CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
II
personale. La scelta, la preparazione e la fruizione degli alimenti parlano moltissimo di
noi, della nostra cultura, della nostra storia e a volte sono o sono stati dettati dalla
politica e dall’economia. Per questo esiste un motivo al fatto che gli americani
preferiscono la bistecca e gli italiani la pasta. Nonostante la globalizzazione abbia
allargato lo scibile culinario del consumatore odierno, dandogli la possibilità di nuove
gratificazioni orali, ogni paese ha conservato particolari abitudini alimentari, facendo
della globalizzazione un motivo di arricchimento ma non di omogeneizzazione come
molti avevano preconizzato.
Con il presente lavoro si cerca di fare luce sulle abitudini di consumo del
mangiatore attuale, attraverso un confronto fra due nazioni che si sono sempre
scambiate saperi culinari fra loro: gli Stati Uniti e l’Italia. Questo per dimostrare che,
nonostante la globalizzazione tenti di uniformare gusti e abitudini culinarie, i
consumatori dei due paesi conservano delle peculiarità che derivano dal loro passato
alimentare e che permettono loro di rigenerare la propria identità. I cambiamenti che
sono intervenuti nella società del XX secolo stanno alla base degli atteggiamenti del
consumatore del XXI secolo e per capire questi ultimi l’approccio usato è stato
multidisciplinare, spaziando dalla sociologia all’antropologia, dalla storia all’economia.
L’alimentazione rappresenta un osservatorio particolare per capire le dinamiche sociali,
perché nelle pratiche culinarie si riflettono i valori e gli stili di vita, ma per osservarli
occorre avere una visione più globale, per questo la scelta di far confluire più discipline
in un unico approccio globale.
I primi tre capitoli sono introduttivi e servono per delineare i mutamenti degli
ultimi cent’anni circa. Il primo getta uno sguardo sulla nascita della società
postmoderna che nata dalle ceneri di quella moderna ne rappresenta allo stesso tempo il
superamento e la continuazione. Se nella modernità l’uomo era animato dalla forza della
ragione e dell’utilitarismo, la postmodernità è il trionfo dell’irrazionalità ragionata e
dell’emozione che hanno sancito la nascita del consumatore infedele. Le certezze
cartesiane lasciano spazio al superuomo nietzschiano, deciso ad affermare la propria
unicità di fronte agli altri, attore dalle mille maschere nel teatro sociale, che cerca di
sanare attraverso il consumo il dissidio interiore derivante dalla confluenza nella sua
coscienza di ideologie talvolta opposte. Di conseguenza l’attenzione delle aziende non
può che spostarsi verso un consumatore così capriccioso e imprevedibile, mettendo la
produzione in secondo piano allo scopo di far luce sulla volubilità che agita questo
nuovo soggetto di consumo. È lui oramai il re, tutto il resto diventa secondario.
Introduzione
III
Il secondo capitolo parla proprio del protagonismo del consumo e del
consumatore nella società attuale. Il consumo ha perso le connotazioni negative che gli
erano state attribuite dalla religione e dalle ideologie comuniste ed ha assunto un nuovo
status agli occhi del consumatore, il quale volentieri indulge nei piaceri materiali che da
esso scaturiscono. Il consumo da linguaggio della produzione si fa linguaggio di sé
stesso e crea una propria grammatica che dematerializza il prodotto riempiendolo e
svuotandolo di significati sempre diversi. I bisogni lasciano spazio ai desideri ed il
consumo diventa una sorta di premio, una gratificazione che in più permette di
esprimere sé stessi. L’atto di acquisto e di fruizione iniziano ad essere guidati dalle
emozioni invece che dalla razionalità tipica dell’età moderna, che soppesava
attentamente costi e benefici. E il consumatore stesso diventa più emotivo, si lascia
andare lascivamente alle seduzioni delle merci, spulcia un po’ di qua e un po’ di là in
una costante infedeltà alla marca, mescola e rimescola il nuovo con il vecchio, il
costoso con l’economico, attuando con le merci una sorta di bricolage. Imbarazza anche,
questo consumatore. Le aziende sono costrette ad inventarsi nuove promozioni,
pubblicità più complesse, più sottili. Il marketing deve rivedere le sue teorie per
soddisfarlo visto che egli si fa pure più informato, informatizzato e quindi esigente.
