Introduzione
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legami cross-market costituiscono i fondamentali? E quali no? Un’ulteriore
possibilità è limitare il contagio alla trasmissione di crisi attraverso specifici
canali (come herding (Calvo (1999)), o gli investitori con imperfetta
informazione (Kodres e Pritsker (2001))). Infine, una più ampia definizione
identifica il contagio in qualsiasi canale che collega due paesi e che causa il
co-movimento dei rispettivi mercati.
La definizione di contagio qui utilizzata ha importanti vantaggi.
Innanzi tutto, fornisce uno schema chiaro ed empiricamente pratico per
verificare la presenza di contagio: è un semplice test che paragona i legami
tra due mercati (espressi, ad esempio, in termini di coefficienti di
correlazione cross-market o di probabilità di un attacco speculativo) durante
un periodo relativamente stabile, con quelli rilevabili immediatamente dopo
una crisi.
In secondo luogo, è estremamente efficace nel valutare il ruolo e
l’utilità potenziale delle istituzioni monetarie internazionali, che definizioni
meno stringenti di contagio non permetterebbero di cogliere. I decisori di
politica monetaria sono preoccupati che uno shock in un paese possa ridurre
i flussi di capitale in un altro paese e causarvi, di conseguenza, una crisi
finanziaria (quantunque temporanea), anche se i fondamentali della seconda
economia sono forti e ci sono pochi legami reali tra i due paesi. Secondo la
definizione adottata, questa trasmissione di shock costituirebbe contagio e
giustificherebbe l’intervento di un’istituzione finanziaria internazionale con
un prestito a breve termine che possa prevenire la crisi finanziaria nella
seconda economia. D’altro canto, questo tipo di intervento non sarebbe
giustificato se i paesi considerati fossero strettamente collegati attraverso
fondamentali economici: in questo caso, infatti, non saremmo in presenza di
contagio, come qui inteso, e un prestito potrebbe solo ridurre l’impatto
negativo iniziale, posponendo l’inevitabile aggiustamento dei fondamentali
di lungo periodo.
Introduzione
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In terzo luogo, test sul contagio come definiti precedentemente sono
un utile modo per verificare l’efficacia della diversificazione internazionale
degli investimenti per ridurre il rischio di portafoglio: se la correlazione tra
due economie dovesse aumentare dopo uno shock, ciò indebolirebbe molto
le fondamenta su cui si basa la diversificazione internazionale. Una
definizione di contagio meno stringente che si focalizzasse sull’ampiezza
delle relazioni tra mercati, piuttosto che sulle variazioni di queste relazioni,
non si indirizzerebbe a questa questione; una definizione più stringente che
si focalizzasse su come gli shock si trasmettono tra i paesi aggiungerebbe
informazioni addizionali che, quantunque interessanti, non sarebbero
necessarie per valutare l’efficacia della diversificazione internazionale degli
investimenti.
Un quarto vantaggio dell’approccio indicato in questo lavoro è che
esso evita di dover direttamente misurare e differenziare tra i vari
meccanismi di propagazione degli shock proposti da una vasta letteratura
teorica.
1
Anzi, esso fornisce un valido metodo per distinguere tra quelle
teorie, le cosiddette “crisis-contingent theories”, che spiegano perché i
meccanismi di trasmissione cambiano durante una crisi e perché i legami
cross-market aumentano dopo uno shock, da altre teorie, le cosiddette “non
crisis-contingent theories”, che assumono che i meccanismi di trasmissione
rimangano gli stessi sia durante una crisi, sia nei periodi stabili e, quindi,
che i legami cross-market non aumentino dopo uno shock: evidenza di
contagio supporta il primo gruppo di teorie e, viceversa, nessuna evidenza
di contagio supporta il secondo gruppo.
Infine, definire contagio un significativo aumento nelle relazioni tra
mercati è coerente con un’idea intuitiva di ciò che costituisce contagio. Per
esempio, per due paesi strettamente collegati in tutti i possibili stati del
mondo, localizzati nella stessa area geografica, con molte similitudini in
termini di struttura di mercato e storia, con forti legami nel commercio e
1
Un quadro generale di questa letteratura teorica è presente in Claessens, Dornbush e Park (2001).
