V
Premessa
Con la stregoneria […] l'Africa ha cercato e cerca di dire qualcosa.
Il problema è capire in cosa consista questa presa di parola.
(Alice Bellagamba, L’Africa e la stregoneria)
Questo lavoro nasce dall‟idea di approfondire un tema incontrato, quasi un
paio di anni fa, nel corso di un‟esperienza lavorativa svolta presso un‟associazione
milanese che si occupa di adozione internazionale. Durante tale percorso
professionale sono venuta a conoscenza del fatto che una della maggiori cause di
abbandono di minori in Africa, in particolare nella Repubblica Democratica del
Congo, dove tale associazione ha una sede operativa, è l‟accusa di stregoneria
rivolta ai bambini a prescindere dalla loro età.
Questa acquisizione è rimasta in me, in qualche modo si è sedimentata nella mia
interiorità, tornando ad interrogarmi allorquando ho dovuto considerare quale
disciplina scegliere e quale argomento trattare nel lavoro di ricerca conclusivo del
mio corso di studi.
È così che ho accettato la pro-vocazione – intendendola nei termini di Emmanuel
Levinas – dell‟aver immagazzinato tale conoscenza senza averla però mai
approfondita, sottoponendo il tema alla docente di Antropologia dell‟educazione e
dando in tal modo avvio alla mia ricerca relativa al fenomeno dei bambini
stregoni in Africa.
L‟assunto di partenza del presente lavoro è il tentativo di fornire una lettura
globale, in qualche modo introduttiva, della stregoneria in Africa per poi giungere
a sviscerare le ragioni per le quali si arriva, oggi, ad addossare il pesante marchio
di streghe proprio ai bambini.
In corso d‟opera è emerso, come era prevedibile e come sostenuto da molti degli
autori consultati durante il percorso di analisi, come il fenomeno della stregoneria
possa essere trattato in molti modi e da molti punti di vista: storico, antropologico,
psicologico, filosofico, teologico, pastorale… La stregoneria richiede,
PREMESSA
VI
necessariamente, un discorso multidisciplinare, ritenendo con ciò che “chi non ne
tiene conto sbaglierà sicuramente, in un modo o nell‟altro, nelle spiegazioni che
vorrà dare”
1
.
La lettura qui offerta vuole essere principalmente di carattere storico-
antropologico con riferimento, mediante opportuno ricorso a quegli autori che
propongono punti di vista differenti, ad aspetti psicologici, sociologici e
pedagogici. L‟ultimo capitolo ci consegnerà perfino un approccio educativo-
pastorale al fenomeno dei bambini stregoni in Congo.
La prima parte del lavoro ha per titolo Uno sguardo serio, in riferimento
all‟invito che ci rivolge l‟etnologa francese Jeanne Favret-Saada
2
a proposito delle
modalità con cui affrontare il tema della stregoneria in Africa, dal momento che
parlare di questa, significa entrare in un preciso rapporto di significazione con la
realtà.
La prima parte comprende due capitoli: il primo, Il mondo dell’invisibile, è
finalizzato ad offrire una visione d‟insieme sulla concezione della stregoneria in
Africa – sulla stregoneria buona e su quella cattiva; sulla contro-stregoneria e sul
valore socialmente fondante di questa – con particolare riferimento a quell‟opera,
che è universalmente considerata come la pietra miliare della ricerca etno-
antropologica, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, frutto di una lunga
ricerca sul campo dell‟insigne antropologo britannico Edward Evans-Pritchard;
mentre il secondo capitolo, Un Paese in crisi, s‟inoltra nel particolare, trattando
sostanzialmente dei cambiamenti che hanno avuto luogo in seguito all‟avvento
storico del colonialismo europeo nel Continente africano e dunque dei mutamenti
che, verificatisi nell‟immediato su un piano concreto, hanno prodotto profondi
effetti di riverbero anche a livello sociale, politico e culturale, in particolare – per
il tema che a noi interessa – producendo ampie ripercussioni sulla concezione e
sull‟interpretazione della stregoneria nei Paesi africani. Per questo motivo è stato
preso in grande considerazione il fenomeno della evangelizzazione missionaria,
proponendone una lettura in chiave di acculturazione religiosa.