Il terzo capitolo cerca di rispondere all’interrogativo sulla nascita del consumo,
una nascita che ha avuto diverse ragioni di tipo politico, economico e culturale, in
quanto un processo storico e sociale non è mai imputabile ad un’unica causa, ma ad una
serie di concause che contribuiscono tutte al cambiamento. In questo capitolo viene
delineata anche la nascita della società dei consumi negli Stati Uniti e in Italia, mettendo
in luce le differenze dei due processi: da una parte la pervasività della spinta al consumo
operata oltreoceano che arriva a permeare ogni momento della vita del cittadino
americano, dall’altra il ritardo dell’affermazione della società consumistica italiana,
attaccata alla tradizione e alle sottoculture del cristianesimo e del marxismo. Questa
premessa è fondamentale per capire le scelte del consumatore attuale nei due paesi,
perché la cultura culinaria di un popolo, lo abbiamo detto, esula dal semplice gusto e
racchiude motivazioni di più ampio respiro derivanti anche dall’assetto politico ed
economico di un paese.
Con questi primi capitoli si chiude la premessa introduttiva e col quarto si apre
una riflessione sul cibo come cultura, come espressione dell’identità di un popolo. Ed
ecco quindi che la scelta di determinati cibi piuttosto che di altri parla di noi, della
nostra storia e della società nella quale viviamo. Il cibo acquista un proprio linguaggio,
CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
IV
la cucina possiede una grammatica alimentare, fatta di cibi venerati e cibi proibiti, di
scambi e di prestiti che passano da una cucina all’altra, nel nostro caso da quella
statunitense a quella italiana e viceversa. E ancora la paura dell’incorporazione del cibo
che pende sul mangiatore dalla notte dei tempi e il paradosso di questo mangiatore,
costretto ad essere onnivoro, schiavo della varietà alimentare. Quindi un breve accenno
alla formazione del gusto alimentare che non è frutto di un qualcosa di innato, ma
cresce e si trasforma con la società, col mangiatore stesso che rifinisce continuamente il
palato e accetta nuovi sapori e nuovi piatti, assumendoli come buoni da mangiare in
quanto nuovi, etnici, raffinati, dietetici, portatori di status e specialmente nella società
americana in quanto buoni da vendere per le multinazionali. Si svela infine la funzione
del cibo che aiuta l’uomo a risolvere il paradosso dell’onnivoro, a moderare l’ansia da
incorporazione, collegandosi all’immaginario di un popolo e dotandosi di quei
significati che creano l’identità di quel popolo, ora integrando il mangiatore ora
escludendolo, diventando comunque una chiave di comprensione della cultura di un
paese.
Il quinto capitolo è interamente dedicato alla cultura statunitense del cibo, una
cultura nata dalla confluenza delle etnie che compongono gli Stati Uniti, le quali hanno
riversato la loro cucina originaria nel calderone del più vasto melting pot culinario
possibile. La capacità di certuni di questi gruppi, come quello italiano, di resistere
all’americanizzazione omologante e di crearsi una propria identità imponendola
addirittura al paese ospitante è incredibile. Si affronta in seguito il secondo filone della
cultura culinaria americana, quello un po’ più oscuro delle multinazionali che tentano di
imporre l’uniformità dei gusti in cambio dei profitti, tramite continue pressioni sui
membri del Congresso, sui nutrizionisti, sul consumatore stesso invadendo anche lo
spazio privato e la sacralità della casa. Quindi una scorsa alla dieta attuale del
consumatore degli Stati Uniti, improntata alla predilezione di carne, latte e derivati, alla
riscoperta delle verdure e all’eccessivo consumo di zuccheri, senza dimenticare la
tendenza al piatto unico, solitario, consumato velocemente fuori casa. Infine un
interrogativo: è possibile un’omogeneizzazione della cultura culinaria americana, che
possa dare agli Stati Uniti una nuova identità unitaria?
Il sesto capitolo è per contro dedicato all’Italia, cullata dagli umori del bacino
del Mediterraneo, patria della tanto declamata dieta mediterranea e paese di illustri
tradizioni culinarie. Un accenno storico dipinge lo sviluppo di una cultura alimentare
costruita nel tempo per unire i vari popoli che componevano l’Italia prima
Introduzione
V
dell’unificazione, un’identità alimentare che si crea dal mescolamento di cucina alta e
popolare, dei vari localismi e dalle scelte della politica prima autarchica poi
filoamericana infine ripiegata alla riscoperta della tradizione. Anche in questo capitolo
si delineano poi la dieta e le pratiche culinarie del consumatore italiano ancora
fondamentalmente conviviale e lento nell’assaporare il cibo casalingo, anche se
dimostra di apprezzare sempre più il pasto fuori casa. Gli aspetti principali: la triade
mediterranea che conquista anche l’estero, la predilezione per la pasta che ha aiutato ad
unificare le varie cucine d’Italia, la centralità obbligata delle verdure e il sogno di carne
diventato finalmente realtà. Infine una proposta: la dieta mediterranea come antidoto
alla McDonaldizzazione della cucina, lo slow in antitesi al fast, la genuinità contro
l’ingegneria alimentare.
