Introduzione
L'estensione territoriale assunta dai fenomeni criminali rende necessaria l'adozione di
nuove strategie e di strumenti idonei a contrastare un fenomeno avente effetti
transnazionali. Da alcuni anni in sede internazionale sono stati fatti passi avanti nella
predisposizione di misure penali di natura non solo sanzionatoria e dunque repressiva,
ma anche preventiva.
Il fenomeno della cooperazione giudiziaria non può essere limitato ai Paesi dell'Unione
europea, posto che alcune manifestazioni di criminalità organizzata presuppongono
rapporti sempre più frequenti con Paesi quali gli Stati Uniti, l'America latina, i Paesi
dell'est-europeo.
Fatte queste necessarie premesse, diviene quanto mai auspicabile la previsione di
strumenti di semplificazione nel caso di attività investigative o processuali che vedano
implicate autorità giudiziarie di diversi Stati.
In ambito comunitario, una cooperazione efficace richiede il progressivo
riavvicinamento degli ordinamenti giudiziari nazionali, con l'introduzione di norme
minime comuni in merito alla definizione dei reati e delle sanzioni applicabili nei casi di
criminalità transnazionale. Pertanto si auspica una tendenziale armonizzazione delle
legislazioni nazionali nell'individuazione di norme uniformi che disciplinino istituti
come l'assunzione delle prove e l'utilizzazione processuale delle medesime, operando
quanto più possibile nel rispetto del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni
giudiziarie e del progressivo abbandono di posizioni eccessivamente stataliste e non
idonee alla realizzazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia.
A livello internazionale, l'ostacolo principale alla cooperazione in materia penale è
costituito dall'accentuazione delle differenze tra i diversi ordinamenti giuridici.
Presupposto indispensabile per un' efficace attività di cooperazione è la conoscenza dei
sistemi giuridici degli altri Paesi, soprattutto per quanto riguarda i principi
fondamentali e le norme sostanziali e processuali.
7
Sono dunque necessari programmi di formazione comune delle autorità giudiziarie sul
modello del Programma Falcone, adottato per il quadriennio 1998-2002 ed avente ad
oggetto la promozione di iniziative di scambio per la formazione dei soggetti
responsabili della lotta alla criminalità organizzata.
Particolare attenzione deve essere dedicata anche all'operare di organi di polizia
operanti a livello sovrastatale, quali l'Europol in ambito comunitario e l'Interpol in
campo internazionale, la cui attività diviene fondamentale soprattutto nella fase delle
indagini preliminari.
I rapporti tra i diversi organi deputati alla conduzione dell'attività investigativa devono
ispirarsi al rispetto del principio di leale collaborazione, il che in termini pratici si
traduce in una semplificazione procedurale sia in merito allo scambio di informazioni,
che alla conduzione di altre attività investigative. Deve, poi, essere promossa la
costituzione di squadre investigative comuni per una gestione comune e centralizzata
delle attività di indagine e acquisizione di atti, così da eliminare ogni possibile dilazione
connessa alle fisiologiche lungaggini della procedura rogatoria.
Possono dunque comprendersi gli sforzi compiuti negli ultimi decenni per lo sviluppo di
sinergie e azioni comuni, con la consapevolezza che la tutela nazionale non può più
prescindere dalla sicurezza internazionale.
8
CAPITOLO I
La criminalità organizzata e le mafie
1.1-Considerazioni generali—1.2-Storia della principale associazione criminale
italiana: Cosa Nostra – 1.3- Uno sguardo sull'Italia—1.3.1-La 'Ndrangheta-- 1.3.2-La
Camorra e il mito della Bella Società Riformata—1.3.3-La Sacra Corona Unita – 1.4-
La DIA dal '92 a oggi – 1.4.1-Mafia e antimafia—1.4.2- La DIA—1.5-La mafia si
insedia in America--1-5-1-Storia delle associazioni criminali negli USA--1.5.2 – La
storia della mafia americana attraverso i racconti dei suoi affiliati--1.5.3 – Inefficacia
degli strumenti federali nel contrasto alla criminalità: dall'incontro di Apalachin
all'implementazione del “Buffalo Project”
1.1—Considerazioni generali
La criminalità non è una piaga del sistema italiano, né un male di recente formazione,
ma affonda le sue radici nei secoli passati ed è arduo determinarne le origini.