La seconda parte, che reca il titolo “Dentro” e “fuori”: figli d’Africa, a
voler con ciò rendere metaforicamente l‟idea della condizione della strega –
1
Nzuzi Bibaki, La stregoneria. Un discernimento africano sui poteri spirituali, EMI - Editrice
Missionaria Italiana, Bologna 1998, p.9.
2
Cfr. Jeanne Favret-Saada, Les mots, la mort, les sorts. La sorcellerie dans le Bocage, Gallimard,
Paris 1977.
PREMESSA
VII
condizione in genere propria di chi, per qualsiasi motivo, vive ai margini – come
di colei che sta sul limitare. Ella siede sullo steccato, a metà tra la società e la
natura, tra ciò che è civile e ciò che è selvaggio, tra il razionale e l‟irrazionale e
stando lì unisce ed insieme divide animi e coscienze. La strega richiama all‟ordine
proprio in quanto la sua semplice presenza lo pone in pericolo, al contempo attrae
per la sua forza oscura e misteriosa, per il suo essere sull‟abisso, non temendo di
guardarlo e respinge per la sua essenziale diversità, perché ella è l‟Ombra, lo
scarto della società positiva – nel senso etimologico di positum est.
Anche questa parte si compone di due capitoli, l‟uno interamente dedicato al
tentativo di comprendere il fenomeno dei bambini stregoni e di conoscere alcune
delle tragiche storie che li vedono protagonisti; l‟altro, In cammino, in cui si
racconta, dopo una breve premessa storica sul Congo, la storia della nascita di un
impegno sociale, culturale, educativo ed insieme – come precedentemente
accennato – religioso, quella del Gruppo Aleimar, che collabora in loco, ormai da
oltre un decennio, con le suore appartenenti all‟ordine delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
Seguono di prassi le conclusioni che – se mi è consentita la definizione –
sono proattive, nel senso che in esse si propongono dei percorsi di ricerca, i quali,
poggiando su quanto disquisito nell‟intero lavoro, tendono a delineare dei
possibili itinerari di approfondimento teorico e d‟intervento pratico.
Infine sono riportate in Appendice alcune brevi interviste, idealmente
corrispondenti ai quattro capitoli che costituiscono il presente lavoro, che Laura
Silvestrin, vice-capo progetto in Congo per la Onlus Aleimar, ha fatto nel mese di
settembre del 2010 ad alcune persone congolesi, residenti nella città di
Lubumbashi, le quali, a diverso titolo e con differenti funzioni, si interessano al
tema ivi analizzato: la stregoneria e l‟attuale fenomeno dei bambini stregoni.
PARTE PRIMA. UNO SGUARDO SERIO
1
CAPITOLO PRIMO
IL MONDO DELL’INVISIBILE
C’è un altro mondo, ed è in questo
(Paul Éluard)
1. La stregoneria in Africa
Il contributo più importante alla conoscenza e allo studio della stregoneria
è venuto dagli studi antropologici riguardanti le società africane. È in Africa
infatti che sono maggiormente diffuse la pratica della stregoneria e la credenza
nel suo potere. Non si può tuttavia affermare che ogni comunità o tribù pratichi
la stregoneria
3
.
La lettura occidentale della stregoneria ha imposto e ne impone a
tutt‟oggi una visione fortemente condizionata e filtrata dal nostro retroterra
culturale che si esprime in termini decisamente negativi. In realtà “bisogna (se
possibile) esorcizzare la parola “stregoneria”. Bisogna toglierle la tonalità o la
“carica” negativa che le viene dai vocaboli europei: „sorcier‟, „wizard‟ ecc. I
termini „nero-africani‟ che designano la stregoneria hanno quasi sempre una
carica semantica più neutra”
4
.
