5
1.2 EPIDEMIOLOGIA
Nonostante HCV e HIV presentino comuni vie di infezione, vengono
trasmessi con diversa efficacia, dipendente dalla modalità di
trasmissione. Ad ogni modo, mentre entrambi i virus sono altamente
trasmissibili per via ematica, HCV è meno facilmente trasmesso per
via sessuale. Dopo una puntura con un ago contaminato l'HCV si
trasmette 10 volte più facilmente rispetto all'HIV, ed inoltre
l'infezione da HCV avviene precocemente dopo l'inizio della
tossicodipendenza, con circa il 60-90% dei pazienti che contraggono il
virus entro 6-12 mesi. Circa l'80-90% dei tossicodipendenti cronici
risultano positivi per l'HCV, mentre solo il 15-20% risultano HIV-
positivi. La trasmissione sessuale è invece un fattore di rischio
maggiore per l'HIV, dato che la trasmissione dell'HCV nelle coppie
stabili avviene raramente. Così la prevalenza di co-infezioni da HCV
senza differenze di paesi, regioni e popolazioni, è strettamente
correlata alla prevalenza di infezioni trasmesse per via ematica
(soprattutto attraverso l’abuso di droghe intravenose). Per esempio,
esclusi i paesi europei, alte percentuali di confezione da HCV possono
essere osservate nei paesi dell’est come Bielorussia e Ucraina dove
l’abuso di droghe intravenose è la via principale di trasmissione
dell’HIV con una prevalenza confezione di HCV di circa il 70%. Al
contrario, nei paesi dell’Europa centrale come Belgio, Austria o
Germania, dove la via sessuale domina tra le modalità di trasmissione,
le confezioni sono tra il 10 e 15%. Questi principi sono osservati
ovunque nel mondo¹. Nelle carceri degli USA, il 65-70% dei detenuti
6
HIV-positivi sono co-infetti con HCV, laddove nella popolazione
generale questo valore si attesta intorno al 18%
2
. In Asia, i valori di
co-infezione nella popolazione cinese HIV-positiva si attestano
intorno al all’85%, mentre nei paesi con predominante trasmissione
sessuale di HIV, come la Tailandia, la percentuale di co-infetti è di
circa il 10%
3
. Nell’Africa sub-sahariana,come in Kenya e Costa
d’Avorio, la modalità di trasmissione è quasi esclusivamente sessuale,
e la prevalenza di infezioni da HCV nei pazienti HIV-positivi è
solamente del 1-4%
4,5
.
L’epatite C è rilevata nel 4-8% dei bambini nati da madri infette
dall’HCV. La co-infezione HIV-HCV aumenta il rischio di
trasmissione verticale per entrambi i virus ed un’alta viremia da HCV
nella madre incrementa il rischio di trasmissione perinatale di questo
virus
6
. Comunque nelle madri co-infette HIV-HCV che ricevono un
trattamento antiretrovirale e vengono sottoposte ad un taglio cesareo,
il rischio di trasmissione di HCV è radicalmente ridotto a meno
dell’1%
7
.
Tab.1 Rischio stimato di trasmissione nelle diverse vie d’infezione
Modalità di trasmissione HIV HCV
HCV in co-infezione con
HIV
Perinatale 10-30% 1-7% 1-20%
Rapporti sessuali* 1-3% <1% <4%
Incidenti con aghi 0.3% 2.8% Sconosciuta
*Il rischio sessuale si riferisce ad una esposizione cumulativa
In sintesi, la prevalenza dell’HCV nella popolazione di infetti da HIV
è decisamente più alta comparata a quella della popolazione mondiale,
dove l’incidenza globale dell’epatite C è stimata essere attorno al 2%
8
.
7
Questo sottolinea l’importanza di considerare l’infezione da HCV
come una delle maggiori co-morbidità nelle singole infezioni da HIV.
Tab.2 Prevalenza della co-infezione HIV-HCV
8
1.3 DIAGNOSI DI EPATITE C IN PAZIENTI CON
COINFEZIONE HIV
La presenza di epatite C può essere confermata sierologicamente
attraverso la ricerca di anticorpi anti-HCV attraverso il metodo
ELISA. Una diminuzione degli anticorpi anti-HCV circolanti può
essere osservata in corso di una immunodeficienza progressiva; di
conseguenza, una singola negatività per gli anti-HCV non esclude una
infezione da questo virus in pazienti HIV positivi.
