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I testi dei questionari utilizzati, le descrizioni teoriche delle scela che li compongono ed
eventuali statistiche descrittive degli strumenti sono riportati nelle appendici alla fine
dell’elaborato.
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CAPITOLO 1
IL GRUPPO IN PSICOLOGIA
Lewin (1943) definisce il gruppo come una “totalità dinamica”, esso è un corpo
complesso, e in quanto tale richiede un approccio di studio non riduttivo, articolato ed
uniforme. Inoltre il lavoro di gruppo è giudicato in maniera ambivalente dalla società e
dagli individui in quanto da un lato viene attribuito valore positivo alla sua funzione di
volàno di energie, ma dall’altro il gruppo è parimenti temuto a causa delle intense
fantasie di frantumazione ed insicurezza che questi contribuisce a sviluppare
nell’individuo; ad esempio si può pensare al gruppo come uno dei luoghi in cui si
produce identità ponendo così il problema confilittuale che per essere se stessi si debba
attraversare il diverso, anzi i possibili diversi. Sembra quindi che due caratteristiche
fondanti del gruppo siano problematicità e conflitto, soprattutto quest’ultimo pare un
elemento costitutivo del gruppo, il quale si caratterizza per la sua capacità di gestire il
conflitto ed analizzarne le componenti inconsce; è in questo senso che si può
rivendicare la forte valenza clinica della struttura gruppale. Come si è detto prima, il
tema del gruppo in psicologia richiede uno studio non riduttivo e perciò vengono
proposti per presentare una panoramica sui modelli e gli approcci al lavoro clinico con i
gruppi tre itinerari mentali, diversi ma tra loro integrati. Il primo è quello storico-
evolutivo, ovvero perchè si è sentita l’esigenza di del passaggio dalla terapia individuale
a quella con più individui contemporaneamente. Il secondo si dispone lungo l’asse
terapeutico-non terapeutico, a questo proposito la differenza più evidente tra gruppi
terapeutici e gruppi che presentano altre finalità dichiarate riguarda la domanda che
viene esplicitamente formulata. Il terzo itinerario considera la distinzione riguardante
fenomeni “in” gruppo, “di” gruppo o che si manifestano “mediante il” gruppo.
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1.1 I gruppi nell’area formativo-esperienziale.
A partire dall’esperienza di questi gruppi è stato successivamente possibile elaborare, in
seguito alla connessioni con approcci psicoanalitici, l’uso clinico del gruppo di
formazione. Nella storia della psicosociologia i piccoli gruppi occupano un posto di
rilievo.L’attenzione alla dimensione di piccolo gruppo nella ricerca e nell’intervento
psicosociologico è stata posta da Mayo fra gli anni Venti e Trenta; in un clima dominato
dalla concezione tayloristica dell’organizzazione e del rapporto uomo/lavoro l’autore
spostò il fuoco delle indagini sulle variabili sociali e psicosociali. Egli formulò un piano
di indagine articolato della dimensione informale dell’organizzazione, che condusse alla
verifica dell’esistenza e rilevanza di tale dimensione e a cogliere in essa il livello di
piccolo gruppo quale nodo centrale. Dal punto di vista psicosociale dunque
l’organizzazione va considerata come composta da gruppi, i quali producono valori,
atteggiamenti, aspirazioni, pregiudizi, ovvero la cultura del lavoro di cui gli individui
dono poi i visibili portatori; è a questo livello che la ricerca e l’intervento
psicosociologico devono primariamente rivolgersi.
