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Introduzione
Gli anni ‘60 furono anni cruciali per la società italiana. Furono innanzitutto gli anni in cui
l’Italia riuscì a portare a compimento il lungo processo di crescita economica, iniziato nel
tardo dopoguerra, che venne definito con il termine di “miracolo economico”.
In Italia, per via della diffusione di un modello di benessere individualistico, importato dagli
Stati uniti, dove il consumo privato rappresenta il vero segno del successo e dell’integrazione
sociale, era venuta l’ora di “comprare” la felicità. Questo nuovo periodo di benessere
economico e sociale diede il via ad un mutamento nella struttura dei consumi che assunsero
via via un ruolo primario nella società italiana diventando un mezzo di appagamento con cui
poter migliorare la propria condizione di vita.
La televisione si affermò come il mezzo informativo e il consumo culturale di gran lunga
dominante, contribuendo a modificare il pensiero, le abitudini culturali, gli usi ed i costumi
degli italiani.
Diede l’impulso fondamentale all’alfabetizzazione del nostro paese ed alla nascita di una
cultura di massa.
Inoltre fece conoscere le abitudini e la storia di etnie diverse e lontane facendo sentire i
neonati telespettatori parte del mondo globale, attraverso immagini, suoni e notizie
provenienti da luoghi spesso sconosciuti a molti.
Per spiegare come avvenne tutto ciò occorre fare un passo indietro descrivendo gli esordi
pedagogici di questo importantissimo mezzo comunicativo ed il quadro sociale, politico,
economico e culturale italiano tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ’70.
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Nel primo capitolo viene descritto il periodo compreso tra il 1954, anno d’ inizio del boom
economico, e il 1970, anno di importantissimi avvenimenti sia politici, sociali che economici.
Dopo aver spiegato i fattori che avevano promosso il “miracolo”, la transizione demografica
in atto e la nascita della cultura consumistica, con l’espansione dei nuovi beni di consumo,
vengono descritti in particolare gli anni d’esordio della televisione del monopolio di Stato.
La Paleotelevisione, termine con cui Umberto Eco indica la Tv del monopolio di Stato dagli
anni ’54 alla fine degli anni ’70, risultò essere ben differente dalla televisione di oggi.
Il carattere prevalentemente pedagogico e socializzante che la contraddistinse dalla
Neotelevisione, fungeva da collante, soprattutto linguistico, per la società contribuendo a
espandere la lingua italiana anche nei paesi dove ancora permaneva l’uso del dialetto. Lo
Stato, ed in particolare il partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, ne deteneva il
controllo cercando di imporre la tradizione culturale cattolica. Erano i tempi di programmi di
intrattenimento come Lascia o raddoppia? e il musichiere, oppure programmi politici come
tribuna elettorale e tribuna politica, un forum comunicativo di confronto tra opinioni regolato
dalle leggi.
La seconda parte del primo capitolo riguarda gli anni a cavallo tra l’inizio delle rivoluzioni
sociali del 1968 e gli anni 70, dove convogliarono tutte le estremizzazioni ideologiche degli
anni precedenti.
Il 1968 vide l’intensificarsi della mobilitazione degli studenti universitari, di tutti i paesi
occidentali. Essa sfociò in grandi manifestazioni di piazza che riprendevano temi come il
rifiuto della prassi dominante consumistica e capitalistica, tratto distintivo della società
sessantina, oltre ad importanti questioni legate ai diritti civili. Quelli della classe operaia in
particolare. Inoltre il ’68 vide anche un primo segno dell’indebolimento di due delle
istituzioni collettive tradizionali come la politica, con i suoi partiti, e la chiesa a vantaggio di
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un esaltazione della democrazia di base e del momento assembleare. Questo rifiuto delle
regole dominanti da parte della baby boom generation, si osservò ad esempio nel festival
musicale di Woodstock del 1969.
D’altro canto negli anni ‘70 si assistette anche ad una crescita esponenziale del terrorismo;
prima di destra, con le stragi di piazza fontana e la rivolta di Reggio Calabria, poi di sinistra,
con il rapimento e l’uccisione di alcuni personaggi istituzionali italiani tra cui Aldo Moro.
