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mondiali utilizzando il metodo della convergenza sigma e quello della
convergenza beta.
Il risultato è che malgrado negli ultimi anni le economie in via di sviluppo
abbiano presentato un tasso di crescita leggermente superiore rispetto
alle economie avanzate, nel complesso non è possibile rilevare alcun
processo di convergenza se non con riferimento al 2009, anno in cui la
grave recessione ha colpito duramente le economie più avanzate
favorendo un riavvicinamento ad esse pur se minimo delle economie più
povere.
La mia analisi quindi non fa altro che confermare quanto già altri studiosi
avevano dimostrato vale a dire che non è possibile ridurre il discorso della
convergenza alle sole variabili del PIL pro capite e del tasso di crescita ma
occorre tenere in considerazione altre variabili che non consentono alle
singole economie di convergere nel lungo periodo. Le condizioni di
partenza di ciascun paese differiscono troppo perché si possano
prevedere fenomeni di crescita uniformi e soprattutto la storia ha dato
prova di come alcuni paesi siano rimasti totalmente estromessi dal
processo di trasmissione della tecnologia e delle conoscenze necessarie
ad un miglioramento strutturale delle singole economie.
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PRIMO CAPITOLO
CRESCITA E CONVERGENZA: CONTRIBUTI TEORICI
Prima di affrontare il tema della convergenza economica ritengo
opportuno prendere in esame le principali teorie della crescita elaborate
negli anni dagli economisti. Le teorie della crescita economica ci
consentono di capire meglio i processi di sviluppo e ci permettono
soprattutto di capire quali siano le domande cruciali alle quali dedicare
maggior attenzione. Senza perdere di vista i fatti.
La crescita ha subìto un’accelerazione soprattutto negli ultimi anni; ci sono
stati casi di crescita sostenuta che ha comportato l’avvicinamento di alcuni
paesi in via di sviluppo ai paesi avanzati (tra cui alcuni veri e propri
miracoli localizzati nella regione del sud-est asiatico, le cosiddette tigri
asiatiche) ma anche molti casi di regresso e di allontanamento dai paesi
ricchi (nell’Africa subsahariana), specie negli ultimi anni.
Inizierò con l’esporre le teorie elaborate dagli economisti classici per
arrivare poi alle teorie più recenti che mi consentiranno di introdurre il
tema principale della mia tesi.
1.1 LA TEORIA CLASSICA DELLA CRESCITA
Lo scopo principale degli autori classici era la spiegazione delle cause e
delle conseguenze della ricchezza di una nazione. In quanto segue
ripercorro a grandi linee le teorie dei tre più importanti autori classici,
Adam Smith, Thomas Robert Malthus e David Ricardo. Fornirò anche
brevi cenni ai contributi di Karl Marx e Joseph Schumpeter.
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1.1.1 ADAM SMITH
Per Adam Smith il lavoro è “il fondo dal quale ogni nazione trae in ultima
analisi tutte le cose necessarie e comode della vita” (Smith, 1973, p.3). Il
lavoro si distingue in produttivo e improduttivo: produttivo è quel lavoro
che aggiunge valore a quello della materia alla quale è applicato come ad
esempio il lavoro del manifatturiere che si realizza in alcune merci
destinate alla vendita; improduttivo, invece, il lavoro che non si fissa in
oggetti o merci come, ad esempio, quello dei domestici, degli impiegati
pubblici, dei professionisti. La differenza tra il prodotto sociale, ossia
l’aggregato delle merci prodotte, e il consumo dei lavoratori impiegati nella
produzione dei prodotti finali e dei mezzi della produzione è il sovrappiù. Il
prodotto sociale si divide tra le classi nella forma di salari, rendite e profitti.
Smith suppone che i salari siano totalmente consumati dai lavoratori per la
loro sussistenza e riproduzione, e che le rendite dei proprietari terrieri
vengano spese per servizi improduttivi e beni di consumo di lusso. La
quota del prodotto che viene appropriata dai fittabili e dai manifatturieri,
ossia dagli imprenditori capitalisti, invece, una volta detratta una parte per
i consumi, sarà risparmiata e destinata a dare occupazione a nuovi
lavoratori produttivi e, quindi, ad espandere la produzione. La crescita,
quindi, dipende in primo luogo dal sovrappiù e da quanta parte di esso è
risparmiata e accumulata, ossia reimpiegata nella produzione. Dato il
sovrappiù e la sua parte impiegata produttivamente, la crescita sarà tanto
maggiore quanto più ampio è il mercato e, di conseguenza, più estesa e
avanzata è la divisione del lavoro. Secondo Smith, infatti, “poiché la
possibilità di scambiare è la causa originaria della divisione del lavoro, la
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misura in cui la divisione del lavoro si realizza non può che essere limitata
dalla misura di tale possibilità o, in altre misure, dall’ampiezza del
mercato”(ivi, p.21). La divisione del lavoro è “la causa principale del
progresso nelle capacità produttive del lavoro” (ivi, p.9), perché quanto
essa è maggiore tanto più aumenta la quantità di lavoro che lo stesso
numero di persone riesce a svolgere. Ciò dipende da tre cause: la
maggior destrezza del singolo operaio, il risparmio di tempo che in genere
un operaio perde nel passaggio da una mansione all’altra, l’invenzione di
un gran numero di macchine che facilitano e abbreviano il lavoro.
