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La terza ed ultima sezione di questo lavoro consisterà nella presentazione di uno studio
empirico che si pone come obiettivo l’analisi del processo di convergenza avvenuto tra
alcuni paesi fra quelli che recentemente hanno costituito l’allargamento dell’Unione
Europea ed i paesi firmatari del trattato di Maastricht. Verranno svolte analisi a livello
aggregato e settoriale sui livelli di produttività di Estonia, Lettonia, Ungheria, Polonia,
Slovacchia e dei paesi che formavano l’Unione Europea a quindici, esponendo ed
applicando un metodo che possa misurare il peso, all’interno del processo a livello
aggregato, da attribuirsi ai cambiamenti strutturali.
3
1 La convergenza
1.1. Convergenza: definizione ed evidenza empirica
All’interno dello studio sulla crescita molto interesse è stato riposto nell’analisi del
fenomeno della convergenza. Spiegare in cosa consiste la convergenza economica
partendo dalla letteratura in proposito significa interessarsi ad un soggetto complesso
e dalle molteplici sfacettature, senza dubbio però possiamo riconoscere un tema
comune nel quale si afferma l’idea che la posizione relativa dei livelli di produzione
pro capite, o alternativamente di produzione per lavoratore, di un paese, o di una
regione, all’inizio di un periodo considerato, ne condiziona le sucessive opportunitá
di crescita. In particolare sembrano emergere una serie di forze che spingono ad
accellerare il tasso di crescita di paesi inizialmente arretrati nel processo di
industrializzazione rispetto al tasso presente in quei paesi che si ritrovano in uno
stadio più avanzato di tale processo ottenendo come risultato finale l’emergere di una
tendenza dei livelli generali di benessere delle differenti economie a eguagliarsi nel
lungo periodo.
Per analizzare il fenomeno sono stati distinti differenti concetti di convergenza. Il
concetto più intuitivo di convergenza si individua nella correlazione negativa tra
livelli iniziali di produttività e tassi di crescita nel successivo intervallo temporale. In
letteratura questo concetto di convergenza è indicato come convergenza di tipo β
(beta). Esiste poi un secondo concetto di convergenza elaborato e sviluppato, tra gli
altri, da Easterlin (1960), Streissler (1979), Barro e Sala-i-Martin riguardante la
dispersione cross section. In questo contesto rileviamo il fenomeno della
convergenza se la dispersione, misurata per esempio dalla deviazione standard del
logaritmo del Pil pro capite in un gruppo di stati o regioni, diminuisce nel tempo.
Questo processo è chiamato convergenza σ (sigma). La convergenza sia di tipo β che
σ, così come spiegate, è anche detta convergenza assoluta poiché si suppone che le
differenti economie nel lungo periodo tendano a raggiungere gli stessi livelli di Pil
pro capite o produttività. Alla base di questo ragionamento sta la considerazione che
tali economie presentino gli stessi parametri per quanto riguarda propensione al
risparmio, tasso di crescita della popolazione, tasso di deprezzamento del capitale e
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tipo di funzione di produzione. Abbandonando tali ipotesi le economie avranno
equilibri differenti e sarà necessario modificare il concetto di convergenza assoluta
per spingerci verso un concetto di convergenza condizionale. L’idea sottostante, in
questo contesto, non è più che le economie più povere crescano più velocemente di
quelle ricche, idea che valeva per la convergenza assoluta, ma che un’economia
cresca tanto più velocemente quanto più si trova lontana da un suo particolare stato
di equilibrio, dipendente dai parametri sopra citati, che verrà chiamato stato
stazionario.
È come sempre l’evidenza empirica di un avvenimento a stimolare la formulazione
di differenti teorie a proposito e anche nel caso della convergenza fu l’osservazione
dell’esperienza storica del mondo industrializzato a suscitare l’interesse degli
economisti sull’argomento. Dal punto di vista empirico il tipo di convergenza di più
immediata osservazione è senza dubbio il tipo β ed fu cercando l’evidenza di tale
correlazione nel lungo periodo che William J. Baumol nel 1986 analizzò la base di
dati creata da Maddison nel 1982. Tale base di dati riguarda la produttività, gli
investimenti ed altre fondamentali variabili per un periodo superiore ai 100 anni. I
dati elaborati riguardano 16 paesi facenti oggi parte dell’occidente industrializzato
per un periodo di tempo che si estende dal 1870 al 1979, questi risultati furono
raggiunti da Maddison attraverso una rielaborazione attraverso i tassi di crescita
successivi. Nella Tabella 01 sono evidenziate le sostanziali differenze nei tassi di
crescita di prodotto interno lordo per ora lavorativa e prodotto interno lordo pro
capite nei 16 stati considerati da Maddison.
Vediamo (colonna 1) la crescita nel prodotto interno lordo per ora lavorata andare da
un tasso del 400% per l’Australia fino al quasi 2500% del Giappone. L’incremento
del 1100% degli Stati Uniti li situa sotto la metà del gruppo e pure la Gran Bretagna
mostra un incremento relativamente basso del 600%. L’incremento della produttività
è stata sufficiente per permettere al prodotto interno lordo pro capite (colonna 2) di
crescere di 300 volte in Gran Bretagna, dell’800% in Germania, 1700% in Giappone
e intorno al 700% in Francia e Stati Uniti.