In questi anni si consumò anche la crisi del sistema politico italiano incapace di dare al paese
una maggioranza stabile e duratura. Crisi nella quale il Partito Comunista con il suo leader piø
importante, Enrico Berlinguer, si inserì cavalcando la strategia del compromesso storico.
Il secondo capitolo è incentrato sulla “Neotelevisione” ed in particolare su due argomenti
cruciali che hanno contribuito a rompere i vincoli imposti dal monopolio Rai e a diffondere un
nuovo tipo di televisione puramente commerciale, rivolta soprattutto al coinvolgimento
dell’individuo piuttosto che alla collettività.
La pubblicità venne considerata uno strumento grazie al quale è possibile esercitare un’ opera
di persuasione sugli individui; persuasione di tipo commerciale.
Per questo motivo la pubblicità rivestì da quel momento un ruolo sociale particolarmente
rilevante. Gli elevati investimenti che le aziende dedicarono a questa forma di comunicazione
produssero notevoli risultati di tipo commerciale, ma gli effetti sulla cultura sociale furono
altrettanto significativi.
Nella prima parte del secondo capitolo viene analizzata e confrontata la pubblicità leggera ed
educativa di Carosello (format televisivo del 1957 in cui venivano reclamizzati, tramite
sketch e rèclame, vari prodotti tra cui detersivi, caffè, pomate e beni alimentari utilizzando
personaggi inventati o addirittura veri e propri registi) con la pubblicità puramente
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commerciale e spregiudicata della “Neotelevisione” degli anni 70, che vide l’avvento
irregolare delle prime emittenti televisive private.
La fine del capitolo è incentrata sull’avvento del televisore a colori che modificò
incredibilmente la realtà sociale e fece da ideale culla allo sviluppo della “neotelevisione”
commerciale.
L’ultima parte è quella che riguarda e prende in esame da vicino la “Neotelevisione” nata
nella seconda metà degli anni ‘70 e sviluppatasi poi negli anni ‘80. Vengono descritti i
caratteri salienti, la programmazione ed i generi televisivi.
I format che andavano in onda erano per lo piø di importazione straniera ed erano quasi tutte
soap opere o telenovele sudamericane come Dinasty o Flamingo road . Una delle piø
importanti sit-com, anch’essa importata dagli Stati Uniti era Dallas, che dimostra in modo
chiaro il passaggio dalla paleotelevisione pedagogica di tipo pubblico a quella commerciale
privata, con cui il pubblico si immedesima e “tifa” per i contendenti in causa.
La realtà si riduce ad un microcosmo di individui che si confrontano e si scontrano tra loro. In
questo quadro si inserì Silvio Berlusconi che fu il primo a capire la trasformazione in atto
della società italiana in senso individualista e l’enorme potere mediatico della televisione.
Inoltre Bettino Craxi, nuovo esponente del partito socialista e capo del governo, si dimostrò
connivente all’ascesa monopolistica dell’amico Berlusconi, mettendo a giudizio in parlamento
un decreto legge in cui in pratica veniva legalizzato il sistema televisivo in atto. Questo
dimostra una costante della politica italiana: dimostrarsi accondiscende e favorevole ai poteri
forti dell’economia.
L’ultimo capitolo è quello riguardante la mutazione in senso individualista della società
italiana.
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Tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80 anche la Rai cominciò la sua corsa senza
freni alla raccolta pubblicitaria, in forma di guerra preventiva ai concorrenti privati, causando
un’esasperazione di tutti gli aspetti di status symbol; i beni diventano “marche”, le marche e
la “griffe” diventano simboli identitari.
Lo scontro tra Rai e Mediaset portò ad una diversificazione e ad una frammentazione dei
generi televisivi secondo fasce d’età, di reddito e di istruzione in modo che la pubblicità
potesse colpire chiaramente un determinato pubblico specifico. Questo binomio televisivo
portò a compimento il processo di mutazione della società in senso individualista che era già
in atto da qualche tempo.
L’Italia quindi si trasforma da una società dominata dai soggetti del nation building (partiti,
sindacati, chiese) e dalle grandi ideologie ad una società caratterizzata da individui, che si
riconoscono parte di una stessa nazione solo attraverso la condivisione degli stili di vita e dei
consumi; dettati in prima istanza proprio dalla televisione.