La stregoneria, nel contesto africano, fonda una forma di conoscenza e un
sistema di classificazione su cui si sono costruiti alcuni saperi locali empirici,
quali quelli medici, divinatori e giuridici. Rappresenta ciò su cui si radica,
generazione dopo generazione, l'identità di ogni singolo individuo attraverso
3
Cfr. su questo punto ed in generale su quanto trattato nel presente paragrafo l‟intervista a Jean-
Claude, posta in Appendice.
4
N. Bibaki, op. cit, p.11.
CAPITOLO PRIMO
2
complessi rituali ed è ciò grazie al quale si definiscono i territori e i confini del
proprio gruppo. Ed è, altresì, intorno ad essa che si stabiliscono i valori morali
della collettività. “L‟evu
5
è, dunque, una credenza: perché nutre un discorso
spesso confuso, incerto e alla ricerca di continue nuove prove che rimandano
sempre ad un terzo (a qualcun altro che crede) e a un tempo futuro (a un tempo
altro in cui si avrà la dimostrazione certa); perché come la tela di un ragno
organizza il tessuto sociale del gruppo, introducendo nelle relazioni umane
insieme al riconoscimento di un'alterità le dimensioni del vincolo e del patto
[…]; infine, perché esso contribuisce a costruire delle pratiche, dei modi di fare e
di agire sul mondo. […] Parlare dell'evu, e più in generale, della stregoneria
impone di adottare uno sguardo serio, […] perché significa entrare in un preciso
rapporto di significazione con la realtà, con il mondo e con i suoi problemi.
L‟evu è prima di tutto una pratica discorsiva, usata ordinariamente dalle persone
per narrare i momenti più difficili dell'esistenza, per interrogarsi e dubitare, per
mettere in forma un dramma altrimenti indicibile, per fare qualcosa. Potrei anzi
dire che l‟evu è talvolta l'unica pratica discorsiva possibile: l'unica che le persone
incontrate avessero a disposizione”
6
.
Padre Nzuzi Bibaki
7
, promotore di un approccio pastorale alla
stregoneria, sostiene che questa sia una realtà prettamente umana. “Ogni uomo
ne reca i germi nel corpo e nello spirito”
8
. Considerata come semplice realtà
umana, essa spiega che le relazioni tra individui e gruppi sono intersecate da
dinamiche di “simpatia”, d‟influenza buona o cattiva. Questo non significa,
tuttavia, che tutti siano stregoni. Un uomo lo è, secondo la tesi di ascendenza
bergsoniana di padre Bibaki, “nel senso pieno e vero della parola solo a partire
da un certo grado d‟impatto che ha sugli altri”
9
.
5
Spirito immaginario dotato di un potere soprannaturale, che abita il corpo di certe persone. L‟evu
può agire indipendentemente dal corpo che lo contiene o attraverso la persona che lo porta.
6
Simona Taliani, Il bambino e il suo doppio. Malattia e antropologia dell’infanzia in Camerun,
Franco Angeli, Milano 2006, pp.33-35.
7
Padre Nzuzi Bibaki, gesuita congolese, figlio di uno "stregone" e, lui stesso, attivo come
“stregone buono” ha una linea di pensiero tutta sua: si ritiene tale, ma non pratica sortilegi o riti
magici. Per lui la stregoneria è in continuità con il suo essere prete, esalta la sua spiritualità e
dovrebbe essere incoraggiata dalla Chiesa cattolica.
Nato 50 anni fa a Tshela, nel basso Congo, Bibaki ha ereditato le sue capacità dal padre, che per
lunghi anni è stato nel suo villaggio uno "stregone buono", una specie di direttore spirituale, di
guida della comunità. E questo sente di essere anche padre Nzuzi: un consigliere spirituale, che
aiuta le persone a scegliere il meglio per la loro vita. Da questo sacerdote si recano in tanti a
chiedere consiglio e aiuto.
8
N. Bibaki, op. cit., p.7.
9
Ibidem.
IL MONDO DELL‟INVISIBILE
3
Parafrasando la visione del prete-stregone congolese, potremmo, dunque,
parlare della stregoneria come di una realtà umana corrispondente all‟impatto,
all‟influenza e all‟ascendente che gli uomini hanno gli uni sugli altri. Seguendo
l‟originale posizione dell‟autore, scopriamo che, “al pari di ogni realtà umana
(come la religione, la politica, l‟arte, ecc.), essa diventa un‟entità in sé solo nel
momento in cui comincia a esistere a un certo grado d‟intensità”
10
.
