di individuare quali sono le principali cause di crisi, ed il modo attraverso il
quale è possibile comprendere che si è avviato un processo degenerativo. Questo
paragrafo vuole quindi fornire al lettore i concetti necessari per permettere una chiara
comprensione delle successive parti dell’elaborato. Riteniamo utile iniziare la
trattazione, partendo da un importante articolo sul tema del corporate turnaround del
1993
1
l’autore, Winn, metteva in luce come, sebbene si fossero sempre più incrementati
il numero di casi di società in crisi o in bancarotta, che stavano vivendo un processo di
turnaround, ancora, in quel momento, la letteratura sul tema era molto esigua e come
tale, il supporto che essa poteva dare ai managers era estremamente ridotto.
1
Winn, 1993: “ while companies facing near-bankrupticy, market losses, or substandard performance are
incrising in frequency, strategy researchers have provided little help for the managers charged with
turning around deteriorating performance” in Financial Times, 28/09/93.
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Allo stesso modo, uno studio di poco successivo
2
, spiegava che esistevano ancora
numerose domande senza risposta sul tema del declino delle società e sugli strumenti di
turnaround; gli autori avevano anche cercato di individuare alcune cause alla base di
tale carenza di letteratura, individuando due fondamentali motivazioni.
∞ In primo luogo ciò derivava dalla stessa metodologia di “research
design”
3
, con tale termine gli autori volevano mettere in luce come, la procedura
utilizzata, basata sull’analisi di casi reali, senza una valida impalcatura teorica
alla base, permetteva di creare delle opere che spesso non riuscivano ad
allontanarsi dalla situazione contingente, cioè si rilevavano valide per la
specifica società oggetto di analisi, comprendendone totalmente la situazione e
la struttura, ma molto spesso tali risultatati non erano espandibili ed applicabili
ad altre realtà aziendali. Ciò è stato sicuramente vero, riteniamo però sia lecito
pensare che tale affermazione non possa più essere considerata attuale, poiché
nel corso del tempo, incrementandosi gli studi specifici condotti e le
comparazioni fra le diverse realtà aziendali è stato possibile, partendo
direttamente da essi, costruire una serie di principi teorici generali, estendibili ad
ogni realtà aziendale che presenta alcune delle caratteristiche tipiche delle
società in crisi.
∞ Infine, l’ulteriore motivazione individuata derivava dal fatto che ogni
società rappresenta una realtà specifica, con proprie cause e sintomi che, se
trascurati, potrebbero portare ad una situazione di dissesto che richiederebbe
delle specifiche procedure per dar vita ad un processo di risanamento efficace;
ciò ha chiaramente reso molto difficile la costruzione di modelli di analisi e di
diagnosi, di metodologie di intervento universalmente applicabili.
Riguardo a ciò, si può senza indugio affermare che tale problema è ben lungi
dall’essere superato e rimane tuttora uno dei principali limiti della letteratura
sull’argomento; si può comunque affermare che nel corso del tempo sono stati
fatti significativi progressi, grazie allo sviluppo di particolari modelli che, non
devono essere applicati in maniera statica ad ogni realtà aziendale che presenta
la specifica struttura di una società in crisi, ma bensì che devono essere
2
Arogyswamy, Barker e Yasai-Ardekani (1995).
3
Gli stessi autori definiscono meglio il termine come:” the overall configuration of a piece of research:
what kind of evidence is gathered from where, and how such evidence is interpreted in order to provide
good answers to the basic research questions”.
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considerati dinamici, cioè devono essere modificati ed applicati nel rispetto delle
specifiche caratteristiche delle varie realtà aziendali.
E’ quindi possibile comprendere come lo studio di tale fenomeno sia spesso
complesso e difficile da compiere.
