VII
autorità competenti (tra le quali l’“Europol”); da una maggiore
cooperazione tra le autorità giudiziarie e le altre autorità competenti
degli Stati membri (es. autorità di vigilanza in materia di
intermediazione bancaria e finanziaria) e, infine, da un
ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in
materia penale (attraverso la formulazione di norme minime
concernenti, anche per quanto riguarda il terrorismo, gli elementi
costituivi dei reati nonché il relativo assetto sanzionatorio).
Il progressivo sviluppo di nuove strutture operative si è
accompagnato al parallelo potenziamento degli strumenti di contrasto
sul piano legislativo, volti soprattutto a combattere il fenomeno
attraverso una via alternativa al mero uso della forza militare e
dell’azione di polizia, costituita principalmente dall’individuazione e
dal contestuale congelamento delle fonti finanziarie che alimentano le
compagini terroristiche.
Muovendo dalla considerazione che la globalizzazione ha
comportato un aumento esponenziale delle possibilità di reperimento
di ingenti fonti finanziarie da parte delle organizzazioni terroristiche
(che sfruttano efficacemente le potenzialità offerte dal mercato
globale) ed una lesione alla sicurezza dei mercati finanziari mondiali,
si è compreso che il blocco dei flussi di finanziamento rappresenta
uno dei metodi più diretti per arginare efficacemente i gruppi
terroristici.
In tal senso, il potenziamento della cooperazione internazionale,
a livello bilaterale e multilaterale, tra organi statali specializzati, è
risultato lo strumento più opportuno per realizzare un’efficace azione
“antiterrorismo”.
VIII
In particolare, la cooperazione internazionale deve sostanziarsi
in una “strategia preventiva” volta ad interrompere i canali di
finanziamento che alimentano i gruppi terroristici, contrastandoli non
tanto nel momento in cui gli stessi hanno già manifestato il loro
potenziale distruttivo, bensì nella fase della loro “alimentazione”.
Siffatta azione si è cristallizzata, a livello universale,
principalmente nella Convenzione di New York del 1999, a livello
europeo, nei Regolamenti CE 467/2001, 2580/2001, 881/2002,
370/2003, 561/2003, e, infine, nei singoli ambiti nazionali, mediante
disposizioni “antiterrorismo” di recepimento della normativa adottata
in ambito dell’Unione europea, tra le quali, in Italia, le leggi 415, 431
e 438 del 2001 e la legge 7/2003; in Francia, la legge 1062/2001; in
Germania, il “Pacchetto antiterrorismo” del 1° gennaio 2002; in Gran
Bretagna, la “Legge Antiterrorismo” del 13 dicembre 2001; in
Spagna, la legge 24/2001.
Le caratteristiche dei gruppi terroristici - quali, la complessa
articolazione delle strutture e la sostanziale imprevedibilità degli
obiettivi e delle condotte criminose - rendono inefficace, nonché
illusoria, qualsiasi azione di contrasto cd. “face to face” al fenomeno.
Da ciò discende la necessità di ricorrere ad un contrasto preventivo di
natura finanziaria, quale strumento principale per minare le
fondamenta stesse delle organizzazioni terroristiche e per
razionalizzare le forze da dispiegare e gli obiettivi da considerare
come prioritari. Tale strumento si rivela tanto più efficace, considerato
che esso utilizza la stessa apparente condotta “invisibile” utilizzata
dalle organizzazioni terroristiche.
IX
L’impiego della sola strategia militare nell’azione di contrasto
al terrorismo presenta limiti evidenti. Ciò risulta in primo luogo ove si
tenga conto dei presupposti giuridici individuati dalla Carta delle
Nazioni Unite in materia di legittimità dell’uso della forza in risposta
ad attacchi terroristici. Il fulcro dell’odierno dibattito in materia è
incentrato sulla possibilità di rivenire un collegamento che metta in
relazione il “gruppo terroristico” - autore dell’evento - con lo “Stato o
il gruppo di Stati” che appoggiano, sostengono, finanziano o
“sponsorizzano” le organizzazioni terroristiche, sì da veder realizzato
il presupposto per una reazione in legittima difesa. Appare tuttavia
non sempre agevole catalogare le singole condotte ausiliarie degli
Stati nonché individuare il legame effettivo con il gruppo e l’attività
terroristica.
