2
2. CORPORATE GOVERNANCE DELLE BANCHE
2.1. INTRODUZIONE
2.2. LA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’ECONOMIA
2.2.1. L’efficienza della struttura finanziaria
2.2.2. L’efficienza allocativa della banca
2.2.3. Efficienza operativa, corporate governance e riduzione dei costi di
agenzia
2.2.4. Il modello di Diamond: riflessioni e problemi aperti
2.3. CORPORATE GOVERNANCE E BANCA: LE RAGIONI DI UNA
SPECIFICITÀ
2.3.1. La natura dell’impresa bancaria
2.3.2. Regolamentazione e corporate governance nelle banche
2.3.3. La presenza di una safety net
2.3.4. Regolamentazione del settore bancario e meccanismi di
governance di mercato
2.3.5. Regolamentazione, assunzione di rischio e creazione di valore
nelle banche
2.4. MECCANISMI INTERNI DI GOVERNANCE DELLE BANCHE
2.4.1. La struttura proprietaria delle banche
2.4.2. I meccanismi di incentivo del management
2.4.3. Il consiglio di amministrazione delle banche
2.4.4. Gli strumenti di supporto della governance: il sistema di risk
management e la funzione di internal auditing
3
2.5. LA DISCIPLINA DEL MERCATO
2.5.1. Informativa esterna e disciplina del governo societario
2.5.2. Il debito come strumento di disciplina della governance bancaria
2.6. CONCLUSIONI
3. CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE NELLE
BANCHE
3.1. INTRODUZIONE
3.2. CORPORATE GOVERNANCE E “GLOBAL INVESTOR OPINION”
3.3. GOVERNANCE E BANCHE: UN’ANALISI EMPIRICA SULLA
CREAZIONE DI VALORE
3.3.1. Letteratura di riferimento
3.3.2. Descrizione dei dati del campione e metodologia d’analisi
3.3.3. Risultati dell’analisi
3.3.4. Robustness check
3.4. CONCLUSIONI
SEZIONE TABELLE
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
NOTA REDAZIONALE
La presente tesi si compone di 151 pagine
4
Premessa
Le tematiche inerenti la creazione di valore nell’impresa ricevono sempre grande
attenzione da parte del mondo accademico. Il tentativo di formalizzare un modello
capace di sintetizzare e indirizzare l’attività economica in un’ottica di creazione di
valore, nel corso degli anni, ha pervaso gli sforzi prodotti dalle scienze economiche
che hanno fornito importanti contributi in materia di costo del capitale dell’impresa,
di valutazione degli investimenti e, quindi, di misurazione del valore creato. Il
rilevante apporto derivante dalla letteratura teorica ed empirica assume, tuttavia,
una connotazione prettamente finanziaria a carattere normativo che si sofferma
principalmente sulle strategie e politiche aziendali attraverso le quali un’impresa
può creare valore economico.
La tesi in oggetto si differenzia dalla letteratura di riferimento sulla creazione di
valore poiché analizza questo rilevante aspetto dell’economia aziendale in relazione
alle strutture e ai meccanismi di “Corporate Governance” dell’impresa. Lo sforzo
prodotto nel presente lavoro è, in particolare, quello di indagare in modo organico
circa i legami e i riflessi prodotti dal sistema di governo societario sul processo di
creazione di valore nelle banche dell’area Euro. In questo approccio è rintracciabile
un secondo elemento di differenziazione e novità rispetto agli studi, pubblicati anche
in tempi molto recenti, sul tema della corporate governance, che sono stati
richiamati ed analizzati in modo approfondito nel corso della trattazione.
Lo schema interpretativo di riferimento della tesi è costituito dal modello di analisi
classico che trova formalizzazione nel rapporto principale-agente proposto nella
teoria dell’agenzia.
5
Una relazione principale-agente (o relazione di agenzia) si definisce come un
contratto in base al quale un soggetto (the principal) delega un altro soggetto (the
agent) nel perseguimento di obiettivi contrattualmente determinati che devono essere
conseguiti nell’interesse del delegante. Se il perseguimento degli obiettivi definiti
massimizza l’utilità di entrambe le parti, ci sono buone ragioni per ritenere che
l’agente agirà nell’interesse del principale. Se, invece, gli obiettivi contrattualmente
determinati massimizzano principalmente l’utilità del delegante
1
si creano i
presupposti per il manifestarsi di un problema di agenzia in termini di costi che può
compromettere irrimediabilmente l’efficienza e, quindi, l’efficacia della relazione.
