6
sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza
ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacità di
inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di
prima occupazione, con particolare riferimento alle fasce deboli del
mercato del lavoro
3
”.
Uno di tali strumenti è proprio rappresentato dal contratto di
collaborazione coordinata e continuativa “a progetto”, oggetto del
presente lavoro. È importante premettere che prima della riforma
anche a fronte di prestazioni che certamente non si caratterizzavano per
l’autonomia, si stipulavano contratti di collaborazione coordinata e
continuativa ai quali si accompagnavano minori costi per le imprese,
ma, cosa particolarmente grave, minori tutele per i lavoratori
4
. La
riforma delle collaborazioni, quindi, si rivela essere la conseguenza
diretta di un’opzione politica precisa, “impedire un utilizzo improprio e
abusivo delle collaborazioni e, quindi, ridurre per quanto possibile le
forme di flessibilità impropria riequilibrando i rapporto di lavoro
Italia flessibilizzato in misura più che adeguata alle esigenze effettive delle imprese e non vi
sono margini ulteriori per creare convenienze alle imprese”.
3
Titolo II, Art. 3, 1° comma, D. Lgs. n. 276/2003, Finalità.
4
R. DE LUCA TAMAJO: “nell’area del lavoro coordinato confluivano addetti a call-center o
altre figure palesemente astrette nei classici vincoli spaziali, temporali e modali della
subordinazione, con l’effetto di ampliare indebitamente la platea del co.co.co. e di far
impennare in modo anomalo le statistiche del lavoro parasubordinato”.
7
autonomo e subordinato
5
”. Già, nel “Libro Bianco sul mercato del
lavoro in Italia” redatto nel 2001, lo staff presieduto dal Prof. Marco
Biagi suggeriva la predisposizione di “nuove tipologie contrattuali che
abbiano la funzione di “ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio
utilizzo di alcuni strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o
frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, e
che, nel contempo, tengano conto delle mutate esigenze produttive ed
organizzative”. È proprio in quest’ottica che è stata formulata la
disciplina del lavoro a progetto, come forma di lavoro autonomo
parasubordinato in cui si rileva fortemente il fattore della realizzazione
di un progetto avente precisi requisiti in termini di quantificazione
temporale, ma anche di qualità della prestazione.
5
Che continuerà ad applicarsi soltanto nell’ambito delle Pubbliche Amministrazione (art. 86, 9°
comma, D. Lgs. n. 276/2003)
8
LE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE E
LA RIFORMA
1.1 Le collaborazioni coordinate e continuative prima della
riforma: il c.d. lavoro parasubordinato e la mancanza di un
quadro normativo di riferimento
Nell’ordinamento italiano, il lavoro parasubordinato non ha
una propria identità giuridica, in quanto non c’è alcuna disposizione o
norma che definisca questa tipologia di prestazione lavorativa
6
.
Le prime tracce della collaborazione coordinata e continuativa
risalgono al 1959 e precisamente si ritrovano menzionate nell’art. 2
della legge n. 741, la quale nominava, insieme ad altri, i “rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera
coordinata e continuativa”, come meritevoli di tutela in materia di
trattamenti minimi economici dei lavoratori.
6
Il codice civile contempla solo di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.) e lavoro autonomo (art.
2222 c.c.)
9
Tuttavia, l’unica norma che ha fatto esplicito riferimento,
dandone forse una vera e propria definizione, alla categoria del lavoro
parasubordinato, è rappresentata dall’art. 409 c.p.c., 3° comma,
introdotto con l’emanazione della legge n. 553 del 1977 che,
nell’individuare le materie devolute alla competenza del Giudice del
Lavoro, ha voluto includere, non soltanto i rapporti di agenzia e i
rappresentanti di commercio, ma anche gli “altri rapporti di
collaborazione che si concretizzano in una prestazione d’opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a
carattere subordinato”.
La nozione del 1959, rimanendo pur sempre generica ed
ampiamente elastica nella sua formulazione, viene, qui, arricchita dalla
connotazione “prevalentemente personale anche se non a carattere
subordinato” della prestazione. Il legislatore ha voluto, con tale norma,
operare una progressiva estensione della tutela giuridica del lavoro
subordinato a quelle forme di collaborazione coordinata e continuativa
che, pur appartenenti al lavoro autonomo, evidenziavano una posizione
di inferiorità del lavoratore/prestatore d’opera come parte
10
contrattualmente più debole
7
e quindi di soggezione economica nei
confronti del datore di lavoro/committente
8
.
