7
appassionano più al suo ultimo lifting che a questioni che riguardano il
nostro futuro (l’ambiente, la solidarietà verso i “flussi” di popoli che si
riversano sulle nostre coste, i diritti dei lavoratori, ecc.). Ci ha svelato,
insomma, una questione che si appresterà a divenire centrale per l’uomo:
l’attenzione morbosa per il corpo (Cfr. Fig. 10). Qui non si vuole sostenere
che il ricorso alla chirurgia estetica sia la chiave per vincere le elezioni
1
.
Questa “scorciatoia medica” rivela come invece in tutti noi si sia scatenata
una voglia irrefrenabile a volere un “determinato” tipo di corpo per poter
sopravvivere in questo mondo.
Il primo capitolo nasce dall’esigenza di rintracciare il percorso attraverso
cui il corpo è stato pensato e vissuto. Si noterà che più il corpo è stato
separato, meno è stato vissuto. Il punto di partenza di questo viaggio è il
corpo dei primitivi, immerso nello scambio simbolico: questa pratica sociale
garantiva al soggetto di vivere il proprio corpo, o meglio, di tradurre il
proprio vissuto sul proprio corpo: un soggetto, dunque, capace di tradurre la
propria esperienza sul proprio corpo. Data quest’unità
2
, si è cercato di
rintracciare, attraverso quelli che Foucault definirebbe salti d’episteme, i
momenti in cui il corpo è stato separato. Si noterà pertanto che il corpo,
data la disgiunzione pensata da Platone (e riproposta in diverse sfumature,
sia dal cristianesimo prima che da Cartesio poi, confermandone la struttura),
conoscerà un processo di distaccamento dalla vita vissuta soggettivamente
per essere relegato allo statuto d’oggetto della scienza moderna. Il corpo
frastagliato dal sapere tecnico non risponde solo all’esigenza del potere di
avere uomini disciplinati, ma di avere corpi utili (è il momento in cui, data
la rivoluzione industriale, si sviluppano le fabbriche che hanno l’esigenza di
un numero sempre più elevato di manodopera). Ma è il processo di
mercificazione che renderà il corpo vivo astratto rispetto alla sua attività: i
suoi movimenti, coordinati dalle macchine, saranno alienati ad un sistema
che «ad un alto grado di accumulazione diventa spettacolo». È nel sistema
1
Il neo-eletto Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, è colui che parla di energia
rinnovabile, sanità e istruzione pubblica, soluzione diplomatica alle ostilità internazionali,
nuovi rapporti di solidarietà trai ricchi e i poveri; ma è soprattutto il Presidente “giovane”
dalla “pelle nera”.
2
Qui non si vuole mitizzare l’epoca andata ma relativizzare il concetto tanto caro a noi
Occidentali: il valore di scambio.
8
spettacolare che verranno prodotte le immagini del corpo verso cui con-
formarsi.
La breve “genealogia della separazione” ci consente di capire il modo in
cui il corpo è stato pensato in Occidente, ora da quel pensatore, ora da quel
potere. Le speculazioni elaborate nel corso dei millenni hanno avuto risvolti
immanenti grazie all’applicazione diretta di tecniche mediche sulla carne
cruda. Immesso, a partire dal XVII secolo, nel meccanismo medicale, il
corpo verrà rivoluzionato, sia nel modo in cui noi lo possiamo vivere, sia
nel modo in cui il corpo stesso è assoggettato, sia nella nuova potenzialità
estorta. Da una parte, un sapere particolare ridisegnerà i confini della vita e
della morte e nulla sarà più come prima. Così, sempre più presente nella
nostra quotidianità, questa tecnica d’intervento immediato è capace di
naturalizzare la propria azione, rendendo possibile la sua presenza sempre
più invasiva. D’altra parte, la medicina si potrà iscrivere nel registro del
fenomeno che coinvolgerà molti altri aspetti della società occidentale: la
capacità di auto-svilupparsi.