Altro autore fondamentale in ambito psicosociologico è Kurt Lewin; egli sostenne la
necessità di studiare gli eventi psicologici non tanto nelle loro intrinseche
caratteristiche, quanto nelle relazioni con il contesto in cui emergono. E’ quindi il
campo, ovvero la totalità degli eventi e delle forze psichiche compresenti ed in
interdipendenza tra loro, ad assurgere a oggetto primario dell’indagine psicologica;
questa interdipendenza non va però intesa come una nuova forza causale, bensì come
prodotto e insieme condizione del campo, discende da ciò il principio della
contemporaneità. L’applicazione del concetto di campo alla psicologia sociale permise a
Lewin di andare anche oltre lo studio della dinamica di gruppo avviandosi verso
l’analisi dei conflitti e del cambiamento sociale mediante l’action-research, cioè ricerca
che, per essere tale, dev’essere intervento che attiva cambiamenti. Sono proprio il
cambiamento e l’apprendimento le finalità del training-group; nella sua formazione
originaria il T-group è una tecnica di apprendimento basata sull’esposizione personale
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in un piccolo gruppo, finalizzata sia all’acquisizione di concetti di base della dinamica
di gruppo, sia alla realizzazione di un’adeguata consapevolezza delle personali modalità
di porsi in relazione con gli altri. Si tratta di un gruppo autocentrato, che non ha cioè
altro compito da svolgere se non quello di osservare se stesso ed i propri porcessi,
facilitato in ciò dalle proprie caratteristiche organizzative le quali dovrebbero mettere i
partecipanti nelle migliori condizioni per esperire l’ossatura psicosociale universale
delle vicissitudini proprie dell’entità “gruppo”. Il ruolo del conduttore, che si astiene dal
partecipare all’interazione, si sostanzia nel mantenere il gruppo concentrato su se stesso
e sulle interazioni che si svolgono nel “qui e ora”. Il modello originario del T-group ha
costituito la base storica di un insieme ampio e diversificato di tecniche formative
utilizzate soprattutto nel mondo del lavoro e nella formazione di operatori sociali.
Nei gruppi formativo-esperienziali, grossi contributi vengono da autori inglesi quali
Wilfred Bion, Harry Ezriel, Michael Balint e i ricercatori dell’orientamento Tavistok.
Bion affrontò il proprio lavoro lavoro partendo da concezioni di gruppo, cioè
considerando questo come destinatario dell’intervento; attraverso l’eleborazione di tali
esperienza, riviste alla luce delle teorie sulle relazioni oggettuali di Melanie Klein, Bion
giunsa alla frormulazione di alcune teorie sulla psicodinamica dei gruppi. Dal 1961, in
una fase di revisione del proprio pensiero, egli diede la seguente definizione di gruppo:
<<un insieme di persone che si trovano tutte allo stesso grado di regressione>> questo
per effetto delle rinunce che derivano dal contatto di ciascuno con la vita affettiva del
gruppo.
Una delle principali ossorevazioni da cui Bion partì fu quella che i gruppi con cui
lavorava mettevano frequentemente in atto tendendenze dirette ad allontanarli
palesemente dagli obiettivi dichiarati; il fatto che ciò avvenisse a prescindere dalle
coscienti intenzioni e dalla consapevolezza degli individui, fece sì che a tali fenomeni
l’autore potesse rivolgere un’attenzione psicodinamicamente orientata. Bion definisce
“assunti di base” le manifestazioni della regressioni nel gruppo, tali assunti
costituiscono una dei concetti fondamentali della teoria bioniana sui gruppi; su di essi
infatti si modulano gli stati emotivi del gruppo. Gli assunti base individuati da Bion e
ritenuti fenomeni tipici del gruppo sono: dipendenza accoppiamento e attacco fuga. Gli
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assunti di base non sempre sono attivi e non nè lo sono contemporaneamente, quelli
inattivi rimangono confinati all’interno di un sistema protomentale. In una seconda fase
del proprio pensiero, Bion, considera l’importanza del gruppo di lavoro in un rapporto
dialettico per cui qualsiasi gruppo oscilla tra la posizione di gruppo di base e quella di
gruppo di lavoro; i fenomeni mentali del gruppo di lavoro appaiono legati tra loro nella
stessa misura in cui si intrecciano gli stati emotivi del gruppo di base. Da un punto di
vista tecnico, un gruppo bioniano, ha caratteristiche che lo rendono del tutto praticolare:
l’analista considera il gruppo nella sua totalità, si tratta di un gruppo di apprendimento
per esperienza non di un gruppo terapeutico, provoca una regressione eccessiva nei
membri con conseguente attivazione di parti psicotiche che in questo tipo di gruppo non
prevedono un reintegro.