Due sono quindi le tesi portanti di padre Bibaki: l‟universalità del fenomeno
della stregoneria e l‟individualizzazione per intensità di gradi.
Un altro sguardo interessante sul tema della stregoneria, storicamente
precorritore rispetto ai tanti che ne seguiranno, e che, almeno in parte, si coniuga
con quello di Nzuzi Bibaki e di Simona Taliani, è quello dell‟antropologo
inglese, Edward Evans-Pritchard, il quale ci ha consegnato, combinando
descrizione etnografica ed elaborazione teorica, una preziosa opera sugli Azande,
popolazione di agricoltori del Sudan meridionale, presso cui ha condotto ricerche
etnografiche negli anni '20 del secolo scorso.
Gli Azande, scrive Evans-Prichard, “credono che taluni individui siano stregoni e
possano arrecare loro del male in forza di una qualità intrinseca. Uno stregone
non compie alcun rito, non pronuncia formule magiche, non possiede medicine.
Un atto di stregoneria è un atto psichico”
11
.
Questa popolazione ritiene che la stregoneria consista in una sostanza che risiede
nel corpo degli stregoni. Credenze simili del resto si riscontrano in vaste aree
dell‟Africa centrale e occidentale. È, tuttavia, difficile precisare a quale organo
gli Azande associno la stregoneria: al ricercatore inglese fu descritta come una
protuberanza o sacca di forma ovale e di colore nerastro nella quale vengono a
volte trovati diversi piccoli oggetti, come, per esempio, semi.
La stregoneria oltre a essere una caratteristica fisica, è anche ereditaria,
trasmessa per discendenza unilaterale, di padre in figlio. I figli di uno stregone
sono tutti stregoni, ma non lo sono le figlie; per contro le figlie di una strega sono
da considerarsi tutte streghe, ma non i figli maschi.
Facendo parte del corpo, la sostanza stregante si sviluppa di pari passo
con esso. Più uno stregone è vecchio, più potente è la sua stregoneria e, si
suppone, meno scrupoli egli avrà nel farne uso.
10
Ibidem
11
Edward E. Evans-Pritchard, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2002, pp.1-2.
CAPITOLO PRIMO
4
Se, da un lato, dunque, la stregoneria stessa è una componente
dell‟organismo umano, dall‟altro, però, la sua azione è psichica. L‟anima dello
stregone può lasciare la sua dimora corporea a qualsiasi ora del giorno o della
notte, ma, in generale, gli Azande credono che sia mandata in missione durante la
notte, quando la vittima dorme
12
. Essa cavalca l‟aria emettendo una vivida luce,
che di giorno può essere vista soltanto dagli stregoni e dagli anti-stregoni, messi
sull‟avviso dalle medicine naturali che normalmente si auto-somministrano, ma
chiunque può avere la, seppur rara, opportunità di osservarla di notte.
Questa luce non è lo stregone in persona in cerca della sua preda, bensì
un‟emanazione del suo corpo. “Su questo punto l‟opinione zande è abbastanza
precisa. Lo stregone se ne sta a letto, ma ha inviato l‟anima della sua stregoneria
per portar via la parte psichica degli organi della vittima, la sua mbisimo pasio,
l‟anima psichica degli organi della sua carne, che lui e gli altri stregoni della sua
consorteria divoreranno. L‟intero atto di vampirismo è incorporeo: l‟anima della
stregoneria prende l‟anima dell‟organo”
13
.
La stregoneria non colpisce a grande distanza, arreca danno soltanto a chi
si trova nelle sue immediate vicinanze. Potremmo affermare che più una persona
abita lontano dai suoi vicini, più è al sicuro dall‟intervento malefico.
