I Melanesiani costituiscono un gruppo etnico ben definito, sia antropologicamente
che linguisticamente e culturalmente, appartenente a tre ceppi razziali: pigmei, negroidi,
papuasi.
Le lingue melanesiane sono da certuni considerate una branca della famiglia
austronesiana, da altri un gruppo linguistico a se' stante.
I prodotti agricoli per lo piu' sono: taro, ignami, batata, banana, cocco, sagu',
albero del pane, betel, tapioca, mais, cocomero (I). L'agricoltura e' estensiva, fondata
sulla rotazione della terra (ogni due o tre anni il terreno coltivato viene mutato e un
nuovo appezzamento dissodato, mediante disboscamento e incendio del suolo, che
viene cosi' fertilizzato dalle ceneri). Conoscono da tempo la coltivazione a terrazze, in
recinti di siepi, i muri a secco e l'irrigazione mediante canali.
Sono ancora oggi abilissimi nel lavorare il legno e nel decorarlo, mentre la
metallurgia era ignota prima dell'arrivo degli europei. L' economia e' basata oltre che
sull'agricoltura, praticata dai Bushmen (popoli dell'interno), anche sulla pesca ed il
commercio marittimo, effettuati dagli abitanti delle coste, e sull'allevamento dei maiali.
Questi sono considerati molto piu' che soli oggetti di scambio ed alimento fondamentale:
contribuiscono anche a delineare l'importanza di un capofamiglia, in base al numero di
animali posseduti, da cui l'attributo di offesa: "tu non hai maiali".
Introduzione all'aggressivita'
Di fronte all'argomento "aggressivita'", nasce immediata l'esigenza di stabilire il
tipo di approccio: comportamentista o etologico. E' innegabile che e' spesso
indispensabile l'esperienza perche' i moduli fissi di attivita' si organizzino in quei
comportamenti cosiddetti "istintivi", ma il fatto che tali "fissazioni" si attuino proprio nei
primissimi anni di vita, periodo molto ristretto rispetto il totale dell'esistenza, mi fa
pensare che si debbano allacciare a qualcosa di preesistente all'apprendimento: una
sorta di eredita' genetica che predispone l'individuo pur non costringendolo. Se dovessi
scegliere la scuola comportamentista, durerei fatica a spiegarmi come i comportamenti
non si evolvano molto di piu' di quello che accade durante l'esistenza di un individuo
che, crescendo, conosce sempre di piu', capisce di piu' ed e' piu' indipendente nelle
proprie valutazioni: evidentemente l'imprinting costituisce una base indelebile.
Apprendimento ed esperienza suggeriranno la miglior attuazione pratica di un
comportamento volto ad un determinato scopo, mentre ritengo innato l'atteggiamento
che richiede il raggiungimento di quel fine. Se sara' l'esperienza sociale a dettare
gestioni rituali dell'aggressivita' e' pur sempre innata la necessita' di tenerla sotto
controllo. Vediamo come l'argomento e' affrontato da un etologo.
Eibl-Eibessfeldt (1977:77) per giungere alla trattazione dell'aggressivita' sociale, parte
dall'esame della specie. Affrontare in gruppo delle difficolta' contingenti puo' renderne
piu' facile il superamento, permettendo di difendere meglio il singolo ed il gruppo.
Vivendo assieme si puo' suddividere il lavoro in maniera organizzata e finalizzata e la
convivenza prolungata permette il consolidamento di tradizioni e la propagazione di tale
patrimonio ereditario. Ma in un contesto sociale non si puo' ignorare l'aggressivita' che
sembrerebbe innata, spontanea (Eibl-Eibessfeldt 1977:92) tant'e' che animali e uomini,
se per lungo tempo non possono combatter o misurarsi, divengono sempre piu' bellicosi.
