INTRODUZIONE
Il  termine Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) comprende un insieme 
complesso ed eterogeneo di condotte alimentari patologiche, tra cui in principal modo 
l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e la cosiddetta sindrome del Binge Eating 
Desorder (BED), la quale ha ricevuto una precisazione diagnostica solo in questi ultimi 
decenni. 
Pur assumendo connotazioni specifiche rispetto alla sintomatologia e alla 
modalità di espressione del disagio, i soggetti  affetti  da DCA sono accomunati 
dall’incapacità di rapportarsi in maniera adeguata al cibo, dal momento che il canale 
alimentare è patologicamente investito al fine di esprimere la propria sofferenza interiore.
Attualmente la letteratura scientifica privilegia un’interpretazione multidisciplinare 
dei DCA, ossia in grado di considerare la pluralità e la diversità di fattori che starebbero 
alla base dell’assunzione della condotta sintomatica. Sembrerebbe, infatti, che i  soggetti 
che sviluppano una patologia del comportamento alimentare siano accomunati 
dall’esposizione a specifici fattori di rischio, riferibili ad aree differenti, che 
aumenterebbero nel loro complesso la vulnerabilità del soggetto ad una condotta 
disturbata: l’appartenenza al genere femminile e alla fascia d’età adolescenziale, 
l’esposizione ai modelli e allo stile di vita caratteristici delle moderne società occidentali, 
la convivenza con sistemi familiari strutturati sulla base di condotte relazionali 
disfunzionali  che ostacolano l’autonomizzazione del soggetto e la costruzione di 
un’identità matura e responsabile, lo sviluppo di una personalità caratterizzata da 
disistima, perfezionismo, tendenza all’autocritica e alla conformità. Per cui, alla base delle 
condotte alimentari patologiche, vi  sarebbe un complesso insieme di componenti  di 
origine storica, sociale, culturale, psicologica e relazionale, in interazione reciproca tra 
loro. La giustapposizione di questi fattori  di rischio aumenterebbe nel soggetto la 
suscettibilità a sviluppare un comportamento alimentare patologico o comunque a 
strumentalizzare il cibo al fine di veicolare il disagio e la sofferenza.
In particolare, la crescente diffusione dei DCA nella maggior parte dei  paesi 
occidentali e la registrazione di sempre nuovi casi  clinici anche in quelle nazioni che 
stanno progressivamente interiorizzando il modello di vita occidentale hanno indotto gli 
esperti ad interrogarsi sul ruolo della cultura nello sviluppo delle patologie alimentari.
Le indagini epidemiologiche hanno infatti registrato tassi di incidenza 
preoccupanti, al  punto che i  DCA sono stati definiti un’epidemia sociale. Gli studi 
scientifici  più recenti  pongono sempre più frequentemente l’attenzione non solo 
sull’aumento dei casi  effettivamente diagnosticati, ma anche sulla diffusione dei cosiddetti 
comportamenti alimentari a rischio all’interno della popolazione giovanile, i  quali 
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potrebbero predisporre il soggetto ad una maggiore vulnerabilità nei confronti di tali 
patologie: per esempio, la preoccupazione eccessiva per l’immagine corporea, la scelta 
della magrezza come modello estetico femminile, l’assenza di una regolamentazione 
alimentare. D’altra parte, la stessa compresenza all’interno delle moderne società 
industrializzate di comportamenti alimentari disturbati quali l’anoressia e l’obesità 
testimonia l’estrema difficoltà nel regolamentare in maniera sana ed equilibrata il rapporto 
tra l’individuo e il cibo.
Obiettivo del presente lavoro è un’analisi delle principali componenti di origine 
storica, sociale e culturale che caratterizzano le moderne società industrializzate e che 
appaiono intrinsecamente correlate alla diffusione di condotte alimentari patologiche.
Il  primo capitolo provvede inizialmente a considerare il processo di  costruzione 
sociale dell’immagine corporea. Il  corpo, infatti, è inteso come rappresentazione sociale 
complessa che incarna ed esprime la molteplicità dei significati, credenze, contenuti e 
contraddizioni di una cultura. Attraverso la definizione di una determinata 
rappresentazione corporea, la collettività esprime i  modelli  socialmente dominanti 
all’interno del  proprio contesto di vita e fornisce al  singolo individuo i  parametri  di 
riferimento normativo attraverso cui pensare, elaborare e valutare il proprio corpo.