Prescindendo da un tale dibattito, le premesse giuridiche e
materiali per un contrasto globale al terrorismo internazionale sono
state individuate sia a livello universale - mediante le risoluzioni del
Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale - che europeo.
Dal punto di vista internazionale un ruolo decisivo è svolto,
altresì, dal Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI) che rappresenta,
oggi, l’unico organismo di riferimento su scala mondiale dedito alla
cooperazione internazionale ed alla lotta in materia di riciclaggio di
denaro sporco, strumento principale anche per le organizzazioni
terroristiche, per reinvestire ricchezze di provenienza illecita in
circuiti legali a scopo di autofinanziamento.
Incentrando la propria strategia su tre aspetti fondamentali,
quali il perfezionamento delle legislazioni nazionali in materia di
riciclaggio - attraverso il controllo degli sviluppi dei sistemi
X
antiriciclaggio dei Paesi membri - il rafforzamento della
collaborazione del sistema finanziario - mediante la disamina delle
tendenze emergenti in tema di tecniche di riciclaggio - e, infine, il
rafforzamento della cooperazione internazionale - attraverso la
promozione dell’attuazione delle Raccomandazioni elaborate e
aggiornate nel proprio ambito -, il GAFI ha redatto un testo costituito
da quaranta Raccomandazioni, recentemente revisionate con la
riunione planetaria tenutasi a Berlino nel giugno 2003.
Attraverso simili strumenti giuridici - integrati dalle otto
Raccomandazioni Speciali per la lotta del finanziamento del
terrorismo (emanate nell’ottobre 2001) - è stato realizzato l’obiettivo
di diffondere la cultura antiriciclaggio su scala mondiale, mediante la
promozione di iniziative da attuarsi nel settore del diritto penale, del
diritto dei mercati finanziari, nonché della cooperazione
internazionale.
In ambito UE, invece, fondamentali sono risultati il “Piano
d’Azione”, adottato dal Consiglio Straordinario tenutosi a Bruxelles il
21 settembre 2001, che ha dedicato ampio spazio al settore della
stretta cooperazione di polizia e giudiziaria; le “Posizioni Comuni” del
Consiglio dell’Unione del 27 dicembre 2001 (n. 930 sulla lotta al
terrorismo e n. 931 sulle misure specifiche per la lotta al terrorismo)
con cui sono state individuate come finalità prioritarie della
cooperazione intergovernativa tra i Ministri della Giustizia e degli
Affari Interni, con l’obiettivo di una più efficace lotta al terrorismo
internazionale: il rafforzamento dell’operatività dell’Europol;
l’istituzione di “Eurojust”; il varo del “mandato di cattura europeo”;
l’allineamento delle legislazioni; la Decisione Quadro del 13 giugno
XI
2002, con cui si è iniziato a parlare di una “definizione comunitaria di
terrorismo”.
Riveste un ruolo chiave, inoltre, anche l’OLAF, quale organo
dedito alla cooperazione ed al contrasto delle frodi agli interessi
finanziari comunitari, ha visto nel tempo accrescere il proprio ambito
di azione, divenendo sempre più interlocutore privilegiato delle
autorità giudiziarie e di polizia a livello nazionale, soprattutto nella
lotta ai crimini finanziari che vedono oggi coinvolte, spesso in modo
indiretto, anche le stesse organizzazioni terroristiche, sempre più
inserite nei circuiti economici e finanziari europei per reperire fonti di
finanziamento.
In tale contesto, i Regolamenti CE n. 1073/1999 ed Euratom n.
1074/1999, nonché l’Accordo interistituzionale del 25 maggio 1999,
hanno confermato per l’OLAF le potestà ispettive che i precedenti
Regolamenti CE n. 2988/95 e Euratom n. 2185/96 prevedevano per
l’UCLAF. Da ciò discende che l’OLAF continua a svolgere il ruolo di
coordinamento e di “partnership operativa”, attribuito in passato
all’UCLAF, incrementando altresì, l’efficacia della sua azione anche
sotto il profilo giudiziario, attraverso la creazione di un’unità di
“Magistrati ed esperti in materia penale” al fine di agevolare i contatti
con le autorità competenti per l’azione penale.
