6
In molte realtà economiche italiane, sono entrate cooperative di recente
formazione, senza particolari esperienze organizzative e professionali nel
campo dei servizi, che costituiscono notoriamente un ambito quanto mai
stratificato di prassi operative, di “saperi” professionali, di strategie
gestionali non impiantabili dall’oggi al domani. Ma c’è da ritenere, per
molti versi, che tali formule organizzative possano caratterizzare le
stesse politiche di welfare negli anni a venire.
L’ampio universo dell’economia sociale o civile del terzo settore esiste da
molto tempo in altri paesi occidentali. Ma in Italia ha assunto
connotazioni diverse e del tutto specifiche; ha conseguito solo
recentemente una dimensione significativa, conquistando scenari ed
attenzioni, che solo fino a pochi anni fa gli erano preclusi.
Quanto appena detto, senza escludere gli interrogativi iniziali, ha
caratterizzato la struttura teorica di questa ricerca empirica, condotta
all’interno di due cooperative sociali della provincia di Forlì – Cesena.
Per la scelta dell’oggetto di studio, ho ritenuto opportuno individuare
due realtà presenti nella mia zona di residenza, che disponessero di
strutture organizzative diversamente sviluppate e articolate, sulla base
degli anni di attività svolta, così come delle esperienze di collaborazione
maturate col territorio locale, con l’Ente pubblico e con altri soggetti
riconosciuti, qual è il Consorzio a cui le cooperative aderiscono. Diverse
per storia, modalità lavorative e quindi per l’approccio alla questione
della qualità, ma comunque impegnate nell’erogazione di servizi alle
persone disabili.
In particolare il circondario forlivese è caratterizzato dalla presenza di
numerose strutture per l’handicap, interamente gestite in convenzione
con cooperative sociali locali.
L’Ente pubblico, già dal 1986, decise di intraprendere una politica di
decentramento gestionale dei servizi.
La sfida attuale è, ora, quella del miglioramento della qualità, che passa
soprattutto attraverso la realizzazione di interventi in rete.
7
- Capitolo primo -
CONSIDERAZIONI METODOLOGICHE
1.1 LE IPOTESI INIZIALI E L’INDIVIDUAZIONE
DELL’OGGETTO DI STUDIO.
L’idea di realizzare una tesi sperimentale su “Cooperazione sociale e
qualità dei servizi” è maturata, in me, solo dopo aver rielaborato alcuni
vissuti significativi della mia vita. Mi riferisco all’esperienza in alcune
associazioni di volontariato, che mi ha permesso di venire a contatto con
realtà difficili e spesso emarginate.
Da quel momento, sono divenuta consapevole della necessità di acquisire
e diffondere una cultura della solidarietà, oggi troppo spesso assente o
contraffatta.
Un altro vissuto, altrettanto importante, è rappresentato dall’arrivo,
nella mia famiglia, di una persona con ritardo mentale e conseguenti
problemi comunicativo-relazionali. Pur non occupandomi direttamente
della sua “presa in carico”, ho potuto constatare le enormi difficoltà
incontrate per la sua educazione, la sua formazione scolastica e
professionale. A quest’ultima, in particolare avvenuta all’interno di un
Centro di formazione specializzato nel settore, è seguito l’inserimento
lavorativo in una cooperativa sociale.
A tutto questo si è così accompagnato, nel tempo, un crescente interesse
per la realtà della cooperazione sociale e successivamente anche
dell’handicap.
Per quanto riguarda l’individuazione del tema specifico, sul quale
impostare delle ipotesi iniziali di ricerca, sono state necessarie varie
consultazioni bibliografiche, accompagnate da una riflessione costante,
inerente la questione della qualità.
8
La relazione tra elementi quali le cooperative sociali, i servizi alla
persona (disabile) e la qualità poteva dar vita ad interessante iter di
studio, reso peraltro facilmente concretizzabile dalla presenza di
numerose realtà cooperative sul territorio provinciale.
Ma, di fronte al primo quesito, che ogni ricercatore deve inevitabilmente
porsi, cioè: qual è lo scopo del mio studio?, sono sorte le prime
difficoltà. Da una parte c’era sostanzialmente, in me, la volontà di
conoscere un “fenomeno” nuovo, quello della cooperazione sociale,
individuandone le peculiarità. Si sarebbe trattato in questo senso di
avviare un’indagine esplorativa, senza quindi approntare ipotesi
predefinite.