Entrando più specificatamente nella trattazione del concetto di turnaround esso può
essere definito come l’insieme di strumenti, di procedure e modelli che possono essere
utilizzati per il ritorno di una società, attualmente in situazione patologica, ad una
nuova, e diversa dalla precedente, situazione fisiologica; tale procedura si sviluppa
molto diversamente rispetto alla business transformation, che viceversa si riferisce al
passaggio da una situazione fisiologica ad un'altra, cambiando, in sostanza, il modello
di business, magari per aggiornarlo alle attuali esigenze di mercato. Il risultato finale del
processo di turnaround dovrebbe essere l’effettivo risanamento dell’impresa, il quale
dovrebbe risultare sostenibile e garantire una posizione competitiva migliore rispetto
alla precedente.
Alla base del processo di turnaround, prendendo come buona la definizione appena
enunciata, troviamo chiaramente una fase di crisi o di difficoltà societaria, la quale non
deve essere temporanea, ma deve permanere per un periodo abbastanza lungo, da non
poter essere definita come una semplice crisi transitoria. Chiaramente, nasce adesso il
problema di definire il concetto di crisi aziendale. La crisi, è uno stato patologico della
società; in tal senso, secondo una logica differenziale, per comprenderne meglio il
significato, può essere utile iniziare definendo direttamente la situazione fisiologica. La
situazione fisiologica è la situazione di normale funzionamento societario quindi, in tal
caso, la società vede l’alternarsi di fasi di sviluppo, in cui l’impresa accresce i suoi
risultati ed il suo mercato di riferimento, e le fasi di consolidamento, dove i risultati
precedentemente raggiunti sono fatti propri ed acquisiti; il consolidamento è
assolutamente propedeutico alla successiva fase di nuovo sviluppo. Si comprende che la
situazione fisiologica presuppone un processo dinamico e di continuo cambiamento,
questo processo evolutivo è però assolutamente desiderabile da parte della società,
poiché il risultato è quello di generare valore e quindi di permettere il raggiungimento
del finalismo dell’impresa. La situazione patologica è invece rappresentata dall’avvio di
un processo degenerativo, il quale non è né volontario né desiderabile, e che si
manifesta tramite il continuo deterioramento dei normali meccanismi di funzionamento
societario e delle normali relazioni interne alla società, ed il cui risultato ultimo sarà il
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manifestarsi della crisi societaria e la distruzione di valore; anche la situazione
patologica rappresenta un processo di cambiamento, ma differentemente dalla
fisiologica, esso non è desiderato e, se non viene correttamente e tempestivamente
affrontato, può deteriorare sempre di più la situazione fino a giungere ad una situazione
di irreversibilità e quindi a minare l’esistenza societaria.
Figura 1-1: La situazione patologica
Tratto da: Moliterni R., Dalla fisiologia alla crisi di impresa, Padova, CEDAM, 1999.
La situazione patologica si può inoltre dividere in due diversi momenti (come si vede
dalla figura appena presentata); nella situazione di pre-crisi, nella quale si è già avviato
un processo degenerativo, ma questo non ha ancora avuto effetti esterni, ciò significa
che l’impresa sta sotto performando rispetto alle sue possibilità, però spesso ciò non
corrisponde ad una chiara comprensione del fenomeno. La fase successiva è invece
quella di crisi, dove il processo degenerativo è ancora in atto ed esso ha generato anche
alcuni effetti esterni, rendendo comprensibile anche ai soggetti terzi
4
la reale situazione
di difficoltà societaria, questo è un momento in cui il processo degenerativo è già in una
fase abbastanza evoluta e in cui deve essere affrontato velocemente prima di giungere
ad una situazione di insolvenza.
4
La percezione esterna della crisi è un fatto molto grave per la società, perché provoca tipicamente un
incremento della crisi stessa e ne accellera il percorso evolutivo, poiché tende a venire meno il clima di
fiducia nei confronti dell’impresa, favorendo invece la diffusione di dubbi ed incertezza circa il suo
futuro e il suo mantenimento in vita. Può inoltre capitare che i soggetti esterni, con cui l’impresa gestisce
relazioni, tendano a favorire una visione opportunistica, cercando quindi di limitare le relazioni con la
società; ciò è dovuto alla salvaguardia dei loro interessi, ma può generare rilevanti problemi all’impresa
per quanto riguarda il suo futuro .