Ezriel fu osservatore dei gruppi condotti da Bion ed ebbe modo di sviluppare una
concezione olistica del gruppo; il suo pensiero si distingue da quello bioniano e ruota
attorno a due elementi principali: un rapporto transferale a triplice articolazione e la
definizione delle nozioni di “tensione di gruppo comune” e di “struttura di gruppo
comune”. Per quanto riguarda il primo punto, Ezriel, afferma che il rapporto
paziente/terapeuta possa declinarsi secondo tre tipi di transfert: necessario, evitato,
calamitoso; in un gruppo ogni individuo ricerca l’equilibrio più vantaggioso fra i tre
rapporti, ma essendovi una compresenza di esigenza diverse, si crea una tensione
inconscia da cui emerge la struttura di gruppo comune, cioè l’atteggiamento transferale
di gruppo che rappresenta il denominatore comune dei transfert individuali e che
permette di curare il gruppo nel suo insieme come fosse un singolo paziente. Secondo
l’autore è la tensione inconscia comune che permette la costruzione della struttura
gruppale; all’interno del gruppo, inoltre, si possno rintracciare due diversi meccanismi
di comunicazione: quella per procura quando un paziente non può direttamente
esprimere contenuti emotivi, e la comunicazione reattivo-coatta che si può considerare
come un’incapacità di pensare. Ezriel ritiene, inoltre, che la comunicazione del singolo
sia in realtà una comunicazione del gruppo, in questo modo egli finisce per attribuire
una scarsa attenzione al problema del singolo paziente.
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Fondamentale nell’ambito della formazione attraverso il gruppo è il contributo di Balint
il quale condusse dei gruppo per medici rivolti soprattutto ai medici di base; un
requisito per la partecipazione al gruppo Balint è che il medico avverta difficoltà e
disagio nella relazione con il paziente, quindi quello che si analizza nel gruppo è un
caso portato dal medico. Proprio in questo risiede l’importanza fondamentale dei gruppi
Balint, cioè l’aver esteso la problematica della relazione in ambito medico. Una delle
maggiori critiche, però, rivolte a questi gruppi riguarda la mancanza di un modello
unitario di conduzione che permetta, dal punto di vista tecnico, di individuare delle
caratteristiche univoche.
L’orientamento Tavistok nasce dall’incontro tra il modello bioniano e quello lewiniano;
a partire dalgi anni Cinquanta la ricerca Tavistok si caratterizzò per la formulazione di
un modello addestrativo complesso, dove i temi della dinamica e della psicodinamica di
gruppo facevano riferimento ai più generali processi intergruppo e organizzativi, cui fu
dato il nome di conferenza. Questa persegue finalità proprie sia dell’approccio bioniano
sia di quello lewiniano, in particolare per quanto riguarda lo studio della leadership,
delle dinamiche di potere e dei processi decisionali; tali temi, a differenza di quanto
accade nei training-group, vengono analizzati anche rispetto ai processi inconsci ad essi
sottesi. Anche lo stile di conduzione ricalca sostanzialmente quello non direttivo dei T-
group e del gruppo esperienziale bioniano; l’attenzione al funzionamento del livello
intergruppale o organizzativo ha reso la conferenza uno strumento formativo
particolarmente interessante per coloro che operano in contesti di lavoro esposti a
problematiche conflittuali e di cambiamento.
Acquisita dalla scuola lewiniana l’idea della validità dell’apprendimento mediante
l’esposizione personale in set gruppali a finalità formativa, gli autori francesi,
avvicinandosi allo studio della dinamica sociale in prospettiva psicoanalitica, hanno
basato la loro ricerca teorico applicativa sull’ipotesi dell’esistenza di processi inconsci
fondamentali comuni a qualunque tipo di gruppo. La mancanza di strutturazione
consente l’emergere di tali processi inconsci che si offrono così agli interventi didattici
e interpretativi dello psicoanalista “monitore”, mentre i concetti e i metodi della
dinamica di gruppo lewiniana costituiscono il supporto pedagogico del cambiamento. Si
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vede come la conduzione dei gruppi qui sia strettamente psicoanalitica, come anche le
regole del setting, da tanto finire per sfumare nella terapia. Il caposcuola
dell’orientamento francese è Didier Anzieu (1976) il quale svolge uno studio dei
fenomeni di gruppo ponendo al centro della sua ricerca la tradizione psicoanalitica.