Introduzione
8
nella finanza, non è sorprendente che uno shock negativo che colpisca uno
dei due si diffonda rapidamente all’altro: se questa trasmissione di shock è
una continuazione delle stesse relazioni cross-market che ci sono durante
periodi più tranquilli, ciò non dovrebbe essere considerato contagio.
Il lavoro è suddiviso nel seguente modo: nel capitolo uno verrà
passata in rassegna la letteratura empirica sviluppata per verificare
l’esistenza di contagio; nel secondo capitolo si illustreranno le distorsioni
nei coefficienti di correlazione causate dalla presenza di eteroschedasticità e
se ne proporrà una soluzione; successivamente, nel capitolo tre, verrà
introdotto un test per studiare la stabilità del meccanismo di propagazione
degli shock, presentato da Rigobon (2000a e 2000b), che prende in
considerazione la contemporanea presenza di eteroschedasticità, endogenità
e variabili omesse; infine, nel capitolo quattro, le metodologie sviluppate
precedentemente verranno implementate all’analisi dell’evoluzione dei
meccanismi di trasmissione nei mercati finanziari dei paesi facenti parte del
G7 a seguito dello shock causato dagli attentati terroristici dell’11 settembre
2001.
Capitolo 1
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CAPITOLO 1:
Come verificare l’esistenza di contagio
La letteratura empirica che studia l’esistenza di contagio è molto
ampia
1
. Differenti approcci sono stati utilizzati per misurare la trasmissione
degli shock e per verificare l’esistenza di contagio. In questo capitolo
verranno introdotte le metodologie maggiormente utilizzate, verranno
presentate le intuizioni che stanno alla base di ognuna di esse e verranno
riportati esempi dei risultati raggiunti attraverso l’applicazione di ciascun
approccio.
1.1 Test basati sui coefficienti di correlazione
Tali test sono i più intuitivi. Essi misurano il coefficiente di
correlazione tra due mercati durante un periodo stabile e, poi, verificano
statisticamente un significativo aumento in questa correlazione dopo uno
shock: se il coefficiente di correlazione aumenta significativamente, ciò
suggerisce che il meccanismo di trasmissione tra i due mercati è cambiato e
c’è stato contagio.
Molti studi che stimano la correlazione tra mercati trovano evidenza di
ampi co-movimenti nei tassi di interesse, nei prezzi azionari o negli spread dei
titoli di stato. In uno dei primi lavori in materia, King e Wadhwani (1990)
applicano questa metodologia al crollo del mercato azionario statunitense del
1987: gli autori studiano la presenza di un significativo aumento nei
coefficienti di correlazione tra gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone e
trovano che i coefficienti di correlazione aumentano significativamente dopo il
crollo di Wall Street. Lee e Kim (1993) estendono questa analisi a 12 mercati e
trovano un’ulteriore evidenza di contagio: il coefficiente di correlazione medio
1
Una vasta rassegna di questa letteratura è presente in Claessens, Dornbush e Park (2001), in Forbes e Rigobon (1999)
e in Baig e Goldfajn (1998).
Capitolo 1
10
passa da 0.23, prima dello shock, a 0.39, dopo il crollo borsistico. Calvo e
Reinhart (1996) usano questo approccio per verificare l’esistenza di
contagio dopo la crisi messicana del 1994 e trovano che la correlazione tra i
mercati emergenti asiatici e dell’America latina negli indici azionari e nei
titoli di stato aumenta significativamente dopo la svalutazione del peso.
Infine, Baig e Goldfajn (1998) mostrano che le correlazioni cross-country
nelle valute e negli spread sui titoli di stato in Indonesia, Corea del Sud,
Malesia, Filippine e Tailandia sono aumentate significativamente durante la
crisi asiatica (dal Giugno 1997 al Maggio 1998), rispetto agli altri periodi.
Riassumendo, tutti questi test basati sui coefficienti di correlazione
tra mercati giungono alla medesima conclusione: i coefficienti di
correlazione aumentano significativamente durante il periodo di crisi preso
in esame e, di conseguenza, mostrano evidenza di contagio.