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Figura 1-2: Le fasi del processo degenerativo
L’insolvenza è viceversa la situazione in cui il debitore è incapace, in maniera
duratura e continuativa nel corso del tempo, di adempiere alle proprie obbligazioni; non
è quindi una situazione temporanea. L’insolvenza è quindi l’estrema conseguenza di un
processo avviatosi molto tempo prima, e che è stato trascurato oppure non
correttamente compreso, derivato da errori organizzativi, strategici oppure
malfunzionamenti e che ha minato la capacità dell’impresa di creare valore, ed al
contempo, tende ancora di più a deperire la struttura societaria. Interessante è analizzare
le conseguenze che una crisi societaria potrebbe avere sull’intero mercato, per la verità,
i fenomeni di crisi di imprese sono relativamente comuni, e si manifestano
continuamente nel tempo, poiché l’incremento del numero di società, in virtù di una
sempre maggiore iniziativa imprenditoriale, comporta che ognuna di queste dovrà
cercare di competere al meglio nel suo mercato di riferimento e quindi sottrarre clienti
agli altri operatori. Per raggiungere tale obiettivo, dovrà costruire un proprio marketing
mix, ed individuare il giusto elemento su cui andare a costruire il valore. Alcune
imprese competeranno sui prezzi, altre focalizzeranno i propri sforzi sulla qualità del
prodotto, altre sulla tecnologia, le varianti sono pressoché infinite; vi è però un
problema di fondo ad ogni strategia, cioè ogni impresa deve domandarsi se gli elementi
su cui si sta focalizzando , le strategie che implementa e gli investimenti che effettua
sono giustificati dal potenziale rendimento ottenibile oppure non lo sono. Chiaramente,
se la società realizza un’azione, ciò significa che si è preventivamente già posta questa
domanda, ma niente garantisce che ex-post la decisione presa sia valida; a tale
situazione, dovuta al fatto che le decisioni, pur avvalorate da analisi statistiche o da
costruzioni di scenari, sono sempre prese in condizioni di parziale incertezza, è
necessario aggiungere che, anche il continuo incremento della concorrenza, tende ad
aumentare l’obsolescenza delle strategie e quindi il rischio di insuccesso. Se da un lato
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fenomeni di crisi societarie sono comuni, dall’altro essi generano anche rilevanti
conseguenze sul mercato; numerosi studiosi
5
, hanno quindi cercato di comprendere se
sono maggiori gli effetti positivi o negativi. Giungere ad una chiara conclusione sul
punto è però molto complesso. Le teorie che danno al fenomeno una valenza positiva
ritengono che esso offra l’indubbio vantaggio di permettere di selezionare le società in
grado di competere e quelle che non lo sono, permettendo quindi di eliminare i “pesi
morti” dal mercato e ampliare gli spazi competitivi per gli altri operatori. Inoltre il
rischio di cadere in una situazione di crisi, spinge tutte le imprese ad operare meglio ed
a migliorarsi continuamente. Ovviamente un fenomeno di crisi genera anche delle
conseguenze negative, tipicamente correlate alla dimensione societaria, esso tende a
generare dei costi sociali diretti di natura patrimoniale, in sostanza ci riferiamo a tutti i
soggetti che avevano delle relazioni con la società e che quindi vantano un credito verso
la stessa, al fine di trovare un parziale rimedio a questi problemi, lo stato è intervenuto,
soprattutto nel mercato anglosassone, proponendo una disciplina creditor-oriented,
focalizzata cioè sulla tutela di questi soggetti. Dei costi sociali diretti di natura non
patrimoniale, nel senso che, il fallimento di un’impresa non è un evento che ha delle
conseguenze solamente sulla situazione contingente, ma genera anche effetti futuri,
tipicamente si suole parlare di crisi di fiducia; per spiegare meglio il concetto, riteniamo
molto utile prendere ad esempio il recente fallimento della Lehman Brothers, in tal caso