Se questi due capitoli hanno fatto una distinzione tra la cultura culinaria dei due
paesi, l’ultimo capitolo, il settimo, rivela delle tendenze comuni ad entrambi ed in
genere comuni a tutti i paesi occidentali industrializzati. Prendendo in prestito da Fabris
il “Sistema delle Esse” si delineano le caratteristiche che il consumatore-mangiatore
postmoderno pretende dal cibo che ingerisce, ovvero sapere, sincretismo, storia, sapore,
sensorialità, supernaturalità, salute, status, spettacolo, socialità, servizio. In una sola
parola qualità di ciò che mangia che si declina in più dimensioni, sia positive come la
riscoperta del prodotto tipico e il diffondersi del made in Italy, sia negative come le
paure verso il cibo geneticamente modificato e la lipofobia.
Alla fine di questo percorso arriveremo forse a capire quanto la globalizzazione
abbia influito e influisca nelle scelte culinarie dei consumatori-mangiatori di oggi e in
che misura un popolo mantenga la capacità di conservare le proprie tradizioni, esaltando
le peculiarità della propria cultura culinaria. Forse in un mondo che si preconizzava così
globalizzato la cucina rimane l’unica tesoriera della vera identità di un popolo, nonché
una sensibilissima cartina di tornasole per far luce sui mutamenti negli atteggiamenti e
nei comportamenti che riguardano il cibo, la cui osservazione può rappresentare uno
strumento importantissimo per capire il cambiamento sociale.
Capitolo 1
La società postmoderna: mutazione dell’età moderna
a riflessione sulle caratteristiche fondamentali del mondo contemporaneo è stata
inaugurata dal filosofo francese Jean François Lyotard che già nel 1979 in un
celebre studio, La condizione postmoderna, aveva preconizzato lo sviluppo dell’epoca
attuale. Alla base di essa vi è, secondo Lyotard, un venir meno della pretesa, propria
dell’età moderna, di fondare un unico senso del mondo partendo da principi di natura
metafisica, ideologica o religiosa. Ne consegue una precarietà di senso che molti
intellettuali e filosofi dopo Lyotard hanno tentato di spiegare.
A partire dallo studio del filosofo francese venne avviata una riflessione sulla
contemporaneità specificatamente riferita all’ambito del consumo. Essa ha costituito un
contributo originale nell’ambito della produzione scientifica internazionale, conducendo
alla nascita di un nuovo paradigma, a cui hanno contribuito anche studiosi italiani quali
Giampaolo Fabris e Vanni Codeluppi
1
. L’ipertrofia dell’offerta che caratterizza i
mercati attuali ha portato infatti all’esigenza di cercare un nuovo punto di vista sulla
realtà contemporanea, dato che i bisogni sono stati oramai del tutto soddisfatti e
l’acquisto dei beni avviene principalmente per sostituzione.
Viene da chiedersi in cosa sia diverso il consumatore di oggi rispetto a quello
di ieri. Per capirlo occorre innanzitutto immergersi nella realtà in cui egli si trova a
vivere, ovvero la postmodernità, ma si deve anche fare un passo indietro e partire da una
1
Rimando alla bibliografia per le opere dei due autori che verranno prese in esame come fonti.
L
CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
2
visione d’insieme della società precedente, quella moderna, dato che quella attuale
sembra esserne un prolungamento, oltre che la negazione. Anche se vi sono molte
ragioni di antiteticità fra i due modelli culturali proposti dalle stesse, essi vanno
considerati in un continuum che ingloba le tendenze precedenti e ne crea di nuove.
La società nella quale viviamo sembra essere una sorta di periodo di
transizione, una zona di confine nella quale le tendenze del vecchio e del nuovo
dialogano con continui rimandi ora al passato ora al futuro, inducendo gli individui ad
intendere la vita in modo inedito, a vivere nell’hic et nunc, nell’eterno presente
multiforme e sfuggevole, esprimendo pulsioni contraddittorie e creandosi una
personalità “personalissima”
2
in cui confluiscono valori antichi e novelli, rimodellati in
un pastiche che nella sua incoerenza esprime l’assoluta libertà di scelta.
Sembra si stia affermando il “Re Consumatore”, più informato, selettivo ed
esigente, difficile da imbrigliare tra le maglie della persuasione visto il suo notevole
senso critico nei confronti di ciò che il mercato gli offre (Fabris, 2003). Per
comprendere appieno questo nuovo soggetto di acquisto si deve partire delineando lo
sfondo sul quale questi si muove, ovvero la società postmoderna, dato che ogni uomo è
frutto in parte dell’ambiente dal quale proviene. E se la società postmoderna è figlia
della società moderna è di primaria importanza capire se il travaglio sia stato doloroso o
se invece la postmodernità sia nata senza sforzi, dolcemente.
