2
Lungo questa linea evolutiva va collocato il Trattato di
Maastricht del 7 Febbraio 1992 (detto anche Trattato
sull’Unione Europea) il quale, con il suo art. F
(2)
(... l’Unione
rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali... e quali sono dalle
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in
quanto principi generali del diritto comunitario...), si è limitato
a “ufficializzare” qualcosa che già “ufficiosamente” faceva
parte dell’acquis communautaire : il rispetto e la
protezione dei diritti umani.
Contemporaneamente all’accresciuta importanza della
Convenzione di Roma all’interno del sistema comunitario,
quasi a divenire un parametro con cui misurare il grado di
legittimità degli atti comunitari, sono sorti nuovi e imprevisti
problemi tuttora di non facile soluzione.
In primis : quale ruolo spetta alle istituzioni comunitarie (in
particolare alla Corte di Giustizia della CE) nell’applicazione
della Cedu all’interno del diritto comunitario ?
3
La Corte di Giustizia è competente a sindacare la conformità
degli atti comunitari e delle misure d’esecuzione del dirit-
to comunitario, con la Convenzione di Roma, pur non
essendo la Comunità europea parte contraente della
Convenzione ?
In secundis : in che misura gli organi di Strasburgo, possono
interferire nella vita della Comunità europea, fino al punto
di controllare la conformità degli atti comunitari e delle mi-
sure interne d’esecuzione del diritto comunitario con le di-
sposizioni della Cedu, sulla base dell’assunto che la Con-
venzione ormai fa parte del diritto comunitario e che tutti
gli Stati membri della CE sono parti contraenti della Ce-
du ?
In tertiis : è ancora proponibile l’idea di un’adesione della
Comunità europea alla Convenzione di Roma e con riguardo
a quali obiettivi, in considerazione del fatto che la Cedu or-
mai è “applicata” costantemente dalle istituzioni comunita-
rie e soprattutto alla luce del parere 2/94 del 28 Marzo 1996
della Corte di Giustizia della CE sulla compatibilità
dell’adesione rispetto al sistema giurisdizionale quale definito
4
dal Trattato CE, in cui la CGCE ha dichiarato “ che allo
stato attuale del diritto comunitario, la Comunità non ha la
competenza per aderire alla Convenzione di Roma” ?
Nella nostra trattazione, cercheremo di dare una qualche ri-
sposta alle tre domande formulate precedentemente.
5
Ringraziamenti
Si desidera ringraziare per la sua paziente collaborazione il
Dott. Angelo La Bella, della II Cattedra di Diritto Internazio-
nale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Na-
poli Federico II.
Particolari ringraziamenti vanno anche all’intero staff del Cen-
tro di Ricerca e Studio sui Diritti dell’uomo
dell’Università LUISS di Roma, per la disponibilità dimo-
strata e all’Human Rigths Information Centre, Council of
Europe, Strasbourg, Cedex F-6707, France, per il materiale
giuridico gentilmente fornitomi.
6
Capitolo Primo
La Corte di Giustizia della Comunità Europea e i Diritti
Umani
1-Il ruolo presente e futuro della Corte di Giustizia nella
tutela dei diritti umani
Il trattato istitutivo della Comunità Economica Europea
(1)
adottato a Roma il 25 Marzo 1957 ed entrato in vigore il
1 Gennaio 1958, non contiene norme relative alla tutela dei
diritti dell’uomo dal momento che i soli due diritti fonda-
mentali garantiti dal trattato : la libertà di circolare art.48-59
riservata ai lavoratori subordinati e autonomi e il diritto a
non essere discriminati in ragione della nazionalità (art.7- 40,
par 3, art.48 par 2,3) e del sesso (art.119), rappresentano
“libertà strumentali agli scopi del trattato CEE e perciò rico-
nosciute nella misura in cui sono necessarie per la realizza-
zione del mercato unico”
(2).
7
Può in questo ravvisarsi una colpevole omissione degli autori
del trattato ?