Più dell’80% delle positività per gli anti-HCV nei pazienti co-infetti
mostra anche una presenza di viremia da HCV. Per di più, nei pazienti
sieropositivi per l’HIV sono stati riscontrati livelli di HCV-RNA più
elevati rispetto ai pazienti sieronegativi per l’HIV con epatite C
9
.
Alcune analisi mostrano che questi livelli aumentano mediamente di 1
log dopo i primi due anni di sieroconversione e che l’HCV-RNA
incrementa 8 volte più rapidamente nei pazienti HIV-positivi che in
quelli negativi
10
. Inoltre è noto un innalzamento della carica virale
HCV dopo l’inizio di una terapia antiretrovirale, associato spesso ad
un oscillamento dei valori degli enzimi epatici che, appunto, devono
essere scrupolosamente monitorati con frequenza
11
.
La distribuzione dei genotipi HCV riflette la modalità di trasmissione.
Il genotipo 1b si riscontra nel 66% degli infettati post-trasfusionali,
mentre l’1a ed il 3a sono nettamente prevalenti negli utilizzatori di
droghe per via I.V. , mentre infezioni con genotipi multipli sono
rare
12
. In alcuni studi la presenza del genotipo 1a è associata ad un
9
maggior danno istologico così come ad una più rapida progressione
verso l’AIDS e la morte rispetto agli altri genotipi
13
.
Tab.3 Classificazione e distribuzione geografica dei genotipi HCV
Genotipi Predominanza geografica
1a Stati Uniti ed Europa
1b Stati Uniti, Giappone, Europa
2 Stati Uniti ed Europa
3 India, Estremo Oriente, Australia
4 Africa e Medio Oriente
5 Sud Africa
6 Asia (Hong Kong)
In Italia i genotipi 1, 2 e 3 sono responsabili del 95% circa delle infezioni con
predominanza del genotipo 1b, identificato in oltre il 50% dei casi.
I genotipi 1a, 1b e 4 sarebbero meno responsivi al trattamento interferonico
Fig.1 Distribuzione dei genotipi HCV in Europa e in Italia
10
1.4 LA STORIA NATURALE DELL’EPATITE C IN
PAZIENTI HIV-POSITIVI.
In assenza di infezione da HIV, l'evoluzione a lungo termine
dell'infezione da HCV è molto variabile. Nella maggior parte dei
pazienti l'infezione decorre in modo asintomatico e la progressione
avviene molto lentamente nel corso di vari decenni. In alcuni pazienti
invece l'evoluzione è più rapida, e circa il 10-20% sviluppa una cirrosi
dopo 20-30 anni. Nei pazienti con cirrosi l'epatocarcinoma si sviluppa
nell'1-4% dei casi ogni anno. Dal 1994 nei paesi occidentali, l'HCV è
il principale responsabile dei trapianti di fegato.
Studi di coorte e in vivo hanno dimostrato che l’infezione da HIV
scuote la risposta immune contro l’HCV. Di conseguenza, l’infezione
da HIV diminuisce le possibilità di una spontanea clearance del virus
dell’epatite C. Dai dati in nostro possesso emerge come, tuttavia,
questo appare essere di una certa rilevanza clinica solo nei pazienti
con una immunodeficienza grave, ovvero nei pazienti con una conta
dei linfociti CD4+ < ai 200/µl che hanno un rischio significatamene
aumentato di sviluppare una infezione cronica da HCV comparati ai
pazienti con una conta di cellule CD4+ più alto
14
. Inoltre, Kim e coll.
sono stati in grado di mostrare in una piccola coorte di pazienti che la
risposta immune cellulare contro l’HCV era direttamente correlata allo
stato individuale di CD4+
15
. Laddove l’infezione da HIV non altera di
per se l’intensità della risposta immune diretta dei CD 8+ contro
l’HCV, pazienti con una conta di CD 4+ < 500/µl mostrano capacità
diminuite nelle risposte immuni CD 8-specifiche.
11
Il problema della co-infezione con HCV nei pazienti HIV positivi ha
recentemente acquisito una maggiore rilevanza clinica, in quanto il
miglioramento della sopravvivenza indotto dalla HAART ha
provocato un aumento di incidenza della morbidità provocata
dall'HCV.