L’elaborazione condotta dallo studioso ha come punto d’avvio l’assimilazione critica
della teoria di Lewin del campo che, secondo l’autore, non può adeguatamente e
completamente spiegare il funzionamento gruppale; il suo obiettivo è quindi quello di
spostare l’attenzione sull’apparato psichico, partendo dalla teoria freudiana e dai
successivi sviluppi della kleiniani della psicoanalisi.
L’essenza del gruppo si costituisce, per Anzieu, sulla base di una relazione immaginaria
che egli definisce “illusione gruppale”; corollario di questa affermazione è che il gruppo
sia la rappresentazione della realizzazione immaginaria di un desiderio e da qui appare
immediata l’analogia tra sogno e gruppo. Da un punto di vista tecnico, quindi, un
gruppo che lavori spontaneamente bene fin dal proprio inizio, è un gruppo che vive
nella illusione del riscatto dalle aggressioni del sociale, è un gruppo difensivo e il
conduttore, nei suoi interventi, non deve essere accondiscendente e collusivo per evitare
che vi sia, da parte dei partecipanti, un disinvestimento della realtà. Un altro concetto di
notevole importanza nella posizione di Anzieu è quello di “scissione del transfert” nel
gruppo, mutuato dalla teoresi kleiniana; il transfert di gruppo si incentra sul conduttore
(transfert centrale), sugli altri componenti del gruppo (transfert laterale), sul gruppo nel
suo insieme (transfert di gruppo) e sul mondo esterno. Inoltre Anzieu sostiene che il
transfert positivo sia rivolto al gruppo, mentre il transfert negativo sia rivolto al grande
gruppo o al sociale. La modalità che l’autore propone, perchè ci si liberi dall’illusione
gruppale, è che il gruppo possa avere un momento allargato in cui sia i partecipanti sia il
monitore possano sperimentare ed interpretare il transfert negativo.
Alquanto complesso e articolato è, invece, il pensiero di Renè Kaes (1976); secondo
quest’autore nello studio del gruppo il pericolo maggiore è quello di considerare quanto
accade in termini di fantasia inconscia o di immaginario e di soffermarsi esclusivamente
sul processo, ossia su quanto avviene realmente nel gruppo, questo porta ad ignorare il
fatto che il processo gruppale sia tributario dell’oggetto gruppo rappresentato. Viene
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quindi postulata da Kaes l’esistenza di due componenti dell’apparato psichcico di
gruppo: gli organizzatori psichici, che sono interni all’individuo e costituenti di tipo
soggettivo, e gli organizzatori socioculturali, che sono invece esterni, piùoggettivi e che
provengono dalla società e dalla cultura; gli organizzatori psichici gruppali sono definiti
come “configurazioni inconsce tipiche di relazioni tra oggetti” e l’autore ne individua
quattro: l’immagine del corpo, la fantasmatica originaria, i complessi familiari e imago,
l’apparato psichico soggettivo. Un ulteriore contributo di Kaes è costituito dalle sue
elaborazioni sulle istituzioni, in cui due sono gli aspetti centrali: il contratto nercisistico
e il patto denegativo. Il primo consente al singolo di instaurare rapporti reciproci con
altri individui ed esige che ogni singolo soggetto prenda un certo posto offerto dal
gruppo; è importante quindi che l’istituzione sostenga il narcisismo dei suoi soggetti, in
caso contrario è l’istituzione stessa ad essere attaccata; il patto denegativo ha naura
inconscia ed ha origine dal fatto che ogni legame deve al contempo negare ogni cosa
che metterebbe in pericolo la formazione e la conservazione del legame stesso,
l’istituzione ha quindi tra le altre funzioni quella di conservare una parte di questo
irrapresentato mascherandolo.
1.2 I gruppi nell’area psicoterapeutica.
La storia della psicoterapia di gruppo inizia nel momento in cui allo stare in gruppo
viene annessa una precisa finalità terapeutica; è il lavoro di Joseph Pratt che gli storici
considerano il primo caso di utilizzo di set gruppale a fini terapeutici. A partire dal 1904
Pratt integrò il trattamento dipazienti tubercolotici con periodiche riunioni durante le
quali venivano discussi gli aspetti medici e quelli psicologici della malattia; tali incontri
avevano esiti positivi sia sul morale dei pazienti sia sul decorso della patologia. Questo
uso “ingenuo” della terapeuticità del gruppo fu in seguito esteso ai pazienti psichiatrici,
dando così luogo alle prime esperienze di psicoterapia di gruppo. In questi primi casi il
gruppo veniva considerato soprattutto un facilitatore socioemotivo del programma
terapeutico e non come lo strumento terapeutico principale.