L'elemento differenziale delle nuove forme di criminalità è rinvenibile nella creazione
di strutture organizzate, di associazioni illegali che cercano di infiltrarsi nei poteri
ufficialmente riconosciuti, in modo da investire i propri capitali nei circuiti
dell'economia legale.
In primo luogo bisogna sfatare un mito comune: la criminalità organizzata non si
esaurisce nella criminalità di stampo mafioso, ne rappresenta solo un aspetto, sebbene il
più oscuro e difficile da contrastare. Infatti non si può trascurare il fenomeno del
terrorismo, tuttavia “più lunga e difficile è la lotta alla mafia, perché il terrorismo è altro
rispetto a noi, rispetto alla nostra società, mentre inestricabili sono gli intrecci con le
mafie”
1
.
1
Saggio di Gian Carlo Caselli e Antonio Ingroia : “Mafia di ieri, mafia di oggi: ovvero cambia
9
Proprio questo è il punto cruciale: l'odierna criminalità di stampo mafioso si presenta
come un sistema ben strutturato e distribuito in modo eterogeneo sul territorio non solo
nazionale, ma fin oltreoceano. Sicuramente nel Mezzogiorno d'Italia si è costituita
l'ossatura di questo sistema criminale, ma si è poi assistito a un fenomeno di
sprovincializzazione delle mafie italiane, che avrebbero valicato i confini nazionali per
giungere sino in America e nella lontana Australia alla ricerca di nuovi affari.
2
Facendo tuttavia qualche passo indietro e analizzando il fenomeno mafioso da una
prospettiva storico criminale, non si possono nascondere luci e ombre che hanno da
sempre avvolto questo tema. Legittimi sono stati gli interrogativi sulla reale natura
delle organizzazioni criminali, ma poco giustificati sono i continui ripensamenti
all'esistenza delle mafie. Una sorta di negazionismo sembra essere emerso di recente,
negazionismo sicuramente decostruttivo e poco rispondente alla realtà. Numerose sono
state le testimonianze di collaboratori di giustizia, primi tra tutti Tommaso Buscetta e
l'americano Joe Valachi, che hanno dato un contributo importante alla ricostruzione del
fenomeno mafioso in Italia e oltreoceano, all'individuazione dei suoi caratteri
fondamentali e all'identificazione degli elementi di differenziazione rispetto alle altre
organizzazioni criminali.
1.2—Storia della principale associazione criminale in Italia
Cosa Nostra
Il fenomeno criminale non è un'emergenza, ma un dato strutturale. Diverse sono le
organizzazioni criminali che fin dalla nascita dello Stato italiano hanno operato sul
ma si ripete...”
2
Enzo Ciconte: “ Storia criminale. La resistibile ascesa di mafia, 'ndrangheta e camorra dall'800
ai giorni nostri” 2008
10
nostro territorio, mantenendo una propria identità e non rinunciando a conservare
precise regole, nonostante le molteplici interconnessioni con altri gruppi di potere.
La più nota associazione criminale è la mafia siciliana, o, come si sentiva dire fino a
qualche tempo fa, la maffia. Nel dialetto palermitano l'aggettivo “mafioso” era sinonimo
di “ardito”, “bello”, un'accezione dunque positiva e sicuramente lontana dall'attuale
significato del termine. Nell'opera teatrale I mafiusi della vicaria viene usata per la
prima volta la parola mafiusi, per designare giovani sicuri di sé e desiderosi di
combattere le ingiustizie sociali per la difesa dei più deboli. Una mafia buona,
onorevole, che lotta per i bisognosi, una mafia costituita da uomini d'onore che operano
nel rispetto di precisi valori: questo mito della mafia delle origini altro non è che una
finzione, qualcosa che non è mai esistito o che è stato eccessivamente stilizzato, così da
conferire un'aura quasi sacrale a un'organizzazione basata su definiti principi regolatori
dei rapporti tra gli associati, quali l'omertà, l'onore o il senso di responsabilità.
Stando alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia che per primo
rivelò a Giovanni Falcone alcune regole della mafia, il codice d'onore è molto più di un
elenco di regole, ma conferisce all'organizzazione un'identità. Il binomio onore-fedeltà è
indissolubile e chi vuole fare carriera all'interno deve sempre dimostrarsi obbediente e
disponibile, mantenendo discrezionalità e riservatezza, così che ognuno sa quello che
deve sapere, nulla di più.
