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Introduzione
Il tema che affronto nella mia tesi è la Danzamovimentoterapia, intensa non tanto
come mera metodologia di analisi e ricerca, bensì come strumento attraverso il
quale la personalità del singolo può “venire allo scoperto”. Attraverso letture,
ricerche e confronti di autori e teorie differenti cerco di sostenere, motivandola,
la necessità di un possibile inserimento della metodologia all‟interno degli Istituti
adibiti all‟insegnamento .
Ho provato sulla mia pelle, durante il mio percorso di studi, il disagio di un
sistema scolastico a mio avviso troppe volte rigido e asettico, preoccupato
dell‟immagine del registro o dell‟avanzamento del programma curriculare; un
sistema scolastico in cui pochi sono, secondo me, i professori che provano a
parlare ai ragazzi facendo anche parlare loro, e in cui i ragazzi vivono, a volte
manifestandolo a volte no, il disagio di doversi omologare al primo della classe
per ottenere buoni risultati. Il problema è, però, che nella maggior parte dei casi il
primo della classe è un ragazzo che spende il suo tempo a leggere e rileggere
centinaia di pagine su un libro, preoccupandosi poco dei propri bisogni, delle
proprie necessità quotidiane, dei propri sogni e dei propri istinti. E anche ai
professori, a mio avviso, sempre meno interessa questa dimensione della persona;
ai professori sembra interessare, oggi, la verifica degli studenti attraverso
l‟interrogazione, il voto sul registro che testimonia il loro lavoro e un andamento
costante e regolare nelle spiegazioni. Ma mi domando: dove si relega a questo
punto la sfera dell‟individualità? Come può un ragazzo trovare il modo e il
momento per poter esprimere anche la sua personalità ? Certo i ragazzi devono
studiare ed imparare per costruirsi un solido bagaglio culturale con cui partire per
7
“il viaggio della vita”, ma devono anche avere la possibilità di esprimersi
liberamente e di esprimere gli aspetti e le emozioni più profonde del proprio Io.
E a rendere questo disagio ancora più forte è, secondo me , anche la società in cui
viviamo. Viviamo in una società frenetica, veloce, fatta di modelli da seguire e
prodotti da acquistare; fatta di milioni di informazioni che ogni istante
pervengono alla nostra percezione senza che neppure ce ne rendiamo conto; una
società in cui tanti sono preoccupati di raggiungere il proprio sogno, ma non
sanno più riconoscerlo perché non riescono a guardarsi realmente “dentro”.
Viviamo oggi in una società definita del post-moderno, ossia una società che
supera la modernità e che ne rappresenta lo stadio successivo. Una società
caratterizzata da problematiche e punti di forza che sempre più l‟uomo, ora preso
singolarmente, ora preso come membro di una collettività , deve saper affrontare e
fronteggiare per raggiungere e mantenere il proprio equilibrio.
Una post-modernità che Jean Francois Lyotard così definisce :
“Il termine post-modernità vuole indicare una lontananza
e differenza relativa, ma inconfutabile, della condizione
culturale attuale rispetto alle caratteristiche di quella che
era stata la cultura “moderna”; quella cultura che, nata con
il rinascimento quattro e cinquecentesco, rafforzata dal
passaggio attraverso il “contestativo” pensiero illuminista
del Settecento, giunge alla rivoluzione industriale
dell’Ottocento per approdare, infine, al razionalismo critico,
alla scienza e alla tecnologia del Novecento”
1
.
E‟ proprio questo passaggio, a mio avviso, che determina quell‟insieme di
contraddizioni e tensioni, di cui sopra parlavamo, a cui l‟uomo deve
necessariamente far fronte per sopravvivere: il divario tra paesi ricchi e poveri,