Possiamo dunque fare le seguenti osservazioni:
¾ Smith identifica i principali fattori della crescita che si ritrovano
anche nella moderna teoria economica: l’impiego del risparmio dei
capitalisti nell’occupazione di lavoratori produttivi (accumulazione),
l’abilità dei lavoratori (capitale umano), l’invenzione e l’introduzione
di macchine (progresso tecnico).
¾ Viene attribuita grande importanza all’estensione del mercato, ossia
della domanda, e si dà molto rilievo al mercato estero e al
commercio internazionale.
¾ Se si suppone che il tasso di accumulazione sia superiore al tasso
di crescita della popolazione, l’aumento degli investimenti degli
imprenditori capitalisti sottrarrà lavoratori a impieghi improduttivi,
modificando, quindi la divisione sociale del lavoro. E’ ciò che,
secondo Smith, è avvenuto passando dal sistema feudale a quello
capitalistico che si stava affermando al suo tempo.
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Lo studio delle cause della crescita del prodotto e della prosperità di un
paese implica, quindi, per Smith la considerazione di fattori e cambiamenti
che riguardano l’intera struttura economica e sociale. Un altro aspetto
fondamentale dell’opera di Smith è il continuo richiamo alla struttura delle
istituzioni sociali che imbrigliano e incanalano le motivazioni pecuniarie e
solo tenendo conto di essa si può comprendere secondo Smith perché
paesi ricchi di risorse naturali abbiano potuto restare poveri e altri, con
scarse risorse, abbiano raggiunto alti livelli di sviluppo. Smith aveva quindi
piena consapevolezza dei differenti livelli di sviluppo esistenti al suo tempo
tra i paesi dell’Occidente europeo e quelli degli altri continenti. Egli,
tuttavia, riteneva che in futuro le varie parti del mondo potessero pervenire
ad “una eguaglianza di coraggio e forze” in grado di impedire la
sopraffazione degli uni sugli altri attraverso un reciproco scambio di
conoscenze e di progressi di ogni specie. Si tratta dunque di una visione
piuttosto ottimistica. Molto meno ottimistica è invece la visione di Malthus
1.1.2 T. R. MALTHUS
Essay on Population (1798) contiene il più famoso contributo di Malthus
alla teoria economia. In esso l’autore analizza la tendenza della
popolazione a reagire a variazioni nell’output, così da mantenere il salario
invariato e a generare una stagnazione di lungo periodo.
Secondo la sua teoria della popolazione, la crescita della produzione e
dell’occupazione avrebbe determinato un aumento dei salari e, di
conseguenza del loro maggior benessere, gli operai sarebbero stati indotti
a contrarre matrimoni in età precoce e ad avere un maggior numero di
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figli. Dato che il numero dei salariati sarebbe cresciuto secondo una
progressione geometrica e la produzione agricola solo in progressione
aritmetica, l’accresciuta domanda di cibo non avrebbe potuto essere
soddisfatta e si sarebbe determinata, così, una situazione di disequilibrio.
Estendendosi di necessità la coltivazione a terre sempre meno fertili e
meno produttive, i prezzi dei prodotti agricoli sarebbero aumentati, vi
sarebbero state scarsità, carestie e un conseguente aumento delle
malattie e del tasso di mortalità, che avrebbero riportato nuovamente la
popolazione al livello preesistente. Perché l’equilibrio tra produzione e
popolazione possa stabilirsi senza che si renda inevitabile un aumento del
saggio di mortalità, sarebbe necessario esortare gli uomini fino ad una
certa età ad astenersi dal matrimonio conservando la castità. Un altro
aspetto importante della teoria di Malthus è quello che riguarda il rapporto
tra distribuzione del reddito e crescita. Secondo Malthus, come è errato
incoraggiare matrimoni e nascitre senza che vi sia un aumento di risorse
adeguato a mantenerlo, così è vano, per avere un aumento della
ricchezza, continuare a convertire il reddito in capitale, senza che ci sia un
adeguata domanda dei prodotti di questo capitale. Poiché i consumi delle
classi produttive, ossia dei lavoratori e dei capitalisti, consistono, nel caso
dei primi nei beni di sussistenza, e, nel caso dei secondi sono limitati dal
fatto che il loro obiettivo primario è quello di accumulare ricchezza, una
domanda adeguata alla produzione richiede che un paese dotato di grandi
capacità produttive possegga un numero cospicuo di consumatori, non
occupati a loro volta nella produzione. Tra questo tipo di consumatori i
proprietari fondiari occupano senza dubbio un posto preminente e le loro
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spese, destinate a consumi di lusso e a mantenere lavoratori improduttivi,
sono necessarie perché la produzione non sia sovrabbondante rispetto
alla domanda effettiva dei prodotti.