L' onorata società mafiosa esige dai propri membri una fedeltà che va oltre i tradizionali
vincoli di sangue, l'affiliato deve anteporre gli interessi di Cosa Nostra a quelli dei suoi
familiari e entrare a far parte dell'associazione significa divenirne un soldato fidato, un
servitore obbediente, tanto che il giudice Falcone era solito paragonare l'ingresso nella
mafia ad una vera conversione religiosa, “non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi”
3
La religione dei mafiosi genera un senso di appartenenza e di identità, aiuta gli uomini
d'onore a giustificare le loro azioni, basti pensare che l'autore della strage di Capaci,
Giovanni Brusca, era solito pregare prima di un omicidio e un giorno addirittura
3
Giovanni Falcone e Michele Padovani in “Cose di Cosa Nostra”, 1991.
11
affermò che “Dio sa che sono loro che vogliono farsi uccidere e che io non ho colpa”
4
.
Fedeltà vuol dire anche rispetto del codice del silenzio e obbedienza incondizionata:
“umiltà importa rispetto e devozione alla setta ed obbligo di guardarsi da qualunque
atto che può nuocere direttamente o indirettamente agli affiliati”
5
.
Proprio da quel senso di umiltà, in dialetto siciliano “umirtà”, si ritiene sia derivata la
parola omertà, cioè l'obbligo di non parlare alla polizia e di non tradire mai
l'organizzazione. Maestrali e quasi paradossali sono i silenzi assordanti dei mafiosi,
documenti preziosi, che bisogna saper ascoltare in quanto rivelatori di verità altrimenti
inconoscibili.
6
Tuttavia anche l'omertà non si è sottratta al fluire della storia, i mafiosi hanno
cominciato a parlare, a rivelare i segreti dell'organizzazione in cambio della protezione
accordata loro dallo Stato, tanto che la reticenza ora avvolge le vittime, prede del timore
che la forza criminale è capace di incutere e della paura di divenire nemici della mafia
nel caso in cui si decida di atteggiarsi a paladini della giustizia.
Sicuramente molto problematica è stata la questione relativa alla natura del fenomeno
mafioso, per le incertezze relative all'esistenza o meno di una struttura gerarchica che
regolasse i rapporti tra i suoi membri.
Appartiene infatti al passato l'idea che la mafia non sia un'organizzazione formalmente
costituita, ma solo una sorta di spirito di soverchieria e di prepotenza, che non ha
bisogno di norme regolatrici e si esercita per istinto.
7
Questa concezione era in linea con
l'idea di una mafia buona, che si esprimeva in una sorta di spirito di braveria e di
4
Testimonianza del pentito Giovanni Brusca riportata da John Dickie in “Cosa Nostra. A history
of the Sicilian Mafia” 2004.
5
Citazione tratta dal primo rapporto sulla mafia redatto dal Barone Turrisi Colonna nel lontano
1864, intitolato “Pubblica sicurezza in Sicilia nel 1864”.
6
Riflessione del professore di “storia della criminalità organizzata” Enzo Ciconte, in “Ricerca
storica e conoscenza della criminalità mafiosa”, 2004.
7
Nicola Russo in “Antologia della mafia”, 1964.
12
galantomismo.
La mafia, dunque, non era considerata né una setta, né tantomeno un'associazione, non
avendo regole fisse o capi riconosciuti. Il fenomeno veniva pertanto sottovalutato e se
ne negava addirittura il fine criminoso, tanto da sostenere che “non sempre la mafia ha
come scopo il male; talora, anzi non di rado, si propone il bene”.
8
“La mafia è la coscienza del proprio essere, l'esagerato concetto della forza
individuale. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre”
9
. Concezione
tanto irreale quanto ormai lontana dalla realtà: dopo i turbolenti anni '90 e la scoperta
della reale struttura dell'organizzazione non ha più senso parlare di sentimento o spirito
di mafia, che “ consiste nel reputare segno di debolezza o di vigliaccheria il ricorrere
alla giustizia ufficiale, alla polizia e alla magistratura (…); è una maniera di sentire
che, come la superbia, come l'orgoglio, come la prepotenza, rende necessaria una certa
linea di condotta in un dato ordine di rapporti sociali”
10
.