Per altro aspetto, avvalendomi di studi teorici già esistenti sulla materia,
avrei potuto utilizzare lo strumento della ricerca empirica come elemento
di riconferma, ma anche di supporto e di implementazione di quegli
stessi studi. Questo avrebbe significato un affinamento progressivo del
metodo di analisi, anche attraverso una rivisitazione del materiale
acquisito man mano.
Ho quindi deciso di muovermi su un piano esplorativo e parallelamente su
uno di riscontro teorico.
L’ipotesi abbozzata inizialmente prevedeva queste domande:
cosa si intende per qualità?
Come la si percepisce?
Quali sono i fattori che assicurano un servizio di qualità?
Quali lo ostacolano?
La risposta ipotetica poteva essere la seguente: il termine “qualità” si
ricollega a più tematiche (dall’organizzazione, all’economia, alle risorse
umane e materiali disponibili, ai rapporti con l’esterno), in parte tipiche
delle realtà imprenditoriali, in parte di quelle propriamente cooperative e
sociali.
Si suppone che esistano delle soglie qualitative per i servizi erogati dalle
cooperative sociali, al di sopra e al di sotto delle quali si configurano
situazioni di criticità e/o di rischio per la garanzia di qualità.
Procedendo nella focalizzazione dell’ipotesi di ricerca, ne ho individuato
le componenti fondanti:
9
1) la cooperazione sociale è un fenomeno recente, legato alla crisi del
welfare e al diffondersi di forme di volontariato organizzato;
2) opera prevalentemente nel campo socio-sanitario;
3) deve progressivamente far propri elementi manageriali per ottimizzare
il complesso organizzativo e i processi di erogazione dei servizi;
4) parallelamente deve essere garantita una qualità del lavoro attraverso
la conservazione e l’incentivazione della cultura e dei comportamenti
cooperativi;
5) vi sono dei limiti al perseguimento della qualità, tanti quante sono le
variabili, a cui il concetto stesso di “qualità” si riferisce.
La scelta della mia provincia, all’interno della quale collocare la specifica
area di ricerca, è nata per due motivi:
- la possibilità di stabilire un contatto, che fosse diretto e dilazionato
nel tempo:
- la volontà di conoscere in maniera approfondita una realtà, a me
vicina, di cui non vanno sottovalutate le opportunità occupazionali.
Come già accennato nell’introduzione, ho scelto come oggetto di studio
due cooperative sociali, entrambe impegnate in servizi rivolti a persone
disabili, ma, per molti altri aspetti, diverse, innanzitutto. La Lamberto
Valli è, infatti, attiva dal 1981, l’era pionieristica delle cooperative
sociali; Tangram, invece, è nata 10 anni più tardi, in un’epoca di
riconoscimenti sociali e legislativi.
In secondo luogo, non va assolutamente sottovalutata la loro origine: la
prima proviene direttamente dal mondo del volontariato organizzato; la
seconda, è nata per iniziativa del Consorzio di Forlì, quindi con una
filosofia imprenditoriale alle spalle.
Sono due cooperative di tipo A, perciò, in base alla legge n. 381 del 1991
sulle cooperative sociali, sono dedite a servizi socio-educativi per le
persone svantaggiate (disabili, in questo caso).
10
La Valli ha istituito un Centro Diurno e un Servizio residenziale per le
emergenze, poiché tratta un’utenza adulta grave.
La cooperativa Tangram ha tre sedi operative con attività di formazione
socio-professionale e si occupa, per questa ragione, di utenti giovani,
con potenzialità tali da essere inseribili in contesti occupazionali.
La difficoltà di concettualizzazione del tema “qualità”, dinamico e
relativo al tempo stesso, e la particolarità della realtà di analisi, mi
hanno convinto sulla necessità di adottare una metodologia qualitativa
(perdonatemi il gioco di parole).
La scelta di un percorso di interazione diretta e continuativa con le
cooperative, è stata possibile grazie all’utilizzo di strumenti come
l’intervista poco strutturata e l’osservazione diretta.
Pur trattandosi di due gruppi circoscritti e ben identificabili, non era
possibile individuare un campione rappresentativo a cui sottoporre un
eventuale questionario (buona parte degli utenti presentano un deficit
psichico, quindi evidenti difficoltà comunicative); del resto, come già
affermato, avrei condotto l’analisi lungo un ampio arco temporale, per
effettuare successivi approfondimenti
1
.
1
Il questionario non permette l’utilizzo di variabili di processo, quindi di cogliere la temporalità delle modalità di
risposta agli items.