Uno stregone non distrugge immediatamente la sua vittima. Al contrario, chi si
ammala improvvisamente e gravemente può star certo di essere vittima della
fattucchieria, non già della stregoneria
14
. Gli effetti della stregoneria conducono
alla morte attraverso tappe lente ed il decesso sopravviene solo quando uno
stregone ha “mangiato” l‟intera anima di un organo vitale. Una malattia che mina
lentamente l‟organismo è causata dunque dalla stregoneria.
12
Il fugace accenno di Evans-Pritchard all‟anima che si stacca dal corpo, rimanda alla concezione
spirituale africana del doppio, che potremmo qui sintetizzare in questo modo: la divisione
nell‟uomo non è tra anima e corpo, fisico e psichico – secondo la terminologia cristiana – ma
secondo la sua visibilità ed invisibilità.
13
E. E. Evans-Pritchard, op. cit., p.13.
14
Per stregoneria si intende “qualunque intervento malefico praticato da alcuni soggetti umani in
forza di una loro intrinseca qualità da loro posseduta inconsapevolmente. Tale qualità dipende a
sua volta dalla natura fisica caratteriale del soggetto, che pertanto assume la qualifica di strega, sia
femmina che maschio, e perfino, come capita talora, anche un qualsiasi fanciullo. […] Il
fattucchiere agisce sempre deliberatamente e volontariamente contro i nemici personali, o per
conto di clienti che ne richiedano le prestazioni malefiche contro loro avversari. Dunque il
fattucchiere è un mago malefico capace di operare in senso distruttivo: ossia è un operatore di
magia nera, corrispondente nel folclore europeo alla figura di un autore di fatture”. Vittorio
Lanternari (a cura di) Medicina, magia, religione, valori, Liguori Editore, Napoli 1994, vol. I,
pp.205-206.
IL MONDO DELL‟INVISIBILE
5
Vale la pena accennare al linguaggio proprio della stregoneria, che noi
possiamo definire simbolico, ma che per il mondo magico africano esprime
effettivamente la realtà concreta. Questo vale per certe parole: “uccidere” (il
principio vitale), “mangiare” (vitalmente o psicologicamente) la carne di
qualcuno, “spostarsi” su una spatola, “trasformarsi” in una forma d‟animale,
“blindarsi” contro gli attacchi degli altri stregoni: tutti questi termini, benché
simbolici, hanno tuttavia o possono avere un effetto corporale, fisico ben
concreto: si può effettivamente morirne. Perché? Come?
1.1 Logica stregonesca: malattia e pratiche terapeutiche
Nelle società tradizionali, nei casi di malattia, si tende ad enfatizzare le
componenti che possono risolvere l'apparente casualità che colpisce un
determinato individuo e non altri, che pure si trovano in condizioni
visibilmente analoghe. Su tale logica si basa anche una parte considerevole
delle procedure terapeutiche.
I procedimenti preliminari della terapia possono includere la confessione
di responsabilità da parte del sofferente-postulante o di altro soggetto a lui legato
da parentela, un'adeguata riparazione dei torti commessi o dell'infrazione
perpetrata, l'individuazione del responsabile di un maleficio e la sua punizione, il
ristabilimento dell'equilibrio dei rapporti interindividuali, arricchiti da offerte o
da sacrifici a scopo compensatorio e purificatorio, etc
15
.
Ai mali più insidiosi e gravi si applica un criterio interpretativo che si rifà ad un
sistema di “causalità razionale”: non è mai un caso, ma sempre una causa che
induce una morte o una malattia. E può trattarsi di motivi d'ordine mistico, cioè
di interventi di entità sovrasensibili. Tali cause hanno a che fare con i rapporti
etico-sociali, da qualcuno consapevolmente o inavvertitamente rovinati.
L'operatore addetto a diagnosticare causa e natura della malattia, viene
interpellato dai familiari del malato. Si pensa che egli sia in grado di riconoscere
la verità circa il male, in quanto a lui si attribuisce una virtù particolare indicata
con l'espressione “avere occhi” per vedere le cose che concernono gli esseri
spirituali e le verità occulte.
15
Su questo punto cfr. V. Lanternari (a cura di), op. cit., p.95 e sgg.