1.1. Uno sguardo alla modernità
La modernità è un’epoca iniziata a grandi linee nel Rinascimento, proseguita
poi con l’Illuminismo e terminata all’inizio del XX secolo. Un’età caratterizzata da una
forte fede nel progresso, che lasciava intravedere un miglioramento illimitato in
qualsiasi campo della vita e del sapere ed era fondata sull’entusiasmo prodotto dalle
continue rivoluzioni scientifiche e sociali del periodo. Era opinione diffusa, in età
moderna, che il benessere avrebbe raggiunto strati sempre più ampi della società, in una
tendenza stabile nel corso del tempo (Fabris, 2003).
L’uomo, animato dalla volontà di creare un mondo nuovo, lineare e reso più
semplice dalle macchine inventate, assume una posizione fortemente antropocentrica. In
effetti la società moderna era espressione della filosofia di Cartesio, il quale poneva
2
Mi si passi la ripetizione, ma esprime bene, a mio avviso, il senso di unicità che caratterizza l’individuo
postmoderno.
I. La società postmoderna: mutazione dell’età moderna
3
l’individuo al centro del mondo grazie alla facoltà del pensiero. Cogito ergo sum. Penso
dunque sono. Penso dunque ordino l’universo. Tramite il pensiero razionale tutto
diventa calcolabile, prevedibile e manipolabile.
L’età moderna ha prodotto il mito dell’emancipazione: l’uomo, liberatosi dai
vincoli tradizionali, si dedica alla costruzione di una società fondata sulla ragione. Si fa
demiurgo granitico che domina il mondo tramite la scienza e la tecnica.
L’uomo moderno, definito da Morra homo faber
3
, in quanto improntato
all’azione e alla razionalità, trova nel borghese il suo rappresentante d’elezione, dato
che questi è l’uomo che si fa da sé, che si arricchisce per merito, dedito all’attivismo, al
produttivismo, al progresso. Un uomo nettamente in contrasto con il povero, costretto a
lavorare per altri e a non possedere nulla. Un uomo nettamente in contrasto con
l’aristocratico, il ricco per lignaggio che non ha bisogno di lavorare per sopravvivere,
che possiede la ricchezza non solo per un destino favorevole, ma quasi per investitura
divina. Due dimensioni della socialità antitetiche fra le quali si inserisce la classe
borghese, attiva, imprenditoriale, decisa ad accaparrarsi denaro e potere grazie alla
rapidità mentale e fisica, all’amore per il rischio e alla ferrea volontà. Una classe che
nasce da uno spirito rivoluzionario, ispirato a quegli ideali di liberté, egalité, fraternité,
che avevano incendiato le coscienze sul finire del Settecento. Una sorta di raccordo fra
l’indigenza e l’abbondanza, che troverà la possibilità di un’espansione smisurata nel XX
e ancor più nel XXI secolo, sino a che la stratificazione sociale assumerà le sembianze
di un’unica grande classe media, tanto media da portare al discredito dello stesso
termine di “borghese”, declassato ad un modus vivendi tiepido, privo di entusiasmo,
insignificante nella sua “medietà” e ben lontano dalle sue valenze originarie di
efficienza e dinamismo. In età moderna però il borghese è ancora l’unico uomo in grado
di realizzare quelle promesse di mobilità sociale, scaturitesi dall’emancipazione dai
vincoli feudali e dal progresso indotto dalla rivoluzione industriale (Fabris, 2003).
Se la società moderna è una società gerarchica, in cui i ceti sociali sono ben
definiti, il borghese può salire nella scala sociale e non è un caso che sia in particolare a
lui che si rivolge la nascente produzione industriale. La merce diventa allora uno
strumento per ostentare l’innalzamento del proprio livello sociale.
Veblen (1981), ne La teoria della classe agiata
4
, afferma che il consumo in
età moderna sia uno status symbol, quindi legato alla competizione e all’emulazione.
3
Morra G., Il quarto uomo. Postmodernità o crisi della modernità, Armando Editore, Roma, 1996.
4
Veblen T., La teoria della classe agiata: studio economico sulle istituzioni, Einaudi, Torino, 1981.
CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
4
Ciò significa che le classi meno abbienti cercano di imitare la classe agiata nei
comportamenti di consumo, dato che possedere determinati beni significa avvicinarsi
indirettamente allo stile di vita della classe immediatamente superiore.
Questa dinamica del consumo caratterizza in particolare la società americana
di fine Ottocento, descritta da Veblen (1981), dove la borghesia, arricchitasi di recente
ed ancora in parte legata ai valori puritani, manifesta la propria ricchezza con consumi
ostentativi. Se l’etica borghese prima dava valore alla parsimonia, ora dimostra il
proprio successo imprenditoriale tramite l’opulenza del consumo. La potenza
finanziaria diventa una virtù da esibire, non più tramite il risparmio, chiaramente meno
appariscente, bensì attraverso una serie di acquisti costosi e soprattutto vistosi. Era la
classe agiata in primis a mettere in moto questo meccanismo, che si sarebbe poi
trasmesso a tutte le classi della piramide sociale.
