2
Il Governo Amato il 31 luglio 1992 sottoscrive con le parti sociali il “Protocollo sulla politica
dei redditi, lotta all’inflazione e costo del lavoro” che prevede la definitiva cessazione del
meccanismo della scala mobile e la sospensione temporanea della contrattazione collettiva
aziendale, fino a tutto il 1993. La clausola della sospensione temporanea della
contrattazione collettiva aziendale si inquadra in un contesto di impegni bilaterali
assunti dalle parti sociali, volto a ricondurre le dinamiche salariali, sia nel settore privato che
in quello pubblico, entro un percorso compatibile col tasso programmato d’inflazione
per il 1994.
Il Protocollo Ciampi del 23 luglio 1993, a partire dal quale avrà inizio una nuova stagione
delle relazioni industriali italiane, stabilisce in quattro anni la durata del contratto
decentrato prevedendo una esplicita opzione a favore di erogazioni aziendali collegate
strettamente ad “incrementi di produttività, di qualità ed ad altri elementi di competitività di
cui le imprese dispongano, compresi i margini di produttività” nell’ambito della
realizzazione di programmi concordati fra le parti.
Tale tipologia decentrata di contrattazione ha un ruolo autonomo e specializzato su certe
materie (premi di produttività e/o redditività, innovazioni tecnologiche ed organizzative
del lavoro), oltre al tradizionale ruolo di gestione ed applicazione delle normative
generali, che necessitano di essere adeguate alle specifiche caratteristiche ed esigenze di
ogni unità produttiva.
Alla contrattazione aziendale viene attribuita una sorta di specializzazione in materia di
retribuzione variabile collegata al raggiungimento di risultati preventivamente concordati
dalle parti.
Il Protocollo afferma la competenza esclusiva della contrattazione aziendale per la previsione
di “quote salariali variabili”, quote flessibili determinate in base a parametri predefiniti dalle
parti tenendo conto delle caratteristiche ed esigenze dell’impresa, come premi dipendenti dai
risultati conseguiti nella realizzazione di programmi.
Il summenzionato documento inoltre ha introdotto diversi fattori di decentramento delle
relazioni contrattuali, riconoscendo alla contrattazione di secondo livello ampi margini di
autonomia nella quantificazione e specificazione della retribuzione aziendale.
La contrattazione decentrata ha una competenza “specializzata” sulle tematiche retributive
che devono, però, essere collegate esclusivamente agli incentivi aziendali di produttività o di
redditività. Con il porre gli incentivi retributivi in dipendenza ai risultati raggiunti
dall’impresa, non si determinano pressioni inflazionistiche da costi ed inoltre si consegue lo
scopo di ridistribuire ai lavoratori le risorse derivanti dagli incrementi aziendali, favorendo
3
così forme di partecipazione economica dei dipendenti ai risultati dell’azienda stessa. Ciò
implica anche che, almeno in parte, le scelte gestionali inerenti all’impresa diventino oggetto
di istanze di partecipazione e di controllo da parte dei lavoratori nel senso che nella struttura
della retribuzione la voce “indennità di contingenza” viene sostituita da voci determinate dalle
parti sociali e legate agli incrementi di produttività, di qualità e altri elementi di competitività,
nonché ai risultati legati all’andamento economico dell'impresa.
Viene, inoltre, assicurato in funzione incentivante, un esonero contributivo per i premi
erogati dalla contrattazione aziendale in ragione della funzione specifica ed innovativa degli
istituti della contrattazione stessa e dei vantaggi che da essi possono derivare all’intero
sistema produttivo, attraverso il miglioramento dell’efficienza aziendale e dei risultati di
gestione.
I c.d. premi aziendali, che possiedono i requisiti stabiliti dalla legge, sono esclusi dalla
retribuzione imponibile, sia ai fini previdenziali che a quelli pensionistici.
Tale particolare esenzione è possibile nel caso di erogazioni previste dai contratti collettivi
aziendali e devono essere incerti la corresponsione o l’ammontare.