Anche sotto il profilo tributario (art. 49, 2° comma, del d.p.r. n.
917 del 1986) venivano assoggettate alla disciplina dei redditi di lavoro
autonomo anche i redditi derivanti da rapporto di collaborazione,
considerando tali “i rapporti aventi per oggetto la prestazione di
attività… svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un
determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo
senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica
prestabilita”. Assoggettamento che, tuttavia, non rimase stabile nel
tempo. Infatti, ad opera dell’art. 34, 1° comma, lett. b, della legge n.
342 del 2000, le collaborazioni coordinate e continuative sono
transitate nell’area dei redditi assimilati a quello di lavoro dipendente
da gennaio del 2001.
Forse tale confusione di idee derivava appunto dalla mancanza
di una disciplina specifica di una categoria del c.d. lavoro
parasubordinato che, negli anni, andava sempre più diffondendosi.
7
G. SANTORO PASSARELLI, Chiose sulla parasubordinazione, in Lav. Dir., 1989, I, 201-
204.
8
M. PEDRAZZOLI, Prestazione di opera e parasubordinazione, in Riv. It. Dir. Lav., 1984, I,
506 e ss.
11
Nel frattempo, la definizione ai fini fiscali ha costituito il
presupposto per l’applicazione di altre normative di successiva
emanazione: come l’obbligo di contribuzione previdenziale con
apposita gestione separata INPS (art. 2, 26-32 commi, della legge n.
335 del 1995), l’estensione della tutela relativa alla maternità, agli
assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza
ospedaliera (art. 59 della legge n. 449 del 1997) e l’obbligo assicurativo
contro gli infortuni e le malattie professionali (art. 5 della legge n. 38
del 2000) agli iscritti alla gestione separata.
Da questa panoramica, seppur concisa, sulla legislazione
esistente, è facile dedurre che, nonostante il tempo trascorso
dall’introduzione della formula “collaborazione coordinata e
continuativa”, sussistono tuttora profonde incertezze sulla nozione di
lavoro parasubordinato e sulle linee di confine che lo separano e lo
accomunano al lavoro autonomo, da un lato, e al lavoro subordinato,
dall’atro.
12
1.2 Elementi distintivi di una fattispecie: a) la collaborazione
prevalentemente personale e senza vincolo di
subordinazione; b) il requisito della coordinazione; c) il
requisito della continuità
È nel silenzio della legge che la giurisprudenza ha cercato di
elaborare una nozione comune di lavoro parasubordinato, cercando di
individuarne i tratti essenziali di una categoria di prestatori di lavoro
sempre più diffusa
9
, nel tentativo di colmare il vuoto normativo
10
lasciato dal legislatore e di smascherare un eventuale uso fraudolento
da parte dei committenti. Per fare ciò è necessario partire dalla
maggiore attitudine qualificatoria
11
manifestata dall’art. 409 c.p.c., 3°
comma, in cui sono appunto menzionati i “…rapporti di
collaborazione che si concretizzano in una prestazione d’opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a
carattere subordinato”.
9
A. ACCORNERO, Una ricerca sui lavori coordinati e continuativi. Fra subordinazione ed
autonomia, Lav. e Inf., 1998, 22, 5-14.
10
Durato appunto 26 anni dall’emanazione dell’art. 409, 3° comma, del 1977, fino all’attuale
legge 276 del 2003, art. 61-69, relativi alla novità del lavoro a progetto.
11
G. GIRARDI , Il concetto di prestazione d’opera ai sensi dell’art. 409 n. 3, in Mass. Giur.
Lav., 1976, 433 e ss; G. PERA, Rapporti di c.d. parasubordinazione e rito del lavoro, in Riv.
Dir. Proc., 1974, 43 e ss.