Tuttavia, un aumento nella correlazione tra differenti economie può
non essere una prova sufficiente dell’esistenza di contagio, secondo la
definizione datane nell’Introduzione. Se i mercati sono storicamente
correlati, se, cioè, sono interdipendenti, allora un brusco shock in un
mercato si diffonderà spontaneamente agli altri paesi e i mercati potrebbero
mostrare un considerevole aumento nei coefficienti di correlazione, senza
che vi sia contagio. Forbes e Rigobon (1999, 2000 e 2001) e Rigobon
(2001a) mostrano come, in presenza di eteroschedasticità nei corsi azionari
o nei titoli di stato, verosimile in conseguenza di uno shock a causa
dell’aumento della volatilità, un aumento nei coefficienti di correlazione
possa semplicemente celare una continuazione di forti meccanismi di
trasmissione, che esistono anche in più stabili periodi. Inoltre problematiche
simili si incontrano pure considerando equazioni simultanee e variabili
omesse: i coefficienti di correlazione condizionali continuano ad essere
distorti e non forniscono prova di contagio in presenza di eteroschedasticità
e, alternativamente, endogenità o variabili omesse. Queste argomentazioni
saranno alla base delle trattazioni del capitolo 2.
Capitolo 1
11
1.2 Test basati sulla probabilità condizionata
Un altro modo per testare l’esistenza di contagio si basa sullo studio
della correlazione condizionale piuttosto che della correlazione grezza. La
metodologia più comunemente usata esamina se la probabilità di una crisi è
più elevata in un paese, condizionatamente all’informazione della presenza
di una crisi in un altro paese o gruppo di paesi (“ground-zero”). Un
possibile vantaggio di questo approccio è che, come per i test basati sui
coefficienti di correlazione, consente facilmente di verificare
statisticamente l’esistenza di contagio. Inoltre, questi test possono anche
cercare di investigare i canali attraverso cui il contagio avviene,
distinguendo, ad esempio, tra gli altri, tra legami commerciali e legami
finanziari.
Tra i primi lavori che usano questa metodologia, Eichengreen, Rose
e Wyplosz (1997), usando un modello PROBIT e dati panel trimestrali che
si riferiscono a venti paesi industrializzati dal 1959 al 1993, mostrano come
la probabilità di una crisi valutaria in un paese aumenti quando avviene un
attacco speculativo in un altro paese e che è più probabile che il contagio si
diffonda attraverso i canali commerciali piuttosto che attraverso legami
macroeconomici. Glick e Rose (1998) applicano un approccio simile a
centosessantuno paesi per cinque differenti crisi valutarie (dalla caduta del
sistema di Bretton Woods nella primavera 1971, attraverso il collasso dello
Smithsonian Agreement nel 1973, la crisi dello SME nel 1992-93, il
Tequila Effect nel 1994, fino all’Asian Flu del 1997-98): essi trovano che i
legami commerciali sono importanti nello spiegare la propagazione di una
crisi e ritengono che il contagio tenda a essere regionale piuttosto che
globale, dato che il commercio è, di per sé, più inter-regionale che non
intra-regionale. Kaminsky e Reinhart (1998) giungono a simili conclusioni:
soprattutto a livello regionale, la probabilità di una crisi in un paese
aumenta nettamente quando un gruppo di “core countries” è già stato
Capitolo 1
12
colpito da uno shock. La particolarità di questo lavoro sta nell’importanza
data al canale finanziario piuttosto che a quello commerciale: gli autori
mostrano che la probabilità di una crisi in Indonesia, Malesia o Tailandia,
tutti paesi altamente dipendenti dai prestiti delle banche commerciali
giapponesi, aumenta condizionatamente alla conoscenza che uno o due di
questi paesi sono in crisi; simili risultati vengono trovati nei paesi
dell’America Latina, accomunati dal fatto di aver ottenuto crediti dalle
banche commerciali statunitensi. Infine, Forbes (2000) stima l’impatto della
crisi asiatica e di quella russa sui guadagni azionari di diecimila società
sparse nel mondo e giunge alla conclusione che i legami commerciali sono
importanti rivelatori dei guadagni azionari delle società e, di conseguenza,
della vulnerabilità del paese a queste crisi.
Molti di questi lavori si focalizzano nel misurare i canali di
trasmissione specifici tra le economie: evitano il dibattito su come definire
il contagio e non verificano esplicitamente la sua esistenza.