Vi sono aspetti positivi dell'aggressivita' che non consigliano la sua totale eliminazione,
ma piuttosto una gestione non violenta di essa. Da un punto di vista filogenetico,
l'aggressivita' permette la distribuzione di una specie su di un'area piu' vasta e se, nella
lotta tra due rivali, prevale - come logico - il piu' forte e sano, cio' costituisce una
garanzia per la protezione del gruppo e della prole. Questi aspetti sono stati piu'
ampiamente indagati e provati nel comportamento animale, ma si puo' riconoscere la
loro validita' anche per l'uomo. Infatti l'aggressivita' tra gruppi induce una delimitazione
territoriale (per esempio il villaggio) e si traduce, all'interno del gruppo, nella costituzione
dei ranghi ed ancora una volta in una definizione territoriale che si identifica nella
famiglia, l'abitazione, le proprie cose (Eibl-Eibessfeldt 1977:97). Nella scelta di un
leader, si cerca una garanzia per la protezione di tali territori, rappresentata dalla forza
(potenziale aggressivita') che un individuo ha in se' e che manifesta anche
nell'abbigliamento (armi ed ornamenti imponenti) e nel portamento virile e sprezzante.
Non che l'aggressivita' sia la sola dote richiesta ad un capo: agli deve avere soprattutto
doti sociali e di esperienza. E' tutto l'insieme della fisionomia morale dell'individuo che
determina la sua posizione nella "gerarchia di rango" (Eibl-Eibessfeldt 1977:110): e'
necessario che egli vi aspiri ma anche che sia disponibile a subordinarsi la' dove non
riesce ad emergere. E' cosi' che la gerarchia di rango diventa un mezzo di ordinamento
sociale e quindi un controllo dell'aggressivita'.
Ma da dove scaturisce questa inevitabile aggressivita' dell'uomo? Per Dollard
(Eibl-Eibessfeldt 1977:105) l'aggressivita' umana nasce da esperienze carenziali e
frustranti. Per Lorenz (Eibl-Eibessfeldt 1977:106) da un'educazione molto permissiva.
Per Berkowitz (Eibl-Eibessfeldt 1977:105) l'apprendimento per frustrazione e la
determinazione innata dell'aggressivita' possono coesistere, ma essa viene repressa e
la sua accumulazione trova sfogo nel fenomeno dell'"abreazione", ridirezione innocua
degli istinti aggressivi. Si cerca, quindi, anche un modo per sottrarsi alla loro
inevitabilita'. Per Freud (Eibl-Eibessfeld 1977:107) sono i legami sentimentali che danno
questa forza all'uomo. A tal proposito Eibl-Eibessfeld (1977:123) afferma che presso
tutte le societa' vi e' il divieto generico di uccidere: e' un divieto funzionale senza il quale
sarebbe impossibile la convivenza sociale.
Ma l'Autore si pone il problema se l'adempienza sia razionale o se l'uomo segua
anche inclinazioni innate, il che sarebbe auspicabile quale maggior garanzia. Ancora
una volta l'Autore parte dallo studio comportamentale degli animali per arrivare a quello
delle manifestazioni spontanee presso vari popoli. Giunge cosi' ad identificate dei
comportamenti pacificatori negli uomini, quali il sorriso, le scuse ed un atteggiamento di
sottomissione con cui istintivamente si tende a placare una persona che manifesti
violenza.
Anche l'offrire doni alimentari prelude ad un avvicinamento non violento creando
un legame: il cibarsi insieme. Il saluto in generale e' offerta e richiesta di acquietamento
dell'aggressivita': se il saluto consiste, per esempio, nella stretta di mano come prova di
forza, esaurisce nel gesto una possibile conflittualita'.
Se questa e' inevitabile, Eibl-Eibessfeldt (1977:127) nota come sia piu' facile
calmare l'avversario in un "combattimento nudo": con l'apparire delle armi -
specialmente quelle a distanza - probabilmente l'uomo ha dovuto inventare nuovi
controlli culturali in quanto e' subentrata una certa impersonalita' nell'aggressione.
