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CAPITOLO II
Interventi di carattere preventivo
1. L’orientamento “preventivo” della Convenzione OIL 190/2019
Come abbiamo già visto, la Convenzione OIL 190/2019 non si limita a seguire
un tradizionale e limitato approccio meramente repressivo, incentrato cioè sulla
previsione di una serie di divieti a carico degli Stati, ma si segnala per il fatto di
aver seguito una ben più innovativa impostazione di tipo positivo-preventiva.
Tale impostazione emerge chiaramente già nel disposto dell’art. 4, ove, al
comma 2, lettera c), si prevede che gli Stati ad essa aderenti si impegnino nella
“adozione di una strategia globale che preveda l’attuazione di misure di
prevenzione e contrasto alla violenza e alle molestie”; nella stessa direzione si
pone anche la lettera g) dello stesso articolo, la quale, sottolineando la necessità
di un intervento attivo degli Stati aderenti, prevede che questi si dedichino
seriamente allo “sviluppo di strumenti, misure di orientamento, attività educative
e formative e alla promozione di iniziative di sensibilizzazione secondo modalità
accessibili e adeguate”.
Oltre a ciò, essa dedica a tale scopo l’intero titolo IV, denominato “Protezione e
prevenzione”.
Invero, gli articoli 7, 8 e 9 contemplano diverse e articolate misure di carattere
normativo, politico, formativo che gli Stati si impegnano ad adottare.
Segnatamente, all’articolo 7 viene ribadita la necessità di emanare leggi e
regolamenti che proibiscono in maniera assoluta violenza e molestie sui luoghi di
lavoro, inclusi violenza e molestie di genere; all’articolo successivo si prevede,
inoltre, la necessità di individuare, in sinergia con le organizzazioni sindacali di
settore, gli ambiti e le attività più soggette al fenomeno della violenza e molestie
sul luogo di lavoro, nonché l’obbligo dei datori di lavoro di instaurare un
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proficuo dialogo con le associazioni sindacali per garantire la messa in atto di
una strategia preventiva e di contrasto comune.
L’approccio in parola trova conferma anche nella parte in cui è imposto agli Stati
firmatari di assolvere ad un innovativo obbligo di preventiva informazione e
formazione dei lavoratori e delle lavoratrici in ordine ai pericoli identificati di
violenza e di molestie e alle corrispondenti misure di contrasto (art. 9 lett. d ).
Così facendo, si amplia quella che è la gamma di intervento tradizionalmente
posta a carico del datore di lavoro, dal momento che, quest’ultimo, oltre a dover
direttamente adottare lui stesso tutte le misure cautelari richieste dallo specifico
contesto lavorativo, deve altresì farsi carico della predisposizione di un'apposita
attività di formazione dei propri dipendenti che dia a questi la competenza
necessaria per agire con la dovuta diligenza e nel rispetto delle regole imposte.
Detta impostazione viene poi ulteriormente precisata con le previsioni del Titolo
VI - “Orientamento, formazione e sensibilizzazione” - e, segnatamente all’art. 11,
ove, affianco ai già citati obblighi informativi e di formazione, è menzionato
anche un non meno importante obbligo di sviluppare, per il tramite delle autorità
competenti, delle campagne di sensibilizzazione sull’argomento (art. 11 lett. c).
Globalmente considerate, le disposizioni normative appena richiamate evocano
con nitore l’esistenza di una filosofia spiccatamente preventiva che illumina
l’intero testo convenzionale e che risulta destinata a far sì che gli Stati operino
direttamente e con decisione soprattutto su quelle che sono le dinamiche
psicosociali alla base del fenomeno della violenza e delle molestie sui luoghi di
lavoro.
Un’attenta disamina delle norme della Convenzione mostra anche come questa
abbia privilegiato l’ottica del maggior coinvolgimento dei lavoratori e dei loro
rappresentanti sindacali in ordine alle attività di prevenzione della violenza e
molestie sui luoghi di lavoro; sicché, i datori di lavoro, lungi dall’essere unici
attori in tale attività preventiva, si trovano a dover progettare una strategia di
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intervento in sinergia con altri soggetti e i cui ruoli sono altrettanto importanti nel
perseguimento degli scopi prefissati.
Soltanto incidendo sui fattori da cui originano le condotte abusive e
discriminatorie è possibile, infatti, tentare di arginare il fenomeno oggetto di
contrasto eliminando alla radice le convinzioni, gli atteggiamenti, i modi di fare
che lo alimentano e che, proprio per tale motivo, sono, non a caso, tenuti in
debita considerazione dalla Convenzione.
2. Strategie preventive
Come noto, nelle strategie di contrasto di un qualsiasi fenomeno deviante le
azioni di carattere repressivo-punitivo, non incidendo sulle cause psicologiche e
sociali da cui tale fenomeno origina, non risultano, da sole, quasi mai sufficienti,
per cui è opinione condivisa che ad esse occorre affiancare anche una efficace
attività di prevenzione. Soltanto attraverso una decisa e ben studiata strategia
preventiva è possibile, infatti, se non eliminare, quantomeno provare ad attenuare
l’incidenza del fenomeno della violenza e molestie nei luoghi di lavoro.
