4
sottrazione di una norma o di un insieme di norme sul lavoro subordinato alla fattispecie
in esame.
L’evoluzione del mercato del lavoro richiedeva, quindi, un’ulteriore intervento in senso
innovativo.
A tale decisiva svolta si arriva con il disegno di legge collegato alla Finanziaria 2002,
contenente la “Delega al Governo in materia di mercato del lavoro”, deliberato dal
Consiglio dei Ministri il 15 novembre 2001, “figlio” diretto del c.d. Libro bianco,
presentato nell’ottobre 2001 dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maroni e
finalizzato a rinnovare il mercato del lavoro italiano in senso più liberista. Alla legge
delega verrà data attuazione definitiva mediante l’approvazione del decreto legislativo
276/2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il 24 ottobre 2003.
All’interno del complesso quadro così tratteggiato, la nostra attenzione sarà rivolta ad
un particolare istituto, il contratto di lavoro ripartito. Si cercherà, in particolar modo, di
delineare nel capitolo II la disciplina contenuta nel decreto legislativo 276/2003 agli
artt. 41-45, preceduta, nel capitolo I, dall’analisi della legislazione nazionale e
comunitaria di governo delle flessibilità, descrivendo i molti interessi che vi sono
sottesi.
Il capitolo III sarà invece destinato ad analizzare alcuni degli aspetti critici della
disciplina del contratto di lavoro ripartito, ricostruendo tutti i problemi che seguono alla
legittimazione di un contratto caratterizzato principalmente dal vincolo solidale
dell’obbligazione lavorativa, oltre che alla verifica dei risultati raggiungibili in concreto
con l’utilizzo del contratto in esame, secondo le idee espresse dal Libro Bianco e dal 1°
comma dell’art. 1 del decreto di attuazione in materia di occupazione, di libertà e
dignità dei lavoratori e delle lavoratrici e di parità di trattamento tra uomini e donne.
5
CAPITOLO I
La flessibilità e la riforma del mercato del lavoro
SOMMARIO: - 1.1. La flessibilità e le sue origini. – 1.1.1. La flessibilità in Italia. La
deregolazione assoluta e relativa (o contrattata). - 1.2. La flessibilità nel
diritto comunitario. Le direttive dell’UE. – 1.3. La flessibilità nel
pubblico impiego. – 1.4. Flessibilità e interesse. –1.4.1. Flessibilità e
mercato del lavoro. Flessibilità in entrata e in uscita. – 1.4.2. Flessibilità
e rapporto di lavoro. I contratti atipici. – 1.4.3. Flessibilità e precarietà
del lavoro. – 1.5. La riforma del mercato del lavoro. – 1.5.1. Il libro
bianco. – 1.5.2. Il disegno di legge n. 848 e la legge delega 14 febbraio
2003, n. 30. – 1.6. Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. -
1.6.1. Finalità e campo d’applicazione del decreto legislativo n. 276 del
2003. – 1.6.2. Inapplicabilità del decreto 10 settembre 2003, n. 276 nei
contratti con la pubblica amministrazione.
6
1.1 La flessibilità e le sue origini
Negli ultimi vent’anni è in corso in Italia, come negli altri Paesi comunitari, una
profonda evoluzione del sistema socio-economico e in particolare del mercato del
lavoro, caratterizzato da sempre più marcate esigenze di flessibilità
4
. Dall’inizio degli
anni ’80 il termine flessibilità inizia a diffondersi nel linguaggio giuridico dei paesi
sviluppati spesso associato ad un’altra formula, ovvero «innovazione tecnologica»
5
. La
flessibilità si colloca quindi nelle profonde trasformazioni del modo di organizzare il
lavoro, determinate da motivi strutturali e istituzionali, primo fra tutti il passaggio dal
fordismo al post-fordismo, cioè il superamento della fabbrica destinata alla produzione
di massa sostituita dall’impresa flessibile e decentrata, che continua la produzione in
serie, ma per piccoli lotti, facendo attenzione alle mutevoli esigenze del mercato. Ciò ha
decretato la fine dell’idea egemonica dell’industrialismo, rilanciando gli altri settori
economici ,soprattutto il terziario
6
, “nel quale si sviluppano le attività di servizio
qualificato alle imprese e, insieme ad esse, fiorisce una molteplicità di nuovi assetti
aziendali e figure lavorative”
7
.