13
Da tale definizione è possibile ricavare gli elementi distintivi
della fattispecie, ossia la collaborazione prevalentemente personale
senza vincolo di subordinazione, la continuatività della prestazione e la
coordinazione della stessa.
a) La collaborazione prevalentemente personale e senza
vincolo di subordinazione. Poiché gli aggettivi “coordinata” e
“continuativa” qualificano la collaborazione è giusto attribuire a
quest’ultima valore essenziale
12
. Tuttavia, è opportuno distinguere tale
collaborazione da quella richiamata dall’art. 2094 c.c., che descrive la
prestazione di lavoro subordinato in termini di “collaborazione
nell’impresa”. Infatti, la presenza della stessa parola – collaborazione –
in entrambe le norme può indurre a pensare che la collaborazione
indichi uno stesso contesto di realtà o comunque tenda a far convergere
in un assetto tendenzialmente unico i lavori che ne sono specificati.
Questa lettura è subito smentita dalla mancanza del vincolo di
subordinazione, elemento che indica nelle collaborazioni coordinate e
continuative, anche se in senso negativo, l’autonomia della prestazione
12
V. PINTO, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in Lavoro e
diritti dopo il decreto legislativo n° 276/2003 a cura di P. Curzio, Cacucci, 2004.
14
(come espressamente pretende l’art. 2222 c.c. nel definire il lavoro
autonomo).
Inoltre, il “collaborare” dell’art. 2094 c.c. significa “lavorare
assieme” a chi dirige o gestisce il lavoro, in base ad un apposito
contratto che riflette l’organizzazione gerarchica dell’impresa dove il
lavoratore subordinato è assoggettato al potere direttivo del datore di
lavoro per effetto della subordinazione stessa; mentre l’espresso
richiamo, “prestazione d’opera”, avvicina il collaboratore dell’art. 409
c.p.c., 3° comma, al prestatore d’opera che deve limitarsi ad eseguire la
prestazione lavorativa “secondo le condizioni stabilite dal contratto e a
regola d’arte” (art. 2224 c.c., 1° comma), e quindi al di fuori di
qualunque gerarchia
13
che possa generare quel potere datoriale tipico
del lavoro subordinato. Pertanto, è possibile concludere che la
collaborazione dell’art. 2094 c.c., non ha la stessa connotazione di
quelle richiamate dall’art. 409 c.p.c., 3° comma, in cui la
collaborazione – avente ad oggetto un facere “prevalentemente
personale” – deve essere caratterizzato dall’assenza del vincolo di
subordinazione, cioè da quell’autonomia tipica dei rapporti di lavoro
autonomi.
13
M. PEDRAZZOLI, Dai lavori autonomi ai lavori subordinati, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1998,
551.
15
Il carattere prevalentemente personale della collaborazione sta
ad indicare una prestazione d’opera svolta personalmente o,
quantomeno, con prevalenza dell’elemento personale, ossia con una
organizzazione di mezzi e/o di risorse umane piuttosto limitate
14
. Ne
deriva l’esclusione, dalla categoria del lavoro parasubordinato, quindi,
la presenza di un’ampia e articolata organizzazione che ne evidenzia la
qualità imprenditoriale, non più personale, della prestazione dovuta. Il
lavoro personale del debitore deve essere prevalente non solo sul
lavoro altrui, eventualmente utilizzato, ma anche sugli altri fattori
necessari per eseguire la prestazione
15
. Il carattere della “prevalente
personalità” non deve, quindi, essere valutato soltanto alla stregua di
comuni parametri quantitativi (lavoro altrui e/o beni o capitali) bensì
alla luce di indici qualitativi quali l’”infungibilità dell’apporto
16
” del
collaboratore, pur in presenza del concorso dell’attività di terzi.
14
A. PERULLI, Lavoro autonomo e dipendenza economica oggi, in Riv. Giur. Lav. Prev. Soc.,
2003, I, 221-261.
15
M. V. BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in Lav. e Dir., 1987,
57-67.
16
M. VICECONTE, Le tipologie di lavoro emergenti: la collaborazione coordinata e
continuativa. Il contesto socio economico e profilo giuridico, in Lav. e Prev. Oggi, 1995, 625 e
ss.