La struttura di questi premi deve essere correlata alla misurazione di incrementi di
produttività, qualità o da altri elementi di competitività assunti come indicatori
dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati
Si scorgerà come i contratti collettivi nazionali sottoscritti dopo il Protocollo del 1993 hanno
generalmente recepito le indicazioni dello stesso, non regolamentando in modo pignolo le
procedure per la determinazione dei premi, bensì scegliendo di offrire soltanto indicazioni di
carattere generale, per poi lasciare alla contrattazione collettiva aziendale il compito di
provvedere ad una completa regolamentazione. Ai premi vengono dati nomi diversi, che
evocano sia il concetto di produttività che quello di redditività ma comunque devono
possedere precise caratteristiche: non essere predeterminati a priori, avere una durata limitata
in ragione dell’obbiettivo prefissato, essere erogati a consuntivo.
Analizzando il tema dell’incentivazione salariale si osserverà che quest’ultima è stata
attuata nei modi più vari, attraverso l’adozione di diversi parametri di riferimento, che
risultano difficilmente riconducibili in categorie unitarie.
Tale differenziazione è necessaria per consentire ad ogni impresa di offrire una maggiore
incentivazione ai dipendenti, e quindi un miglioramento della prestazione lavorativa, nei
settori più bisognosi dell’azienda, dove è utile migliorare il prodotto.
Pertanto ne derivano una varietà di indici di riferimento e di modelli di variabilità retributiva,
ognuno dei quali adattabile alla singola realtà aziendale.
4
Con l’Accordo del 1993, il Governo e le parti sociali hanno fornito una serie indicativa di
parametri ma non hanno dato una elencazione tassativa degli stessi.
Si determina, così, una più rilevante diffusione della variabilità retributiva e di una nuova
struttura della retribuzione. Allo stesso tempo non appare possibile realizzare un sufficiente
controllo sulla utilizzazione di tali strumenti, che potrebbero essere adattati fin troppo alle
esigenze dell’impresa, rischiando di trascurare le esigenze del lavoratore e finendo per
collegare parte della sua retribuzione a parametri non influenzabili dalla sua prestazione
lavorativa, dato che i sistemi incentivanti variabili possono comportare la mancata
corresponsione della retribuzione qualora gli obiettivi prefissati non siano raggiunti.
L’incentivazione individuale permette di collegare l’erogazione del premio al raggiungimento
di un migliore rendimento, o di una rilevante prestazione del singolo individuo, può essere
applicata nelle imprese dove si richiede una particolare specializzazione delle mansioni e
dove la prestazione dell’individuo assume una notevole rilevanza nell’ambito dell’intero
sistema produttivo.
La retribuzione variabile legata alla singola prestazione del lavoratore, è generalmente meno
utilizzata rispetto alle altre forme di incentivazione salariale per la difficoltà di controllo dei
risultati raggiunti.
Le forme collettive di incentivazione salariale prevedono l’erogazione di premi legati ai
risultati raggiunti a livello aziendale, o di gruppo che a differenza delle forme individuali
risultano subordinati al raggiungimento di obiettivi, assegnati o a singoli gruppi inseriti
nell’unità produttiva, o applicati all’intera azienda.
L’incentivazione collettiva consente di controllare in modo più agevole gli obiettivi da
raggiungere nonché di individuare gli strumenti più idonei per realizzarli.
Particolare attenzione sarà dedicata alla suddivisione degli incentivi retributivi in rapporto ai
parametri di riferimento maggiormente utilizzati: la produttività e la redditività
I nuovi incentivi si distinguono dai sistemi incentivanti tradizionali, come il cottimo e la
partecipazione agli utili, per la loro “multifattorietà”. Utilizzano, infatti, una pluralità di fattori
per la valutazione della prestazione come, per esempio, la qualità del prodotto, il risparmio del
tempo, il fatturato.
Gli incentivi tradizionali, invece, legano la retribuzione ad un unico parametro, al rendimento
del lavoratore nel cottimo, e agli utili netti dell’impresa nella partecipazione agli utili: inoltre
gli incentivi di produttività e di redditività possono essere applicati a tutte le categorie di
lavoratori, compresi, in alcuni casi, i dirigenti, a differenza degli incentivi tradizionali, che
hanno un’applicazione prevalentemente circoscritta al lavoro operaio.