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Uno dei primi incontri tra gruppo e psicoanalisi risale a Trigant Burrow; nel 1925 egli
conia la dizione “analisi di gruppo”. L’autore sosteneva l’esistenza di una tendenza
primaria aggregativa, rivolta a solidarietà ed integrazione sociale, che viene ostacolata
nella sua piena realizzazione dall’imposizione di codici morali di comportamento; da
questo contrasto tra natura e cultura si originano quindi le nevrosi, le quali sono intese
come sintomi di un ampio conflitto che concerne l’intera società. I principali
orientamenti gruppali che si svilupparono successivamente sono stati distinti in: analisi
in gruppo, analisi di gruppo, ed analisi mediante il gruppo; le divergenze in tra questi tre
orientamenti sono dovuti sia al tipo di dialettica teorica, sia alle motivazioni che hanno
portato i loro fondatori ad occuparsi dei gruppi e alle condizioni professionali e
socioculturali.
Nello specifico, l’analisi in gruppo si pone in continuità teorica con la psicoanalisi, nega
di conseguenza una specificità psicologica al gruppo che viene considerato solo un
luogo “altro” in cui praticare l’analisi di singoli individui; ci sono cinque caratteristiche
che per gli psicoanalisti in gruppo definiscono e giustificano il trattamento gruppale
come specifico rispetto a quello duale: l’individuo può constatare di non essere l’unico
ad avere problemi e difficoltà, l’individuo ha possibilità di scoprire e trovare in se stesso
doti nascoste ed inattese, l’individuo può rivivere le proprie relazioni familiari e i propri
conflitti nascosti riattualizzandoli in gruppo in un contesto più favorevole, l’individuo
ha possibilità di sperimentare transfert laterali, così gli riesce possibile visualizzare ed
analizzare modelli precoci di relazione e infine l’individuo può raggiungere la coscienza
dei propri comportamenti ed atteggiamenti, dell’influenza che questi possono avere
sugli altri e delle reazioni che provocano.
L’analisi “di” gruppo, invece, fu fondata da Bion a partire dalla propria esperienza in un
ospedale psichiatrico militare e sulla base delle innovazioni introdotte nella teoria
psicoanalitica da Melanie Klein; questo orientamento riconosce una specifica
dimensione psichica al gruppo e lo concepisce come un oggetto dell’analisi,
l’atteggiamento del terapeuta perciò resta strettamente psicoanalitico e il gruppo viene
tratta come se fosse un individuo.
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Infine l’analisi “mediante il” gruppo nasce da una precisa opzione teorico-clinica del
suo fondatore, Foulkes. Questi avviò gruppi di psicoterapia analitica nella propria
pratica professionale e gradualmente pervenne ad un rapporto articolato con la
psicoanalisi caratterizzato dallo sviluppo di formulazioni teoriche innovative e
differenziate; l’analisi mediante il gruppo finisce allora per essere distinta dalla
psicoanalisi sia sul piano teorico sia sul quello tecnico, pur mantenendo con esse una
relazione di filiazione storica.
1.2.1 La terapia familiare psicoanalitico-gruppale.
I principali rappresentanti della terapia familiare di gruppo sono Ruffiot ed Eiguer
(1985); l’obiettivo principale di questi autori è quello di trovare un punto d’incontro tra
il modello dell’apparato psichico gruppale e il modello di origine psicoanalitica che ha
al centro l’organizzazione edipica della personalità.
Lo sforzo di questi psicoterapeuti è fornire un modello stabile di terapia, impostato su
due elementi principali: il setting deve essere stabile e regolare, l’intervento terapeutico
deve privilegiare l’interpretazione e le tecniche verbali con particolare attenzione al
transfert collettivo e al transfert familiare. In questo approccio risulta fondamentale
proprio l’individuazione di quest’ultimo transfert che Ruffiot (1985) definisce come il
comune denominatore dei fantasmi e degli affetti attribuiti ad un oggetto del passato e
riferito al terapeuta.