1.3 Test basati sugli spillover della volatilità
Un terzo approccio per analizzare i co-movimenti di mercato usa
metodologie ARCH o GARCH per stimare il meccanismo di trasmissione
dei momenti secondi tra paesi. Si tratta di controllare se la volatilità di un
mercato si espande ad altre economie, se questa volatilità, in ogni paese
preso in esame, è il risultato di fattori interni oppure se è influenzata,
almeno parzialmente, da fattori internazionali e, quindi, se cela una qualche
forma di contagio.
Ad esempio, Hamao, Masulis e Ng (1990) usano questa procedura
per il crollo di Wall Street del 1987 e trovano evidenza di significativi
spillover nella volatilità dei prezzi azionari da New York a Londra e Tokio,
e da Londra a Tokio. Edwards (1998) esamina la propagazione della crisi
nata dalla svalutazione del peso messicano nel dicembre del 1994,
Capitolo 1
13
attraverso i mercati obbligazionari di Messico, Argentina e Cile, con una
particolare attenzione a come gli strumenti di controllo dei flussi di capitale
possano influenzare la trasmissione degli shock. Dopo aver osservato che
per tutti e tre i paesi in considerazione la volatilità del tasso d’interesse
cambia notevolmente nel periodo esaminato, Edwards prima stima il tasso
di interesse nominale argentino e cileno col metodo dei minimi quadrati
ordinari; poi verifica, attraverso il Lagrange Multiplier test di Engel, la
presenza nei residui di eteroschedasticità condizionale e rifiuta l’ipotesi
nulla di assenza di ARCH. L’autore, quindi, stima un GARCH(1,1) e, per
analizzare se la volatilità presente in Messico influenza la volatilità del
tasso di interesse argentino e cileno, seleziona un gruppo di variabili
rappresentative della volatilità messicana (come, ad esempio, una variabile
dummy che assume valore uno nella settimana in cui il peso messicano si
deprezza più del tre per cento, oppure la varianza condizionale, stimata
attraverso un GARCH, del cambiamento del tasso di interesse a breve
termine messicano) da includere nella stima delle equazioni della volatilità
condizionale dell’Argentina e del Cile: se i valori stimati dei coefficienti di
queste variabili sono significativamente positivi, allora ciò significa che nel
periodo preso in considerazione la volatilità del paese in esame è stata
influenzata dalla volatilità del Messico. Seguendo questa metodologia,
Edwards trova evidenza del diffondersi della volatilità dal Messico
all’Argentina, ma non verso il Cile, e attribuisce questa mancanza di
spillover all’esistenza di meccanismi di controllo dei flussi di capitale in
Cile, presenti durante il periodo esaminato, che isolano il paese da shock
esterni di breve periodo.
E’ importante notare che test come quelli qui riportati in qualità di
esempi mostrano come la volatilità è trasmessa tra paesi. Tuttavia, non
verificano esplicitamente se questa trasmissione cambia significativamente
dopo uno shock. Quindi, sebbene forniscano un’importante evidenza della
trasmissione della volatilità tra diverse economie, essi non controllano
Capitolo 1
14
esplicitamente l’esistenza di contagio come è stato definito
nell’Introduzione.
1.4 Test basati sul vettore di cointegrazione
Un quarto metodo per esaminare i legami cross-market analizza i
cambiamenti nel vettore di cointegrazione tra diversi mercati in un lungo
arco temporale. Operando con serie storiche non stazionarie come
tipicamente sono gli indici azionari, le possibilità sono o di utilizzare per
l’analisi le differenze prime delle serie storiche, oppure servirsi della
cointegrazione. Questa tecnica si basa sul postulato che una combinazione
lineare di due o più serie caratterizzate da unit root (vale a dire, due o più
serie non stazionarie in livelli, ma stazionarie per ciò che riguarda le
differenze prime) può essere stazionaria. Tale combinazione lineare
stazionaria è chiamata equazione di cointegrazione e può essere interpretata
come una relazione di equilibrio di lungo periodo tra le serie studiate.