Definite le categorie entro cui indagare il fenomeno che ci siamo
preposti, non possiamo non considerare la moda come movimento che
plasma il corpo a partire dal sistema di capitale. Nel terzo capitolo ci
preoccuperemo d’indagare il suo “modo di funzionamento”, cosicché ci
permetterà di capire come si è prodotta l’importanza del design di una
merce, momento che consentirà al feticcio stesso di tuffarsi nel corpo
modificandolo. Questo moto essenziale è la questione principale: è il vero
meccanismo drastico prodotto dal contesto contemporaneo, all’interno del
quale si colloca la chirurgia plastica: l’assenza di significati, che prima il
corpo emanava, è l’inizio dell’era di ciò che Baudrillard definisce come
«commutazione dei segni».
9
I
Il corpo separato
È al centro del mondo questo piccolo
nucleo utopico a partire dal quale sogno,
parlo, procedo, immagino, percepisco le
cose al loro posto e anche le nego
attraverso il potere infinito delle utopie
che immagino. Il mio corpo è come la
Città del Sole, non ha luogo, ma è da lui
che nascono e si irradiano tutti i luoghi
possibili, reali o utopici.
M. FOUCAULT, Utopie, eterotopie.
La parola corpo deriva dal latino corpus. I filologi lo comparano
all’armeno kerp che significa forma, immagine; deriva dalla radice indo-
germanica kar, che significa fare, comporre; pare che si colleghi al termine
greco kraino che significa creare, produrre, compiere
3
.
A prima vista, dunque, ci allontaniamo notevolmente dal nostro concetto
di corpo, ovvero la scatola che racchiude l’io, l’intelletto o l’anima, e che
oggi ci preoccupiamo di abbellire.
Attraverso il corpo facciamo esperienza nel mondo. «Non che a causa
sua io rimanga inchiodato al mio posto – perché dopotutto posso non
soltanto muovermi e agitarmi, ma anche agitarlo, muoverlo, cambiarlo di
posto – solo che, ecco, non posso cambiare luogo senza di lui, non posso
lasciarlo là dov’è e andarmene, io, altrove»
4
. Il mondo vissuto è creato a
partire dal corpo, ovvero il corpo è la misura del mondo vissuto: «è infatti
intorno a lui che le cose si dispongono, è rispetto a lui che ci sono un sopra,
un sotto, una destra, una sinistra, un avanti, un indietro, un vicino, un
lontano. Il corpo è il punto zero del mondo»
5
Senza pre-scindere dal corpo, iniziamo un viaggio che dura una vita e
incontriamo oggetti a cui diamo significati. D’altra parte, gli oggetti stessi a
3
http://www.etimo.it/?term=corpo&find=Cerca
4
M. Foucault, Utopie, eterotopie, cit., p. 31.
5
Ivi, p. 42.
10
loro volta rinviano informazioni al corpo, «sono infatti gli oggetti del
mondo a indicare al corpo le sue possibilità […], il significato delle mie
mani non è nella loro struttura scheletrica, muscolare e nervosa, me è negli
oggetti che riesco ad afferrare e in quelli che mi sfuggono»
6
.
Non bisogna dimenticare, d’altra parte, che attraverso il corpo noi
comunichiamo. Le interazioni interpersonali sono regolate dai linguaggi del
corpo che, com’è noto, vanno oltre la sfera verbale.
Essendo immerso nei processi di socializzazione, e questi essendo
dinamici, si suppone che il corpo sia esso stesso dinamico. Pertanto
leggiamo le trasformazioni del corpo come trasformazioni sociali.
Vediamo dunque com’è stato trasformato il corpo.
6
U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p.127.
11
1.
Il corpo come epicentro del mondo
Il processo simbolico è “un’esperienza
nell’immagine e dell’immagine”. Il suo
sviluppo presenta di solito una struttura
enantiodromica, [dove tutto si trasforma
nel suo opposto], perciò raffigura un
ritmo negativo e positivo, di perdita e di
guadagno, di luce e di tenebra.