La mafia ha sviluppato una propria strategia per consolidare la sua struttura
organizzativa: contenere il numero di delitti così da ridurre le indagini, ma cercare di
ottenere il massimo guadagno illecito. Cosa Nostra ha portato avanti una vera crociata
contro i potenti capi delle cosche avversarie o contro illustri uomini politici e magistrati,
ha cercato di rafforzare il controllo sul territorio siciliano e ha curato poco i rapporti con
cosche criminali oltreoceano, perdendo tuttavia la possibilità di concludere affari
milionari e lasciando spazio alle 'ndrine calabresi.
Si è poi a lungo sostenuto che un elemento essenziale nella lotta alla mafia è
rappresentato dallo strumento confessorio: la principale prova giuridica contro il
mandante di un delitto è data dalla confessione del mandatario, tuttavia gli esecutori
materiali non confessano facilmente a causa dei gravi rischi per loro stessi e per i loro
familiari derivanti dalla loro collaborazione con la giustizia, a fronte di sconti di pena
8
Napoleone Colajanni in “Nel regno della mafia” , 1900.
9
Giuseppe Pitrè in “Usi e costumi del popolo siciliano”, 1889.
10
Gaetano Mosca in “ Che cos'è la mafia”, 2002.
13
esigui. A tal proposito, di buon auspicio sono state le parole del procuratore della
Repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli, che, fin dai primi anni '90, sottolineava come
poche potessero essere le chances di successo nelle indagini per delitti di mafia senza
una seria politica di incentivazione dei pentimenti, rendendo noti quei segreti la cui
conoscenza è necessaria per disarticolare dall'interno la struttura organizzativa.
Proprio in quest'ottica vi è stata l'adozione di una legislazione premiale volta a
incentivare il pentitismo e ciò ha fatto sì che attualmente sono le vittime, più deboli, a
non parlare, al contrario i mafiosi hanno parlato e continuano a rivelare informazioni
importanti sugli affari conclusi e sul sistema di protezione che la mafia è riuscita a
creare. E' in quest'abilità di tessere legami con i vari attori sociali che si può individuare
il punto di forza dell'organizzazione criminale, è la cosiddetta “mafia in guanti
gialli”
11
che ha rafforzato la società mafiosa. I collegamenti criminali vanno al di là della
mera contiguità, poco credibili possono apparire le parole di Vito Ciancimino, che,
eletto sindaco di Palermo nei lontani anni '70, nel corso di una conferenza stampa arrivò
a sostenere che “la mafia è una mentalità”
12
ed è probabile che esistano rapporti tra
mafia e politica, ma si deve escludere che la mafia riesca a corrompere i politici. Basti
però pensare che egli stesso, dopo solo qualche anno, sarebbe stato condannato a tredici
anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso.
I legami tra le famiglie mafiose e gli uomini politici sono già evidenti nei primi anni del
'900 e vengono confermati dalla ben nota sentenza Notarbartolo: l'onorevole Raffaele
Palizzolo venne accusato di essere il mandante dell'omicidio del marchese Emanuele
Notarbartolo, esponente di spicco dell'elite siciliana ma nemico della mafia per la sua
ostinazione nel combattere la corruzione alle dogane. Nonostante le prove schiaccianti a
carico dell'accusato, lo stesso rimase impunito e la sentenza di condanna venne
annullata dalla Corte di appello di Bologna per vizio di forma.
11
Nota 10
12
Matteo Tocco in “Libro nero di Sicilia. Dietro le quinte della politica, degli affari e della cronaca
della regione siciliana” 1972.
14
Nei decenni successivi e principalmente in epoca fascista si tentò di debellare la
criminalità organizzata ricorrendo a strumenti repressivi. In tema di strumenti probatori
si assiste ad una semplificazione processuale, tanto che i semplici “si dice, si sostiene”
assumono valore di piena prova nei confronti di soggetti già sospettati di associazione
mafiosa. Le promesse del regime tuttavia non furono mantenute, l'impegno formale
assunto dallo stesso Mussolini nel disarticolare definitivamente le organizzazioni
criminali non venne rispettato e la strategia poliziesca si dimostrò del tutto fallimentare.