Secondo l’autorevole opinione
(3)
fornita dal Prof. J. Weiler,
emerito studioso di diritto internazionale e Direttore
dell’Academy of European Law “European University Institute,
Florence” (Firenze) si direbbe di sì: ad alcuni stati che si
apprestavano a ratificare il trattato istitutivo, un Bill of
Rigths
(4)
sarebbe apparso pericoloso perché in grado di al-
largare oltre misura i poteri da poco attribuiti alla nuova
Comunità.
Nella realtà dei fatti, riconoscere ai cittadini comunitari un
corpus di diritti fondamentali avrebbe invece contribuito a
limitare quei poteri.
Ciononostante si preferì omettere “volutamente” dai trattati
un riconoscimento esplicito del ruolo dei diritti umani.
Tale scelta si sarebbe dimostrata in futuro sicuramente avven-
tato (Weiler), poiché era illusorio credere da parte degli Stati
fondatori : che i propri cittadini non finissero per esigere nei
confronti degli atti delle istituzioni comunitarie le medesime
garanzie che erano loro riconosciute sul piano interno.
8
Secondo una diversa interpretazione, (Ballarino)
(5)
non ci fu
da parte dei padri fondatori alcuna colpevole omissione.
Per l’autore due sarebbero le ragioni principali che induco-
no a tale scelta : << una è che la prima Comunità, la CE-
CA, fu creata con compiti prettamente tecnici che non fa-
cevano presagire nessun’interferenza con i diritti fondamenta-
li in un momento (1951) in cui la teoria dei diritti fonda-
mentali era ancora in statu nascendi, l’altra è che
l’attenzione per i diritti fondamentali è il frutto di
un’attività interpretativa abbastanza libera della Corte di Giu-
stizia condotta nell’ambito del rinvio pregiudiziale.>> (Ballari-
no, Lineamenti di diritto comunitario e dell’Unione Europea,
CEDAM, 1997 pg 156)
A prescindere da quale delle due interpretazioni si vuole
seguire, un fatto è “incontrovertibile” che : il riconoscimen-
to dei diritti fondamentali a livello comunitario è stato pos-
sibile solo grazie alla Corte di Giustizia e al suo “Judi-
cial Activism, ” per usare un termine desunto
dall’esperienza giuridica nordamericana, in cui la funzione
della Corte di Giustizia europea può essere paragonata a
9
quella della Corte Suprema
(6)
statunitense che al di fuori
di un’esplicita attribuzione di poteri da parte della Carta co-
stituzionale, ha contribuito in modo decisivo, attraverso le
proprie sentenze, all’evoluzione dell’ordinamento, attuando
un costante adeguamento dell’originaria Carta costituzionale
alle esigenze di una società soggetta a continue, rapide e
profonde trasformazioni.
Se è vero dunque, che il ruolo della CGCE è stato e lo sarà
ancora di più per il futuro “imprescindibile” per lo svilup-
po e l’integrazione europea e per la tutela dei diritti uma-
ni, visti i molti e lusinghieri risultati della CGCE (si pensi :
al primato del diritto comunitario e dell’efficacia diretta di
talune sue disposizioni e l’individuazione dei diritti fonda-
mentali come principi generali del diritto comunitario) tutta-
via, com’è stato da qualcun notato (Tizzano)
(7)
proprio questi
successi hanno costituito “ la fonte dei mali” per la Corte.
Essi hanno consentito uno straordinario sviluppo del ruolo e
dell’azione della Corte e con ciò stesso l’insorgere e
l’aggravarsi dei problemi di funzionamento della giustizia
comunitaria, accentuatisi in seguito all’attribuzione di nuove
10
competenze alla neonata Unione europea in settori molto
delicati, quali : l’unione economica, l’unione monetaria, la
cittadinanza, la cultura, la sanità ; tutti settori, i cui pro-
blemi dovranno essere risolti, con tutta probabilità, dalla
CGCE, con un conseguente aumento di ricorsi dinanzi alla
stessa.