La classe agiata si trova alla testa della struttura sociale in fatto di rispettabilità e
per questo il suo modo di vivere ed i suoi criteri con una qualche approssimazione,
diventano un dovere per tutte le classi più basse della scala sociale. (…) Il risultato
è che i membri di ogni strato accettano come loro ideale di onorabilità lo schema di
vita in auge nello strato immediatamente superiore e impiegano le loro energie nel
vivere secondo questo ideale. Pena la perdita del loro buon nome e del rispetto in sé
in caso di incapacità, essi devono conformarsi al codice accettato, almeno in
apparenza
5
.
Ovviamente nel momento in cui un bene iniziava a diventare oggetto di
acquisto degli strati inferiori veniva immediatamente abbandonato da quelli superiori e
sostituito da uno che godeva di un maggiore status.
Se questa era la situazione tipo negli Stati Uniti, in Europa la struttura sociale
era diversa da quella statunitense, visto che questa dinamica dell’ostentazione non
interessava che marginalmente le classi inferiori (Fabris, 2003). Anche Alberoni (1964)
afferma che «gli operai industriali ritengono che lo stile di vita borghese non sia per loro
e così pure i contadini per diverse ragioni». Ciascuna classe sta dunque al proprio posto,
ad eccezione di quella impiegatizia e paradossalmente, se il meccanismo non si
trasmette ai ceti inferiori è però molto più intenso per quelli superiori, molto più che
negli Stati Uniti. Per quanto riguarda la classe agiata, infatti, anche in Europa vi è
competizione tra la nuova aristocrazia borghese e la vecchia aristocrazia nobiliare, tanto
5
Veblen T., La teoria della classe agiata: studio economico sulle istituzioni, Einaudi, Torino, 1981.
I. La società postmoderna: mutazione dell’età moderna
5
che la prima va pian piano destituendo la seconda. Il risparmio però continua a
costituire un valore importante tanto negli strati inferiori, che in quelli superiori,
dinamica questa nettamente in contrasto con quella analizzata da Veblen per la società
americana (Fabris, 2003).
Queste considerazioni permettono di comprendere come siano già visibili nei
simboli di status significati che vanno oltre il valore d’uso, una tendenza che acquisterà
nel tempo sempre più spessore e che costituisce l’unica nota stonata in una teoria del
consumo che gli economisti vedevano come massimizzazione dell’utilità. L’uomo
moderno viene definito non a caso homo oeconomicus, proprio perché effettua delle
scelte su come impiegare le proprie scarse risorse per soddisfare nel miglior modo
possibile i propri bisogni. Le sue scelte avvengono su base razionale, con un calcolo di
costi e benefici e sono prevalentemente stabili.
Sulla base di tale teoria, il marketing tradizionale ha considerato il consumo
una risultante di valore d’uso, utilità, calcolo e produttività ed il consumatore un
«soggetto economico che si comporta, nell’agire di consumo, in maniera dissimile dagli
altri momenti della sua esistenza: un soggetto razionale, proteso alla massimizzazione
dell’utilità, con scelte indipendenti fra loro e rispetto a quelle degli altri»
6
. Appare
chiaro perché gli economisti classici segmentassero il target in base al reddito, che era
visto come fattore determinante il consumo. Keynes
7
(1978) arrivò addirittura a
formulare la “legge psicologica del consumo”, secondo la quale gli individui solamente
dopo aver raggiunto un livello soddisfacente di consumi si porrebbero in un’ottica del
risparmio. La sociologia conduceva invece le proprie indagini partendo dalla classe
sociale, che era considerata predittiva degli stili di consumo. Naturalmente questi due
capisaldi della visione classica del consumo mostrano tutta la loro velleità nella società
attuale, ma in età moderna era opinione diffusa che per ridurre la complessità del mondo
bastasse ordinarlo attraverso delle classificazioni o delle regole che davano l’illusione
che tutto potesse essere comprensibile e razionale, in primis il consumatore visto come
un soggetto pratico, razionale, interessato al valore d’uso degli oggetti, alle
caratteristiche organolettiche, che si affidava alla mente e alla vista nella selezione dei
beni da acquistare, assolutamente indipendente da intrusioni altrui nelle sue scelte di
consumo (Fabris, 2003).
6
Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, FrancoAngeli, Milano, 2003, p. 45.
7
Keynes J.M., Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET, Torino, 1978.
CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
6
Il mito del progresso prevede che il consumatore venga asservito allo sviluppo
della produzione, tanto che si scorge dietro al pensiero razionale, che tutto indaga e tutto
cataloga, oltre che uno sfruttamento della natura, quasi una manipolazione di oggetti e
persone, che diventavano dei mezzi per realizzare un fine (Ibidem).
La ricerca dell’utile pone l’accento sulle funzionalità del prodotto. Non a caso
la pubblicità è, in età moderna, puramente informativa, concreta e si propone di mettere
in risalto i contenuti tangibili, per altro gli unici pensati e pensabili, delle merci. Il
dilemma in cui è invischiato il consumatore è quello del prendere o lasciare: se non
compra lui ci sarà sicuramente qualcun altro che lo farà al suo posto. Appare evidente
che il consumo avviene su di una spinta della produzione, che crea nel consumatore dei
falsi bisogni e lo induce a comprare anche beni non necessari, ma indispensabili per
assumere uno status sociale rilevante. Per favorire questo meccanismo il linguaggio
della produzione inizia a dotare la merce di segni, di messaggi simbolici, dimodoché
l’oggetto dialoghi con il consumatore, lo informi dell’esistenza di altri significati, oltre a
quelli più strettamente performativi. Baudrillard osserva come «l’oggetto per diventare
oggetto di consumo deve diventare segno»
8
. E se «il segno è qualcosa che sta al posto di
qualcos’altro»
9
, ecco che la merce acquista altri significati, facendosi portatrice di tanti
mondi e modi possibili, che grazie ad essa diventano meno inaccessibili.
Il principale strumento con cui si compie questo processo di significazione è
proprio la pubblicità, che in età moderna comincia a funzionare come una vera e propria
macchina di persuasione. Il suo ruolo è ancora per molti aspetti puramente informativo
e di induzione al consumo, ma va delineandosi una nuova funzione della réclame,
ovvero la sua capacità di creare un linguaggio in cui le merci sono i morfemi che
vengono dotati di significati sempre nuovi, non appena i vecchi perdono in efficacia.
Molti studiosi hanno visto in questo processo una volontà di manipolazione
dell’individuo, o meglio una volontà di sfruttare l’ingenuità del neoconsumatore che
attratto dalla novità e sostenuto da una maggiore liquidità rispetto ai secoli precedenti,
vede spalancarsi infinite possibilità di acquisto e cede al fascino della merce come
modalità di ostentazione dell’innalzamento del proprio livello sociale.
La produzione, fulcro dello sviluppo economico, grazie alle nuove macchine
riesce a sfornare prodotti in serie, dotando facilmente l’uomo di qualsiasi oggetto del
quotidiano. Questa corsa all’offerta viene accolta di buon grado dal consumatore
8
Baudrillard J., Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 1969.
9
Peirce C.S.S., Scritti scelti, a cura di Giovanni Maddalena, UTET, Torino, 2005.
I. La società postmoderna: mutazione dell’età moderna
7
moderno vista l’indigenza nella quale versava in passato, ma viene anche controllata
dalla produzione che deve fargli assorbire il surplus di merce. Marx
10
, il più illustre
sostenitore di questa tesi, notava come la produzione fosse la vera regina della società
capitalistica ed il consumatore fosse cullato nell’illusione di essere libero nelle proprie
scelte di consumo. In realtà egli viene sfruttato, oltre che come lavoratore anche come
soggetto di acquisto e viene considerato un unico grande soggetto, una massa anonima
in cui non vi sono distinzioni di sorta, in cui le personalità che ne fanno parte vengono
annullate nell’omogeneità del gusto. L’unica differenziazione nell’acquisto è dettata da
esigenze biologiche, di genere. Vengono distinti i prodotti femminili da quelli maschili,
ma per quanto riguarda le forme e gli usi un’uniformità di fondo guida produttore e
consumatore (Fabris, 2003).
Questa visione del consumo è stata per molto tempo determinante, ma in
epoca postmoderna cede di fronte alla consapevolezza che il consumatore di oggi non
sia poi così manipolabile come si pensava in età moderna. Il consumatore postmoderno
infatti non è per nulla razionale, non calcola, ma acquista molto spesso d’impulso, sulla
base di sensazioni, emozioni, ricordi, quasi che gli oggetti funzionino come delle
piccole madeleines, che lo riportano all’infanzia, a sapori perduti. Di questo se n’è
accorta anche la produzione, tanto che è mutato il lessico che serviva a dipingere il
rapporto tra industria e consumatore. Se prima si parlava di suggestione e persuasione,
oggi si preferisce adottare influenza e comunicazione. L’analisi si è spostata da “cosa la
pubblicità fa al consumatore” a “cosa il consumatore fa alla pubblicità” (Fabris, 2003).