In particolare, si presta un’attenzione più approfondita a due modelli concettuali 
che appaiono rilevanti per l’analisi  dei DCA: in primo luogo, il dualismo cartesiano mente-
corpo che ha indotto il pensiero occidentale a ritenere l’esperienza corporea come forma 
di  restrizione, limitazione della spiritualità, fino all’identificazione del corpo con la sede del 
peccato, prodotta dal cristianesimo. In secondo luogo, il dualismo maschile-femminile, il 
quale ha condotto ad un’opposizione gerarchica tra l’esperienza maschile – depositaria 
dello spirito attivo, dell’energia creativa e della razionalità – e l’esperienza femminile 
identificata con la passività e l’istintualità del corpo. Tale organizzazione concettuale 
starebbe alla base dell’assunzione del corpo quale metro di valutazione fondamentale del 
valore di una donna.
Il  secondo capitolo presenta un percorso sintetico all’interno dell’immaginario 
simbolico e culturale umano al fine di individuare i  diversi  modelli estetici  con cui  la 
cultura ha plasmato il corpo femminile nel corso della storia. Il susseguirsi e il 
consolidamento dei modelli estetici  femminili consente di ricostruire il  processo che ha 
condotto alla definizione della magrezza come modello estetico indiscusso nel  XX secolo. 
A partire dal “bel fanciullo” dell’epoca classica, il percorso d’indagine presentato consente 
di  incontrare progressivamente la cosiddetta ninfa medievale, la bellezza armonica 
dell’età moderna (rappresentazione della perfezione divina), i  corpi floridi e formosi del 
Settecento, la bellezza passionale e sofferta dell’epoca romantica, fino alle prime 
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definizioni del  corpo slanciato e mascolino delle modelle del  primo Novecento. Il corpo 
magro, quale modello di valutazione fondamentale della donna contemporanea, sembra 
svolgere un ruolo decisivo nell’insorgenza e nella diffusione dei DCA.
Il  terzo capitolo propone un percorso che consente di delineare il processo di 
definizione diagnostica dei DCA nel corso della storia. Dapprima l’attenzione è centrata 
sull’individuazione di comportamenti alimentari patologici  nel passato, a partire dall’epoca 
classica, tra i quali  occupa un ruolo significativo la pratica del digiuno. L’indagine si 
sofferma in particolare sul  fenomeno delle sante anoressiche medievali, al  fine di 
tracciare eventuali aspetti  di continuità con le moderne patologie alimentari. Il percorso 
così delineato conduce alle prime sistematizzazioni mediche dei DCA elaborate a partire 
dal XVIII secolo. In conclusione, una breve parte è dedicata alla descrizione di  alcuni 
esempi illustri di disturbi o irregolarità alimentari, come la principessa Sissi, la filosofa 
Weil e lo scrittore Kafka.
Con il quarto capitolo si entra più direttamente in merito al discorso dei DCA nelle 
società contemporanee, proponendo un modello di interpretazione socioculturale. 
Obiettivo principale del capitolo è un’analisi delle principali componenti  socioculturali delle 
società moderne che appaiono intrinsecamente correlate alla diffusione dei  DCA, al 
punto da essere definiti disturbi etnici, ossia espressione caratteristica delle 
contraddizioni e dei conflitti  di un dato contesto culturale, vale a dire delle società 
occidentali. L’indagine si avvale di contributi scientifici  e sperimentali recenti  al fine di 
cogliere la configurazione più attuale che tali  patologie hanno assunto nelle culture 
occidentali, ma anche nei paesi non occidentali.
Una prima parte del capitolo fornisce una descrizione sintomatologia ed 
epidemiologica dei  principali  disturbi alimentari – ossia anoressia, bulimia e sindrome 
BED – prestando particolare attenzione ad alcune variabili  statisticamente significative, 
tra cui l’età d’insorgenza del disturbo e il genere di appartenenza.