1.2.2 I gruppi operativi.
Questi gruppi hanno trovato applicazione a partire dagli anni Cinquanta grazie all’opera
di Pichon-Rivière e della scuola che a lui si richiama. Essi possono essere considerati un
tentativo di integrazione della psicosociologia di impronta lewiniana e gestaltista con la
psicoanalisi di orientamento kleiniano; il gruppo va considerato come elemento centrale
per il fatto che il “pensiero del gruppo va dal senso comune al pensiero scientifico”. La
finalità del gruppo operativo è quella di mobilitare, elaborare e rimuovere le strutture
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stereotipate di pensiero che hanno origine nell’ansia che si determina in presenza di
cambiamenti. La funzione operativa del gruppo si esplica attraverso quattro momenti
dell’azione: strategia, tattica, tecnica e logistica; se tutto il gruppo ha elaborato questi
momenti e gli strumenti ad essi legati nel suo campo interno, potrà allora giocare nel
campo esterno. Il gruppo operativo è dunque centrato sul compito ed ha come finalità
quella di apprendere a pensare in termini di risoluzioni delle difficoltà nate e
manifestate nel campo gruppale; non è esclusivamente centrato sul gruppo ma in ogni
qui-e-ora. Il lavoro di Pichon-Rivière trova applicazione anche in ambito terapeutico; la
pazzia viene qui considerata come l’espressione della nostra incapacità di sopportare ed
elaborare una certa quantità di sofferenza.
1.2.3 I gruppi interattivi.
Caratteristica peculiare di questi gruppi sta nell’accento posto prevalentemente sugli
aspetti comunicativi ed interattivi che si realizzano tra i partecipanti; la connotazione dei
gruppi interattivi, oltre al numero limitato dei componenti, è affidata alle interazioni nel
loro complesso e all’uso di tutti i canali comunicativi. Viene promossa la
comunicazione e valorizzato tutto ciò che accade nel gruppo sotto forma di atti, gesti e
parole; il lavoro che si svolge nel gruppo segue i temi che si sviluppano nelle
interazioni.E’ fondamentale la distinzione tra l’individuo funzione del gruppo e
l’individuo considerato nel complesso della propria individualità; la problematicità è
data da un lato, dalla possibile soppressione dell’individuo e, dall’altro, dalla
complessità del gruppo.
1.3 Orientamenti di matrice non-psicoanalitica.
I principali orientamenti di matrice non-psicoanalitica sono tre: lo psicodramma, la
terapia della Gestalt e i gruppi di incontro. Tutti e tre, seppur con pesi diversi, hanno
contribuito alla diffusione del lavoro clinico e formativo con i piccoli gruppi.
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Ideato da Jacob Levy Moreno (1942), lo psicodramma presenta diversi punti di
contrapposizione con la psicoanalisi, ad esempio laddove afferma l’utilità dell’azione
come strumento di consapevolezza e cambiamento. Per l’autore la sofferenza psichica è
l’effetto della coartazione culturale della creatività e della spontaneità, ed è proprio la
possibilità di spontaneità e creatività offerta dalla tecnica psicodrammatica a costituire il
principale fattore terapeutico e di crescita personale; il culmine dell’azione terapeutica è
definito da Moreno “catarsi”. In questo modello il ruolo del gruppo è centrale infatti
l’importanza del concetto d’incontro come modo di comunicazione e l’aspirazione a
raggiungere, tramite l’esperienza psicodrammatica, un elevato livello di consapevolezza
delle qualità affettive dell’incontro trovano nello spazio gruppale il luogo privilegiato
del loro dispiegarsi. Secondo Moreno la personalità è costruita da un’articolazione e
sovrapposizione di ruoli diversi che spesso non corrispondono alle più autentiche
emozioni e preferenze espresse dall’individuo; inoltre l’insieme di ruoli non è sempre
regolato dall’armonia, né risulta compatibile con le prestazioni sociali, cosicché
l’individuo spesso vive condizioni di grande conflittualità interiore. Si possono, con la
tecnica psicodrammatica, riattualizzare condizioni conflittuali passate e non più
individuate permettendo così di maniferstare e riconoscere i punti critici di ossidazione
e di stallo delle articolazioni psichiche per consentire la mobilitazione e il cambiamento.