Altre cause hanno però concorso a cambiare ulteriormente il panorama dal punto di
vista delle profonde trasformazioni che ha subito l’organizzazione del lavoro; fra queste,
le principali sono state la rivoluzione informatica e la globalizzazione che hanno
determinato una sempre maggiore mobiltà di capitale e lo spostamento delle aree
destinate alla produzione in zone dove minore è il costo della manodopera e di gestione
e le tasse sulla produzione sono meno gravose.
Gli ultimi decenni sono stati un periodo di grande novità non tanto sotto il profilo della
produzione e dell’organizzazione del lavoro; sono stati anche i grandi cambiamenti
sotto il profilo istituzionale e sociale.
Dal punto di vista sociale a cambiare è la famiglia, oggi intesa come nucleo in cui sia
l’uomo sia la donna contribuiscono al mantenimento della famiglia stessa, per cui ad
essere mutato sostanzialmente è il ruolo della donna che sarà maggiormente disposta ad
accettare lavori flessibili e avere tempo per assicurare la cura della casa e dei figli.
4
C. Ageno, Forme atipiche di lavoro nelle società commerciali e nelle cooperative, Padova, 2004, pag. 1.
5
L. Mariucci, Le fonti del diritto del lavoro quindici anni dopo, Torino, 2003,pag. 50.
6
F. Mazziotti, La riforma della flessibilità del lavoro, in Dir. lav., 2003, V, pag. 489.
7
L. Mariucci, op. cit., pag. 53.
7
Dal punto di vista istituzionale ad essere mutato è il ruolo dello stato, sempre più
proteso verso una concezione neo-liberistica del lavoro e della figura del lavoratore che
ormai viene visto come «produttore», a cui garantire i servizi essenziali allo
svolgimento delle sue mansioni quali formazione professionale e informazioni
occupazionali “per rafforzarne la posizione sul mercato”.
La concezione neo-liberista del mercato vorrebbe spingersi fino a negare
l’inderogabilità in peius della normativa di tutela del lavoratore, tanto quella legislativa
che quella collettiva, lasciando maggiore spazio all’autonomia individuale. Questa è la
posizione assunta dall’Unione Europea nei confronti del lavoratore, posizione contraria
a quella dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) secondo cui il lavoratore è
ancora un soggetto da proteggere vista la sua forte inferiorità economica nei confronti
del datore di lavoro. Tale concezione neo-liberistica è fortemente contrastata dalle
organizzazioni sindacali, che possono spingersi ad ammettere soltanto una normativa
legislativa e collettiva più generale per adeguare le esigenze di produttività delle singole
aziende.
8
Fino a qualche decennio fa il concetto cardine dell’intera ideologia lavoristica era che la
stabilità del rapporto di lavoro, sostenuta da una serie di garanzie fondamentali per tutti
i tipi di contratti di lavoro, fosse un valore indiscutibile e che quindi costituisse la
condizione ottimale per il lavoratore.
Oggi invece è la stessa idea di stabilità del posto di lavoro che viene messa in
discussione. Ciò dipende da tutti quei cambiamenti del mondo del lavoro ai quali si
faceva riferimento,”quell’insieme di fattori economico-produttivi, sociali e culturali che
caratterizzano l’attuale periodo di tumultuosa trasformazione dei paesi sviluppati”; ad
esempio, in tema di modalità spaziali di adempimento della prestazione lavorativa, “la
prospettiva da indagare sia oggi arrivata ad assumere valenze inedite e implicazioni che
solo pochi anni fa sarebbero state impensabili: gli strumenti di flessibilità gestionale da
un lato e l’introduzione delle nuove tecnologie informatiche dall’altro hanno, se non
rotto, sicuramente incrinato la classica visione del rapporto di lavoro fondata sull’unità
di tempo, di luogo e d’azione. Grazie in particolare all’avvento della tecnologia
informatica, l’imprenditore si trova in condizione di poter decidere se continuare a
produrre sfruttando il tradizionale modello fondato sul coordinamento fisico dei
8
F. Mazziotti, ivi. cit., pag. 490.
8
lavoratori all’interno delle unità produttive, oppure se iniziare a giovarsi anche delle
opportunità offerte da un coordinamento solo telematico di prestazioni materialmente
rese in luoghi di cui non occorre più avere la piena disponibilità”.