Una seconda parte del capitolo è dedicata ad analizzare in maniera più 
approfondita il concetto di disturbo etnico applicato ai DCA; a questo proposito si  dedica 
ampio spazio alla cosiddetta crisi dell’identità femminile, la quale sembra ricoprire un 
ruolo decisivo nella vulnerabilità delle donne contemporanee alle problematiche 
alimentari. La giustapposizione di aspettative molteplici e contraddittorie relative al  ruolo 
femminile renderebbe particolarmente complesso il  processo di costruzione dell’identità 
da parte delle adolescenti di oggi.
Infine, nella parte conclusiva del capitolo, sono esposte alcune considerazioni sul 
ruolo che possono assumere i messaggi  pubblicitari nell’incoraggiare l’assunzione e il 
mantenimento delle patologie alimentari. In particolare, si riflette su un preoccupante 
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fenomeno di recente e rapida diffusione: i  siti  Internet pro-Anoressia. La diffusione di tali 
prodotti multimediali promette di modificare il significato assunto da tali patologie nelle 
società attuali. I DCA, e in particolare l’anoressia nervosa, infatti, stanno gradualmente 
diventando un pericoloso fenomeno di massa, capace di  muoversi in modo incontrollato 
lungo le reti  invisibili di  Internet, rappresentazione di una specifica subcultura giovanile, in 
grado di scatenare accanite gare competitive tra le giovani adolescenti di oggi rispetto al 
raggiungimento di un idealizzato corpo magro.
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CAPITOLO PRIMO
LA RAPPRESENTAZIONE SOCIALE DEL 
CORPO
Il corpo non è solo un insieme di organi e funzioni, ma si configura 
come una rappresentazione mentale complessa che, da un lato, serve da 
costante riferimento nelle relazioni con la realtà circostante, dall’altro 
costituisce una componente fondamentale della personalità che viene 
definita identità corporea: essa rappresenta l’insieme di caratteristiche, 
conoscenze e qualità che l’individuo attribuisce al proprio corpo e che si 
struttura a partire dai primi anni dell’infanzia, senza giungere mai ad una 
configurazione definitiva perché è sottoposta a continue rielaborazioni da 
parte dell’individuo (Palmonari, 1993). Inoltre, il corpo svolge una funzione 
fondamentale nel corso dell'intera esistenza di un individuo, non solo 
perché attraversa e si fa portatore di importanti modificazioni che hanno 
un’evidente ripercussione sulla dimensione psicologica dell’individuo, ma 
soprattutto perché si configura come un importante strumento di 
comunicazione ed interazione con la realtà esterna. 
Tuttavia, il corpo non è mai una rappresentazione esclusivamente 
individuale, ma è sempre e sostanzialmente un tratto collettivo, un corpo 
sociale, ossia strumento di comunicazione con cui una cultura mostra le 
proprie credenze, speranze e contraddizioni (Pontremoli, 2004).
La peculiarità del corpo consiste quindi nel configurarsi 
contemporaneamente come oggetto pubblico e al tempo stesso privato, le 
cui rappresentazioni si articolano nelle dimensioni dello psicologico, del 
sociale e del culturale (Jodelet, 1989). Da un lato, l’individuo ha una 
percezione soggettiva del proprio corpo, che prende il nome di vissuto 
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corporeo, un termine che include tutte le informazioni relative 
all’esperienza diretta del proprio corpo, attraverso i messaggi sensoriali ed 
organici, la propria storia somatica, le esperienze quotidiane che il 
soggetto ha con se stesso, con le altre persone e con il mondo in 
generale. Questa forma di conoscenza è costituita sia da esperienze reali 
che immaginarie (desideri, fantasie) che l’individuo elabora ed integra fin 
dall’infanzia all’interno dell’identità corporea. Dall’altro lato, il corpo è 
anche corpo sociale, in quanto culturalmente definito e storicamente 
situato. Esso è in tutte le sue manifestazioni (scelte alimentari, stili di 
abbigliamento,  regolamentazione della sessualità, rituali quotidiani) un 
tramite con cui la cultura esprime i suoi contenuti fondamentali (Bordo, 
1997). 
