1
1. Introduzione
1.1. Olio di Palma: perché se ne parla.
Il 13 dicembre 2014 è entrato effettivamente in vigore il regolamento UE 1169/2011,
che stabiliva le nuove norme alle quali le aziende dovevano adeguarsi per quanto
riguarda le informazioni che dovevano essere riportate sulle etichette dei prodotti
alimentari. Principalmente, in sostituzione delle diciture generiche “oli vegetali” e
“grassi vegetali”, dovevano essere dichiarati specificamente gli ingredienti utilizzati.
Questo fatto ha provocato un allarmismo generale, sostenuto dai mass media, in
relazione soprattutto all’utilizzo dell’olio di palma, ingrediente che si trova nella
maggior parte dei prodotti alimentari, in particolare nei prodotti dolciari. Da quel
momento in Italia ha iniziato a diffondersi una sorta di isteria collettiva, rafforzata da
una massiccia campagna d’informazione finalizzata al boicottaggio del prodotto, la
quale sosteneva che si trattasse di un alimento tossico, nocivo per la salute umana e
responsabile di predisporre alle malattie cardiovascolari. Tale campagna ha
condizionato le scelte alimentari di molte famiglie, tanto da condurre diverse aziende
ad allinearsi al fronte dei consumatori ed eliminare dai propri prodotti l’ingrediente
considerato “tossico” sostituendolo con il burro, con l’olio di oliva o con l’olio di
semi di girasole. Firme del calibro di Misura, Esselunga, Gentilini e Coop hanno fatto
un vanto dello slogan “Senza Olio di Palma” pubblicizzato nelle confezioni dei loro
prodotti.
Recentemente, nel maggio 2016, è stato pubblicato uno rapporto dell’EFSA che ha
ulteriormente portato aziende e movimenti vari a scagliarsi contro l’olio di palma. Il
rapporto riguarda i cosiddetti “contaminanti da processo”, sostanze che si formano
durante la lavorazione delle margarine e degli oli vegetali quando si utilizzano alte
temperature per raffinarli. Al termine del processo di raffinazione questo gruppo di
molecole indesiderato rimane all’interno del grasso vegetale lavorato e finisce quindi
negli alimenti nei quali viene utilizzato. Questo rapporto di 159 pagine è in realtà
indirizzato ai tecnici della Commissione europea e, per ora, non al pubblico che non
2
né ha gli strumenti né le conoscenze per comprendere fino in fondo il senso delle
analisi. Il documento è stato tuttavia diffuso per motivi di trasparenza, ma ha portato
ad ulteriori allarmismi e ad interpretazioni “creative” da parte dei media.
Interpretando drasticamente tale rapporto infatti, alcune catene di supermercati, in
particolare la Coop, hanno detto basta all’olio di palma: oltre 200 prodotti a marchio
Coop contenenti olio di palma spariranno dagli scaffali.
In conclusione, l’allarmismo generato in questi ultimi anni ha profondamente
cambiato il modo di guardare i prodotti alimentari sugli scaffali, ora si leggono
attentamente le etichette dei prodotti, fatto positivo, ma non in maniera critica,
unicamente alla ricerca dell’ingrediente ritenuto “pericoloso” sulla base di
informazioni veicolate dai mass media ed accettate come verità assolute.
L’olio di palma attualmente è sotto i riflettori mediatici per due motivi: dal lato
alimentare è ritenuto potenzialmente nocivo, dal lato ambientale, l’aumento delle
coltivazioni, in considerazione del basso costo, dell’elevata resa per ettaro e del
crescente consumo sia alimentare che industriale, è causa principale della
deforestazione nella Malesia e nell’Indonesia, che sono i maggiori paesi produttori
nonché esportatori (Indonesia 24.500.000 mt
1
e Malesia 18.150.000 mt, Figura 1) con
le maggiori aree adibite alla coltivazione delle palme (Indonesia 8.965.000 ettari,
Malesia 4.800.000 ettari, Figura 2). Osservando i grafici
2
relativi ai consumi (Figura
3), si può rilevare che, nelle stime del 2015, India, Indonesia, Cina e EU-27
evidenziano un rilevante consumo alimentare (India 9.475.000 mt, Indonesia
5.400.000 mt, Cina 3.750.000 mt e EU-27 3.100.000 mt), e sempre Indonesia, Cina e
EU-27 anche industriale (EU-27 3.500.000 mt, Indonesia 2.900.000 mt e Cina
2.000.000 mt). Per quanto riguarda le importazione (Figura 1) si può osservare come
India (9.525.000 mt), EU-27 (6.950.000 mt) e Cina (5.700.000) siano i paesi che si
distinguono maggiormente. Dei due aspetti negativi legati alla produzione dell’olio di
palma sopra evidenziati, in questo lavoro verrà trattato solo il primo, cioè la sua
potenziale nocività, dato che gli effetti negativi della coltivazione intensiva delle
1
Mt, metric tons, è l’unità di misura statunitense della massa che corrisponde a 1000 kg, una tonnellata.
2
Fonte dati Index Mundi: http://www.indexmundi.com/agriculture/?commodity=palm-oil
3
palme da olio sulla biodiversità e sull’ecosistema faunistico è un problema
chiaramente estendibile a qualsiasi altra coltivazione intensiva, anche se ciò non lo
rende comunque meno rilevante.