Passando gradatamente dal piano individuale a quello di gruppo, scattano dei
meccanismi di selezione dell'aggressivita' per cui siamo meno tolleranti verso gli
estranei. Questa predisposizione viene sfruttata nella propaganda di guerra contro il
nemico, che mira a farlo considerare cattivo, inferiore, ingiusto, aggressore: e' la
degradazione dei congeneri di Lorenz (Eibl-Eibessfeldt 1977:128) giustificata dalla
necessita' di evitare contatti diretti e personali tra avversari in modo che non possa
scattare l'inibizione all'aggressivita'.
Lorenz sviluppa diversamente il tema. Secondo l'Autore vi e' stato un passaggio
graduale dal combattimento cruento a quello ritualizzato: dapprima attraverso un
allungamento degli intervalli di tempo tra le varie fasi del conflitto verso la soluzione
finale e successivamente tramite esagerazione mimica e ripetizioni ritmiche, che
costituirebbero la vera e propria ritualizzazione (Lorenz 1969:159).
Non si tratterebbe, pero', di una necessita' di rimuovere l'aggressivita', ma di
cercare un comportamento tale che possa assicurare nel miglior modo il successo dei
propri intenti e nello stesso tempo la sicurezza personale. I riti sociali non sarebbero
dunque creazioni dell'uomo, ma prodotti di una selezione dei comportamenti utili di cui
spesso si smarriscono le origini e le cause (Lorenz 1969:99). Subentra una forma di
abitudine: sottraendosi ad essa si scatenerebbe disagio e panico nell'individuo.
Dall'esame delle varie considerazioni fin qui esposte, emerge l'inevitabilita'
dell'istinto aggressivo e l'altrettanto istintiva necessita' dell'uomo di gestire tale aspetto
della propria natura in modo da sfruttare gli effetti benefici e limitare, ove possibile, le
conseguenze nefaste. Questo tentativo di autoconservazione si manifesta nella famiglia,
nell'economia e nel diritto, nella politica e nella ricerca del potere.
Nel corso di questa tesi, esamineremo questi aspetti della vita sociale in
Melanesia, tentando di evidenziare come l'aggressivita' venga gestita mediante la
socializzazione e la ritualizzazione. La scelta della Melanesia come campo di ricerca e'
dettata dalla particolare dinamica sociale ed organizzazione politico-economica di
questa societa' acefala che riconduce allo scambio rituale la gestione dei rapporti
interindividuali ed ogni altra manifestazione sociale.
CAPITOLO II
IL GRUPPO, LA FAMIGLIA, I RAPPORTI PARENTALI
Cerchiamo inizialmente di dare una definizione del gruppo in Melanesia. Esso di
agglomera non in quanto residente entro determinati confini, bensi' come insieme di
individui che possono stabilire una linea genealogica, anche acquisita, con un dato sito
funerario.
Il singolo puo' quindi arrivare a scegliere dove risiedere e coltivare il proprio
terreno. E' questo il caso particolare degli Are-Are di Malaita (Isole Salomone) (Niola
1981:41) che, su un'estensione montagnosa coperta da foresta tropicale, vede i propri
siti funerari disseminati sulle creste lungo le coste. La distribuzione e' quindi fondata piu'
sulla famiglia che su un luogo d'origine.
Presso i Mae Enga della Nuova Guinea (Meggitt 1967:25) i diritti territoriali sono
ereditati patrilinearmente e non possono essere alienati dal clan. Affini e parenti
matrilineari possono, occasionalmente, usufruirne risiedendo presso il clan, cui devono
sottostare politicamente ed economicamente.
Nel Mount Hagen (Nuova Guinea) (Strathern 1971:19) si riscontra una articolata
distinzione di gruppi:
1) La Grande tribu' e' un collegamento libero di un certo numero di tribu' con origini
comuni.