La ragione di questo spostamento di prospettiva risiede in tutta una serie di cambiamenti
di stampo economico, istituzionale e culturale, che hanno sovvertito il modo di
intendere i beni già in età moderna quando, in risposta a tali mutamenti, si iniziava a
dotare le merci di significati che esulavano il valore d’uso. Vedremo nel prossimo
paragrafo quali trasformazioni siano intervenute a modificare la personalità del
consumatore e conseguentemente la visione che ne ha la produzione.
1.2. Verso la società postmoderna
L’uomo moderno lascia spazio all’inizio del XX secolo all’uomo postmoderno,
emanazione delle nuove dinamiche sociali che si andranno affermando sempre più negli
10
Marx K., Il capitale: critica dell’economia politica, Torino, Einaudi, 1975.
CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
8
ultimi decenni. Il secolo appena conclusosi è stato teatro di grandi cambiamenti che
hanno dato vita ad un nuovo tipo di società, basata non più su di una solidarietà sociale
di tipo contrattuale, né su di uno stoico razionalismo. Per certi versi la società attuale
sembra andare in una direzione contraria, ma non del tutto opposta alla modernità. È
una società in cui gli individui sono tenuti assieme da passioni, emozioni, sentimenti,
piuttosto che da una serie di norme sociali stabilite. Essa inaugura “il trionfo delle
affinità elettive di Goethe” (Fabris, 2003: 35), il tutto inserito in una cornice tecnologica
che invece di restringere i rapporti, li dilata, li rende possibili, seppur virtualmente,
anche a distanze incredibili.
In particolare gli ultimi decenni del XX secolo hanno rappresentato una fase di
enormi trasformazioni sia nell’economia, che nell’industria. Se alla fine dell’800 erano
emerse nuove tecnologie e nuovi settori produttivi (il siderurgico, il chimico, l’elettrico),
che avevano mutato l’assetto economico e sociale nei paesi più sviluppati, nel XX
secolo assistiamo al declino dell’industria dell’acciaio e alla nascita di nuovi campi di
attività (Giardina-Sabbatucci-Vidotto, 1999).
Il motore primo di questo processo è rappresentato dalla “rivoluzione dei
computer”. I primi calcolatori risalgono al periodo immediatamente successivo al
secondo conflitto mondiale, ma il vero salto di qualità viene fatto, negli anni ’60, con i
computer di terza generazione che vantano dimensioni ridotte, maggiore velocità di
calcolo e costi di produzione sensibilmente più bassi, fattore questo che ne permette la
produzione di massa. Nel giro di poco meno di un trentennio i calcolatori lasciano
quindi i centri di ricerca e i laboratori specializzati per giungere, dopo successivi
sviluppi tecnologici nell’hardware e nel software, nelle case dei consumatori dei paesi
ricchi. Parallelamente si sviluppano enormemente anche scienze correlate all’elettronica
computerizzata, ovvero l’informatica
11
, la cibernetica
12
e la robotica
13
. Negli anni
Settanta la nascita della telematica, ossia l’applicazione delle tecniche dell’informatica
al settore delle telecomunicazioni, permette la nascita di nuove reti di comunicazione,
tra le quali la più importante, Internet, fa parte oramai della realtà quotidiana di milioni
di individui. La Rete permette di comunicare con persone lontanissime, di vendere e di
11
Disciplina che ha per oggetto l’elaborazione e la trasmissione dell’informazione, in particolare i
linguaggi e i programmi delle macchine da calcolo.
12
Scienza nata negli anni ’40 che studia i processi di controllo e di comunicazione negli organismi viventi
e cerca di riprodurli nelle macchine.
13
Figlia della cibernetica, si occupa di della costruzione di macchine capaci di sostituire l’uomo in una
serie di operazioni anche molto complesse. Viene largamente applicata nei processi di automazione del
lavoro industriale.
I. La società postmoderna: mutazione dell’età moderna
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comprare beni da qualsiasi e a qualsivoglia parte del mondo, di scambiare una miriade
infinita di informazioni di ogni tipo, tanto da determinare un mutamento nell’assetto
delle imprese, che se prima erano caratterizzate da una struttura organizzativa
centralizzata, ora diventano policentriche e reticolari (Codeluppi, 2002).
La rivoluzione elettronica ha causato un’accelerazione verso un tipo di società
definito post-industriale, in cui il settore secondario perde la propria centralità a favore
dello sviluppo dei servizi. Trasporti, assicurazioni, banche, commercio, turismo,
telecomunicazioni esplodono creando più manodopera e più ricchezza delle fabbriche,
tipica espressione della società industriale.