L’inefficienza della relazione deriva dall’incompletezza dei contratti, ovvero dalla
loro inadeguatezza nel garantire con certezza il perseguimento degli obiettivi definiti,
minimizzando al contempo i costi di monitoraggio per il principale. L’incompletezza
dei contratti, a sua volta, discende da due problemi che colpiscono le relazioni
aziendali: 1) l’esistenza di costi di transazione; 2) il manifestarsi di situazioni di
asimmetria informativa.
In questa prospettiva un sistema di corporate governance può essere definito come
un insieme di strutture e meccanismi la cui “missione” è quella di disciplinare le
relazioni che esistono tra gli stakeholders dell’impresa, minimizzando i costi che il
perseguimento di tale obiettivo necessariamente comporta, che, pertanto, sono
denominati costi di agenzia, e promuovendo, al contempo, l’assunzione di
comportamenti in linea con l’obiettivo ultimo di creazione di valore economico da
parte di tutti i portatori di interessi dell’impresa.
A tal fine, l’impresa si avvale di strutture e meccanismi interni, quali sono: la
struttura proprietaria; il consiglio di amministrazione; i meccanismi di incentivo e
1
È plausibile considerare questa come una caratteristica normale dei contratti che regolano i rapporti
di esercizio dell’attività economica.
6
controllo del management. L’impresa è, inoltre, soggetta ad una serie di meccanismi
di governance esterni che non sono sotto il suo diretto controllo ma che, comunque,
si rivelano adatti ad esercitare un’influenza determinante sul governo societario
della stessa e sono rappresentati dal sistema normativo e regolamentare, dal mercato
del lavoro, dal mercato per il controllo societario e dalle banche.
L’inclusione delle banche tra le leve di influenza del governo societario esplicita la
connotazione sui generis che caratterizza questa istituzione nell’ambito degli schemi
di corporate governance. La banca, infatti, è, da un lato, il perno del processo di
distribuzione dei flussi finanziari prodotti dall’economia, compito questo che le
conferisce un ruolo attivo e decisivo nell’allocazione delle risorse finanziarie alle
imprese e, quindi, una funzione chiave di disciplina del governo societario del
sistema industriale, e, dall’altro, è un’impresa che, come tutte le altre, “deve” essere
soggetta a principi e regole di corporate governance.
La capacità della banca di allocare le risorse in modo efficiente ha conseguenze sia
sulla crescita del sistema economico che sulla creazione di valore della banca
stessa. Il primo aspetto configura la banca come un meccanismo di corporate
governance nei confronti del sistema industriale, e quindi come un soggetto attivo
nel governo societario delle imprese (corporate governance delle banche). Il secondo
aspetto riguarda, invece, il sistema di governo societario cui la banca è soggetta,
ovvero la sua capacità di indirizzare le risorse verso i progetti più meritevoli,
configurando la banca come un soggetto passivo nell’esercizio della governance
(corporate governance nelle banche)
2
.
2
Vedi: “Governo societario e imprese bancarie.” Forestieri G. e Onado M. 1998, Banca, Impresa e
Società 17, pp. 31-56.
7
Sironi
3
sottolinea, inoltre, che “nelle banche business risk (rischio dell’ attivo) e
financial risk (rischio del passivo) sono strettamente legati, essendo la covarianza fra
il valore di mercato di attività e passività, così come quella fra ricavi e costi, sovente
elevata. Nelle banche le decisioni di investimento e di finanziamento non possono
dunque essere concettualmente separate, e in particolare la scelta del mix di
passività deve essere variata in funzione delle singole opportunità di investimento,
così come la scelta fra le diverse opportunità di impiego dei fondi è funzione delle
possibilità di raccolta degli stessi.”
In termini di corporate governance le riflessioni precedenti si traducono in un
legame biunivoco tra la definizione di un sistema di governo societario che spinga la
banca a reperire le risorse e ad allocarle in un’ottica di massimizzazione del valore
e l’esercizio di un ruolo attivo nella corporate governance del sistema industriale al
fine di creare un vincolo di efficienza per le imprese nella destinazione delle risorse
affidate. La capacità della banca di coniugare queste attività si sintetizza nel suo
grado di efficienza allocativa che dipende a sua volta dallo sviluppo di condizioni di
efficienza tecnico-operativa adeguate e coerenti con l’obiettivo ultimo di creazione di
valore.
Le peculiarità che connotano la struttura finanziaria delle banche definiscono
l’essenza stessa di questa istituzione, che si differenzia dalla generalità delle imprese
in ragione della specificità delle funzioni che svolge come strumento di trasmissione
della politica monetaria e del ruolo attivo di disciplina del sistema industriale che le
compete.