2) Se, per esempio, un gruppo e' emigrato da una tribu' creandone un'altra, si ha
l'Accoppiamento di tribu'.
3) La Tribu' vede raggruppati i discendenti da un solo predecessore, ma puo'
incorporare piccoli gruppi slegati dal suo mito di origine. La conflittualita' tra tribu'
distinte puo' essere elevata, per esempio, se la necessita' di nuove aree
coltivabili crea concorrenza. E' latente ma meno implicita se l rapporto tra le tribu'
ricade nei primi due casi citati.
4) e 5) Le Sezioni di tribu' e le piu' "intime" Coppie di clan sono tali in funzione sia del
luogo di residenza che per regola esogamica, che per mito d'origine. Tra questi
gruppi e' severamente bandita qualsiasi forma di lotta.
6) Il Clan e' il livello fondamentale per l'azione politica. I componenti sono discendenti
dai figli maschi di un solo predecessore di una suddivisione di tribu'. Hanno in
comune i terreni da coltivare, organizzano assieme scambi rituali, cementano
l'unione con interessi comuni.
7) Alcuni clans sono divisi in Sezioni di clan, riconoscibili da una forte distanza sociale
e diversa residenza, pur non mancando legami particolari come il risarcimento per
il morto procurato all'altra sezione, in maiali o con il trasferimento di persone da
una sezione all'altra. Spesso sono preludio alla divisione in due o piu' diversi
clan.
8) Il Subclan e' il vero sottogruppo del clan e puo' intrattenere scambi con altri
subclans dello stesso o di altri clans, attraverso il leader. Lotte tra subclans
dello stesso clan sono evitate ed eventualmente concepite in modo da evitare la
morte degli avversari.
9) Il Sub-subclan, non sempre presente, e' il livello piu' basso determinato da un
diverso nome di fondatore. E' una distinzione interna del gruppo che servirebbe
alla suddivisione dei beni alimentari.
10) Lignaggio: i soggetti, tra loro considerati fratelli, hanno un ascendente in
comune al massimo di due generazioni precedenti alla piu' vecchia vivente, ma
non vi e' particolare cura nello stabilire un preciso sistema di lignaggio.
Anche nell'Isola di Goodenough (Papua) (Young 1971:26) il
principale gruppo di cooperazione e' il gruppo di discendenza patrilineare. Gli altri gruppi
sono vissuti da un punto di vista conflittuale e quindi, massimamente, si distinguono in:
1) FOFOFO (= coloro che mangiano il nostro cibo) (Young 1971:69), con i quali si ha
rapporto di scambio di cibo e reciproca assistenza negli scambi con l'esterno. Si
identificano nelle coppie di clans che costituiscono una alleanza affidabile in conflitti
piccoli e grandi, a meno di lotta gia' in atto per uno dei due.
2) L'alleanza coi clans nemici minori si ha solo per brevi periodi di tempo contro un
comune nemico maggiore.
3) Con i NIBAI (= nemici tradizionali) (Young 1971:71) si attuano confronti espressi
attraverso scambi competitivi di cibo. Non si ha alleanza diretta e solo raramente
indiretta.
4) I clans neutrali intervengono solo occasionalmente dietro pagamento.
Nei due esempi nel Mount Hagen e nell'Isola di Goodenough, si sottolineano le
varie possibilita' di conflitto ed, in contrapposizione, di alleanza. Come si e' accennato
nel primo capitolo, vi e' una maggior intolleranza verso i gruppi estranei, il che significa
anche una maggior coesione interna. Codificando, in un certo qual modo, l'aggressivita'
tra gruppi, si ottiene il duplice scopo di predisporre una gestione sociale di essa e di
alienarla dai gruppi ristretti gestendola se mai, come vedremo piu' avanti, attraverso
"tenzoni rituali".