In un recente studio retrospettivo sono state analizzate le cause di
decesso in pazienti HIV positivi negli anni 1991, 1996 e 1998; mentre
nel '91 solo l'11% dei decessi era dovuto a malattia epatica avanzata,
questa percentuale è aumentata al 14% nel '96 ed è arrivata al 50% nel
'98. Più della metà di questi pazienti aveva una conta di CD4+ > 200
ed HIV-RNA negativo, il che significa che l'AIDS non è stata la causa
diretta del decesso
16
.
Considerando la maggiore rapidità di evoluzione dell’infezione da
HCV nei pazienti HIV-positivi, non dobbiamo mostrarci sorpresi di
quanto la mortalità da cause epatiche sia divenuta la seconda causa più
importante di morte nei soggetti HIV-infetti. Anche uno dei più grandi
studi mondiali su pazienti infetti da HIV (the DAD study) ha mostrato
come più del 50% delle morti nei pazienti che ricevono una terapia
antiretrovirale sia dovuto a cause diverse dall’AIDS
17
. In aggiunta,
sempre in questo studio, i decessi legati a disfunzioni epatiche
rappresentano il 14.5% del totale. Un dato simile è risultato da uno
studio francese (GERMI-VIC), laddove pazienti HIV-positivi, privi di
trattamento antiretrovirale, sono stati analizzati. Anche da questo
studio è emerso come le disfunzioni epatiche fossero al secondo posto
tra le cause di morte nei pazienti sieropositivi. Nello specifico, la
coinfezione da HCV è risultata essere uno dei fattori più importanti
12
legati a questi decessi, sottolineando la necessità di intervenire con
una terapia mirata, specie nei pazienti HIV-positivi
18
. Un follow-up
dei dati dello stesso studio mostra anche che nel 2003 la mortalità da
cause epatiche (12.6%) rimane stabile comparata a quella del 2001
(14.3%), e si mostrava significatamene più frequente che nel 1995
(1.5%) e nel 1997 (6.6%)
19
. La stabilizzazione della mortalità
correlata a danno epatico può essere interpretata in modi diversi: la
ragione più convincente potrebbe essere da una parte il
raggiungimento di un nuovo equilibrio demografico, dall’altra il
potenziale effetto benefico della HAART.
Una progressione più rapida verso la fibrosi e verso lo stadio
terminale della cirrosi, con tutte le complicanze relative al danno
epatico in ultimo stadio, è osservata con l’immunodeficienza
progressiva. Tramite uno studio collettivo europeo le biopsie epatiche
nei pazienti coinfetti HIV-HCV mostravano una fibrosi severa in circa
il 50% dei pazienti oltre i 40 anni di età, che rappresenta almeno 2
volte la prevalenza nei soggetti mono-infetti da HCV
10
.
13
Fig.2 Metavir Fibrosis Scores rilevati nelle biopsie epatiche di 914 pazienti co-
infetti HCV-HIV in Europa
Sulkowsky ha recentemente presentato i risultati di uno studio su
pazienti co-infetti HIV-HCV, sottolineando i livelli delle biopsie
seriali epatiche
9
. Ancora una volta è stata notata una maggiore
progressione verso la fibrosi epatica di almeno due stadi dell’ Ishak
score nel 28% dei pazienti che inizialmente mostravano una fibrosi di
stadio F0-F1 alla prima biopsia
20
. Tuttavia è ancora più importante che
questi ricercatori hanno dimostrato che un HIV-RNA di circa 10.000
copie/ml era un fattore predittivo indipendente nei confronti di una più
rapida evoluzione verso la cirrosi epatica, questo sottolineando un
possibile effetto protettivo del controllo della viremia attraverso
HAART verso la progressione della fibrosi epatica.
La meta-analisi di H.H. Thein e dei suoi collaboratori datata luglio
2007 conclude che nei pazienti HIV+/HCV+ la probabilità di
sviluppare cirrosi epatica a distanza di 20 e 40 anni è, rispettivamente,
20
30
40
50
60
70
% di pazienti
< 31 31-40 > 40
Età (ANNI)
Metavir Fibrosis Score
F3 o F4 MFS F0 o F1 MFS
14
del 23% e 75%
21
. Thein ha analizzato tutti i più importanti studi
condotti fino ad adesso sulla prognosi dell’infezione da HCV
associata o meno ad infezione da HIV. Nei 16 dei 46 studi considerati,
è stata calcolata la probabilità annuale di transizione della malattia
(PRAT) ad uno stadio peggiore.