Attualmente si vive in una fase di continuo sviluppo delle
misure di contrasto al fenomeno del terrorismo, misure che si
stagliano - e non potrebbe essere diversamente - nel lungo periodo,
datosi che la tipologia di contrasto adottata necessita dei dovuti tempi
tecnici per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Si pensi alla
futura istituzione della “Procura Europea” che, accanto ad Eurojust ed
XII
Europol, dovrebbe costituire il “braccio armato” dell’Unione nel
rafforzamento della cooperazione e del contrasto alle principali forme
di criminalità transnazionale, ivi compreso il terrorismo
internazionale.
1
Primo Capitolo
IL TERRORISMO INTERNAZIONALE
NEL NUOVO MILLENNIO
1. Le possibili definizioni di terrorismo internazionale; 2. Il diritto internazionale
classico nel contrasto al terrorismo ed i rapporti tra il fenomeno ed il principio di
“autodeterminazione dei popoli”; 3. Il “nuovo” terrorismo internazionale; 4.
Legittima difesa e legittima difesa preventiva nel contrasto al terrorismo
internazionale; 5. Terrorismo internazionale: reato transnazionale o crimine
internazionale dell’individuo?
1. Le possibili definizioni di terrorismo internazionale.
Nel contesto storico attuale risulta sempre più arduo individuare
una definizione di terrorismo internazionale universalmente accettata
e soddisfacente, in relazione al fatto che il fenomeno risulta quanto
mai complesso e, soprattutto, connotato da una continua mutevolezza
nel suo manifestarsi, con la conseguenza ulteriore che, ad oggi, non è
ancora possibile delimitarne la nozione in una rigida classificazione di
natura convenzionale.
Le difficoltà nascono principalmente dal fatto che le attività
criminose in cui esso può concretarsi e le finalità cui può tendere sono
molteplici ed eterogenee, per cui non è agevole individuare gli
2
elementi essenziali della fattispecie. Inoltre, i pur numerosi testi
normativi che vi si riferiscono, non offrono un valido aiuto al
riguardo, in quanto, o definiscono il fenomeno in termini tautologici
ed estremamente generici, o non lo definiscono affatto; atteggiamento,
quest’ultimo, che se da un lato può essere vantaggioso - considerata
l’estrema variabilità del fenomeno, di per sé difficilmente inquadrabile
in una rigida e necessariamente restrittiva disposizione di legge - è
dall’altro, inevitabilmente, fonte di numerose incertezze
1
.
Infatti, si può ritenere che il terrorismo internazionale sia
anzitutto un concetto politico, meta-giuridico e, come tale, influenzato
da fattori storici, politici, culturali ed ideologici
2
. Trattasi, però, di
“considerazioni”che certamente non possono assurgere a rango di vere
e proprie definizioni, dovendole considerare piuttosto come contributi
sì importanti, ma non esclusivi ed esaustivi.
Proprio in considerazione di tali influenze può capitare spesso
che i contorni del termine non siano affatto chiari, con la conseguenza
che, sovente, esso sia trasfuso in atti normativi con una certa
approssimazione: ciò può comportare un effetto distorsivo nel
momento in cui un “ordinamento giuridico, rispondente ad un dato
sistema ideologico, qualifichi eversivo-terroristico un atto violento
che, alla luce di altro ordinamento, può addirittura assurgere ad atto
fondativo di un nuovo patto costituzionale, divenendo la pietra
angolare del nuovo sistema giuridico penale di riferimento”
3
.
1
Cfr. ROMEO G., “Il terrorismo internazionale: aspetti geopolitici e giuridici”, in “Rivista della
Guardia di Finanza”, n° 6, novembre-dicembre 2003, p. 2065.
2
CUPELLI G., “Il nuovo art. 270-bis c. p.: emergenze di tutela e deficit di determinatezza?”, in
“Cassazione penale”, Vol. XLII, 2002, p. 898.