si fa quindi riferimento ad una delle principali banche internazionali, chiaramente essa
ha provocato delle rilevanti conseguenze, in sostanza ha generato non solo una crisi
finanziaria di ingenti proporzioni, ma un fenomeno di panico diffuso, in cui la fiducia
verso le banche era in parte venuta meno, soprattutto all’interno della categoria, infatti
“la fuga del rischio aveva portato i Buoni del Tesoro americano praticamente a zero: un
livello toccato nel 1941 quando sembrava che l’Inghilterra non potesse resistere più a
Hitler”
6
. Infine si generano anche dei costi sociali indiretti di natura non patrimoniale,
cioè i problemi che si generano sul mercato a causa del fatto che vengono a mancare i
prodotti di tale impresa, o le conseguenze per la popolazione intorno allo stabilimento,
per esempio, per quanto riguarda l’occupazione. Detto tutto ciò verrebbe quindi da
domandarsi se, il fenomeno di crisi di impresa assuma una valenza più tendente al
positivo ovvero più negativa; la verità è che non è possibile trarre delle specifiche
conclusioni in merito, gli “Smithiani” più convinti, riterranno che essa sia positiva, e la
5
Si veda, per esempio: Slatter S. - Lovett D., Corporate turnaround, Penguin, London 1999.
6
Marco Onaldo, Il Sole 24 Ore, 21/09/08.
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vedranno come una manifestazione della “mano invisibile” del mercato che riequilibra
il sistema, ma come spiegarlo ai lavoratori della società, ai fornitori e ai subfornitori, o a
chiunque vanti un credito verso la stessa; personalmente riteniamo che nella maggior
parte dei casi le conseguenze negative siano maggiori, e quindi pensiamo che tentare
una procedura di risanamento sia assolutamente doveroso e se di successo, possa essere
un esperienza unica per la maggior parte dei menagers, facendo uscire loro stessi, ma
soprattutto la società, più forti di prima, e soprattutto consapevoli della necessità di
mantenere sempre un contatto con il mercato e non dimenticarsi mai delle sue esigenze
e della necessità di cercare sempre l’efficienza.
Dopo aver analizzato gli effetti che i fenomeni di crisi possono generare sia
sull’impresa che sul mercato, è necessario ritornare ai due momenti sopra citati (la fase
di pre-crisi e la vera e propria crisi) e chiarire che essi richiedono l’applicazione di
strumenti e modelli molto diversi tra loro, nel primo caso la crisi è agli esordi è quindi
sarà anche più semplice da affrontare, ma certamente più complessa da percepire,
tipicamente in tale situazione non ci sono rilevanti cambiamenti nella struttura
societaria, cioè è lecito aspettarsi che sarà l’assetto imprenditoriale attualmente esistente
ad affrontare tale difficoltà; nel secondo caso, sarà invece necessario aspettarsi anche
rilevanti cambiamenti a livello organizzativo e del personale, poiché il manifestarsi di
una crisi, e la percezione di essa da parte del mercato, corrisponde anche alla perdita di
fiducia dei soggetti esterni nei confronti della società, quindi, preventivamente
all’implementazione di un processo di risanamento, potranno esserci rilevanti
cambiamenti a livello imprenditoriale, al fine di creare discontinuità nel sistema di
attribuzione della responsabilità, ed allontanare quei soggetti che sono stati
potenzialmente artefici della crisi che si è generata, per ottenere nuova fiducia dal
mercato.
A questo punto, dopo aver definito il concetto di turnaround e le conseguenze che
esso può generare sul mercato, è necessario descrivere le varie fasi del processo di
turnaround
7
, per facilitare la comprensione del percorso logico sotteso sia all’opera, sia,
più in generale, alla ristrutturazione delle società.
7
Quello presentato è uno tra i vari modelli che è possibile trovare in letteratura, per esempio Hoffman
individuava tre fasi chiamate, the preparatory stage, the short-term stage ed infine the growth stage.
Robbins e Pearce parlavano di turnaround situation, Rentrechment stage e Recovery stage; è comunque