C. G. JUNG, Gli archetipi dell’inconscio
collettivo.
Il corpo dei primitivi è immerso nel sistema dello scambio dei doni,
ovvero il «fenomeno sociale totale» che regola le principali istituzioni di
una data società (religiosa, giuridica, morale, economica). Lo scambio del
dono è alla base della società primitiva. È una pratica, socialmente
sanzionata, grazie alla quale si rendono possibili i rapporti sociali tra i
diversi clan, le diverse famiglie, le diverse tribù.
Se apparentemente tale pratica sembra garantire un alto grado di libertà,
in realtà ci sono aspetti dispiegati da tale comportamento che sono
rigidamente definiti. I soggetti sono innanzitutto obbligati a donare, ricevere
e ricambiare, e la rottura di questo rapporto implica un’asimmetria tra i
protagonisti dello scambio. Rottura scongiurata dalla reciprocità del dono.
Chi riceve un dono e non risponde con un contro-dono diventa schiavo del
donatore.
Obblighi comprensibili solo se si considera il rapporto che i primitivi
hanno con lo spirito. Galimberti cita un dialogo riportato dall’antropologo
francese M. Lennhardt avvenuto tra un missionario e un indigeno:
«“Insomma non è forse la nozione di spirito che abbiamo portato nel vostro
pensiero?”. E l’indigeno: “Lo spirito? No, non ci avete portato lo spirito. Noi
conoscevamo già l’esistenza dello spirito. Quello che ci avete portato è la nozione di
corpo”»
7
.
7
M. Leenhardt, Do Kamo. La persone et le mythe dans le monde mélanésien, Paris
1947; opera citata in U. Galimberti, Il corpo, cit., p.33.
12
Lo spirito e il corpo sono un’unica cosa, si con-fondono. E la nozione di
corpo qui va intesa sia come corpo di un oggetto, sia come corpo di una
persona.
Riguardo agli oggetti, questi sono caricati di una potenza magica (mana,
così definito dai Maori), che assume un ruolo particolare nello scambio dei
doni. L’oggetto donato (taonga), caricato dal mana, distrugge l’individuo
che lo riceve. Il dono è una sfida, ed è necessario, quindi, restituire il dono,
e con esso il suo mana, che ritorna così nelle mani del donatore. M. Mauss
riporta il racconto del maori Tamati Ranaipiri:
«Supponete di possedere un oggetto determinato (taonga) e di darmi questo oggetto;
voi me lo date senza un prezzo già fissato. Non intendiamo contrattare al riguardo. Ora,
io do questo oggetto a una terza persona che, dopo un certo tempo, decide di dare in
cambio qualcosa come pagamento (utu); essa mi fa dono di qualcosa (taonga). Ora,
questo taonga che essa mi dà è lo spirito (hau) del taonga che ho ricevuto da voi e che
ho dato a lei. I taonga da me ricevuti in cambio dei taonga (pervenutimi da voi), è
necessario che ve li renda. Non sarebbe giusto (tika) da parte mia conservare per me
questi taonga, siano essi graditi (rawe) o sgraditi (kino).Io sono obbligato a darveli
perché sono uno hau del taonga che voi mi avete dato. Se conservassi per me il secondo
taonga, potrebbe venirmene male, sul serio, perfino la morte. Questo è lo hau, lo hau
della proprietà personale, lo hau dei taonga»
8
.
Gli oggetti scambiati sono carichi di potenza, una potenza malefica
scongiurata dalla reciprocità dello scambio stesso.
Anche il corpo umano si nutre e si fonde con lo spirito. Non può essere
un insieme d’organi e muscoli, fatto di cellule e tessuti, come noi lo
consideriamo. Galimberti ci ricorda come il respiro, presso i primitivi, è
l’atto con quale si connette l’interno e l’esterno, lo spirito e il corpo, la
natura e la cultura
9
- per noi invece, che abbiamo un corpo ridotto ad essere
un simulacro biologico, lo stesso atto ci consente di assumere ossigeno ed
espellere anidride carbonica.