11
1.2 METODOLOGIA E FASI DELLA RICERCA
L’utilizzo preponderante del dato qualitativo, all’interno della ricerca,
rappresenta un modo di procedere, connesso alle tecniche e ai principi
propri della grounded theory
2
. In questo senso il percorso ricerca
empirica/concettualizzazione è un percorso dinamico, aperto a nuove
esperienze ed acquisizioni successive. I singoli passaggi non sono fine a
se stessi, ma un elemento determinante per meglio puntualizzare e
rispondere alle esigenze della concettualizzazione.
L’apporto empirico sarà il risultato di più fonti; di qui l’esigenza di una
lettura pluriprospettica della realtà, attraverso l’utilizzo di dati di diversa
natura (quantitativi e qualitativi), ma con un peso particolare assunto
dalle informazioni di tipo qualitativo.
Rimane ancora oggi aperto, per il ricercatore, il problema relativo al
come misurare le eventuali connessioni tra dati. Di fronte alle inevitabili
incertezze, si cerca sempre più spesso di escludere percorsi di analisi
orientati e ricercare precise condizioni di causa/effetto tra fenomeni.
Si privilegia, invece, quella che potremmo definire come una metodologia
“d’attesa”, optando per operazioni di tipo “esplorativo”. Quando, cioè,
non ci si propone di ottenere risposte definitive su una realtà di studio,
ma si cerca piuttosto di sondare all’interno di quella stessa realtà per
ricercare l’esistenza di eventuali reti significative latenti.
Quanto appena descritto, rappresenta l’impostazione metodologica che ho
seguito, pur con i necessari adeguamenti, legati a fatti contingenti.
La formulazione dell’ipotesi, per il mio studio, è avvenuta
successivamente all’incontro con il presidente del Consorzio di Forlì; solo
in quell’occasione ho potuto, infatti, valutare le condizioni di fattibilità
3
della ricerca.
Ho optato per un livello di concettualizzazione intermedio, utilizzando,
cioè, concetti, né troppo semplici, né troppo complessi. In tal modo ho
2
Tecnica di ricerca, avviata negli anni ’60 da due studiosi americani, Glaser e Strauss. Un grande merito della grounded
theory (GT) è quello di aver evidenziato l’importanza dei soft data, cioè di quei dati meno evidenti e che raccolgono
informazioni apparentemente di poco conto e quantitativamente misurate. Secondo ricercatori successivi, la GT può
essere sfruttata al meglio quando viene applicata a dati qualitativi, raccolti attraverso l’osservazione partecipata, lo
studio delle interazioni faccia a faccia, le interviste scarsamente strutturate, il materiale ricavato da uno studio del caso.
3
Fattibilità significa: possibilità di reperimento dei dati che si presuppone di utilizzare; ma anche valutazione della
congruenza tra tipo di ricerca che ci si propone e risorse disponibili (non ultimo il tempo a disposizione).
12
assegnato all’ipotesi un ruolo dinamico, che potesse essere
costantemente riformulato.
Nella sezione precedente, ho individuato le componenti fondanti,
necessarie per identificare dei sottopercorsi di rilevazione e di
elaborazione dei dati.
Per quanto riguarda più propriamente gli strumenti di rilevazione, data
l’impostazione metodologica della ricerca, ho costruito una scaletta di
intervista, necessariamente poco strutturata. Un tale strumento si
caratterizza per la possibilità di effettuare approfondimenti successivi
degli argomenti trattati, evitando, nei limiti del possibile, risposte
stereotipate e precostituite, proprie dei questionari (strumenti per
eccellenza, di ricerca sociologica “quantitativa”).
Sono, però, presenti dei rischi da mettere in preventivo: primo, quello di
perdersi in divagazioni, estranee al tema dell’intervista. Ciò è evitabile
se l’intervistatore, il quale è presente e partecipe (diversamente da
quanto accade per la stesura di un questionario), è in grado di condurre
l’interazione, seguendo mentalmente la scaletta di base ed impedendo
che essa scada in una conversazione o, addirittura, in un semplice
scambio di opinioni personali.
Certo, occorre essere esperti nella tecnica, con una buona dose di
dimestichezza e una forte capacità di autocontrollo della propria
emotività (si pensi ad interviste su tematiche delicate).
A differenza del questionario, per il quale va individuato un campione
rappresentativo della popolazione, oggetto di studio, l’intervista
presuppone la ricerca dei cosiddetti testimoni significativi, persone, cioè,
in possesso di una conoscenza approfondita della realtà di analisi e che,
per questo, possono parlare anche per coloro che non vogliono o che non
sono in grado di essere intervistati.