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Paesi PIL per ora lavorativa PIL pro capite
Australia 398 221
Gran Bretagna 585 310
Svizzera 830 471
Belgio 887 439
Paesi Bassi 910 429
Canada 1050 766
Stati Uniti 1080 693
Danimarca 1098 684
Italia 1225 503
Austria 1270 643
Germania 1510 824
Norvegia 1560 873
Francia 1590 694
Finlandia 1710 1016
Svezia 2060 1083
Giappone 2480 1661
Tabella 01. Tasso di crescita percentuale della produttività del Pil pro capite in
dollari americani 1970. Fonte: BAUMOL W.J.,”Productivity growth, Convergence,
and Welfare: What the Long-run Data Show”
Ad ogni modo per studiare il fenomeno da noi considerato dovremo confrontare i
dati concernenti la crescita con quelli concernenti l’inizio del periodo considerato.
Così facendo la convergenza verso il paese con i livelli più alti di Pil per ora lavorata
(Australia per la prima decade, Gran Bretagna per il periodo sino alla prima guerra
mondiale e successivamente Stati Uniti) risulta chiaramente evidenziata. Nel 1870 il
rapporto tra prodotto interno per ora lavorata tra Australia, il paese con il valore
maggiore, e Giappone, paese che presentava invece il livello più basso, era di 8
volte; mentre arrivati al 1979 il rapporto tra il primo (Stati Uniti) e l’ultimo paese
della lista (sempre Giappone) era sceso a 2. Per confermare l’evidenza espressa dai
dati elaborati da Maddison Baumol concentra la propria attenzione su di un grafico
come quello della figura 1
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FIGURA 1.Tasso di crescita della produttività, 1870-1979
vs. livello 1870
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4
Pil per ora lavorata 1870,prezzi in $ Usa 1970
t
a
s
s
o
d
i
c
r
e
s
c
i
t
a
a
n
n
u
a
l
e
australi
a
austria
belgio
canada
danima
rca
finlandi
a
francia
germa
nia
italia
giappo
ne
pasi
bassi
Fonte: nostra elaborazione su dati di Angus Maddison, “Phases of Capitalist
Development”
L’asse delle ascisse indica i livelli assoluti di pil per ora lavorativa calcolati da
Maddison per l’anno 1870. L’asse delle ordinate rappresenta il loro tasso di crescita
per il periodo che si conclude con l’anno 1979. La forte relazione inversa risultante è
evidente e viene formalizzata da Baumol nella formula:
iiit
YYY Η Ε ∆ )ln()ln(
00
Questa regressione pone le sue basi teoriche sul fatto che
> ≅)ln()ln(
0
YfY
t
dalla quale si ricava la versione lineare
> ≅ Η Ε ∆ )ln()ln()ln()ln(
000
YYYfYY
tt
.
Dove Y è il livello di produttività, i sottoscritti t,0 e i indicano rispettivamente l’anno
terminale, iniziale e il paese, ed ε è un termine di errore. La stima di Baumol risulta
dunque essere:
tasso di crescita 1870-1979
=5.25-0.75ln(PIL per ora lav.,1870)
R
2
=0.88
7
Il coeficente ß stimato risulta perciò fortemente negativo, e l’88% della variabilità
dei tassi di crescita della produttività viene spiegata dalla tendenza sistematica dei
paesi più arretrati a sperimentare più rapidi tassi di crescita.
Passando ora a considerare la convergenza di tipo σ un esempio della sua evidenza
empirica può essere lo studio presentato da Barro e Sala-i-Martin (1995) che prende
in considerazione 80 regioni in 5 stati europei: 11 in Germania, 11 in Gran Bretagna,
20 in Italia, 21 in Francia e 17 in Spagna.
FIGURA 2. Dispersione del Pil pro capite all'interno di 5
stati europei
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0,3
0,35
0,4
0,45
0,5
1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985d
e
v
i
a
z
i
o
n
e
s
t
a
n
d
a
r
d
d
e
l
l
o
g
.
d
e
l
P
i
l
p
r
o
c
a
p
i
t
e
italia
spagna
germania
francia
gran bretagna
Fonte: BARRO Robert J. and SALA-i-MARTIN Xavier, “Convergence across
States and Regions”
La figura 2 mostra l’andamento della deviazione standard del logaritmo del Pil pro
capite all’interno di ciascun paese per il periodo dal 1950 al 1990. Questa misura
della dispersione diminuisce nella maggior parte dei casi dal 1950, ma è rimasta
sostanzialmente stabile in Germania e Gran Bretagna dal 1970 in poi. Il fenomeno
della convergenza di tipo σ risulta dunque rilevato in tutti e 5 gli stati considerati in
modo costante durante tutto il periodo con l’unica eccezione rappresentata dalla Gran
Bretagna durante gli anni settanta, eccezione che riflette gli effetti dello shock
petrolifero nell’unico paese produttore di greggio fra quelli considerati.