In uno dei primi lavori che utilizzano questa metodologia, Taylor e
Tonks (1989) cercano di evidenziare l’impatto dell’abolizione, nel 1979, del
controllo del tasso di cambio nel Regno Unito sul grado di integrazione dei
mercati azionari inglese, americano, tedesco, olandese e nipponico, in un
arco temporale compreso tra l’Aprile del 1973 e il Giugno del 1986. Innanzi
tutto, gli autori verificano, attraverso il test di Phillips-Perron, che le serie
degli indici azionari di questi paesi siano contraddistinte da unit root;
successivamente, stimano l’equazione di cointegrazione per queste serie col
metodo a minimi quadrati ordinari; infine, controllano che i residui di
queste regressioni siano stazionari. Solo in questo caso si può dire che gli
indici azionari sono cointegrati
2
. Seguendo questa procedura, Taylor e
Tonks trovano che i mercati azionari esaminati diventano cointegrati dopo
il provvedimento del governo inglese del 1979 e ne derivano che ciò causa
2
Infatti, se le serie dei residui non fossero stazionarie, la combinazione lineare degli indici azionari non potrebbe
rappresentare una relazione di equilibrio di lungo periodo.
Capitolo 1
15
un’elevata correlazione di lungo periodo tra questi indici e rende limitati i
vantaggi di una diversificazione internazionale degli investimenti.
Servendosi della stessa metodologia, Cashin, Kumar e McDermott
(1995) analizzano gli effetti che la deregolamentazione del settore
finanziario e l’abbandono dei meccanismi di controllo sui tassi di cambio
hanno avuto sul grado di integrazione regionale e interregionale di tredici
mercati azionari mondiali (Stati Uniti, Brasile, Messico, Giappone, Corea,
Malesia, Tailandia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Giordania)
tra la fine degli anni ’80 e il 1995. Dopo aver controllato, attraverso il test
di Phillips-Perron, che gli indici azionari presi in esame sono tutti
caratterizzati da unit root, gli autori verificano se esistono combinazioni
lineari indipendenti di queste variabili non stazionarie, tali da assicurare che
gli indici azionari considerati convergano ad un equilibrio di lungo periodo.
I risultati principali cui giungono Cashin, Kumar e McDermott (1995) sono
che c’è stato, nel periodo analizzato, un aumento nell’integrazione dei
mercati azionari, soprattutto per ciò che riguarda i paesi emergenti (sia tra
di loro, che rispetto ai paesi industrializzati), e tale maggior integrazione è
riscontrabile sia a livello regionale che a livello interregionale.
Tuttavia, è importante osservare che questo approccio non testa
esplicitamente l’esistenza di contagio, dato che le relazioni cross-market su
così lunghi periodi potrebbero aumentare per una serie di ragioni diverse,
come, ad esempio, una più elevata integrazione commerciale o una più alta
mobilità di capitale. Inoltre, questa strategia potrebbe non prendere in
considerazione periodi di contagio in cui le relazioni cross-market
aumentano solo brevemente dopo una crisi (basti pensare che, nei loro
lavori, sia Taylor e Tonks che Longin e Solnik utilizzano dati mensili).
Capitolo 1
16
1.5 Conclusioni
Una varietà di differenti tecniche econometriche sono state utilizzate
per verificare l’esistenza di contagio durante diverse crisi finanziarie e
valutarie. La trasmissione degli shock è stata misurata attraverso i
coefficienti di correlazione cross-market, i modelli PROBIT, i modelli
GARCH e il vettore di co-integrazione. Sebbene la letteratura empirica
abbia utilizzato questa ampia serie di metodologie, il resto del lavoro si
focalizzerà prevalentemente su un approccio: i test basati sui coefficienti di
correlazione.
3
Non solo perché questo approccio è stato utilizzato nella
maggior parte delle ricerche che esplicitamente si prefiggono di verificare
l’esistenza di contagio, ma anche perché esso fornisce uno schema assai
chiaro ed intuitivo. Come già detto, l’analisi di co-integrazione non è
accurata a causa della lunghezza del periodo preso in esame. I risultati
basati sulle altre tecniche econometriche giungono tutti alla medesima
conclusione: durante le recenti crisi finanziarie e valutarie c’è evidenza di
contagio. La consistenza di questo risultato è notevole dato l’ampio set di
metodologie usate.
3
Per completezza. non si tralascerà, nel capitolo successivo, di provare come anche i test basati sui modelli GARCH e
PROBIT sono distorti in presenza di eteroschedasticità.