9
Bisogna però stare attenti a non confondere due situazioni tra loro diverse, la prima
delle quali si riferisce ai periodi di crisi del sistema in cui diventano necessarie politiche
di salvataggio e risanamento aziendale che costituiscono situazioni straordinarie e che
danno luogo a “scelte di ordine concessivo”. Tali scelte sono avvertite come «sacrifici
da sopportare» dalle parti sociali. Da queste situazione straordinaria si deve distinguere
concettualmente la diversa problematica della flessibilità “intesa come una nuova
dimensione strutturale e sociale, un connotato tendenzialmente dominante degli assetti
produttivi e della organizzazione del mercato del lavoro che determina la necessità di
una nuova regolazione altrettanto complessa e polivalente quanto quella dei fattori che
sono alla sua origine”
10
.
1.1.1 La flessibilità in Italia. La deregolazione assoluta e relativa (o contrattata)
In Italia, la flessibilizzazione delle discipline è stata attuata attraverso tre opzioni:
la prima è la tendenza alla «deregolazione assoluta», cioè “la pura e semplice rimozione
di vincoli preesistenti”, come ad esempio nel caso della disciplina del collocamento. In
quel caso, infatti, la legge n. 264 del 1949 sanciva la prevalenza della regola numerica
nell’avviamento, norma che verrà aggirata grazie alla legge 863 del 1984, che
liberalizza parzialmente gli avviamenti nominativi. Attraverso disposizioni di questo
tipo si incide sulla normativa precedente, per cui non sono modifiche strutturali ma
“disapplicano singole discipline e allargano l’inapplicazione di altre”.
Vanno incluse in questa serie di interventi normativi le leggi riguardanti l’allentamento
della disciplina delle assunzioni obbligatorie (art. 9, legge n. 79 del 1983) e anche le
leggi sulla parziale liberalizzazione del contratto a termine (art. 8 bis, legge n. 79 del
1983), oltre alle norme di revisione dei precedenti livelli di tutela, in materia di
9
L. Angelini, Locus laboris e subordinazione dopo la fine dell’”imperativo geografico”, in Studi
Urbinati, 1997, A-48, pag. 12-13.
10
L. Mariucci, ivi. cit., pag. 51-52.
9
trattamenti di malattia e accertamenti sanitari previsti dall’art. 5 della legge n.638 del
1983.
11
Il processo di deregulation ebbe inizio a partire dalla seconda metà degli anni ’70, in
coincidenza con la crisi petrolifera, con pesanti ripercussioni sull’economia italiana.
Con la creazione delle prime norme di riduzione del costo del lavoro, inizia il processo
di indebolimento delle forme di garanzia, comprese quelle relative ai limiti d’impiego
flessibile della mano d’opera; “la forza delle organizzazioni sindacali inizia
gradualmente a diminuire.
12
La seconda opzione per introdurre l’utilizzazione di discipline flessibili è la diretta
«promozione legislativa» delle forme flessibili di impiego. Ciò è stato fatto attraverso
norme quali gli artt. 3 e 5 della legge n. 863 del 1984, riguardanti i contratti di
formazione lavoro e i contratti a tempo parziale, che, dopo essere stati istituzionalizzati
dalla legge, si cercherà di favorirne la diffusione. Nel caso del lavoro a tempo parziale
il fatto importante è la tipizzazione legislativa di un contratto che non era stato
disciplinato fino a quel momento, e quindi considerato un contratto atipico di utilizzo
marginale.
L’introduzione di nuove forme di flessibilità si è avuta negli anni ’90, fino ad arrivare
alla legge n. 196 del 1997 che ha tipizzato nel nostro ordinamento l’istituto della
fornitura di mano d’opera. Occorre però sottolineare che queste «nuove flessibilità»
erano già note agli altri paesi europei. Risale al 1998 l’emanazione della circolare
ministeriale circolare ministeriale n. 43 (preceduta dai d.d.l. Caviglioli del 1993 e Treu
del 1995) la quale appronta una prima disciplina del «contratto di job sharing» , istituto
di derivazione anglo-americana che si basa sulla condivisione dell’obbligazione
lavorativa tra due diversi prestatori di lavoro e ha la sua novità nel vincolo solidale
dell’obbligazione lavorativa tra i due lavoratori.