La specialità dell’impresa bancaria si sostanzia in una serie di vincoli e principi
regolamentari di natura strutturale, prudenziale e protettiva (quali sono: la
regolamentazione dell’entrata nel settore, dei processi di concentrazione che
3
“Gestione del rischio e allocazione del capitale nelle banche.” Sironi A. 1996, EGEA.
8
coinvolgono le banche e dell’assetto di controllo e direzione delle stesse;
l’imposizione di requisiti patrimoniali; l’esistenza di una safety net e la funzione di
prestatore di ultima istanza svolta dalle banche centrali) che comprimono
l’operatività dell’intermediario finanziario negli schemi rigidi imposti dalle autorità
di vigilanza in qualità di stakeholder della banca e, per certi aspetti, si sostituiscono
alle dinamiche competitive e di mercato (del controllo societario, del lavoro e dei
prodotti e servizi bancari) producendo, in ultima analisi, l’effetto perverso di
indebolire la disciplina esercitata dai meccanismi di mercato sul governo societario
delle banche, creando così un “vuoto” di corporate governance.
Lo scopo ultimo di questo lavoro è quello di dimostrare che la situazione delineata si
traduce nell’implementazione di un modello di governance orientato prevalentemente
al perseguimento degli obiettivi di stabilità e solidità finanziaria della banca che,
però, si rivela poco adatto nel promuovere condizioni di efficienza tecnico-operativa
e allocativa che risultano essere basilari ai fini della creazione di valore economico.
9
1)CORPORATE GOVERNANCE NELL’IMPRESA: UN QUADRO
CONCETTUALE
1.1. INTRODUZIONE
Le crisi finanziarie che nel 1998 hanno colpito le “Tigri asiatiche”, la Russia e il
Brasile e i più recenti scandali e fallimenti che hanno coinvolto importanti società
statunitensi (Enron, Tyco e WorldCom sono solo gli esempi più eclatanti)
4
ed
europee (Cirio e Parmalat) hanno richiamato l’attenzione degli accademici, delle
autorità regolamentari e di vigilanza e del mondo finanziario sul problema della
protezione degli investitori e, in particolare, sul tema della corporate governance
delle imprese.
L’espressione “Corporate Governance” sostanzialmente si riferisce all’insieme dei
meccanismi e delle strutture che disciplinano le relazioni aziendali che esistono tra gli
stakeholders dell’impresa con l’obiettivo di minimizzarne i costi di agenzia.
Rispondono a questo scopo le strutture di governo societario (struttura proprietaria e
consiglio di amministrazione), i meccanismi di incentivo (remunerazioni,
concessione di azioni e di opzioni ai dirigenti, promozioni) e i sistemi di controllo
(sistemi di reporting e di controllo aziendale e sistemi di gestione interni) che
intervengono nei rapporti su cui l’impresa si basa e cercano di promuovere
comportamenti e processi decisionali coerenti con l’obiettivo ultimo di creazione di
valore. Alle strutture e ai meccanismi citati si aggiungono poi quelli che non fanno
parte dell’impresa ma che sono comunque in grado di esercitare un controllo su di
essa e sono rappresentati dal sistema normativo e regolamentare, dal mercato per il
controllo societario e dalle banche (meccanismi di corporate governance esterni).
4
“Accounting Scandals Spread Across Wall Street.” Financial Times, 26 June 2002.
10
Le articolazioni in cui un sistema di governo societario si struttura saranno, pertanto,
analizzate nelle prossime pagine. Le considerazioni svolte in questo capitolo
assumono, tuttavia, carattere generale, nel senso che non analizzano una fattispecie
specifica di impresa ma si soffermano sugli elementi che possono far parte di un
sistema di corporate governance al fine di comprenderne il funzionamento e
l’efficacia nel limitare le inefficienze derivanti dai problemi di agenzia che affliggono
l’attività economica (sia essa industriale, commerciale o finanziaria) e che si
ripercuotono, in ultima analisi, sulla creazione di valore della stessa.
La giustificazione di una tale impostazione in una tesi che ha l’obiettivo di dimostrare
i possibili legami tra corporate governance e creazione di valore nelle banche è
costituita dal fatto che la banca è anch’essa un’ impresa e, quindi, in quanto tale, è
affetta da problemi di agenzia sui quali intervengono strutture e meccanismi che, con
le dovute caratterizzazioni, rientrano nell’insieme di variabili fondamentali che sono
oggetto di studio in questa sede.