3
Cfr. ZEULI S., “Terrorismo internazionale: commento organico al D.L. 18-10-2001, n° 374,
convertito in legge 15-12-2001, n°438”, Napoli, 2002, p. 17.
3
In virtù di queste difficoltà definitorie, buona parte della
storiografia filosofica ha iniziato a considerare tale nozione
esclusivamente propria delle società democratiche occidentali,
evitando invece di ricorrere a tale tipo di qualificazione quando forme
violente di opposizione politica si manifestino in sistemi non
democratici
4
.
Tuttavia il problema resta comunque irrisolto: il terrorismo
internazionale è condannato, ma non definito in modo unanime da
Stati ed esperti; ciò che comporta, altresì, un’evidente anomalia insita
nel fatto che atti che per uno Stato risultano essere azioni legittime per
la libertà, i diritti di una minoranza o l’indipendenza di una
popolazione, per altri sono, al contrario, atti terroristici
5
.
In più, vi sono alcuni importanti spunti sul tema degni di essere
menzionati, fra i quali quello che vuole l’esistenza di due scuole
principali di pensiero sul concetto di terrorismo internazionale. La
prima estende la fattispecie a “qualunque atto o stato di fatto
correttamente o non correttamente reputato ingiusto e intimidatorio
sia a livello fisico che psichico”, abbracciando una vasta gamma di
fenomeni di varia natura, fra cui la delinquenza comune, la criminalità
organizzata, la pena di morte, ed in sostanza tutto ciò che terrorizza.
La seconda, più classica, inquadra il fenomeno nella “sfera della
conflittualità non convenzionale”, qualificandolo come forma
particolare di violenza criminale esercitata, in genere, da gruppi
privati o subnazionali, con o senza l’appoggio di Stati sostenitori e
4
Cfr. ZEULI S., op. cit., p. 17.
5
IMPOSIMATO F., “Terrorismo internazionale – La verità nascosta –“, Roma 2002, p. 22.
4
sempre caratterizzata da un movente politico e da metodiche
strutturali ed operative a carattere clandestino
6
.
Soffermando poi l’attenzione sui termini “terrorismo” e
“terrorista”, essi comparvero per la prima volta attorno al 1800
7
, per la
precisione nel 1798: il supplemento del “Dictionnaire de l’Accadémie
Française” considerava il terrorismo come regime fondato sul terrore;
in seguito, il fenomeno acquisì il significato di sistema che si regge sul
terrore
8
.
Nel 1980, la “Central Intelligence Agency” adottò una
definizione di terrorismo che successivamente venne accettata dal
dipartimento di Stato degli Stati Uniti: “Terrorismo: la minaccia o
l’impiego della violenza a fini politici da parte di individui o gruppi
sia che agiscano a favore o contro un’autorità governativa, quando
tali azioni si propongano di impressionare, stordire o intimidire un
gruppo-bersaglio più numeroso delle vittime immediate”.
Tuttavia, tendere a raggruppare tutte le forme di guerra non
convenzionali sotto l’ombrello del terrorismo porta a risultati negativi,
in quanto comporterebbe che ad ogni atto di violenza si applichi
l’etichetta propagandistica di “azione terroristica”, giungendo altresì a
considerare “terroristi” gruppi o forze molto diverse che agiscono con
sistemi operativi e per il raggiungimento di scopi differenti
9
.
Il riflesso negativo che deriva da una nozione troppo ampia di
terrorismo si riverbera, tra l’altro, anche nell’azione antiterroristica da
intraprendere, tendendo a disperderla in modo considerevole in virtù
della vastità delle proprie basi.
6
PISANO V.,“Terrorismo e disinformazione”, in “Per Aspera ad veritatem”, n° 21, settembre –
dicembre 2001, par. 3 , “Terrorismo: fenomeno complesso e termine ambiguo”, 48.
7
1795 – OXFORD ENGLISH DICTIONARY.
8
ROMEO G., op. cit. , p. 2065
9
ADAMS J.,”Le finanze del terrorismo”, Milano, 1984, pp. 7-9.