1.1.3 DAVID RICARDO
Le idee di Ricardo sulla crescita sono strettamente legate a quello che egli
considerava il problema centrale dell’economia politica, ossia la ricerca
delle leggi che regolano la distribuzione del prodotto tra le tre classi della
comunità: i proprietari terrieri, i capitalisti e i lavoratori. Poiché la crescita
dipende essenzialmente dall’accumulazione del capitale, essa, a parità di
altre condizioni, sarà tanto maggiore quanto più elevati sono i profitti dei
capitalisti e, poiché il profitto è determinato nella sua teoria, in modo
residuale, una volta dedotti dal reddito totale rendite e salari, l’andamento
dell’accumulazione e della crescita dipenderanno dalle variazioni delle
rendite e dei salari. Il salario è determinato dal prezzo dei beni che
servono alla sussistenza dei lavoratori; se questo aumenta allora i profitti
dovrebbero diminuire. Dato che il miglioramento della produttività del
lavoro tende a diminuire il valore delle merci manufatte, la causa di un
aumento dei salari deve essere ricercata nell’aumento dei prezzi dei
prodotti agricoli dovuto alla quantità supplementare di viveri richiesta dallo
sviluppo della società e della ricchezza che comporta la coltivazione di
estensioni sempre maggiori di terra e l’impiego di maggior lavoro nella loro
coltivazione. Questo processo implica, come già aveva sostenuto Malthus,
la coltivazione di terre sempre meno fertili che nel lungo periodo dovrebbe
annullare i profitti fermando la crescita dell’economia e portando il sistema
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ad uno stato stazionario (pessimismo ricardiano). Si possono fare alcune
osservazioni da quanto sopra riportato:
a) La teoria di Ricardo introduce nell’economia politica il conflitto
distributivo tra le classi sociali.
b) Un altro contributo importante di Ricardo riguarda il rapporto tra
introduzione delle macchine, occupazione e remunerazione del
lavoro e, quindi, le conseguenze dell’innovazione tecnologica.
1.1.4 MARX e SCHUMPETER
Non mi soffermerò sull’importantissimo lavoro svolto da Marx ne “Il
Capitale” e nella altre opere economiche da lui scritte. Non lo faccio non
perché non sia importante il suo contributo..anzi..è solo troppo vasto da
dedicargli un solo paragrafo della mia tesi. E’ per questo motivo che mi
limiterò a sottolineare un aspetto che secondo me è più utile prendere in
esame al fine di mantenere un certo collegamento con gli altri economisti
di cui parlo in questo capitolo. Tra i suoi importanti contributi, quello che
forse più rileva ai nostri fini è l’attenzione al progresso tecnico come
aspetto centrale nella crescita di un paese. Marx attribuiva al fattore
tecnologico il ruolo centrale nel processo di crescita di un paese. Egli
vedeva il progresso tecnologico come il risultato di una continua lotta fra le
imprese che utilizzano le innovazioni come strumento di concorrenza. Egli
sosteneva, tuttavia, che nel lungo periodo in un’economia di tipo
capitalistico, l’inevitabile formazione di grandi monopoli facesse venir
meno gli incentivi per migliorare le tecniche di produzione.
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L’economia è quindi destinata a sperimentare crisi sempre più profonde,
con una continua caduta del saggio di profitto. La sviluppo del sistema di
produzione capitalistico è quindi un fenomeno momentaneo, destinato a
sfociare in una grande crisi. Come detto tale progresso tecnico non è visto
come un fenomeno esogeno al campo economico, ma anzi come
strumento usato dai grandi capitalisti per competere fra loro per
conquistare la maggior quota di mercato. La concorrenza era quindi per
Marx, più che una rappresentazione statica di un numero molto elevato di
imprese in un mercato molto ampio, una rappresentazione dinamica dove
poche imprese oligopolistiche competono per la conquista del mercato.
Questo modo di vedere la concorrenza e la sua rilevanza nello spiegare la
crescita di un paese è stato ulteriormente sviluppato da Joseph
Schumpeter.
Quest’ultimo descrive nel suo libro Teoria dello Sviluppo Economico del
1912 come il progresso tecnologico sia il fulcro della crescita di un paese.
Egli distingue, tuttavia, le scoperte scientifiche,non guidate da motivi
economici, dalle innovazioni, ossia le applicazioni di queste scoperte al
mondo produttivo. La figura dell’imprenditore che cerca,
mediante l’attività innovativa, di sconfiggere i concorrenti è l’aspetto
cruciale della teoria schumpeteriana della crescita. L’imprenditore
innovatore gode, nel lasso di tempo che intercorre tra la propria
innovazione e quella successiva, dei profitti derivanti dalla sua posizione
monopolistica sul mercato; tuttavia questi profitti rappresentano anche lo
stimolo per altri imprenditori ad innovare e a distruggere quindi il suo
potere di monopolio. La crescita è il risultato della continua introduzione di