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Capitolo primo
Cambiamenti e rivoluzioni sociali
1.1 Il boom economico (1954-1967)
Tra il 1954 e il 1967 giunse al culmine il processo di crescita economica iniziato in Italia dopo
il 1950. Furono questi gli anni del miracolo economico
1
: anni in cui l’ Italia con un tasso di
sviluppo inferiore in Europa solo a quello tedesco, ridusse drasticamente il divario che la
separava dalla maggior parte dei paesi piø industrializzati.
Molti erano i fattori che avevano promosso il miracolo: la congiuntura internazionale
favorevole, la politica di libero scambio avviata negli anni 50 e sancita dall’adesione alla
CEE, la modesta entità del prelievo fiscale e lo scarto che si venne a creare tra l’aumento della
produttività e il basso livello dei salari. La compressione salariale degli anni 50, premessa
essenziale per l’avvio del miracolo italiano, era il risultato di una larga disponibilità di
manodopera a basso costo, disponibilità dovuta a sua volta, all’estesa disoccupazione e al
costante flusso migratorio dalle zone depresse a quelle piø progredite. L’agricoltura fu la
vittima sacrificale della grande trasformazione economica in atto: a partire dagli anni 50 la
campagna subì un drastico spopolamento e ridimensionamento, dal momento che fungeva da
serbatoio di manodopera a basso costo per l’industria in espansione. Gli alti livelli di
disoccupazione in questi anni furono la condizione primaria ed essenziale perchØ la domanda
di lavoro eccedesse abbondantemente l’offerta, con le prevedibili conseguenze in termini di
andamento dei salari
2
.
1
Valerio Castronovo, L’Italia del miracolo economico, Roma-Bari , Laterza 2009.
2
Stefano Gallo, Senza attraversare le frontiere, Le migrazioni interne dall’unità ad oggi, Roma Bari, Laterza
2012.
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Il potere dei sindacati era effettivamente limitato nel dopoguerra e ciò aprì la strada verso un
ulteriore aumento della produttività. Proprio l’industria infatti vide un incremento
significativo degli occupanti e fu dunque in questi anni che l’Italia divenne un paese
pienamente industriale, non solo sotto l’aspetto della formazione del prodotto nazionale, ma
anche sotto quello della forza lavoro occupata.
1.2 La transizione demografica
Un’importante conseguenza di questo rapido processo di crescita economica fu l’imponente
fenomeno demografico di ripresa dei flussi migratori; anche se non erano piø le formidabili e
imponenti migrazioni transoceaniche di inizio secolo.
La popolazione in questi anni si spostava dalle zone depresse ed essenzialmente rurali del sud
Italia, alle zone economicamente attive e industriali del nord Italia, oppure in termini piø
grandi dalle zone dell’Europa meridionale a quelle settentrionali
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. I motivi strutturali, nel caso
italiano, che indussero prevalentemente la popolazione rurale ad abbandonare il proprio luogo
di origine furono molteplici e tutti avevano a che fare con l’assetto fondiario del sud, con la
scarsa fertilità delle terre e con la polverizzazione della proprietà fondiaria, causata dalla
riforma agraria del 1950
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che proponeva, tramite l’esproprio coatto, la distribuzione delle
terre ai braccianti agricoli rendendoli così piccoli imprenditori e non piø sottomessi al grande
latifondista. Se la riforma inizialmente portò qualche piccolo beneficio, piø avanti nel tempo
tolse di fatto la possibilità di trasformarle in veicoli industriali avanzati.
Ai fattori strutturali si accompagnarono anche fattori prettamente economici e psicologici
come la speranza per gli abitanti meridionali di accrescere il proprio reddito e il proprio
3
Stefano Gallo, Senza attraversare le frontiere, Le migrazioni interne dall’unità ad oggi, Roma-Bari, Laterza
2012.
4
U.P. Ciamarra , passato e presente delle riforme agrarie in una prospettiva neoistituzionalista, questione
agraria, n. 3, Milano, Franco Angeli 2001.