5
A tal riguardo, è opportuno precisare che la differenza cruciale
tra i terroristi ed i membri di qualsiasi altra forza armata consiste nel
fatto che i primi considerano i civili come bersagli legittimi e agiscono
in genere con uno scarso appoggio della popolazione da essi
rappresentata; in tale contesto, applicare il “marchio” di terrorista ad
un gruppo di persone risulta essere ancora più complicato, in quanto il
terrorismo oltre ad essere rivoluzionario, si evolve costantemente nel
tempo: un gruppo che inizia ad agire come vera e propria
organizzazione terroristica può trasformarsi anche in un reparto della
guerriglia
10
se riesce ad ottenere l’appoggio popolare, che risulta
indispensabile per assicurarsi una più ampia base di potere, con la
conseguenza che anche la reazione della società deve in tal caso
evolversi proporzionalmente
11
.
La tendenza attuale è, comunque, quella di considerare il
terrorismo internazionale come qualunque azione compiuta da
persone o gruppi organizzati, con o senza violenza, contro persone o
cose, al fine di provocare una situazione permanente di terrore tra la
popolazione civile, con l’obiettivo di destabilizzare il Paese, di
conquistare o abbattere il potere democraticamente costituito o,
10
E’ bene ricordare, però, che il terrorismo non va confuso con la guerriglia. Si tratta, com’è
intuitivo, di due fenomeni affini, spesso collegati, ma che occorre tenere ben distinti. In primo
luogo, il terrorismo non si uniforma ai costumi di guerra, potendo essere perpetrato anche da
singoli individui o piccoli gruppi carenti di adeguata organizzazione. In ogni caso, anche quando
in ambito terroristico si parla di organizzazione, è ovvio che questa, per le sue già accennate
caratteristiche di clandestinità e di segretezza, non può essere equiparata a quella presente in una
guerra classica. Il terrorismo può, comunque, costituire la fase iniziale di una lotta armata, e
trasformarsi, solo in un secondo momento, in guerriglia. Confusioni tra i due termini, tuttavia ve
ne sono state e ve ne saranno, con tutta probabilità, anche in futuro, ciò che dipende, in larga
misura, dall’uso improprio che dei due termini viene fatto dai mass-media. In particolare, se, come
spesso avviene, noi indichiamo con il termine terrorismo tutte le attività politiche che fanno ricorso
a metodi estremamente violenti, esso cessa di essere un utile strumento di analisi, diventando
piuttosto, a causa del suo forte impatto emotivo, un abile strumento di manipolazione
dell’opinione pubblica. Cfr. JOXE A.,“Il terrorismo, concetto buono per ogni occasione”, in “Le
Monde Diplomatique”, Aprile 1996, p. 34.
11
ADAMS J., op. cit, pp. 7-9.
6
ancora, di costringere le istituzioni a scendere a patti e a dover fare
determinate concessioni (si pensi ai dirottamenti aerei per ottenere la
liberazione di ostaggi o al terrorismo mafioso)
12
.
Pur se tale indicazione costituisce una buona base di partenza,
sicuramente essa non può assurgere al rango di compiuta definizione,
restando in concreto la difficoltà ed il problema di una sua
individuazione.
Come fa notare Raymond Aron: “Un’azione di violenza viene
etichettata come terrorista quando i suoi effetti psicologici vanno ben
oltre il suo puro risultato materiale. In questo senso sono terroristici i
cosiddetti atti indiscriminati dei rivoluzionari; nel contesto attuale il
terrorismo si concreta in omicidi, stragi, dirottamenti di aerei,
presentando al contempo anche aspetti politici, sociali, di sicurezza,
militari, ideologici che convergono nella stessa attività. La maggior
parte dei gruppi terroristici è dedita anche al traffico di droga e armi
per autofinanziarsi, alla falsificazione di documenti ed al traffico di
esseri umani. Alla base risiede una motivazione politica e ideologica,
religiosa, economica, razziale”
13
.
Appare chiaro, quindi, che le difficoltà definitorie sono da
ricollegare anche alla variabile morfologia che connota il terrorismo
internazionale: si passa dagli attentati compiuti da terroristi interni e/o
esterni ad uno Stato contro obiettivi internazionali, ad attentati
compiuti da terroristi stranieri, con o senza l’appoggio di terroristi
interni, contro la popolazione civile o le istituzioni civili, militari,
parlamentari di un determinato Stato
14
; una simile mutevolezza di
forme, accompagnata alla continua evoluzione del fenomeno, ha
12
IMPOSIMATO F., op. cit., p. 23.