Il mondo della produzione perde il proprio status, investito da una serie di
cambiamenti che già da tempo avevano cominciato a erodere quel sistema di relazioni
sociali, tipico delle società moderne capitalistiche e non. L’organizzazione del lavoro in
serie fondata sulla catena di montaggio, applicata da Henry Ford nei primi decenni del
XX secolo, si vede costretta a lasciar spazio ad un nuovo modo di concepire la
produzione. Elaborato negli anni Cinquanta nelle industrie automobilistiche della
Toyota, questo nuovo modello produttivo abbandona la produzione standardizzata per
una maggiore flessibilità e varietà delle merci, determinando anche un nuovo modo di
intendere il consumo.
Nella società postmoderna insomma l’industria non è più l’asse portante delle
attività produttive e delle relazioni umane e sociali, bensì è costretta a cedere la propria
sovranità all’informazione, i cui detentori che la producono, la vendono e la scambiano
in un flusso continuo, costituiscono le nuove gerarchie di potere, ricchezza, dominio e
libertà. Tutti i livelli del sociale vengono invasi da una crescita incontrollata ed
entropica del flusso delle comunicazioni, che non si rivolgono più alla massa
standardizzata, bensì hanno modalità molto più personalizzate ed individualizzate
(Codeluppi, 2002).
Questi cambiamenti costituiscono una svolta storica, così come lo era stata la
Rivoluzione Industriale a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, ma la differenza
sostanziale che sta alla base della fine dell’era della modernità e dell’inizio dell’età
postindustriale, altrimenti detta postmoderna, risiede nel fatto che questa seconda
rivoluzione si esercita su di un lasso di tempo molto più compresso, causando
turbolenze che rendono imprevedibile ogni possibile previsione di sviluppo (Fabris,
2003). L’evoluzione storica lineare e statica o comunque lenta, tipica delle epoche
precedenti a quella postmoderna, lascia posto ad un’evoluzione discontinua e sempre
CONSUMARE IL CIBO OGGI. Stati Uniti e Italia a confronto.
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più veloce e rapida nel suo movimento (Codeluppi, 2002: 156). Non a caso la società
anonima ed omogenea preconizzata dagli studiosi moderni non solo non si è verificata,
ma ha lasciato spazio ad una serie di tendenze che vanno in tutt’altra direzione,
dinamiche che si delineano sempre di più a cavallo tra XX e XXI secolo.
Innanzitutto, si è verificata una maggiore integrazione economica e finanziaria
a livello globale, sviluppatasi di pari passo con il potenziamento delle tecnologie
dell’informazione: nell’ultima parte del XX secolo infatti le economie capitalistiche più
avanzate si sono proiettate in una dimensione mondiale, grazie anche al crollo del
blocco sovietico e all’entrata nella scena internazionale di paesi, Russia e Cina in primis,
sino ad allora esclusi dal mercato mondiale. La globalizzazione, che ha permesso di
diversificare i luoghi di produzione e di raggiungere qualsivoglia consumatore in ogni
parte del globo, è stata cementata da una lingua veicolare comune, l’inglese, che è
diventata l’idioma internazionale del commercio e della comunicazione.
L’abbattimento delle frontiere ha unito gli antipodi del mondo grazie agli
scambi commerciali, alle transizioni finanziarie e al flusso internazionale di
informazioni, ma non ha portato ad un’omogeneizzazione della cultura, degli usi e dei
costumi, né tanto meno ad una distribuzione più equa della ricchezza (Bauman, 1998).
Il timore, per i paesi di vecchia industrializzazione, di perdere il proprio benessere a
causa dell’apertura al mercato globale, è stato spazzato via dalla consapevolezza
dell’approfondirsi delle disuguaglianze economiche fra i diversi paesi. Nonostante la
crescita rapidissima, peraltro seguita da una crisi negli anni Novanta, delle tigri del Sud-
Est asiatico (Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Malaysia), si è verificato un
progressivo impoverimento di molti altri paesi, specialmente di quelli africani, dove il
tentativo di avviare un processo di un’industrializzazione sostenuto da capitali stranieri,
si è rivelato deleterio per le locali economie di sussistenza. L’impianto di modelli
culturali occidentali, accanto a quelli economici, ha traumatizzato le culture locali,
creando nuove aspirazioni insostenibili per i governi, che hanno risposto con la
repressione militare. Se a questo si aggiungono l’assenza totale di politiche sul controllo
demografico, l’analfabetismo diffuso e l’incessante emergenza alimentare si ottiene un
quadro ben preciso che permette di comprendere quanto la globalizzazione abbia avuto
effetti opposti nei paesi sviluppati e in quelli del Terzo Mondo (Giardina-Sabbatucci-
Vidotto, 1999).
I crescenti squilibri economici tra le diverse parti del pianeta e la facilità di
spostamento hanno fatto aumentare i flussi migratori verso i paesi ricchi, favorendo la