16
b) Il requisito della coordinazione. Il requisito della
coordinazione mette in evidenza il profilo organizzativo del rapporto di
lavoro, ossia indica il collegamento funzionale tra le attività del
prestatore d’opera e quella del committente
17
, nel senso che l’una
concorre alla realizzazione dell’altra. Nel lavoro subordinato il suddetto
collegamento funzionale si esplica attraverso l’esercizio del potere
direttivo, configurato come potere datoriale di conformazione della
prestazione dovuta e di determinare unilateralmente le modalità della
prestazione stessa. Tale potere ricomprende anche il potere di
modificare unilateralmente il luogo di adempimento dell’obbligazione
di lavoro e di assegnare mansioni diverse da quelle implicitamente,
convenute, con l’unico limite che si tratti di mansioni equivalenti (art.
2103 c.c.). Nel lavoro coordinato, invece, tale collegamento si realizza
soltanto attraverso l’esercizio del potere del committente di
conformazione della prestazione dovuta o nella richiesta di
adempimento dell’unica prestazione dedotta in contratto
18
. Tale tesi
ormai consolidata, considera il collaboratore, seppur economicamente
dipendente, tipologicamente ancorato a fattispecie di lavoro autonomo,
in quanto la coordinazione della sua prestazione, da parte del
17
Cass. 20 agosto 1997, n. 7785, in Mass. Giur. It., 1997.
18
G. SANTORO PASSARELLI, Dal contratto d'opera al lavoro autonomo economicamente
dipendente, attraverso il lavoro a progetto, in Riv. It. Dir. Lav., 2004, I, 4, 543-560.
17
committente, non interferisce con l’autonoma organizzazione
dell’attività lavorativa del collaboratore
19
. Al prestatore di lavoro
coordinato rimane, pertanto, imputato l’obbligo di effettuare la
prestazione convenuta, a fronte del potere di conformazione del
committente; sebbene egli conservi la facoltà di determinare
autonomamente le modalità, il luogo e il tempo dell’esecuzione della
prestazione
20
.
Un altro elemento che distingue il “lavoro coordinato” dal
lavoro subordinato, è che nel primo, a differenza di quanto avviene nel
secondo, l’attività lavorativa viene eseguita in vista di un programma
definito consensualmente: il “lavoratore coordinato” non presta la sua
attività personale per il conseguimento di qualsiasi obiettivo il
committente voglia perseguire, ma solo di quello contrattualmente
definito
21
. Si può affermare, quindi, che coordinamento significa
“perseguimento di finalità proprie del preponente senza che vi sia
contrasto con l’autonomia” del prestatore
22
che si esplica attraverso la
19
A. PERULLI, Lavoro autonomo e dipendenza economica oggi, in Riv. Giur. Lav. Prev. Soc.,
2003, I, 221-261.
20
G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro parasubordinato, F. Angeli, Milano, 1979.
21
M. PERSIANI, Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di
collaborazione lavorativa, in Lav. e Dir., 1998, I, 203-211.
22
Cass. 6 giugno 1983, n. 3857, in Mass Giur. It., 1983.
18
“programmazione delle prestazioni ab origine in funzione delle finalità
del soggetto beneficiario
23
”.
L’assenza del potere direttivo o il suo affievolimento a potere
di coordinazione non preclude, in ogni caso, al committente la
possibilità o meglio il diritto di esercitare il potere di controllo allo
scopo di verificare che l’esecuzione proceda “secondo le condizioni
stabilite dal contratto ed a regola d’arte” (art. 2224 c.c.).
c) Il requisito della continuità. Nonostante il riferimento alla
“prestazione d’opera”, con la connotazione “continuativa” la norma
sembra suggerire un’attività coordinata che si distribuisce nel tempo in
termini abbastanza affini a quelli rilevabili nel lavoro dipendente,
seppur priva della subordinazione. In questa prospettiva, qualcuno
24
afferma che la continuità sarebbe una caratteristica idonea a distinguere
il “lavoro coordinato” dal lavoro autonomo, ritenendo che una
prestazione d’opera nel lavoro autonomo non può essere continuativa
in quanto rientrante tra le obbligazioni di risultato, in cui si rileva
l’esecuzione istantanea dell’adempimento.
23
Cass. 9 maggio 1983, n. 3198, in Mass. Giur. It., 1983.
24
G. FERRARO, Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1998, 455
e ss.