In quegli anni il prefetto di Palermo, Cesare Mori, era solito sostenere che lo Stato
doveva dimostrarsi più mafioso dei mafiosi, ed egli stesso, ben noto come “il prefetto di
ferro”, divenne il protagonista principale dell'assedio di Gangi ordinato da Mussolini
per contrastare in modo diretto la mafia. Inoltre in una nota dichiarazione del 10
gennaio 1926, Mori mostrò tutta la sua tenacia nello spiegare ai cittadini siciliani
l'impegno costante per la lotta alla mafia: “io non disarmo. Il governo non disarma. Voi
avete diritto di essere liberati dalla canaglia e lo sarete. L'azione sarà condotta fino a
quando tutta la provincia di Palermo sarà redenta”.
13
Il regime fascista non poteva tollerare l'esistenza di uno Stato nello Stato, l'invito a
rimanere tranquillo, fatto dal sindaco di Piana dei Greci al presidente del consiglio
Mussolini durante il suo viaggio in Sicilia, non poteva non essere inteso come un vero e
proprio affronto al regime fascista: “Voscenza, signor capitano,... è cu mia...sotto la mia
protezione, Che bisogno aveva di tanti sbirri”
14
. Queste parole pronunciate da
Francesco Cuccio destarono un senso di preoccupazione nel duce, che si convinse della
necessità di ricorrere ad azioni repressive per imporre l'autorità fascista nell'isola.
Tuttavia il bilancio conclusivo sicuramente disattese le aspettative, l'uso della forza si
dimostrò inefficace e l'idea secondo la quale lo Stato è più duro degli uomini d'onore e
deve battere la mafia dimostrandosi più mafioso dei mafiosi risultò del tutto
inappropriata. In particolar modo la tutela dei latifondisti, che da sempre avevano
13
Arrigo Petacco “Il prefetto di ferro” 1975.
14
Pasquale Faseli in “Siamo tutti mafiosi” 2010.
15
sostenuto la mafia e si erano avvalsi della sua forza per conservare i propri privilegi, fu
senza dubbio una delle cause principali del fallimento dell'azione antimafia portata
avanti dal fascismo.
Nei decenni successivi la connivenza tra mafia e politica sicuramente non venne meno,
al contrario si rafforzò nel secondo dopoguerra e negli anni della ricostruzione i capitali
mafiosi riuscirono a penetrare nel circuito legale degli appalti edilizi.
In seguito alla vittoria della DC e all'affermazione di uomini politici come Salvo Lima e
Vito Ciancimino, l'edilizia divenne il settore dove maggiore era la presenza di interessi
mafiosi. La convivenza tra l'affarismo criminale e le istituzioni si rafforzò al punto che
garantire licenze edilizie a favore di costruttori di sospetta fama o operare deroghe ai
piani regolatori rappresentava una prassi costante.
Accadeva spesso che soggetti privi delle autorizzazioni necessarie per l'esercizio
dell'attività edilizia o addirittura non iscritti all'albo dei costruttori edili risultassero
aggiudicatari di lavori pubblici.
Non è però corretto parlare di esistenza di partiti mafiosi: la mafia non riusciva a
condizionare un intero partito mafioso e anche la DC, che secondo le relazioni della
Commissione antimafia strinse numerosi contatti con le associazioni criminali, si servì
di questi legami e accettò i voti mafiosi nell'ottica di un preciso progetto politico. La
paura del pericolo comunista rendeva necessaria l'esistenza di un governo stabile e la
costituzione di partiti politici capaci di fronteggiarne la minaccia.
Lo spettro del comunismo determinò un rafforzamento anche dei rapporti con gli USA,
tanto da pensare che fosse stato già preparato un progetto di colpo di Stato con il
coinvolgimento di inglesi e americani in caso di presa del potere da parte del PCI.
A tal proposito, si è addirittura ipotizzato un interesse degli USA nella strage di Portella
delle Ginestre del 1 Maggio del 1947, che causò la morte di undici persone e per la
quale venne indicato come autore materiale il bandito Salvatore Giuliano.
Sono stati provati rapporti tra quest'ultimo e gli ambienti neofascisti, al punto da
pensare che gli americani abbiano voluto far capire al PCI che ogni tentativo di prendere
il potere sarebbe stato ostacolato con modi più o meno democratici: l'Italia aveva scelto
di schierarsi nel blocco filo-occidentale e ogni legame con l'URSS doveva essere reciso.
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