A questo proposito, secondo alcuni autori (cfr. per es. Pozzi, 1994) 
non esiste né può essere pensato un corpo “ingenuo” che non sia già 
stato plasmato dalla storia e dalla società, prima ancora della nascita: il 
neonato umano è il mammifero che rimane più a lungo sprovveduto nei 
confronti delle richieste di adattamento del suo ambiente ed esposto al 
pericolo di morire. Il sociale investe di organizzazione la nascita 
imponendo l’ordine convenzionale del proprio sistema culturale. Inoltre, 
quanto più il soggetto appartiene alla rete dei vincoli sociali e tanto più ne 
assume e interiorizza i suoi contenuti, i bisogni, i desideri senza escludere 
le contraddizioni e i conflitti. In virtù dell’appartenenza e della 
partecipazione ad una data cultura, l’individuo apprende e internalizza fin 
dalla nascita i modelli socialmente dominanti all’interno del proprio 
contesto di vita, i quali rappresentano il metro di valutazione fondamentale 
con cui il soggetto analizza e valuta la propria corporeità. La cultura 
fornisce, quindi, gli strumenti concettuali e i quadri di riferimento normativo 
con cui l’individuo pensa, elabora e rappresenta il proprio corpo nella vita 
quotidiana. La distanza tra la propria esperienza soggettiva di corporeità e 
i modelli socialmente determinati che la cultura impone agli individui può 
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determinare un senso di inadeguatezza ed estraneità, in quanto 
esperienza trasgressiva rispetto alle richieste del proprio sistema culturale 
di appartenenza: il corpo diventa, allora, il luogo dove si vivono e si 
esprimono i conflitti tra l’individuo e la società. Questo fenomeno si 
osserva frequentemente nel momento in cui si prende in considerazione il 
dilagante senso di scontentezza per la propria immagine corporea 
espresso dalle attuali giovani generazioni. La maturazione fisica infatti 
acquista un significato diverso a seconda dell’ambiente culturale in cui si 
cresce e dalle caratteristiche fisiche che l’ambiente adotta come modelli 
ideali di riferimento. Ogni cultura possiede le proprie concezioni relative 
alle caratteristiche fisiche desiderabili; ad esempio nelle società 
occidentali, per quanto riguarda i ragazzi si attribuisce valore soprattutto 
all’altezza e allo sviluppo muscolare, mentre per le ragazze sono 
considerati desiderabili la magrezza e la grandezza del seno. Questi criteri 
di riferimento oggi svolgono un ruolo decisivo nell’autovalutazione del 
giovane e nella formazione dell’autostima; basti pensare alla tendenza dei 
teenagers a seguire le norme idealizzate veicolate da cinema, televisione 
e nuove forme di comunicazione multimediale e a sentirsi inadeguati se 
non corrispondono fisicamente a questi stereotipi culturali.
L’interesse nei confronti  del corpo come argomento di indagine privilegiato per lo 
studio delle rappresentazioni sociali venne introdotto da Marcel Mauss (1950), il  quale 
rilevò l’importanza dell’apprendimento sociale nelle condotte relative al corpo.
Per rappresentazioni sociali, si intendono determinate forme di  conoscenza che 
gli  individui, definiti  per la loro appartenenza ad un gruppo sociale, elaborano 
cognitivamente sotto l’influenza di specifici quadri sociali di pensiero e di  norme di 
comportamento collettive, integrando i  dati  della propria esperienza personale (Jodelet, 
1989). Le rappresentazioni  sociali  sono apprese come modelli  latenti  che rinviano a 
sistemi comuni di pensiero e di valori e che assicurano la coerenza degli atteggiamenti  e 
dei comportamenti all’interno di  un determinato contesto socioculturale. Il corpo appare 
quindi un soggetto privilegiato nell’analisi  delle rappresentazioni  sociali, in quanto 
consente di  cogliere la dimensione sociale a partire dall’individuale: l’esperienza 
soggettiva della propria corporeità espressa da un individuo rimanda alle categorie 
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mentali, ai  modelli  cognitivi e normativi, alla conoscenza e agli  usi  del corpo caratteristici 
di  una data cultura. Il mondo esterno è il punto di riferimento da cui  il  corpo viene posto 
come strumento per agire, instaurare relazioni, affermare il proprio ruolo. 