E' da notare comunque che le succitate suddivisioni sono estremamente
elastiche: non si puo' dare una descrizione sociale in chiave di lignaggio od altra
istituzione, anche se entrano in qualche modo nel sistema politico. Non si puo' quindi
parlare di "struttura segmentaria" stabile, ma le segmentazioni sono a loro volta frutto
della gestione dei conflitti.
A questo punto vorrei riesaminare in breve un elemento che, come abbiamo visto
piu' sopra, concorre alla determinazione di un gruppo: la regola esogamina. Vista in
questa luce, essa comporta lo stringersi di alleanze basate su vincoli parentali ed
avviate in occasione dei tradizionali scambi rituali che accompagnano il matrimonio.
L'esogamia ha altresi' la funzione di garantire una equa distibuzione del bene donna,
dato che anche questa particolare forma di scambio tra gruppi sottosta' al principio della
reciprocita': sacrifico ad altri le donne del mio clan per poter usufruire di altre quando mi
necessita. Sarebbe il "regime del prodotto rarificato" di Levi-Strauss (1978:35).
Spesso, nelle societa' primitive, alla regola esogamica si accompagna la
proibizione all'incesto, dato che da sola, secondo Levi-Strauss (1978:71), "non sarebbe
sufficiente a vietare il matrimonio tra madre e figlio in regime patrilineare e tra padre e
figlia in regime matrilineare". La proibizione dell'incesto, comunque, non si riferisce
sempre a determinati gradi di parentela ma interessa "individui che si indirizzano gli uni
agli altri con certe denominazioni" (Levi-Strauss 1978:72). Nelle organizzazioni
dualistiche (in genere matrilineari) questi individui sono i cosi' chiamati "fratelli" (Levi-
Strauss 1978:156) che sarebbero poi i figli del "fratello del padre" (chiamato padre) e i
figli della "sorella della madre" (chiamata madre) e sono appartenenti alla stessa meta'
del soggetto. Nell'altra meta' troviamo i figli della sorella del padre e del fratello della
madre coi quali viene auspicato il legame matrimoniale (sistema dei cugini incrociati).
Ma e' bene chiarire da dove deriva e cosa comporta il sistema matrilineare in
Melanesia. Esso e' basato sul convincimento che non esiste rapporto di parentela tra
padre e figlio (Levi-Strauss 1978:163). I Melanesiani non conoscono l'apporto dell'uomo
nella procreazione, ne' il rapporto tra questa e l'atto sessuale, come ignorano la maggior
parte delle funzioni dell'organismo. Ne deriva che l'unico riferimento di discendenza e' la
madre. Nella societa' melanesiana di discendenza matrilineare ma a residenza
patrilocale (Levi-Strauss 1978:166), il bambino cresce trovando nel padre biologico un
semplice compagno di giochi, un consigliere se necessario, un amico. Col passar del
tempo il ragazzo passa sotto la tutela determinante dello zio materno piu' anziano, in
quanto nel villaggio d'origine la madre conserva possessi, cittadinanza, alleati. Piu'
avanti il giovane potra' stabilirsi cola', suo vero gruppo d'origine.
Sebbene il rapporto coniugale sia ufficialmente riconosciuto (Levi-Strauss
1978:18), marito e moglie conservano proprieta' distinte ed ognuno dai due accudisce
alle proprie (per la donna: gonna di paglia, recipienti per l'acqua; per l'uomo: attrezzi da
lavoro, ornamenti personali). Anche le mansioni sono distinte: la donna procura
crostacei, cura gli orti, accudisce i maiali, prepara il cibo; l'uomo pesca, caccia, svolge i
lavori piu' pesanti nelle coltivazioni. Col matrimonio viene imposto ai familiari della
moglie un obbligo duraturo di tributo in cibo verso il marito, variabile a seconda dello
stato sociale, in contraccambio ai donativi che lo sposo fa alla famiglia di lei.