1
J. F. Lyotard, La condizione postmoderna, 1979.
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la contrapposizione religiosa e culturale tra i vari pensieri integralisti, la crisi dei
valori nel comportamento sociale dell‟Occidente, lo scontro tra tendenze
globalizzanti, tensioni patriottiche e ricerca di un‟identità culturale. L‟autorità
della scienza, l‟invasione sempre più violenta delle nuove tecnologie, l‟impatto
dell‟innovazione sulla costruzione delle singole identità e la perdita dei confini
tra organico e tecnologico; la scissione sempre più profonda tra livello delle
ricerche scientifiche e utilizzazione possibile di tali risultati per la società nel suo
complesso, l‟assenza di una critica razionale degli eventi, la tendenza ad
uniformarsi agli altri, la perdita d‟identità individuale e culturale. Non che
intendiamo affermare che la post-modernità sia solo un pozzo di aspetti negativi
dalla quale dover venir fuori (basti pensare all‟accresciuta disponibilità delle
informazioni, alla maggiore tolleranza verso la diversità etnica e culturale e le
nuove possibilità di scambio culturale e comunicazione tra gli individui); ma è
innegabile che tali aspetti siano il substrato di una società che troppo spesso
viene presentata solo come “perfetta ”. Ma l‟aspetto che più mi interessa ai fini
della tesi che intendo sostenere è proprio quello riguardante la perdita
dell‟identità individuale e culturale a cui l‟uomo attuale, bombardato da milioni
di informazioni veloci e intrecciate, è continuamente sottoposto nel suo vivere
quotidiano. L‟essere umano oggi tende, infatti, a scontrarsi con un forte disagio
sociale derivante dal suo bisogno innato di farsi ascoltare e dall‟assenza di chi è
disposto a farlo. Questo potrebbe essere, tra l‟altro, una diretta conseguenza della
crescita del numero di malinconici, depressi, frustrati e personalità psicopatiche
presenti nella società attuale. E‟ importante, pertanto, che l‟uomo di oggi
recuperi la sua essenza di “presenza attiva“ nel mondo; recuperi la sua
identificazione e diversificazione nel continuo rapporto con l‟ambiente. Egli
9
deve riuscire a presentare ed imporre se stesso e deve riconoscere e far
riconoscere il proprio Io soggettivo; e per farlo ha bisogno di guardare al proprio
corpo, essenza primordiale e necessaria del vivere. E‟ col corpo che l‟uomo
riconosce se stesso e gli altri, si rapporta con l‟ambiente in cui su muove, e
“vive”. E‟ col corpo che l‟uomo acquisisce il senso d‟identità e la
consapevolezza dell‟essere al mondo .
”La persona ha corpo e il corpo è persona”
2
; così è affermato in una locuzione
latina della Magna Charta del 1225.
Ma il corpo di cui oggi molto si parla è un corpo a cui non è consentito
parlare; un corpo che è visto come mera forma biologica, spiegata e
interpretata dalla ragione e dalla scienza. Per andare oltre tale concezione, si
dovrebbe, dunque, abbandonare la nota divisione tra parola e movimento,
percezione e azione, ragione ed emozione , corpo e mente (tipica del pensiero
Occidentale) per consentire l‟ingresso in un ambito di discorso in cui il corpo,
attraverso il recupero della propria sensibilità, possa ritornare a “parlare”.
L‟essere umano affida al corpo, infatti, la narrazione di sé e della sua
relazione con l‟altro; così è stato fin dalle epoche primitive e così continuerà
ad essere. Così Maria D‟Ambrosio parla del corpo in uno dei suoi testi:
”Corpo come meravigliosa macchina aperta allo spettacolo di sé e
dell’altro”
3
.
Ma quale potrebbe essere, a questo punto, lo strumento da utilizzare? Cosa
questo corpo potrebbe utilizzare? Sicuramente molti sono gli strumenti e i
meccanismi, ma uno di questi, secondo me, potrebbe essere la danza, arte
originaria dell‟umanità in quanto luogo simbolico di presentazione del proprio io!
2
Locuzione latina della Magna Charta, 1225.
3
M. D‟Ambrosio, Media Corpo,Saperi ,Franco Angeli, 2006.
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Il luogo privilegiato della traduzione dei simboli e della distribuzione
dell‟eccedenza semantica è sempre stato, infatti, fin dalle epoche primitive, la
danza, in cui il corpo incarna le produzioni del senso simbolico. Liberandosi nella
gestualità non intenzionata, il danzatore de-scrive un mondo che è al di là di tutti i
codici, perché nella danza l‟unico segno visibile è quello in cui il corpo iscrive se
stesso. Bernhard Wosien, coreografo e danzatore tedesco, nel corso dei suoi studi
considerò la danza quale più antica espressione artistica dell‟uomo, una via
esoterica:
”Nella danza come nella musica l’essere umano può
esprimere tutti gli apici e gli abissi delle sue
sensazioni…nella danza si possono creare tutte le cose,
incontrare tutte le anime e si può essere se stessi”
4
.