Il terzo metodo utilizzato per introdurre nell’ordinamento italiano le discipline flessibili
è quello della «deregolazione relativa » o « contrattata ». Si ha questo tipo di
deregolazione quando la legge “si limita ad ipotizzare una variante rispetto al modello
legale, ma ne subordina l’attuazione ad un successivo intervento dell’altra fonte
normativa, cioè della contrattazione collettiva”.
13
11
L. Mariucci, già. cit., pag. 54 e ss.
12
F. Mazziotti, op. cit., pag. 494.
13
L. Mariucci, op. cit., pag. 55 e ss.
10
Questa tecnica è stata adottata in larga misura anche da altri Paesi europei, perché ha il
vantaggio di offrire attraverso la norma legislativa una “risorsa di flessibilità”,
rinviando però per la concreta adozione della norma alla contrattazione collettiva.
Molte disposizioni possono essere ricondotte a questo indirizzo; l’art. 5 della legge n.
903 del 1977 (sulla parità tra uomo e donna) che vietava il lavoro notturno per le donne,
ma conteneva deroghe allo stesso divieto, stabilite dal negoziato collettivo: nel caso di
contratti di formazione lavoro, di sottrarsi alla preventiva approvazione dei progetti
formativi da parte delle Commissioni regionali per l’impiego, quando gli stessi progetti
formativi siano conformi alle regolamentazioni concordate dal sindacato (art. 3 ,comma
3°, legge n. 863 del 1984); le norme che permettono di rimuovere, sempre attraverso la
contrattazione collettiva, il divieto di lavoro supplementare per i lavoratori a part-time
(art. 5,comma 4°, legge n. 863 del 1984), ovvero quelle che consentono di individuare,
mediante la contrattazione collettiva, le altre ipotesi in cui è consentito stipulare
contratti a termine, oltre alle ipotesi già previste dalla legge (art. 23 legge n. 56 del
1987). Tutte queste discipline effettuano un rinvio alla contrattazione collettiva che
assume funzione derogatoria di disposizioni legali che altrimenti sarebbero imperative.
Nella maggior parte di questi casi “il ricorso alla tecnica derogatoria consegue
all’intensificarsi del metodo «corporativo» di produzione legislativa, dato che le
discipline legislative sono esse stesse in linea di massima pre-negoziate in sede di
concertazione triangolare”.
In conclusione la disciplina della flessibilità, sebbene introduca innovazioni che non
riguardano la struttura delle discipline previgenti, e che quindi possono essere
denominate «innovazioni collaterali», “sollevano problemi nodali dell’assetto
giuslavoristico”.
14
14
L. Mariucci, op. cit., pag. 56.
11
1.2 La flessibilità nel diritto comunitario. Le direttive dell’UE
Le nuove esigenze di organizzazione del lavoro sono state recepite dalla politica
europea già nel Consiglio di Essen del 1995 in cui si è chiesta l’adozione di
provvedimenti per incentivare le politiche occupazionali attraverso un lavoro dotato di
maggiore flessibilità, intesa sia nel senso di generare una maggiore occupazione, sia nel
senso di andare incontro alle nuove esigenze di competitività delle imprese.Tale
posizione adottata nel Consiglio di Essen si è ulteriormente consolidata nel vertice
straordinario del Lussemburgo svolto nell’ambito della cd. «Strategia per
l’occupazione», nel quale sono stati individuati i quattro pilastri su cui poggiano le
strategie europee nell’occupazione e di conseguenza i piani nazionali
15
, e in una
risoluzione del Consiglio Europeo del 9/2/1999, in cui si chiedeva alle “parti sociali a
negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme
flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare
il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza”
16
, realizzando quindi una
flessibilità che sia in stretto rapporto con la tutela del lavoratore sul posto di lavoro.
17
È stato detto da alcuni studiosi che il diritto comunitario è per sua natura flessibile,
perché è un sistema normativo che si fonda su princìpi piuttosto che su regole;
l’ordinamento comunitario, infatti, lascia agli Stati membri il dovere/potere di attuare la
normativa comunitaria con ampia discrezionalità, riservandosi soltanto il compito di
individuare gli obbiettivi da raggiungere, lasciando poi agli Stati il successivo compito
di attuare la disciplina espressa con il principio comunitario attraverso margini di
adattabilità che tengano in conto le diverse esigenze nazionali.