Figura 1: Importazione ed esportazioni olio di palma
Figura 2: Produzione ed area coltivazione olio di palma
Figura 3: Consumo alimentare e industriale olio di palma
Seguendo la fattispecie del paper di Elena Fattore et al. pubblicato nel 2014 su The
American Journal of Clinical Nutrition, un saggio di meta-analisi basato su 51 studi
diversi, il presente lavoro, attraverso una revisione sistematica di meta-analisi basata
su 24 studi diversi, cerca di capire se vi siano delle evidenze empiriche nella
correlazione tra il consumo dell’olio di palma e le malattie cardiovascolari,
4
utilizzando come fattori di rischio molecole e composti di molecole presenti nel
sangue, quali:
1. TC (Colesterolo Totale): il colesterolo è un lipide steroideo fondamentale per
l’organismo, è un componente delle membrane cellulari, delle quali regola la
fluidità e la permeabilità. Soltanto una contenuta percentuale del colesterolo
presente nel sangue proviene dall'alimentazione. Per lo più, infatti, è prodotto
dall'organismo, soprattutto nel fegato.
2. HDL-C (Lipoproteine ad alta densità): sono le lipoproteine caratterizzate dalla
massima densità e hanno la funzione di rimuovere il colesterolo in eccesso dai
tessuti periferici per portarlo al fegato, vengono comunemente chiamate
colesterolo buono.
3. LDL-C (Lipoproteine a bassa densità): sono lipoproteine composte da molecole
idrofobe deputate al raccoglimento e al trasporto dei lipidi, in particolare dei
trigliceridi e del colesterolo esterificato, una molecola trasportata nel nucleo delle
lipoproteine.
4. VLDL-C (Lipoproteine a bassissima densità): sono lipoproteine cariche di
grassi che vengono sintetizzate dal fegato e fungono da trasportatori di lipidi verso
i tessuti periferici. In tal modo, le VLDL perdono densità e si trasformano
dapprima in IDL (Lipoproteine a media densità) e poi in LDL, le quali continuano
a circolare trasportando il colesterolo come ultimo elemento di cessione.
5. Apolipoproteine A-I: componente proteico principale delle HDL-C.
6. Apolipoproteine B: componente proteico principale delle LDL-C.
7. TGs (Trigliceridi): formati dall’unione di una molecola di glicerolo con tre acidi
grassi, che si differenziano in base alla loro lunghezza e alla presenza o meno di
doppi legami (acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi).
8. Lipoproteina (a): è una sottoclasse di lipoproteine strutturalmente simile alle
LDL, ma con ruolo biologico non ancora chiaramente definito. Essa rappresenta un
fattore di rischio indipendente per le malattie cardiovascolari se la concentrazione
supera i 30 mg/dL.
5
9. Rapporto tra TC e HDL-C.
10. Rapporto tra HDL-C e LDL-C.
Per malattie cardiovascolari si intende un gruppo di malattie a carico del cuore e/o dei
vasi sanguigni. Il restringimento, l’ostruzione o l’eccessivo allargamento (aneurisma)
dei vasi sanguigni che possono accompagnare queste malattie sono infatti
responsabili di patologie molto diffuse, come quelle coronariche, cerebrovascolari e
vascolari periferiche. A livello mondiale, ed in particolare nei Paesi con uno stile di
vita tipicamente occidentale, le malattie cardiovascolari rappresentano la principale
causa di morte, la cui comparsa è favorita da uno stile di vita sempre più
caratterizzato dall'abuso di fumo, alcol e droghe, dalla sedentarietà e da una dieta
poco attenta a soddisfare i reali bisogni dell'organismo.
1.2. Olio di Palma: un po’ di storia.
Alla base del fenomeno mediatico dell’olio di palma ci sono interessi economici
legati alla coltivazione di un olio vegetale piuttosto che un altro. Questi interessi
hanno provocato conflitti tra i produttori dei diversi oli derivati dai vegetali, che
affondano le loro radici negli anni ’80, quando ancora né le etichette, né la stampa, né
la televisione dimostravano alcun interesse per tali prodotti. Tra il 1986 e il 1987
negli Stati Uniti ci fu una vera e propria guerra commerciale, la cosiddetta Tropical
Grease Campaign (Hunter B, 2003), innescata dai promotori dell’olio di semi di soia,
per far fronte all’avanzare prepotente sulla scena globale di quelli che, da quel
momento, furono battezzati con il nome di oli tropicali: essenzialmente palma e
cocco. Ci fu un investimento considerevole, sostenuto dalla politica, dei media e di
organizzazioni internazionali, per insinuare nell’opinione pubblica l’idea che i grassi
vegetali d’importazione fossero gravemente nocivi per la salute, senza tuttavia
supportare tali accuse con documentazioni scientifiche.
La campagna della soia contro l’olio di palma alla fine degli anni ’80 fu costretta a
placarsi a seguito della scoperta degli effetti nocivi degli acidi grassi trans, di cui
sono ricchi gli oli vegetali idrogenati. Per molto tempo infatti, come ingrediente