Così, meglio si spiegano i motivi della mia decisione di utilizzare delle
griglie di intervista con tecnica “ad imbuto”, da domande più personali
ad altre di carattere generale.
La griglia, presentata nelle pagine successive, è stata specificatamente
rivolta agli operatori delle cooperative nella prima fase della ricerca.
A questo punto, si può passare alla descrizione del percorso empirico
intrapreso, strutturatosi nel modo seguente:
13
PRIMA FASE
Questa prima fase ha avuto inizio nel maggio del 1998, suddivisa nelle
tappe seguenti, in ordine cronologico:
I) Primo contatto telefonico col presidente del Consorzio di
Forlì, seguito da colloquio.
II) Primo contatto telefonico con i presidenti delle cooperative
sociali e colloquio successivo.
III) Interviste con gli operatori della cooperativa Lamberto Valli
e prime osservazioni dirette.
IV) Interviste con gli operatori della cooperativa Tangram.
V) Ulteriori osservazioni effettuate nei Centri, con personale
partecipazione ad alcune attività, insieme ad operatori ed
utenti.
L’idea di rivolgermi al Consorzio mi è stata proposta dal preside del
Diploma in Economia delle Imprese Cooperative e delle Organizzazioni
Non profit
4
, al quale ho pensato di rivolgermi, per orientarmi nelle vasta
gamma territoriale delle organizzazioni di terzo settore.
Il presidente del Consorzio si è reso subito disponibile per un incontro di
chiarimento sulle modalità e sulle finalità della mia ricerca. Così gli ho
fornito indicazioni circa le caratteristiche delle organizzazioni, che avrei
voluto indagare:
- due cooperative sociali, di cui una con diversi anni di attività alle
spalle; l’altra, di avvio più recente.
- entrambe con una stessa tipologia di utenza.
In quell’occasione, ma anche in seguito, mi è stato fornito diverso
materiale informativo e documentazione varia, relativa al Consorzio
stesso, di cui gli avevo fatta esplicita richiesta.
4
Questo Diploma Universitario è stato il primo in Italia ad essere attivato, circa 3 anni fa.
14
L’approccio alle cooperative è avvenuto similmente. Anche in questo
caso, l’incontro con i presidenti
5
è stato a scopo di conoscenza e di
delucidazione sul mio tema di studio; peraltro, l’argomento chiamato in
causa, la qualità dei servizi, spesso oggetto di riflessioni e dibattiti, ha
suscitato non poche reazioni disilluse nei miei interlocutori, cosa che, in
parte, mi aspettavo.
L’impressione che ne ho ricevuto, da questi colloqui, è stata di
immediatezza e spontaneità, nel caso del presidente della L. Valli; tanto
che, alla mia richiesta di partecipare ad una riunione del personale, che
avrebbe avuto corso di lì a poco, non ha accennato ad alcun rifiuto.
Il presidente di Tangram mi è parso più formale e “manageriale”.
In ogni modo, quelle prime impressioni hanno rappresentato per me un
input essenziale all’individuazione dei due differenti tipi di impostazione
organizzativa e relazionale, con i quali mi sarei confrontata più tardi.
Così, mi sono immedesimata nel ruolo di intervistatrice, per me nuovo,
pur avendo effettuato qualche intervista a raggio limitato, durante il mio
iter universitario. Nei contatti successivi, ho rivolto agli operatori le
domande della griglia, suddivise in blocchi tematici (items).
SITUAZIONE LAVORATIVA
1) Da quanto tempo lavori qui?
2) Qual è il tuo inquadramento?
3) Possiedi esperienze lavorative precedenti a quella attuale?
4) Come consideri la tua posizione occupazionale?
a – molto precaria
b – mediamente precaria
c – mediamente stabile
d – molto stabile.
5
All’interno della cooperativa Tangram è stato recentemente nominato un nuovo presidente.
15
Se precaria:
5) Da che cosa dipende, secondo te?
6) Fa differenza, per te, lavorare in questa cooperativa o in un'altra?
Ogni strumento di rilevazione prevede domande, che forniscano una
conoscenza più approfondita del soggetto a cui sono rivolte, in questo
caso l'interlocutore diretto. E' essenziale, infatti, per l’intervistatore,
poter adattare gli items (formulando, per es., domande condizionate o
probing, di approfondimento e non previste dalla scaletta) alle
caratteristiche della persona che si trova davanti.