La PRAT mediana nei pazienti con co-infezione HIV/HCV è stata pari
a: 0.127 dallo stadio F0 a F1; 0.129 dallo stadio F1 a F2; 0.163 dallo
stadio F2 a F3; 0.141 dallo stadio F3 a F4.
L’età più bassa al momento dell’infezione da HCV, il genotipo
diverso da 1, un numero di CD4 <400/ml e l’assunzione della HAART
erano associati ad una progressione della malattia più lenta mentre il
sesso maschile era associato ad una evoluzione più rapida della
malattia.
Ricercatori dell’università di Harvard e del Massachusetts General
Hospital hanno recentemente (novembre 2007) cercato di stabilire se
l’HIV e le sue proteine specifiche aumentino la carica virale
dell’HCV
22
. In questo studio, i ricercatori hanno incubato HIV inattivo
e proteine specifiche dell’HIV (gp120, Gag, Tat, Pol, e Rev) in
repliconi cellulari infettati con HCV di genotipo 1b. Hanno riscontrato
che la replicazione dell’HCV aumentava più di due volte rispetto al
valore base in presenza di gp120. Tuttavia non vi sono state differenze
nell’HCV-RNA o nei livelli delle proteine del core in presenza delle
altre proteine dell’HIV. Inoltre, la gp120 dell’HIV ha incrementato
significativamente l’espressione del fattore di crescita trasformante-
beta-1 (TGF-β-1), una citochina che promuove la proliferazione
cellulare. Questi dati indicano che l’HIV inattivato e la gp120 hanno
15
un effetto provirale sulla replicazione dell’HCV che è dipendente da
un coinvolgimento dei co-recettori. A partire da queste evidenze si
può speculare di come in vivo l’HIV e la gp120 promuovano la
replicazione dell’HCV attraverso la sovra-regolazione del TGF-β-1
negli epatociti infetti dall’HCV. Questi risultati implicano un effetto
dell’HIV circolante sulla innata immunità antivirale all’HCV, e
suggeriscono un nuovo meccanismo attraverso il quale l’infezione da
HIV si correla ad un’aumentata replicazione dell’HCV ed alla
progressione della fibrosi epatica.
Mentre la carica virale di HIV si è dimostrato un fattore prognostico
importante riguardo l’evolutività della patologia epatica, nell’ambito
della coorte EuroSIDA non è stata documentata alcuna associazione
tra il genotipo e/o la carica virale di HCV e la mortalità
23
.
E’ questo il risultato dello studio di J.K. Rockstroth presentato alla XI
European AIDS Conference di Madrid (24-27 ottobre 2007).
Questo ampio studio ha incluso 1677 pazienti con co-infezione
HCV/HIV di cui era noto il genotipo HCV. Durante il follow-up, 340
pazienti (15%) sono deceduti e di questi 91 per patologie epatiche.
L’incidenza di decessi per 100 persone/anno è stata pari a: 3.85 (95%
CI 3.22-4.49) per il genotipo 1 (HCV-1), 4.52 (95% CI 2.40-7.70) per
il genotipo 2 (HCV-2), 3.34 (95% CI 2.54-4.14) per il genotipo 3
(HCV-3), 2.49 (95% CI 1.45-3.52) per il genotipo 4 (HCV-4) e 4.40
(95% CI 3.52-5.28) per i pazienti con anticorpi anti-HCV e carica
virale <615 UI/ml (HCV-c). Rispetto al genotipo HCV-1, la mortalità
è risultata simile negli altri genotipi e nell’HCV-c (p>0.1). Per ogni
16
aumento log10 della carica virale (HCV-RNA) il rischio di mortalità
aumentava del 23%, ma dopo aggiustamento dei dati per i vari fattori
di rischio tale associazione non era più osservabile. Anche riguardo
alla mortalità correlata a patologie epatiche non sono state osservate
differenze significative tra i diversi genotipi e in relazione alla carica
virale.
Secondo gli autori dello studio, questi risultati suggeriscono che la
carica virale e il genotipo HCV non sono fattori di rischio di mortalità
nelle persone con co-infezione HCV/HIV.