Le principali fonti normative del diritto comunitario, è bene ricordarlo, sono: il
Trattato; le direttive ;la giurisprudenza della Corte, ciascuna con le proprie
caratteristiche strutturali e di funzionamento. Tutte queste fonti hanno subito dei
cambiamenti nel tempo; parlando del Trattato, bisogna precisare con attenzione quale
sia il testo cui ci si riferisce, se quello dopo Maastricht in cui è stato anche stipulato il
Trattato istitutivo dell’Unione Europea, oppure dopo Amsterdam in cui è stata precisata
la definitiva considerazione dell’occupazione come obbiettivo fondamentale dell’azione
15
T. Treu, Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, Il Mulino, 2001, pag. 25.
16
Risoluzione del Consiglio Europeo 9/2/1999.
17
C. Ageno, op. cit., pag. 2.
12
comunitaria, che ha causato significative modifiche al Trattato. Queste modifiche hanno
condizionato le direttive che ne sono seguite, per cui bisogna operare una distinzione tra
le direttive dei primi decenni dopo Roma e le direttive degli anni ’90.
Il secondo gruppo di direttive hanno tutte come obbiettivo generale quello della lotta
alla disoccupazione e la produzione di interventi a favore dell’occupazione e, pur
mantenendo il carattere di hard law, si avvicinano alle politiche del lavoro formalizzate
nel Trattato di Amsterdam per coordinare e promuovere le politiche degli Stati membri
in materia di occupazione, con lo sviluppo di una strategia coordinata per favorire
l’occupazione.
Di soft law si può davvero parlare quando si guarda alle politiche del lavoro
comunitario e cioè alle guidelines, a cui seguono i piani nazionali per l’occupazione
presentati dai governi. Si tratta di strumenti individuati dal titolo VIII del Trattato
(dedicato all’occupazione) “per sviluppare una strategia coordinata a favore
dell’occupazione, e in particolare a favore della promozione di una forza lavoro
competente, qualificata, adattabile e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai
mutamenti economici”
18
perché “gli orientamenti dell’Ue in materia di social policy e
l’uso del metodo concertativo hanno un terreno significativo di verifica in ordine alle
politiche della flessibilità, o adattabilità come si esprime il linguaggio delle guidelines
sull’occupazione e il tema della flessibilità riveste un ruolo centrale, al di là della sua
collocazione come uno dei pilastri delle guidelines, perché è stato terreno di scontro più
esplicito tra le filosofie regolatrici tradizionali del modello europeo fatte proprie fino
agli anni settanta e le tendenze neoliberiste che nel decennio successivo hanno proposto
una radicale deregolazione del mercato del lavoro. Le indicazioni successive, da Delors
e il Green paper del 1993 fino alle guidelines del Lussemburgo del 1997 e i loro
aggiornamenti, sono rivolti a trovare una conciliazione, o un nuovo compromesso, fra le
istanze di flessibilità nel mercato del lavoro, per rispondere alla competizione globale e
la volontà di mantenere quei principi di socialità, equità e sicurezza propri del modello
europeo e ritenuti necessari per la coesione sociale, e per la stessa competitività del
sistema
19
”. La difficoltà politica prima che tecnica di bilanciare la flessibilità a favore
18
G. De Simone, Flessibilità, lavori flessibili, diritto comunitario. In Aa. Vv.“Interessi e tecniche nella
disciplina del lavoro flessibile : atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro : Pesaro-Urbino, 24-25
maggio 2002, Giuffrè, 2003, pag. 506-507.
19
T. Treu, op. cit., pag. 96.
13
delle imprese con quella a favore della forza-lavoro, così come quella di bilanciare
flessibilità e sicurezza ha fatto sì che i termini del compromesso risultassero cauti, quasi
reticenti sui contenuti specifici della flessibilità nel lavoro
20
.