8
M. Mauss, Saggio sul dono, Giulio Einaudi editore, Torino 2002, p. 17-18.
9
Cfr. U. Galimberti, Il corpo, cit. pp. 31-40.
13
Rispetto alla dicotomia natura-cultura possiamo affermare che, così come
corpo e spirito si con-fondono, anche la natura e la cultura sono con-giunti.
Sono parte di un “unico mondo”, un’unità in cui uno non esclude l’altro:
«All’uomo primitivo non basta veder sorgere e tramontare il sole:
quell’osservazione esteriore deve costruire anche un “avvenimento psichico”, cioè il
sole nel suo peregrinare deve raffigurare il destino di un dio o di un eroe il quale, in fin
dei conti, non vive che nell’anima dell’uomo»
10
.
Interno ed esterno, spirito e corpo, natura e cultura. Significano
l’esistenza di una totalità, su cui i primitivi organizzavano un intero rapporto
sociale, e che conoscevano bene e difendevano con tenacia.
Il singolo soggetto non era certo considerato come un’unica entità
rispetto agli altri.
«Il corpo del bambino non nasce quando esce dall’utero di sua madre […],
[quest’ultima] considera il bambino nato quando l’ha donato alla comunità, e così
instaura quella prima forma di scambio simbolico che, vietando la proprietà, non solo
dei beni ma anche dei figli, garantisce la circolazione dei segni comunitari»
11
.
Mauss rintraccia la distinzione fatta dai maori tra beni maschili e
femminili – oloa e tonga – e sostiene che «il bambino, bene uterino, è il
mezzo con il quale i beni della famiglia uterina, [la famiglia naturale],
vengono scambiati con quelli della famiglia maschile, [la famiglia
adottante]»
12
. L’individuo non era socialmente riconosciuto. Erano le
diverse comunità ad impegnarsi negli scambi, e le persone materialmente
presenti erano ciò che M. Mauss definiva «persone morali», ovvero persone
che rappresentavano, nel momento dello scambio, il clan, la tribù o la
famiglia a cui appartenevano
13
; a partecipare era la collettività tutta.
Dunque, singoli corpi considerati come frammenti di un corpo comunitario,
inteso come spazio, all’interno del quale i soggetti costruiscono e ritrovano
un senso.
10
C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 19.
11
Cfr. U. Galimberti, Il corpo, cit., p. 33.
12
M.Mauss, Saggio sul dono, cit., p. 15.
13
Ivi, p. 8-9.
14
Ad essere scambiati in queste pratiche non sono talismani, prostitute,
bambini, in quanto tali. Si scambiavano essenzialmente simboli, ovvero ciò
che lo strutturalista Levì-Strauss definisce «significanti fluttuanti». Ed è il
simbolo il comune denominatore di questi scambi, non la magia. «Lo hau
non è l’espressione particolare dei popoli della Malesia, ma una «forma di
pensiero universale e permanente che segue itinerari tracciati una volta per
tutte nella struttura innata dello spirito umano»
14
. Al di là del dibattito,
quello che ci preme sottolineare è che ad essere scambiati sono oggetti che
non hanno né valore d’uso, né valore di scambio: hanno un valore di
legame
15
, valore non quantificabile né in appagamento personale e collettivo
(valore d’uso), né in termini di ricchezza (valore di scambio).