5
Si vedrà che i nuovi sistemi retributivi hanno avuto una notevole diffusione in una pluralità di
settori produttivi in quanto si rivelano idonei a rispondere alle attuali esigenze dell’impresa,
migliorando la produttività, la redditività e l’efficienza per una maggiore competitività.
Spesso il parametro della redditività non è stato utilizzato da solo, ma si è scelto di ancorare la
quota retributiva anche alla produttività, creando così un’altra categoria di incentivi: gli
incentivi misti di produttività e di redditività che collegano la retribuzione
contemporaneamente a parametri tecnico- produttivi ed economico-aziendali.
Lo scopo principale di questi incentivi è di realizzare un bilanciamento tra i due parametri,
consentendo l’erogazione del premio anche quando uno dei due indicatori abbia oscillazioni
negative
Si offre, così, una maggiore garanzia al lavoratore, per il quale sussistono maggiori possibilità
che la quota variabile retributiva sia erogata.
Appare particolarmente interessante per rendere più concreto e vivo il percorso di ricerca sulle
tematiche affrontate osservare come la realtà aziendale ha sperimentato ed attuato le
incentivazioni e la flessibilità retributiva.
A tal proposito, oltre ad uno studio sulle fonti contrattuali sia nazionali che aziendali, sarà
analizzata, in maniera specifica, l’esperienza della S.A.L.O.V. S.p.A
1
(società alimentare
lucchese oli e vini) dotata, come vedremo, di un vivace sistema di relazioni industriali e di
una particolare attenzione alla flessibilità retributiva.
1
Tale indagine, effettuata direttamente nella sede dell’azienda e su materiale originale, è stata possibile grazie
alla collaborazione della S.A.L.O.V. S.p.A, via Montramito, 1582, Massarosa (Lu), [email protected]; ed
all’estrema disponibilità del Dott. Alessio Pancanti.
6
Capitolo Primo
LA CONTRATTAZIONE DECENTRATA
SOMMARIO: Premessa – 1.1. L’evoluzione della contrattazione – 1.1.1. Il periodo degli
accordi interconfederali e degli accordi nazionali di categoria. – 1.1.2. La contrattazione
articolata. – 1.1.3. Gli anni ’70 – 1.1.3.1. Il superamento del sistema di contrattazione
articolata e la contrattazione non vincolata. – 1.1.3.2. Tendenze alla ricentralizzazione. –
1.1.4. La concertazione sociale: cenni. – 1.1.5. Il protocollo del 22 gennaio 1983. – 1.1.6. I
rinnovi nazionali di categoria degli anni ’90 come “premessa” alla riforma delle relazioni
industriali. – 1.2. L’evoluzione dei soggetti negoziali – 1.2.1. Le commissioni interne. –
1.2.2. I Consigli dei delegati. – 1.2.3. Il nuovo modello legale delle RSA. – 1.2.4. Le RSU.
La clausola del terzo riservato e quella della legittimazione congiunta. – 1.3. La struttura
contrattuale – 1.3.1. Il protocollo 23 luglio 1993 e la riforma della struttura contrattuale. –
1.3.2. La concertazione: dal Protocollo Ciampi alla XV legislatura.– 1.4. La contrattazione
decentrata – 1.4.1. Tipologie di contratto decentrato. – 1.4.2. In particolare il contratto
aziendale – 1.4.2.1. Funzioni. – 1.4.2.2. La contrattazione in azienda. – 1.4.2.3. La forma.
– 1.4.2.4. I principali contenuti. – 1.4.2.4.1. L’orario di lavoro. – 1.4.2.4.2. La retribuzione. –
1.4.2.4.3. L’inquadramento. – 1.4.2.4.4. La formazione. – 1.4.2.4.5. La salute e la sicurezza
nel luogo di lavoro. – 1.4.2.4.6. Le nuove tipologie di lavoro flessibile. – 1.4.2.5. L’efficacia.
– 1.5. Il concorso-conflitto tra livelli contrattuali.
Premessa
La contrattazione collettiva è una delle più importanti manifestazioni dell’autonomia
collettiva usata per tutelare gli interessi collettivi in un sistema di relazioni industriali. Questa
rappresenta il metodo principale di composizione del conflitto poiché per il suo tramite le
parti sociali
2
definiscono congiuntamente la regolamentazione dei rapporti di lavoro.