Non è solo la parola il veicolo privilegiato di riflessione e cambiamento, ma anche
l’azione.
Nella terapia della Gestalt il paziente, attraverso l’aiuto del terapeuta e in un contesto di
gruppo, può teatralizzare i suoi conflitti personali e renderli visibili. Il concetto di
inconscio viene considerato di scarsa rilevanza e al suo posto vi è il concetto di forma.
La dinamica psichica non è quella conscio/inconscio ma quella figura/sfondo, secondo
cui i conflitti psichici dislocati sullo sfondo non possono diventare figura per la loro
spiacevolezza; occorre quindi, più che analizzare i sentimenti che si accompagnano a
determinati contenuti, renderli vividi ed attualizzarli. La terapia va incentrata sul “come”
e “ora” piuttosto che sul “perché” analitico.
Il movimento Encounter è un insieme di tecniche, modelli, proposte teoriche che, a
partire da una comune base filosofica di taglio fenomenologico-esistenziale, hanno
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assunto negli anni Sessanta e Settanta la fisionomia di un vero e proprio movimento
sociale, caratterizzato dalla dura critica versola società contemporanea. Il termine
“incontro” sintetizza quanto tale orientamento di propone di perseguire: la capacità di
recuperare e valorizzare la potenzialità evolutive e creative di un incontro personale;
l’istanza terapeutica è dunque presente in senso lato. Nei gruppi d’incontro il conduttore,
detto “agevolatore”, ha il compito di creare e mantenere un contesto relazionale positivo
di reciproca accettazione dove ognuno possa progressivamente sentirsi libero di
esprimere se stesso; a questo scopo la conduzione è volutamente esente dall’uso di
tecniche professionali. Questi gruppi hanno subito forti critiche riguardo all’ambiguità
della fusione tra terapia e formazioni, all’ingenuità delle basi teoriche, al ruolo del
conduttore e all’assenza di uno specifico training informativo.
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CAPITOLO 2
I FONDAMENTI DELL’ANALISI TRANSAZIONALE
L’analisi transazionale è una teoria dell sviluppo del comportamento elaborata da Eric
Berne negli anni 60. Come altri approcci, anche l’analisi transazionale ha un linguaggio
tecnico e uno schema di riferimento propri: gli elementi costitutivi di questa teoria sono
tre forme osservabili di funzioni dell’Io, cioè il Genitore, l’Adulto e il Bambino; questi
sembrerebbero assomigliare ai tre concetti psicoanalitici di base – il Super-Io, l’Io e l’Es
– ma in realtà sono molto diversi. Il Genitore, l’Adulto e il Bambino differiscono dal
Super-Io, dall’Io e dall’Es in quanto sono tutte manifestazioni dell’Io e rappresentano
quindi comportamenti osservabili. Di seguito vengono presentati concetti fondamentali
per la teoria dell’Analisi Transazionale quali: gli Stati dell’Io, le carezze, la struttura del
tempo, i giochi e i copioni; questo allo scopo di fornire un’introduzione di questo vasto
orientamento.
2.1 Gli stati dell’Io.
Nella sua opera “A che gioco Giochiamo”, Berne (1967), definisce come segue il
termine di stati dell’ Io: << in linguaggio tecnico uno stato dell’Io può essere definito
fenomenologicamente come un sistema coerente di sentimenti, ed operativamente come
un insieme di tipi di comportamento ceorenti. Praticamente, è un insieme di sentimenti
accompagnato da un relativo insieme di di tipi di comportamento. Ogni individuo ha un
numero limitato di stati dell’Io, non “parti” recitate, ma realtà psicologiche. Il repertorio
si può suddividere nelle seguenti categorie: 1) stati che ricordano le figure dei genitori,
2) stati rivolti autonomamente alla valutazione obiettiva della realtà e 3) stati che
rappresentano delle reliquie arcaiche, stati ancora attivi fissati nella prima infanzia. In
linguaggio tecnico si definiscono rispettivamente come stati eteropsichici, neo psichici
ed archeo psichici. Familiarmente si chiamano Genitore, Adulto e Bambino.>> (pag.
25-26).