In più si è voluto caricare la Corte d’ulteriori responsabilità
alle quali dovrà far fronte per assicurare il rispetto della
democrazia, legalità e dei diritti fondamentali (art. F Trattato
sull’Unione Europea) in un Unione di cui sono ampliate le
competenze, poteri e dunque la capacità di incidere sulle si-
tuazioni giuridiche individuali e collettive.
I problemi che si dovranno affrontare con urgenza, nel
prossimo futuro, sono : “L’ eccessivo numero di ricorsi” e “la
lunghezza della durata media dei processi”, cui si è cercato
di porre riparo con l’istituzione del Tribunale di Primo
Grado ma senza risultati rilevanti.
Questi problemi rischiano di compromettere seriamente :
a)l’immagine esterna della Corte per l’esercizio efficace del
suo ruolo, con forti ripercussioni nel campo della tutela dei
11
diritti umani che necessitano appunto di una giustizia “for-
te” ed “efficace” ; b) la fiducia dei soggetti, cui è indirizzata
l’azione della Corte, dato che “una giustizia tardiva equivale
ad una giustizia negata” (Tizzano).
La soluzione più diffusa in dottrina (Tizzano)
(8)
e sostenuta
anche dal Tribunale di Primo Grado, per risolvere i pro-
blemi indicati, dovrebbe essere la seguente : <<..nei casi in
cui gli Stati membri agiscono come dei privati, i ricorsi po-
trebbero essere trasferiti progressivamente alle competenze
del Tribunale di I° grado (es. i ricorsi contro una decisione
individuale, in materia di FEOGA, d’aiuto di Stato etc.),
negli altri casi, invece, quando gli Stati agiscono in quanto
elementi della struttura costituzionale comunitaria, per que-
stioni fondamentali inerenti, gli equilibri dell’Unione, i ri-
corsi dovrebbero restare di competenza della Corte di Giustizia
della CE>>.(Tizzano)
Per quanto riguarda il problema della tutela giudiziaria dei pri-
vati attraverso il meccanismo delle c.d. pronunce pregiudiziali
ex art. 177 TR. CE, il quale dovrebbe condizionare, ad av-
viso di molti (Tesauro, Tizzano), ogni proposta di riforma
12
del sistema giudiziario comunitario ; è stato recentemente pro-
posto da più parti (ancora Tizzano in particolare) di allargare
le condizioni di ricevibilità dei ricorsi provenienti dai pri-
vati, eventualmente, se non è possibile in via giurispruden-
ziale, anche attraverso modifiche dell’art. 173 TR. CE, così
come dell’art 178 e 215 dello stesso trattato per quanto at-
tiene alle ipotesi di responsabilità extracontrattuali della Co-
munità europea.
L’ampliamento, delle condizioni di ricevibilità dei ricorsi
diretti dei privati permetterebbe forse anche di ridurre il ri-
corso al rinvio pregiudiziale (art. 177 TR. CE), dal momento
che, spesso e volentieri le parti si servono di tale procedu-
ra per attaccare atti comunitari contro i quali non hanno
avuto la possibilità di ricorrere direttamente alla Corte di
Giustizia o al Tribunale di I grado, basti pensare che molte
delle più importanti pronunce della CGCE in materia di tute-
la dei diritti fondamentali, si sono avute nel corso di
rinvii pregiudiziali.
Pertanto il meccanismo delle pronunce pregiudiziali, corretta-
mente applicato e soprattutto inteso come autentico rapporto
13
di collaborazione e non di subordinazione fra la Corte di
Giustizia e i giudici nazionali, si rafforzerebbe poiché esso
rappresenta, anche in prospetto uno strumento prezioso, se
non il più efficace, di soluzione dei problemi della giusti-
zia comunitaria e di tutela di quelle situazioni individuali e
collettive, attinenti al settore dei diritti fondamentali, che al-
trimenti non troverebbero alcuna “voce” nel sistema comuni-
tario.