Indubbiamente una chiara distinzione di possessi e mansioni aiuta a liberare il
rapporto da una possibile reciproca aggressivita'. In questa parita' collaborativa, non vi
e' dipendenza economica della donna ma, sebbene la donna segua il marito per la
residenza, e' piuttosto quest'ultimo l'acquisito nella famiglia principale. La estraneita'
attribuita all'uomo nella procreazione non lo pone in condizione di contrastare
l'educazione del bambino che cresce, cosi', molto legato alla madre.
A tal proposito e' interessante lo studio di Malinowski circa l'applicabilita' del
complesso edipico alla famiglia nelle Tribriand. Secondo Jones (Malinowski 1966:148) il
diritto materno e l'ignoranza della paternita' sono nati per distogliere l'odio che il ragazzo
sentira' per il padre. In tal caso pero' Malinowski prevede che si sviluppi un complesso
simile che comporta il desiderio di uccidere lo zio materno e sposare la sorella
(Malinowski 1966:95). Sempre sull'argomento, Freud enuncia la "teoria dell'orda
primitiva" (Malinowski 1966:158): il vecchio maschio tiene le femmine per se': i figli
espulsi si organizzano, si armano e riescono a scalzarlo e mangiarlo. Il capostipite
diviene cosi' il primo padre amato, temuto e odiato. Il rito cannibalistico rinnoverebbe
l'appropriazione della sua forza da parte dei discendenti. Ma il rimorso ed una situazione
psichica di "obbedienza successiva" (Malinowski 1966:160) fanno dichiarare sacro il
totem (sostituto del padre) e inducono a rinunciare alle donne mediante il tabu'
sessuale. Questa nuova posizione verrebbe tramandata, sempre secondo Freud, grazie
alla "psiche di massa" e all'"eredita' di disposizioni psichiche" (Malinowski 1966:162).
Ma Malinowski (1966:170) ritiene impossibile considerare come origine della
cultura un atto delittuoso, un cataclisma, una ribellione. Organizzazione ed armi
vorrebbero dire cultura. Ed inoltre i meccanismi (tradizione e cultura) con cui ogni
generazione trasmette alla successiva le proprie esperienze sarebbero "super-
individuali" ma non psicologici (Malinowski 1966:163). Secondo l'Autore, e' solo nel
corso dell'emancipazione culturale con fulcro nella famiglia, che sorgono le tentazioni
del sesso con tendenza all'incesto e la tentazione alla ribellione contro l'autorita'
paterna. Il rapporto con la madre sarebbe intimo ma in funzione del bisogno di cibo,
calore, protezione. Quando l'erotismo si sveglia nell'individuo, questi fa fatica a
distinguere i nuovi sentimenti da quelli finora provati per la madre rendendo difficile
strutturare le proprie emozioni. E' da questa non chiarezza che puo' insorgere la
tentazione incestuosa (Malinowski (1966:240). Permettere l'icesto significherebbe quindi
mettere in pericolo la famiglia stessa ed insieme a lei tutta la struttura sociale e la
tradizione culturale di una societa'.
Trasmettendo l'autorita' allo zio materno, Malinowski (1966:248) afferma che il
figlio puo' continuare un rapporto armonico col padre biologico come nell'infanzia e
riversare sull'altro l'opposizione all'autorita'. Ed in effetti in tal modo si ottiene una sorta
di sdoppiamento della figura paterna: il padre naturale rappresenta appoggio negli anni
incerti della crescita, un consigliere disinteressato ed amoroso. Lo zio materno incarna
l'autorita', ma per il ragazzo questa immagine di potere non andra' ad intaccare la
consapevolezza dell'altro rapporto positivo e rassicurante. Non subendo delusione da
nessuno dei due potra' rimuovere la propria aggressivita' verso l'autorita' ed identificarsi
piu' facilmente con i due ruoli, di padre sociale e zio materno, che la sua posizione nel
gruppo lo porteranno a sua volta ad interpretare.