13
Fonte IMPOSIMATO F., op. cit , p. 24
14
Ibidem, p. 24
7
contribuito, quindi, a rendere non agevole il cammino verso una
nozione cristallizzata di terrorismo internazionale.
Le definizioni che nel corso degli anni sono state date al
concetto di terrorismo internazionale presentano ciascuna dei pregi e
dei difetti, dovuti alla continua variabilità di aspetti e contenuti di cui
si è progressivamente riempito quest’ultimo, giungendo, così, ad
ottenere solo sfumati tentativi definitori comunque non risultati vani,
in quanto capaci di delineare un filo conduttore tale da poter costituire
una valido punto di partenza attraverso il quale gettare le basi per
delineare una compiuta definizione del concetto nell’immediato
futuro.
D’altronde la medesima condotta terroristica non può essere di
per sé di agevole identificazione e classificazione, considerato che le
stesse organizzazioni terroristiche ricorrono a tattiche e metodiche in
continuo mutamento, anche in relazione agli obiettivi da perseguire
15
.
A tal riguardo, infatti, si aggiunga che sarebbero riconducibili a
tre le principali categorie in cui potrebbe essere classificato in senso
più generale il terrorismo:
a) il “terrorismo di diritto comune”, caratterizzato da atti in cui
il metodo dell’esecuzione è il terrore, ma il cui movente non
è politico o sociale ;
b) il “terrorismo sociale”, che mirerebbe alla realizzazione di
un’ideologia per l’organizzazione di una collettività o di un
Paese ;
15
TESSUTO G., “La nozione di terrorismo nella legislazione internazionale: analisi comparativa
dei testi europei ed inglesi”. In “Per Aspera ad veritatem” n. 24, settembre – dicembre 2002., sul
sito “www.sisde.it”.
8
c) il “terrorismo politico”, in cui il movente e lo scopo sono di
ordine politico, in quanto l’azione risulta diretta contro lo
Stato e i suoi organi
16
.
Dal punto di vista esecutivo, invece, si distinguerebbero il
“terrorismo diretto” - che si verifica quando l’azione mira
direttamente allo scopo - e “terrorismo indiretto” - nel quale rientrano,
ad esempio, le facilitazioni concesse al terrorista per raggiungere il
luogo dell’attentato.
Infine, è necessario tenere presente che il terrorismo non deve
essere isolato dal contesto in cui è commesso, in particolare a seconda
che ci si trovi in tempo di pace o di guerra. Di qui, la distinzione tra
“terrorismo assoluto” e “terrorismo relativo”: nel primo caso, esso si
connoterebbe di violazioni gravi dei diritti umani, come tali interdette
in entrambe i casi; mentre nel secondo caso, esso si costituirebbe di
atti che rientrano nei normali costumi di guerra, dunque vietati solo in
tempo di pace
17
.
Sicuramente, da un punto di vista sociologico è
immediatamente rilevabile il profondo legame intercorrente con
l’aspetto lessicale del termine: il “terrore” costituisce il fondamento
non solo etimologico ma anche sostanziale del fenomeno
18
. I gruppi
terroristici hanno, infatti, come finalità principale quella di porre in
essere azioni violente tali da generare uno stato di panico,
comportando un timore collettivo, travalicante i confini
16
Così SOTTILE A., “Le terrorisme international”, in “Recueil des cours de l’Acadèmie de droit
international de la Haye” , 1938 III pp. 87 ss.
17
Così DAVID E.,“Le terrorisme en droit international (Definition incrimination repression)” in
“Réflexion sur la définition et la répression du terrorisme”. Actes du colloque de l’Université
Libre de Bruxelles, 1974 p. 105 ss.
18
CUPELLI C., “Il nuovo art. 270-bis c .p.: emergenze di tutela e deficit di determinatezza?” In
Cassazione penale, Vol. XLII, 2002, p. 898.