3
2
Sono tali i sindacati dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro.
3
Cfr. G. GIUGNI, Diritto Sindacale, Bari, 2002, pag. 151.
7
L’ analisi della struttura della contrattazione collettiva in un determinato sistema implica la
considerazione dei vari livelli ove si svolge, dei soggetti che contrattano, dei contenuti della
negoziazione e dei rapporti che intercorrono tra i diversi livelli. Tale struttura può variare da
un ordinamento all’altro in base a diversi fattori: storici, istituzionali, sociali ed economici. Si
dice centralizzata quando tendono a prevalere i livelli superiori (nazionale di categoria ed
interconfederale), decentralizzata quando prevalgono i livelli periferici (aziendale, provinciale
e regionale).
4
In Italia, l’ evoluzione storica della contrattazione ha alternato fasi diverse dando vita “ad una
sorta di movimento pendolare, a ritmi ciclici, tra centralizzazione-decentramento”.
5
1.1 . L’evoluzione della contrattazione
1.1.1. Il periodo degli accordi interconfederali e degli accordi nazionali di
categoria.
Le prime esperienze di contrattazione aziendale
6
nel nostro paese risalgono al periodo
prefascista ma durante il regime cambiò l’intero sistema sindacale e non si poté più parlare di
vera e propria contrattazione collettiva.
Dal dopoguerra e fino alla prima metà degli anni ’50 l’attività di contrattazione collettiva fu
caratterizzata da un deciso accentramento, al livello interconfederale, dove la contrattazione si
svolgeva per grandi rami economici fra le confederazioni generali dei lavoratori e dei datori di
lavoro. Gli accordi confederali deliberavano su ogni argomento riguardando anche il
trattamento salariale e normativo. Tale concertazione delle politiche salariali al livello di
vertici confederali aveva principalmente due ragioni: da un lato il difficile periodo della
ricostruzione richiedeva una politica dei redditi che tenesse in debito conto le condizioni di
redditività dei settori e delle imprese marginali, dall’altro l’insufficiente grado di
organizzazione delle federazioni di categoria. I contratti nazionali di categoria, pur essendo
formalmente riconosciuti, dovevano accontentarsi di un ruolo secondario. La contrattazione a
4
Cfr. B. CARUSO, Le relazioni sindacali, Torino, 2004, pag. 162.
5
Cfr. C. ZOLI, Struttura della contrattazione e rapporti tra contratti di diverso livello, in RUSCIANO-ZOLI-
ZOPPOLI (a cura di), Istituzioni e regole del lavoro flessibile, Napoli, 2006, pag. 301 ove l’autore cita a sua volta
MARIUCCI 1985, pag. 40.
6
Cfr. A. LASSANDARI, Contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, 2001, pag. 32.
8
livello aziendale era scarsamente diffusa ed inoltre informale e sommersa
7
, gestita non da
entità sindacali in senso proprio
8
.
Dalla seconda metà degli anni ’50 il sistema contrattuale iniziò a modificarsi, in virtù di
esigenze riconducibili al progressivo sviluppo industriale. Con la ripresa economica si avvertì
la necessità di differenziare la disciplina normativa e retributiva del rapporto di lavoro
secondo le condizioni proprie dei diversi tipi di industrie. Nel 1954, in occasione della
vertenza sul conglobamento
9
, la determinazione delle condizioni salariali divenne competenza
esclusiva delle federazioni di categoria e prese così avvio una nuova fase di evoluzione della
contrattazione collettiva verso un primo decentramento.
Il sistema faceva, ora, perno sul livello nazionale di categoria e gli accordi aziendali
continuarono ad essere siglati in maniera ufficiosa dalle commissioni interne e non godevano
ancora di una qualificazione giuridica ben precisa. La loro efficacia derivò, non dall’accordo
come tale, ma come fatto sociale in azienda: più precisamente veniva configurato come
“accordo su un contratto-tipo proposto dal datore ai suoi dipendenti presenti e futuri” e che
“non ha ex se alcuna efficacia obbligatoria
10
.