Considerando invece il rapporto tra madre e figlia, sembrerebbe che l'ampia
liberta' sessuale (II), riscontrata da Malinowski (1966:85) nelle Trobriand, porti la
giovane a maturare le proprie esperienze sessuali completamente al di fuori dell'ambito
familiare. Vi e' la possibilita', per i giovani, di convivere, limitatamente alle ore notturne,
in apposite capanne (BUKUMATULA) usate contemporaneamente da piu' coppie senza
che questo possa far sorgere l'occasione di inopportune promisquita'. La possibilita' di
vivere serenamente la propria sessualita' per le giovani ed il fatto di farlo lontano dagli
occhi materni evita qualsiasi rivalita' tra madre e figlia. La cosa e' considerata naturale e
quindi priva di recriminazioni psicologiche aggressive. Non si deve interpretare
comunque questa liberta' sessuale come una completa assenza di un qualsiasi senso
morale. Sebbene nelle Trobriand le esperienze in questo campo inizino fin da bambini,
inserite nel contesto dei giochi, si vengono poi a creare dei legami nei giovani che, pur
incostanti, preludono all'unione stabile futura. Spesso il compagno della prima
giovinezza diviene partner nel matrimonio, che non richiede particolare celebrazione,
ma piu' semplicemente l'inizio della convivenza.
Cosi' anche il divorzio e' un semplice ritorno al proprio gruppo. A Kalauna (Isola di
Goodenough) Yung (1971:53) ci racconta come un matrimonio su tre finisca in divorzio.
I motivi sono svariati: questioni di dote, litigi con le altre mogli in caso di poligamia,
percosse o trascuratezza da parte del marito, adulterio o piu' semplicemente desiderio
di sposare qualcun'altro. Anche alle Trobriand (Malinowski 1932:106) si evitano gli
atteggiamenti aggressivi dovuti ad una convivenza forzata ed un evolversi drammatico
della situazione col ritorno della moglie alla casa della propria madre o di una parente
prossima femminile, recando con se' tutte le proprie cose. Questo non implica che non
vi siano problemi sentimentali o di gelosia, ma piu' semplicemente si rinuncia ad una
convivenza difficoltosa, grazie al fatto che solo di una convivenza si tratta: i problemi
economici sono facilmente risolvibili, perche' chiari sin dall'inizio; gli eventuali figli non
soffrono particolarmente della mancanza del padre, perche' di padre non si tratta.
A dispetto della presenza di simili comportamenti di "leggerezza" - secondo i
canoni della nostra societa' - i rapporti matrimoniali e di parentela sono vissuti con
estrema serieta', basata, presumibilmente, sulla mitizzazione dell'origine comune.
Come effetto si puo' considerare la rilevanza di tali rapporti nella manifestazione
principale della socialita' melanesiana e cioe' lo scambio rituale. Ricordiamo il ruolo della
donna sia come oggetto di scambio, sia come cooperatrice del marito nella produzione
dei beni destinati allo scambio. Inoltre una allargato numero di mogli da' prestigio oltre
che maggior aiuto pratico. Negli approcci di preludio allo scambio sono spesso le donne,
mogli o sorelle, che fungono da veicolo di convincimento. All'interno del clan nelle
Trobriand i fratelli della moglie devono lavorare nei "giardini" del marito. Altrove, in
Melanesia, il vincolo e' inverso ed e' il marito che ha l'obbligo verso i cognati. L'ideale,
dal punto di vista dello sfruttamento delle proprie potenzialita', sarebbe che la tribu' si
riproducesse al suo interno, ma una tale chiusura sarebbe alla lunga disgregante,
creatrice di infinite cellule conflittuali. Rapporti matrimoniali con l'esterno, invece,
inducono il passaggio da strutture biologiche a strutture sociali. Il gruppo si vivifica
attraverso i canali del matrimonio e dello scambio e sviluppa la propria coesione nel
confronto con gli altri clans.