In ogni  cultura è, infatti, possibile individuare un processo di costruzione sociale 
del corpo (Pozzi, 1994). Per costruzione sociale si intende l’insieme dei processi, metodi, 
strutture, contenuti impliciti ed espliciti attraverso cui una formazione sociale agisce in 
modo organizzato e costante sulla morfologia, sulla fisiologia e sui comportamenti relativi 
al  corpo o alle sue parti, in particolare in riferimento a funzioni  significative all’interno di 
un determinato sistema socioculturale. La costruzione sociale della morfologia riguarda il 
modellamento sociale delle caratteristiche stabili, osservabili  e misurabili  del corpo o di 
alcune sue parti; rientrano in questo ambito tutte quelle definizioni del corpo umano in 
relazione al genere, allo status sociale, alla condizione economica o professionale e ad 
altre variabili sociologicamente rilevanti. La costruzione sociale della fisiologia si riferisce 
al  modellamento sociale del  funzionamento interno dei corpi, come l’alimentazione, la 
respirazione, l’accoppiamento, i  processi cognitivi, dal momento che le culture umane 
producono modelli differenti e specifici rispetto ai modi  e ai tempi  dei  bisogni e delle 
funzioni cosiddette primarie. Infine, il  modellamento sociale del comportamento riguarda 
la gestualità, gli atteggiamenti, le posture, le esibizioni  del corpo, così come una data 
cultura prescrive in maniera sociologicamente rilevante.
In sintesi, le rappresentazione sociali sono costruzioni condivise 
all’interno di una organizzazione sociale, relativamente stabili nel tempo e 
nello spazio e protette da forme di controllo sociale. Esse si esprimono 
attraverso immagini mentali dello schema corporeo proprio e altrui che 
orientano la valutazione della bellezza, della normalità e del valore del 
corpo da parte dell’individuo. Le immagini mentali sono prevalentemente 
implicite e latenti e agiscono aprioristicamente nell’individuo e nella 
formazione sociale come costrutti ovvi e scontati. 
Occorre ricordare, inoltre, che l’immagine del corpo che una cultura 
esprime non può essere concepita come una costante fondamentalmente 
stabile nella storia del pensiero umano: essa si configura 
fondamentalmente come un prodotto della cultura soggetto a continue 
manipolazioni e ridefinizioni, in quanto incarna ed esprime la molteplicità 
di mutamenti culturali e sociali che hanno caratterizzato il corso del tempo 
(Bordo, 1997). Il corpo si configura, quindi, come un sistema di segni e 
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indicatori sociologici potenziali che consentono di decodificare dinamiche, 
strutture, eventi, trasformazioni e conflitti sociali.
A partire da queste considerazioni, è possibile definire il corpo 
come “fatto sociale totale”, secondo l’interpretazione data da Lévi-Strauss 
a questo termine, ossia come un’unica totalità costituita da tre dimensioni 
fondamentali: la dimensione sociologica, la dimensione storica e quella 
fisio-psicologica (Pozzi, 1994). Qualsiasi lettura del corpo parziale o 
monodimensionale tradisce la sua  specificità  e ricchezza costituiva: non 
è possibile concepire il corpo esclusivamente come organismo, o come 
rappresentazione psichica o ancora come attore sociale, in quanto ogni 
singola prospettiva è riduttiva, incompleta e inadeguata a comprendere 
adeguatamente la dimensione corporea. 
Si provvede ora a riportare un’analisi di alcune importanti 
rappresentazioni corporee all’interno dell’immaginario simbolico e culturale 
del pensiero umano che possono risultare significative per la 
comprensione dei disturbi alimentari nelle società contemporanee. Si 
presta particolare attenzione all’esperienza corporea femminile, in quanto 
prioritariamente interessata alle problematiche del peso e 
dell’alimentazione.
.1 IL DUALISMO MENTE – CORPO
Nonostante l’immagine del corpo abbia subito diversi mutamenti nel 
corso della storia, vi è un elemento che, fin dal momento della sua 
produzione nella filosofia classica, si è mantenuto sufficientemente 
costante nel corso del tempo, che troverà una sistematizzazione 
scientifica con la filosofia di Cartesio: la concezione dualistica 
dell’esistenza umana che comporta una netta contrapposizione della sfera 
materiale–corporea a quella mentale–spirituale. Questa concezione ha 
portato a rappresentare il corpo come qualcosa di separato dal vero sé 
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