Nel capitolo, pertanto, non si procede ad una trattazione specifica del sistema di
governo societario dell’impresa bancaria. Lo scopo qui è “solo” quello di delineare il
quadro fondamentale a cui il tema della governance delle banche fa riferimento,
rinviando l’analisi dettagliata delle sue caratteristiche distintive al prossimo capitolo.
Prima di prendere in considerazioni le strutture e i meccanismi su cui si innesta il
governo societario dell’impresa appare, tuttavia, opportuno dare una giustificazione
concettuale all’esigenza di definire un sistema di corporate governance, richiamando
la letteratura esistente in materia di rapporti agenzia.
11
1.2 TEORIA DELL’AGENZIA E CORPORATE GOVERNANCE
Il dibattito sulla corporate governance inizia con la ricerca di Jensen e Meckling
(1976), incentrata sulla teoria dell’agenzia, che formalizza un’idea già espressa da
Adam Smith
5
: quando proprietà e controllo
6
non coincidono
7
, si crea un potenziale
conflitto di interessi tra i proprietari e i soggetti cui il controllo è demandato.
Una relazione di agenzia si definisce come un contratto in base al quale un soggetto
(the principal) delega un altro soggetto (the agent) nel perseguimento di determinati
obiettivi che devono essere conseguiti nell’interesse del delegante. Se la realizzazione
degli obiettivi definiti massimizza l’utilità di entrambe le parti, ci sono buone ragioni
per ritenere che l’agente agirà nell’interesse del principale (Jensen e Meckling 1976).
Se, invece, gli obiettivi contrattualmente determinati massimizzano principalmente
l’utilità del delegante, si creano i presupposti per il manifestarsi di un problema di
agenzia in termini di costi che può compromettere irrimediabilmente l’efficienza e,
quindi, l’efficacia della relazione; in particolare, questa seconda ipotesi è
caratterizzata da una maggiore probabilità di manifestazione nel momento in cui la
sola determinazione contrattuale non si rivela sufficiente a promuovere i
comportamenti desiderati.
L’applicazione alle imprese della teoria dell’agenzia conduce al conflitto classico tra
l’azionista, titolare dei diritti di proprietà, e il manager, titolare della gestione. Il
problema di indurre un agente a massimizzare l’utilità del principale e, in generale,
5
“Non possiamo aspettarci che i dirigenti di società, chiamati a gestire il denaro di altre persone, si
dedichino a tale attività con la stessa cura con cui agirebbero i soggetti titolari di una partecipazione in
una società nell’amministrazione del proprio denaro (……). Nella gestione di tali attività, pertanto,
negligenza e sprechi saranno sempre presenti.” Adam Smith, 1776.
6
Ai fini della tesi in oggetto, il termine controllo è suscettibile di assumere due principali connotazioni
semantiche: la prima interpretazione attribuisce al temine il significato di ispezione, verifica, riscontro,
monitoraggio; la seconda interpretazione (derivazione anglosassone) ci permette, invece, di utilizzare il
termine come sinonimo di guida, governo, direzione (dell’azienda).
7
Vedi: “Separation of Ownership and Control.” Eugene F. Fama and M. C. Jensen, 1983.
12
degli stakeholders dell’impresa ( creditori, clienti, dipendenti, autorità di vigilanza,
comunità locali, Stato, ecc..) invece di perseguire interessi personali, è presente in
tutte le attività economiche e pone la necessità di definire strutture e meccanismi in
grado di allineare gli obiettivi degli agenti con quelli del principale.
L’importanza di promuovere un’unica funzione obiettivo che porti a coincidere gli
interessi che confluiscono nell’impresa deriva dal fatto che, nel momento in cui le
inefficienze connesse con i problemi di agenzia si materializzano sotto forma di costi
di varia natura ( monetari, sociali, ambientali), si realizza una distruzione di valore
che, dal punto di vista dell’impresa, assume una connotazione finanziaria ma che, al
contempo, può produrre esternalità negative che per la collettività si traducono in una
diminuzione generalizzata di benessere (Jensen 2001).
In questo quadro, la corporate governance risponde all’esigenza di evitare la
distruzione di valore che scaturisce dal realizzarsi di condizioni di inefficienza
causate dai problemi di agenzia, scoraggiando possibili comportamenti opportunistici
da parte degli agenti e incentivandoli a massimizzare il valore d’ impresa.