Ed ancora, in uno dei suoi capolavori, scrive a proposito della danza:
“Il lavoro del danzatore si svolge sul suo personale
strumento, sul suo corpo (inteso come essere)…Nel gioco di
leggi rigorose dal quale crescono magiche forze,
nell’espressione di sentimenti senza costrizioni, oscillando
tra estasi, movimento e quiete, tra visione e meditazione,
l’essere umano che danza può liberamente percepire l’alito
del respiro cosmico. Così dunque la danza è vita potenziata
per eccellenza…Un’epoca, che è sempre più attraversata dal
pulsare del ritmo, aspira alla radice, all’origine oscura e
generatrice. Questa inclinazione all’ebbrezza della vita
vorticosa, nella quale è insita la volontà di distruggere ogni
residuo di sopravvivenza, preme anche per arrivare a
conoscenze che soltanto tali scosse fino alle fondamenta
possono rivelare. All’uomo di oggi si è reso accessibile il
senso di un’unità superiore, soprattutto della universale
riunione degli opposti. Tutto ciò che è scisso, tutto ciò che ha
perduto un senso, anela profondamente all’unità. Mai
l’aspirazione al superamento degli opposti è stata così
grande come ai nostri giorni. Inquietudine, frenesia, e ansia
da un lato corrispondono ad un autentico e profondo
4
B. Wosien, Der weg des tanzers, pubblicato postumo nel 1994, da Reichel-Verlag.
11
desiderio di pace dall’altro, che lo spirito del dio della luce,
esorcizzatore di mostri furenti, promette col suo sguardo
proiettato lontano”
5
.
La danza può rappresentare, insomma, la necessità dei corpi di agire e di andare
oltre l‟azione stessa, per spingersi e per indagare l‟urgenza tutta moderna di
esistere, manifestarsi, emergere e allo stesso tempo sentirsi legato a qualcuno o
qualcosa .
La tesi che intendo sostenere è che nell‟attuale società, così come nelle
epoche primitive, potrebbe essere sfruttata la danza come meccanismo
consapevole o meno di sviluppo della personalità e quindi di formazione
dell‟identità. A partire dalla consapevolezza del proprio corpo, la danza
potrebbe risultare un utile strumento per aiutare l‟essere umano, adolescente o
adulto che sia, ad emergere dallo stato di confusione e di disagio in cui spesso si
trova. E‟ per questo che considero efficace, se non addirittura necessario,
introdurre, all‟interno di luoghi adibiti alla crescita ed alla formazione come le
scuole, la danza attraverso la pratica ed il metodo della danzamovimentoterapia.
E ad oggi giorno, alla luce degli ultimi avvenimenti cui stiamo assistendo, tale
pensiero mi sembra ancora più attuale (ma di questo preferisco parlare dopo).
A questo punto, prima di dare il via al mio discorso e prima di “prendervi per
mano” ed accompagnarvi, attraverso suggestive riflessioni, all‟obiettivo finale
della mia tesi, spiego di seguito come ho strutturato il lavoro e a chi ho fatto
riferimento a sostegno di quanto scrivo.
Nella prima parte, attraverso lo studio e la ricerca del pensiero di Umberto
Galimberti e attraverso un breve percorso nella storia, ho evidenziato come, fin
5
B. Wosien, Der weg des tanzers, pubblicato postumo nel 1994, da Reichel-Verlag.
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dai primordi, il corpo ha rappresentato insieme all‟anima, una parte
imprescindibile e immancabile dell‟essere uomo. E nella danza, il corpo trova il
luogo in cui si raccoglie il senso della corporeità.
Nella seconda parte, citando e studiando autori quali Mary Starks
Whitehouse, Janet Adler, Joan Chodorow indirizzo il mio discorso verso la
danzamovimentoterapia, cercando di spiegare, attraverso un linguaggio
semplice, cos‟è, da dove nasce, a cosa mira e quali sono le differenti teorie ad
essa sottese.