In questa produzione del valore di legame il corpo è il centro da cui
s’irradiano i simboli, ovvero l’entità che produce simboli che significano un
mondo, poiché questi simboli sono la possibilità stessa del mondo rispetto al
corpo: il significato del mondo è la possibilità del corpo; se al corpo è posto
un limite alle sue possibilità allora la parte del mondo non raggiunta dal
corpo non esiste. E gli stessi simboli seguono uno strano movimento, essi si
riversano sul corpo. Una sorta di feedback incessante tra il corpo-che-crea-
il-mondo e il mondo-creato-dal-corpo:
«Mascherarsi, truccarsi, tatuarsi non significa, come si potrebbe immaginare,
acquistare un altro corpo, un po’ più bello, più decorato, più facilmente riconoscibile;
tatuarsi, truccarsi, mascherarsi, è certamente un’altra cosa, è fare entrare il corpo in
comunicazione con poteri segreti e forze invisibili. La maschera, il segno tatuato, il
trucco, depositano sul corpo tutto un linguaggio: tutto un linguaggio enigmatico, tutto
un linguaggio cifrato, segreto, sacro, che richiama su quel corpo la stessa violenza del
dio, la potenza sorda del sacro, o la vivacità del desiderio. La maschera, il tatuaggio, il
trucco, mettono il corpo in un altro spazio, lo fanno entrare in un luogo che non ha
immediatamente luogo nel mondo e fanno di quel corpo il frammento di uno spazio
immaginario che comunicherà con l’universo delle divinità o con l’universo altrui»
16
14
M. Aime, Da Mauss al MAUSS, in M. Mauss, Saggio sul dono, cit. p. XIV
15
Ivi, p. XIII.
16
M. Foucault, Utopie eterotopie, cit., p.39, (il corsivo è mio).
15
D’altra parte, come sostiene C. G. Jung, «l’uomo primitivo è di una
soggettività impressionante»
17
. Soggettività che penetra anche nell’ombra
del soggetto, e con la quale ha un dialogo incessante:
«[il doppio] è un partner con il quale il primitivo ha una relazione personale e
concreta, relazione ambivalente, fausta o infausta secondo i casi, un certo tipo di
scambio visibile (parola, gesto e rituale) con una parte di se stesso senza che si possa
parlare di alienazione […]. [Il primitivo] può realmente avere commercio con la sua
ombra (l’ombra reale, senza metafora) come con qualcosa di originale, di vivo, per
parlarle, per proteggerla, propiziarsela, ombra tutelare o ostile – propriamente non un
riflesso dell’“originale” del corpo, ma ombra a pieno titolo, e allo stesso tempo non una
parte “alienata” del soggetto, ma una delle figure dello scambio»
18
.
I simboli hanno tuttavia una carica dirompente per il nostro modo di
comunicare: il loro significato è ambivalente, significano una cosa e il suo
contrario, il significato di una cosa è reversibile nel suo opposto, garantendo
un’unità del sapere la cui separazione viene costantemente scongiurata
19
,
poiché la dimensione simbolica è antieconomica, non si presta ad essere
valorizzata nel gioco delle equivalenze. Comunicazione, dunque, che gioca
tra il detto e il non detto, combina i significati, crea continuamente senso
all’interno di uno spazio dato (la comunità), e dispiega così un sapere
soggettivo, che s’irradia a partire dal corpo come espressione della vita
sensibile ed inaugura il linguaggio poetico.
Difficile capire per noi che comunichiamo a partire dal logos, reso
equivalente generale, misura del vissuto, capace di universalizzare la
comunicazione, tramutando il mondo soggettivo dei primitivi in un mondo
oggettivizzato.
17
C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p.20.
18
J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli Editore, Milano 2007, p.
155.
19
Per capire la caratteristica dell’ambivalenza simbolica riportiamo un concetto
d’origine cinese, lo Yin e Yang, la cui rappresentazione è data da un cerchio, all’interno del
quale si abbracciano il bianco e il nero, simboleggiando le dicotomie della vita. L’armonia
degli opposti è confermata dalla presenza di un punto bianco nella parte nera e di un punto
nero nella parte bianca. Così non esiste materia senza spirito, vita senza morte, sole senza
luna, piacere senza sofferenza.