Una seria e rigorosa politica di prevenzione generale sociale che si sostanzia
nella realizzazione di un’articolata attività di carattere normativo,
amministrativo, e, più in generale, sociale, culturale ed educativo.
Questi rimedi, come si legge nelle opere più accreditate, proprio in ragione dello
scopo a cui sono rivolti, si configurano come dei “sostitutivi penali”, dal
momento che, ove efficaci, riducono l’incidenza delle condotte illecite e, in
definitiva, il ricorso alla sanzione penale
21
. Attraverso di essi si persegue il
fondamentale intento di delineare con chiarezza quella che è la tavola dei valori
intorno alla quale si costruisce una qualsiasi comunità che possa definirsi stabile.
Laddove, infatti, il valore portante e fondativo del rispetto della dignità umana
21
Per un approfondimento sulla teoria dei sostitutivi penali si veda: Mantovani F. (2015), Il problema
della difesa contro il delitto, in Mantovani F., Diritto penale, Cedam, Padova, pp. 696 ss.
21
non è sentito allo stesso modo da tutti e in ogni luogo di una certa comunità, è
più facile che siano poste in essere condotte che la offendono.
In questo senso, i rimedi di carattere preventivo esercitano una fondamentale
funzione di “orientamento culturale”, contribuendo a fortificare il codice morale
dei consociati e, allo stesso tempo, a creare convinzioni e abitudini socialmente
adeguate.
Non è un caso, dunque, se a tal proposito si è sostenuto che “la politica sociale è
la migliore politica criminale” e che “il diritto penale è l'estrema ratio della
politica sociale”, dovendosi ad esso ricorrere solo allorquando risultano
insufficienti e inadeguati i rimedi di carattere extra-penale (sanzioni meramente
sociali, orientamento culturale preventivo, sanzioni civili e amministrative)
22
.
Orientamento tradizionale e consolidato ritiene che l’articolo 3 comma 2 della
Carta costituzionale contempli una disposizione che assegna alla Repubblica il
non facile compito di intervenire per correggere gli squilibri sociali esistenti.
Tuttavia, alcuni autori si spingono oltre, ravvisando nello stesso art. 3 comma 2,
in aggiunta al generale compito di cui sopra, anche il fondamento dell'attività di
prevenzione generale sociale
23
.
Su queste basi, si argomenta che la necessità di allestire un’accurata attività
preventiva trova implicito riconoscimento precisamente nella parte in cui si
afferma che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.”
22
Mantovani F., ut supra, p. 699.
23
Mantovani F., ut supra, p. 696.
22
3. La prevenzione scolastica
Vista più da vicino, una politica sociale preventiva rivolta a sradicare alla radice
le dinamiche sociali, culturali e psicologiche che stanno alla base del fenomeno
della violenza e molestie nei luoghi di lavoro non può non tradursi, innanzitutto,
in una politica preventiva scolastica.
La scuola, infatti, si attesta per essere un momento importante dell’esperienza
sociale nella vita quotidiana di un ragazzo, essendo, per buona parte di essi, il
contesto nel quale ci si relaziona agli altri al di fuori dell’ambiente familiare.
In questa prospettiva, comunemente si ritiene che la scuola sia, accanto alla
famiglia, il principale strumento che la società ha a disposizione per trasmettere e
far interiorizzare un determinato sistema di ruoli e di modelli di comportamento.
Tale realtà, quando non funge da contesto malsano in cui si sviluppano e
alimentano gli atteggiamenti e le credenze distorte che generano il fenomeno
della violenza e delle molestie, rappresenta uno spazio nel quale si attua una
spinta educativa di segno opposto; essa, cioè, in qualità di istituzione educativa
prima ancora che formativa, può - o comunque dovrebbe - fungere da luogo di
apprendimento di schemi cognitivi e di comportamento in grado di contrastare
tale devianza. E, invero, coerentemente a tale nobile funzione, è proprio a scuola
che è possibile correggere eventuali credenze disfunzionali presenti nel ragazzo e
apprese entro le mura domestiche. Su queste basi, allora, si può definitivamente
sostenere che la scuola, quando efficace, costituisce davvero il luogo nel quale si
realizza una rimodulazione delle credenze distorte, una messa in pratica degli
insegnamenti appresi, l’esercizio delle abilità relazionali al di fuori del contesto
familiare, nonché una neutralizzazione delle influenze negative provenienti
dall’ambiente familiare e amicale extra-scolastico.
Al riguardo, si è coerentemente affermato che l’apprendimento di schemi di
pensiero socialmente adeguati e incentrati sul valore del rispetto della dignità
umana ha per effetto quello di incrementare la cooperazione, la solidarietà, il
rispetto delle differenze di genere e culturali e il riconoscimento della pari dignità
dell’altro.