1.1.2. La contrattazione articolata.
Con i rinnovi contrattuali dei primi anni ’60 si ribalta il sistema della contrattazione
nazionale esclusiva e prende avvio quello della “contrattazione articolata”
11
.
La prima novità del periodo è dunque rappresentata dall’emergere del primo cauto
decentramento della struttura contrattuale e della sua bipolarità, caratteristica permanente del
sistema italiano, con “oscillazione del pendolo” a volte verso il centro, a volte verso la
periferia
12
. In questa fase il sindacato territoriale è ormai riconosciuto come l’agente
contrattuale a livello d’impresa e realizza un primo ampliamento dei contenuti delle sue
rivendicazioni. Tali contenuti, in ambito aziendale, riguardano ora soprattutto i temi dell’
organizzazione del lavoro (classificazione del personale e valutazione delle prestazioni
lavorative), successivamente, negli anni ’68/’70, interesseranno in maniera più decisa
7
Cfr. R. DEL PUNTA, Il contratto aziendale nella dottrina italiana, in Riv. it. dir. lav., 1989, pag. 251.
8
Per lo più le commissioni interne, che saranno oggetto di trattazione nel paragrafo 1.2.1.
9
Cfr. G. GIUGNI, op. cit., pag. 154.
10
Cfr. A. LASSANDARI, op. cit., pag. 39 dove l’autore cita a sua volta U. ROMAGNOLI, Il contratto collettivo
d’impresa, Milano, 1963, pagg. 27-28.
11
Cfr. G. GIUGNI, op. cit., pag. 155.
12
Cfr. R. SANTUCCI, Sistema di relazioni industriali e contratto collettivo, in R. SANTUCCI-L. ZOPPOLI (a cura
di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro,Torino, 2004, pag. 17.
9
questioni attinenti all’ambiente di lavoro inteso in senso lato e le opportunità di
condizionamento dei poteri unilaterali dell’imprenditore
13
.
Nel Protocollo d’Intesa Intersind/Asap e le federazioni di categoria dei metalmeccanici del 5
luglio 1962 vengono fissati i principi generali del nuovo sistema di contrattazione. Secondo
questo documento l’assetto della contrattazione collettiva deve risultare dalla combinazione di
tre livelli: un livello nazionale di categoria, un livello settoriale ed uno aziendale collegati in
base ad un criterio gerarchico attraverso una serie di rinvii
14
dal livello superiore a quello
inferiore. Le materie per le quali è prevista la possibilità di negoziazione a livello aziendale
sono: modalità di applicazione della disciplina sui cottimi, sistemi di classificazione sostitutivi
rispetto a quelli stabiliti in sede nazionale, forme incentivanti collettive. La legittimazione a
negoziare a livello decentrato è conferita al sindacato provinciale della categoria.
In cambio del riconoscimento della contrattazione aziendale le organizzazioni sindacali
stipulanti si impegnano alla c.d. pace sindacale, a “non promuovere azioni o rivendicazioni
intese ad innovare, integrare e modificare quanto ha formato oggetto di accordo ai vari livelli”
nel periodo intercorrente tra un rinnovo contrattuale e il successivo
15
.
Nell’assetto descritto il contratto nazionale di categoria non stabilisce solo una disciplina
normativa, ma per la prima volta tenta di regolare la struttura della contrattazione collettiva e
l’amministrazione del contratto
16
. Infatti vengono introdotte, a livello decentrato, procedure
negoziali per la definizione di eventuali controversie derivanti da problemi di interpretazione
e applicazione della disciplina collettiva. Il passo avanti compiuto era sicuramente importante,
ma il decentramento era ancora troppo parziale e le materie a disposizione del livello
aziendale ancora troppo poche così che la funzione da esso svolta era unicamente integrativa
del contratto nazionale di categoria.
13
Cfr. R. DE LUCA TAMAJO, Evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, in Riv. It.
Dir. Lav., 1985, pagg. 20 e 21.
14
Più precisamente “clausole di rinvio”. Cfr. G. GIUGNI, op. cit., pag. 155.
15
Cfr. G. GIUGNI, op. cit., pagg. 155 e 156.
16
Cfr. G. FERRARO, Procedure e strutture della contrattazione al livello d’impresa, in Riv. giur. lav., 1985, I,
pag. 7.