Il vissuto professionale, la formazione, le aspettative nell’ambito della
situazione lavorativa presente e futura rappresentano, inoltre, dimensioni
specifiche di qualità del lavoro, un tassello fondamentale per le mie
ipotesi, e all’interno del più ampio discorso sulla “qualità dei servizi”.
MODALITA’ ORGANIZZATIVE E GESTIONALI IN COOPERATIVA
7) Mi descrivi una giornata-tipo qui in cooperativa?
8) Ritieni soddisfacenti, per te e per le esigenze della cooperativa, le
ore settimanali di lavoro?
9) Qual è lo scopo dichiarato della cooperativa?
10) Mi descrivi metodi, strumenti o programmi per raggiungerlo?
11) Li condividi ?
12) Quali sono i problemi attuali, che dovete affrontare?
13) Si tratta di problemi già conosciuti in passato?
14) Come pensate di affrontarli?
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15) Quali sono i momenti specifici di partecipazione e confronto interno?
La vita cooperativa, soprattutto se fondata sulla solidarietà sociale, si
caratterizza per l’adesione a dei principi, la dimensione ridotta, che
rende possibile, a sua volta, la territorialità, la democrazia interna, la
partecipazione, la condivisione.
A questi si affiancano peculiarità assimilate (ancora solo in parte) dal
mondo imprenditoriale tradizionale: la cultura dell’appartenenza, la
professionalizzazione dei ruoli, la capacità organizzativa e gestionale,
l’assunzione del rischio d’impresa, ecc.
Le domande, ricomprese in questo item, volevano configurarsi come
cartine tornasole del livello imprenditoriale e cooperativo raggiunto,
sulla base di quanto percepito dai singoli operatori.
OPERATORI E UTENTI TRA IDEALE E REALE
16) Cosa caratterizza l’operatore ideale?
17) E l’utente ideale (quello, cioè, che potrebbe trovare, qui, piena
risposta alle sue esigenze)?
18) Mi descrivi il caso o i casi più difficili che state affrontando?
19) Qual è l’intervento più riuscito?
Spesso, ciò che si vorrebbe che fosse è decisamente “altro” rispetto a ciò
che è. L’irrimediabile gap tra realtà e idealità è costantemente avvertita
da chi vive o lavora a contatto con lo “svantaggio” di alcune persone (gli
operatori si confrontano con i limiti di persone disabili).
Le domande, formulate appositamente per questo item, richiedevano,
come presupposto, una buona dose di obbiettività da parte dell’operatore
intervistato, poichè gli veniva chiesto di dare giusta luce all’efficienza e
17
all’efficacia del servizio erogato, in rapporto ai bisogni effettivi
dell’utenza e alle capacità reali degli operatori.
LE RELAZIONI CON L’ESTERNO
20) Quanto è importante la collaborazione con l’esterno (Enti locali,
comunità locale, committenti, acquirenti) ?
21) Sono previsti momenti di confronto con le famiglie degli utenti?
22) Cosa rappresenta per la cooperativa “……..” aderire al Consorzio di
Solidarietà Sociale?
Già dai precedenti items, si evincono informazioni utili per un primo
monitoraggio del “livello” di qualità dei servizi nella realtà di studio.
Le ultime domande (vedi item successivo) della scaletta di intervista,
proprio per il fatto di essere esplicite, non avrebbero dovuto lasciare
spazio ad ambiguità di interpretazione, se non dovute a difficoltà di
“concettualizzazione” della questione stessa, favorendo un’autocritica da
parte del mio interlocutore.
LA PERCEZIONE DELLA QUALITA’
23) Cosa significa (sulla base della tua esperienza professionale) offrire
un servizio di “alta qualità” ?
24) Come si promuove la qualità?
24) Cos’è di ostacolo al suo raggiungimento?
Queste domande, poste a conclusione dell’intervista, si potrebbero
definire di conferma delle risposte precedentemente date. L’intera
scaletta è percorsa, infatti, da un filo conduttore, che qui si rende
esplicito. Il tema di quest’ultimo item s’intitola “La percezione della
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qualità”. Percezione, perché comunque non si può esaurire in sole tre
domande (ma neppure in dieci o venti!) un concetto così complesso, dalla
natura multidimensionale.
Il riferimento, per gli operatori, non poteva che essere, quindi, alla
propria esperienza personale di lavoro, nei servizi per disabili.