Giunta a questo punto, per far comprendere anche in maniera
pratica quanto detto, mi limito, nella terza ed ultima parte del mio discorso, a
riportare degli esempi di lezioni o laboratori di danzamovimentoterapia.
Prendiamoci, dunque, per mano e iniziamo questo cammino”!
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1. Era in principio: il corpo
Noi, la nostra persona, ciò che siamo, tutto è racchiuso in un corpo; un corpo che
tanto può essere considerato un mero contenitore del nostro essere, tanto può,
invece, essere considerato una parte senza la quale lo stesso essere non potrebbe
esistere. Spiego cosa intendo affermare: molti sostengono che il corpo sia
semplicemente l‟involucro della propria anima; l‟ unico reale elemento di
identificazione dell‟esistenza, per cui io esisto in quanto ho un‟anima. Altri,
invece, hanno sostenuto nel corso degli anni la tesi opposta, per cui un‟anima
senza un corpo non potrebbe esistere e l‟anima, da sola, non è l‟unico elemento per
l‟esistenza. E‟ a questa seconda tesi che mi appoggio per evidenziare come,
attraverso il proprio corpo, sarebbe possibile il recupero dell‟intera identità, ossia
di una dimensione globale dell‟essere umano in cui corpo e mente procedono di
pari passo e rappresentano due entità indivisibili.
Umberto Galimberti sostiene proprio la necessità di eliminare tale dualismo,
tanto è vero che, in uno dei suoi saggi, afferma che già nelle società arcaiche il
corpo era centro di irradiazione simbolica. Era luogo da cui tutto poteva prendere
vita e forma. E allo stesso autore, pare invece, che il corpo sia stato ridotto, oggi,
a pura equivalenza per cui A sarebbe esclusivamente A. Ossia, ogni cosa non
potrebbe rappresentare altro da quello che apparentemente è!
Così parla:
“Se indaghiamo l’universo simbolico delle società primitive
non tardiamo a renderci conto che per loro il corpo non è
quell’entità anatomica che noi conosciamo come qualcosa
di isolabile dalle altre entità che compongono il mondo
oggettivo e che identifichiamo come sede della singolarità di
ogni individuo: per loro il corpo è il centro di
quell’irradiazione simbolica, per cui il mondo naturale e
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sociale si modella sulle possibilità del corpo, e il corpo si
orienta nel mondo tramite quella rete di simboli con cui ha
distribuito lo spazio, il tempo e l’ordine del senso. Mai
quindi il corpo nella sua isolata singolarità, ma sempre un
corpo comunitario, per non dire cosmico, dove avviene la
circolazione dei simboli e dove ogni singolo trova, proprio
in questa circolazione, non tanto la sua identità, quanto il
suo luogo”
6
.
Anche per i primitivi il corpo non doveva essere diviso tra natura e cultura, anzi,
natura e cultura erano i due nomi che essi impiegavano per designare
l‟ambivalenza con cui il corpo si esprimeva nelle società arcaiche. Il corpo non
era, dunque, sede della singolarità di ogni individuo, ma centro di irradiazione
simbolica, per cui l‟intero mondo, fatto di naturale e sociale, si modellava sulle
possibilità che il corpo offriva tramite la rete di simboli che ordina e divide lo
spazio, il tempo e l‟ordine di senso. Grazie alla circolazione simbolica, per i
primitivi è inaudita la divisione del corpo tra natura e cultura, perché quelli che
per noi sono eventi naturali come nascita, morte e fenomeni meteorologici, i
simboli stessi li trasformano nell‟ordine culturale dei miti, dei riti, delle pratiche
religiose, magiche e ludiche che servono a mantenere l‟equilibrio nell‟intero
sistema. Scrive Galimberti:
“Il corpo di un bambino non nasce quando esce dall’utero
di sua madre, perché questo è un fatto bruto e al limite
insignificante per la mentalità primitiva, la quale considera
un bambino nato quando la madre l’ha donato alla
comunità, e così instaura quella prima forma di scambio
simbolico che, vietando la proprietà, non solo dei beni ma
anche dei figli, garantisce la circolazione dei segni
comunitari. (…) In questo modo il corpo del bambino, fin
dalla più tenera età entra in contatto con una qualità di altri
corpo, è maneggiato da altre mani, è cullato da decine di
donne, messo di fronte a mille immagini parentali,
identificato con numerosi altri bambini, in uno scambio
6
U. Galimberti, Il corpo, Giacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2007.
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ininterrotto di legami e influenze, che non consentono al
corpo di apparire come una realtà naturale, ma subito come
un rapporto sociale, oltrepassando d’un colpo quella
divisione tra materia e spirito, tra corpo biologico e realtà
dell’anima che caratterizza il nostro abituale modo di
pensare che non conosce l’ambivalenza simbolica”
7
.
Punto di congiunzione tra i due ordini è, quindi, il corpo, che nella danza traduce
eventi naturali in significati culturali. E‟ il contesto simbolico che nella danza fa
nascere i passi e le figure necessarie per evocare qualsivoglia immagine, o
sensazione, o presenza: la pioggia, la maledizione e quant‟altro! Ogni gesto
esprime un significato, un senso, un simbolo che il gesto successivo già dissolve
per evitare che venga codificato, che divenga codice. Con la danza quindi, i corpi
dei primitivi compongono simbolicamente l‟ordine della natura con quello della
cultura. Basti pensare che già nella tragedia greca, la danza (choròs) era il luogo
in cui si raccoglieva il senso della corporeità!
Oggi invece, secondo me, si sta rischiando di ridurre la danza semplicemente
ad una sequenza di gesti predefiniti e uguali per tutti, che però non posseggono
più quella produzione di senso che invece abbiamo visto fin dall‟antichità essere
essenziale e per l‟identità del singolo individuo, e per l‟intera comunità. Al limite,
Galimberti afferma:
“Quando cessa l’ambivalenza degli scambi, la loro
reversibilità simbolica, le comunità primitive declinano, e al
loro posto subentrano le società che noi conosciamo, dove
più nulla si scambia, ma tutto si accumula all’insegna di
quel valore che trasforma lo scambio simbolico in valore
simbolico. Nato dalla soppressione dell’ambivalenza, il
valore si costruisce per effetto di una disgiunzione tra ciò che
vale e ciò che non vale. L’universo si spezza metafisicamente
tra il cielo e la terra, tra lo spirito e la materia, l’anima e il
7
U. Galimberti, op. cit.
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corpo, dove il valore sta tutto da una parte e il disvalore
dall’altra, non perché le cose stiano realmente così ma
perchè il valore tende a far passare se stesso come la vera
realtà spingendo nell’irrealtà il polo da cui si è diviso”
8
.
Ritornando però, al discorso della necessità del corpo come centro di irradiazione
della dimensione simbolica che unisce natura e cultura, soma e psiche, va preso
in esame che da Platone in poi, si assiste ad una netta conversione. Il filosofo,
infatti, crede nella verità, anzi nella trascendenza della verità, per cui afferma
necessario il passaggio dalla terra materiale, corporea, al cielo ideale e l‟anima:
“Fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima
resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo
mai in modo adeguato ciò che ardentemente desideriamo,
vale a dire la verità…Pertanto, nel tempo in cui siamo in
vita, come sembra, noi ci avvicineremo tanto più al sapere
quanto meno avremo relazioni col corpo e comunione con
esso…E così, liberati dalla follia del corpo, come è
verosimile, ci troveremo con esseri puri come noi e
conosceremo, nella purezza della nostra anima, tutto ciò che
è puro: questo io penso è la verità”
9
.
Platone parte dalla definizione dell' uomo data da Socrate, e la porta alle estreme
conseguenze; la definizione che Socrate ha dato dell' uomo é stata rivoluzionaria:
“L' uomo é la sua anima; il corpo é come lo strumento di
cui essa si avvale”
10
.
Prima di Socrate l' anima aveva differenti significati . In Omero rappresentava la
larva inconsapevole che restava dell' uomo e che andava negli inferi. Negli
Orfici era un dèmone, che per un' originaria colpa commessa cadeva in un corpo,
8
U. Galimebrti, op. cit.
9
Platone, Fedone, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano, 1991.
10
Socrate.