Le direttive di intervento riguardano principalmente due punti fondamentali: la prima
riguarda la concertazione per modernizzare l’organizzazione del lavoro tenendo in
considerazione l’innovazione nei tempi di lavoro e nei regimi di orario; la seconda
riguarda la facilitazione di nuovi contratti di lavoro flessibili, nel senso di inserire
nell’ordinamento giuridico tipi di contratti più adattabili, considerando che i vari tipi di
lavoro sono sempre più diversificati nei diversi Stati membri.
Le direttive degli anni novanta rispondono alla preoccupazione di non lasciare privi di
tutela i lavoratori atipici, precedendo i diritti nazionali, ma non sono andate avanti per
l’ambiziosità degli obbiettivi che si erano prefissate, e cioè la creazione di regole forti
per rapporti di lavoro non standard.
Il fallimento delle direttive è imputabile in primo luogo al fatto che l’intervento
adottato con queste direttive si discostava dal modo consueto di procedere del diritto
comunitario, che è soprattutto intervento su princìpi, o per tutelare situazioni di rilievo
sociale, disegnando procedure di informazione preventiva e di intervento
accompagnatorio successivo, piuttosto che conferendo diritti individuali perfetti (es.
licenziamenti collettivi, insolvenza del datore). In secondo luogo, tali progetti
minacciavano la sovranità degli Stati membri, avendo la pretesa di regolare dei rapporti
di lavoro da sempre nella competenza degli Stati stessi. Quando le direttive sono state
emanate avevano in sé caratteristiche comuni meritevoli di considerazione come
elementi di un modello di regolazione del lavoro atipico, ma tali direttive non si
discostano, nella sostanza se non nella forma, dalla ratio delle politiche
dell’occupazione, quindi risultano subordinate alle politiche dell’occupazione e inoltre il
loro contenuto prescrittivo è minimo.
21
Il quadro europeo delle tipologie contrattuali e dell’utilizzo flessibile della mano
d’opera prende le mosse dalle tre direttive che si sono occupate dei contratti a tempo
determinato e part - time temporanei.
Per i contratti a tempo determinato la direttiva di riferimento è la 99/70, il cui
obbiettivo è garantire ai lavoratori a tempo determinato le stesse condizioni di impiego
20
G. De Simone, Flessibilità, lavori flessibili, diritto comunitario, cit., pag. 509-510.
21
G. De Simone, Flessibilità, lavori flessibili, diritto comunitario, cit., pag. 512-513.
14
dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, a meno che non ci siano condizioni
oggettive e ragionevoli che rendano giusta la differenziazione. I vincoli imposti dalla
direttiva 99/70 ai singoli Paesi sono alquanto deboli: devono esserci motivazioni
oggettive per il rinnovo del contratto a scadenza, non deve essere superato un tetto
limite di durata ed esiste un numero massimo possibile di rinnovi. In questo caso,
l’Unione Europea accorda una discrezionalità sostanziale ai singoli paesi riguardo al
lavoro a termine, senza impostare un progetto di armonizzazione veloce e radicale.
Per i contratti di lavoro part – time, la direttiva di riferimento è la 97/81, impostata
sulla stessa logica della 99/70, ha cioè lo scopo di assicurare ai dipendenti a part – time
le stesse condizioni normative, retributive e di sicurezza dei lavoratori assunti con
contratto a tempo pieno, pro quota e per quanto compatibile. Con questa direttiva si
cerca di incentivare il passaggio, bidirezionale, tra part – time e tempo pieno, così da
assicurare ai lavoratori una flessibilità che sia anche a loro vantaggio.
Per i contratti di lavoro temporaneo, la direttiva di riferimento è la 91/383, che pone
solo vincoli generali in tema di informazione e responsabilità. Viene sottolineato che gli
oneri relativi a salute e sicurezza del lavoratore durante il lavoro siano di competenza
dell’impresa utilizzatrice. La direttiva impone inoltre di informare il lavoratore delle
capacità professionali richieste dall’impresa utilizzatrice e delle caratteristiche
dell’attività che dovrà essere svolta, integrato dall’onere di indicare chiaramente di chi
sia la responsabilità del pagamento della retribuzione (se della stessa agenzia o
dell’impresa utilizzatrice)
22
.
22
http://81.208.28.44/Portale/Documentazione_Riferimento.nsf/0/C1256BB3003BB04DC1256E32003A5
F4D/$FILE/Report Tipologie contrattuali.pdf (www.cnel.it)