La principale fonte di inefficienza individuata dalla letteratura specialistica è
rappresentata dai contratti che regolano sia i rapporti tra i soggetti costituenti
l’impresa sia i rapporti dell’ impresa con l’esterno e in particolare con il mercato.
1.2.1. Teoria dell’impresa ed efficienza dei contratti
La teoria dell’impresa prende avvio dal lavoro di Ronald Coase “The Nature of
Firm”
8
. Nel suo lavoro Coase sottolinea come le scienze economiche non dispongano
di una teoria positiva in grado di definire i confini dell’impresa. Egli li caratterizza
come lo spazio entro il quale l’allocazione delle risorse non segue una logica di
mercato ma procede in base ai principi di autorità e indirizzo. Per Coase l’impresa
8
In Economica 4, n. 386, 1937.
13
dovrebbe internalizzare tutti i processi per i quali l’uso del mercato (che si attua per
mezzo dei contratti e quindi dello scambio) presenta un costo superiore all’esercizio
dell’autorità di indirizzo.
Successivamente Alchian e Desmetz (1972) criticano il concetto espresso da Coase
per il quale le attività all’interno dell’impresa sono governate in base ad un principio
di autorità e mettono invece in risalto il ruolo dei contratti come veicolo per lo
scambio anche all’interno dell’impresa. In particolare, gli autori definiscono
l’impresa capitalistica come un insieme di input di produzione di proprietà di soggetti
diversi la cui organizzazione è contrattualmente determinata. La definizione
contrattuale si traduce, in pratica, nell’implementazione di processi produttivi
congiunti che coinvolgono tutti i fornitori di input di produzione e si sintetizzano
nell’ esercizio dell’ attività economica. L’esistenza di una produzione congiunta o in
team può generare un problema di asimmetria informativa in termini di non
controllabilità delle prestazione che rende necessario il monitoraggio dei partecipanti
al processo produttivo.
Jensen e Meckling (1976), riprendendo i concetti espressi da Alchian e Demsetz,
affermano che il problema di monitoraggio e quindi dei costi di agenzia esiste per
tutti i tipi di contratto, indipendentemente dal fatto che si realizzi o meno una
produzione congiunta. “L’impresa privata è semplicemente un’invenzione legale che
funge da legame tra le relazioni contrattuali che esistono tra gli individui e che è
inoltre caratterizzata dell’esistenza di diritti residuali divisibili sulle attività e sui
flussi di cassa dell’organizzazione e che, generalmente, possono essere ceduti senza il
permesso degli altri contraenti”.
La caratterizzazione dell’impresa come un “nexus of contracting relationships”
sposta l’attenzione sul tema dell’efficienza dei contratti, ovvero sulla loro capacità di
regolare il rapporto tra principale e agente e, quindi, di assicurare il perseguimento
14
degli obiettivi contrattualmente determinati senza comportare per il principale un
costo eccessivo in termini di controllo.
Dal punto di vista economico esistono due criteri per determinare l’efficienza di un
contratto. Il primo è definito come efficienza ex-ante e si configura nel momento in
cui uno statuto societario è in grado di generare il risultato congiunto migliore per
tutte le parti coinvolte nell’impresa, quali sono gli azionisti, i creditori, gli impiegati, i
clienti, e gli altri terzi che potrebbero essere toccati dalle azioni che la società
intraprende. Ciò equivale a dire che tutti i possibili scenari sono previsti in anticipo e
le decisioni, quindi, sono prese ex-ante (Zingales 1997). Il secondo criterio è il
concetto di efficienza paretiana: uno statuto societario è Pareto efficiente se non esiste
un altro statuto in grado di migliorare la condizione di un soggetto senza, al
contempo, peggiorare quella di un altro soggetto. Questo criterio può essere definito
anche come efficienza ex-post.
1.2.2. Incompletezza dei contratti: costi di transazione e asimmetria
informativa
L’evidenza ricavabile delle imprese dimostra come i criteri di efficienza definiti in
precedenza raramente sono rintracciabili nei i contratti che regolano i rapporti
principale-agente. La conseguenza è che nella realtà si stipulano contratti incompleti,
ovvero non in grado di garantire l’ efficienza in senso economico.
Secondo De Bonis (1996), l’incompletezza dei contratti deriva dalla presenza di costi
di transazione, che possono essere di tre tipi:
¾ in primo luogo, esistono costi legati alla possibilità di ipotizzare tutte le
eventualità che possono influenzare un contratto. Le imprese, e i soggetti che
le costituiscono, non sono in grado di considerare un numero elevato di stati