Introduzione
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digiuno di conoscenze egee non potevano non destare interesse. Erano due vasetti triansati
micenei che già al momento della scoperta avevano polarizzato l’attenzione degli studiosi.
Per primo Luigi Mauceri, nella sua relazione sugli scavi nella necropoli del Fusco del
1877, diede una descrizione dei materiali: non riuscì, per mancanza di confronti, a fornire
una esatta definizione della ceramica locale, rappresentata da un bacino lebetiforme su
piede e quattro coppe anch’esse su piede, e non poté chiarire natura e provenienza dei due
vasetti triansati in quanto la ceramica micenea era allora virtualmente sconosciuta: lo
4
studio di Furtwangler e Loeschke su tale classe ceramica vide la luce solamente nel 1878.
Nella segnalazione del 1889 Orsi fornì dati sulla sepoltura ed una descrizione degli
elementi del corredo funerario: una grossa parte della nota fu dedicata ai vasetti micenei ed
ai confronti con altri manufatti simili dall’Egeo.
Nel 1891 il Roveretano pubblicò i risultati delle sue indagini nella necropoli del
5
Plemmirio (tav. I, area rossa, al centro): qui furono esplorate trentuno sepolture, molte
delle quali già violate e poche riutilizzate in età greca. Orsi riuscì a documentare le
tipologie funerarie in uso nella necropoli: le tombe erano scavate nella roccia, secondo una
lunga tradizione isolana, ed erano costituite da un’anticella e da una cella circolare, dotata
spesso di nicchie sulle pareti nelle quali erano inumati i defunti; alcune sepolture erano
accessibili attraverso un pozzetto verticale. I corredi, pertinenti a numerosi inumati, erano
costituiti principalmente da forme ceramiche di impasto grigio, realizzate senza l’uso del
tornio ed a superficie lustrata; si distinguevano le pissidi globulari con anse acuminate e
coperchio, fiaschi anch’essi a corpo globulare ed attingitoi con anse di varie fogge. Orsi
678
recuperò un cospicuo numero di spade in bronzo, come quelle delle sepolture 10, 12, 20
che presentavano caratteristiche comuni quali lama triangolare, costolatura mediana,
sezione romboidale, codolo e tre chiodini alla base. Esse trovavano confronti sia con
9
esemplari micenei che terramaricoli: in considerazione della presenza di importazioni
micenee in contesti di “secondo periodo” come nella sepoltura isolata di Milocca-
Matrensa, Orsi, in assenza di chiari contatti dei Siculi con le terramare, preferì considerarle
pezzi di importazione micenea. Nessuna traccia di ceramica importata dall’Egeo si trovò al
Plemmirio. Il Roveretano attribuì la necropoli ai Siculi in base ad un ragionamento per
4
Per i riferimenti bibliografici riguardo le opere di Mauceri e Furtwangler-Loeschke si veda VAGNETTI
1999c, p. 869 nota 5; p. 870 nota 6
5
ORSI 1891a.
6
ORSI 1891a, p. 121, tav. XI 10; p. 123, tav. XI 16.
7
ORSI 1891a, p. 125, tav. XI 8.
8
ORSI 1891a, p. 131, tav. XI 4.
9
ORSI 1891a, pp. 122-123; p. 126 e nota 2.
2
Introduzione
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esclusione: chi vi seppelliva non era certamente greco o proto-ellenico, non potevano
essere neanche i mercanti fenici visto che, secondo Orsi, una necropoli presuppone il
carattere stanziale del gruppo umano che la utilizza. Per la cronologia, in assenza di
importazioni che offrissero un aggancio temporale, Orsi procedette con un ragionamento
deduttivo in base al quale il gruppo che seppelliva al Plemmirio doveva essere attivo prima
dell’arrivo dei corinzi insediatisi nella vicina Ortigia, poiché questi avrebbero mal tollerato
la presenza indigena. Sulla scorta di tale considerazione Orsi, movendo a ritroso dall’VIII
secolo a.C., proponeva per l’utilizzo della necropoli il XII secolo a.C. Pur in una
sostanziale linea di continuità con la cultura espressa dai precedenti ritrovamenti di Melilli
e Castelluccio, Orsi vedeva in quella rivelata dalle tombe del Plemmirio un progresso: esso
era rilevabile in base alla maggiore ampiezza e precisione dell’architettura funeraria ed in
base alla maggiore presenza di strumenti in bronzo.
Nel 1892, appena quattro anni dopo il suo arrivo a Siracusa, Orsi sarà in grado di proporre
una scansione cronologico-culturale per la preistoria siciliana: individuò tre “periodi siculi”
10
(rispettivamente assegnati all’eneolitico, all’età del bronzo ed all’età del ferro) ai quali
11
più tardi si aggiungerà un quarto di piena età storica.
Nel 1893 Orsi pubblicò i risultati delle sue indagini in due necropoli appartenenti a quel
“secondo periodo” della sua fresca periodizzazione: la necropoli presso il fiume Molinello
1213
di Augusta (tav. I, area blu) e quella di Cozzo del Pantano, a sud-ovest di Siracusa (tav.
I, area rossa, in alto). Nella prima furono investigate una ventina di sepolture scavate nella
roccia, che restituirono scarsi avanzi ceramici in quanto in grossa parte riutilizzate in età
greca: come quelle del Plemmirio presentavano pianta circolare, con vestibolo di accesso,
ed una volta pseudoconica tondeggiante che possedeva, in pochi casi, una calotta al vertice.
Una simile architettura funeraria caratterizzava le trentasei tombe di Cozzo del Pantano: in
esse, oltre alla tipica ceramica locale, furono rinvenute numerose spade in bronzo, fibule ed
14
un calice miceneo nel sepolcro 7. Le spade erano del tipo già noto al Plemmirio e
15161718
facevano parte dei corredi delle tombe 23, 29, 31 e 33; le fibule erano attestate nelle
10
ORSI 1892, pp. 92 sgg.
11
ORSI 1897, p. 192 e nota 2.
12
ORSI 1893a.
13
ORSI 1893b.
14
ORSI 1893b, coll. 9-11, tav. II 2.
15
ORSI 1893b, col. 25, tav. II 5.
16
ORSI 1893b, col. 27, tav. II 13.
17
ORSI 1893b, col. 28, tav. II 18.
18
ORSI 1893b, col. 29, tav. II 23.
3
Introduzione
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1920
sepolture 9 e 2 3 ed erano di due tipi, il primo progenitore del secondo: ad arco di
2122
violino e ad arco serpeggiante a gomito. Anche per le fibule, che trovavano confronti
sia in ambiente miceneo che terramaricolo, il Roveretano ripeteva le considerazioni fatte
23
per le spade del Plemmirio, optando per il debito dei Siculi nei confronti dell’Egeo. Di
importazione micenea il Roveretano considerava anche il vaso globulare con decorazione
24
vegetale rinvenuto nella sepoltura 11. Orsi estendeva a questa necropoli le considerazioni
etniche, culturali e cronologiche fatte in precedenza per quella del Plemmirio: ribadiva la
pertinenza ai Siculi del sepolcreto, individuava il suo utilizzo tra il XII e l’XI secolo a.C.,
rinnovava le considerazioni sul progressivo aumento della presenza del bronzo; spade e
fibule, così come la ceramica micenea, provavano l’apertura esterna dei Siculi.
Forte delle esperienze di ricerca fino ad allora maturate, Orsi intraprese l’indagine a
Thapsos (l’odierna penisola di Magnisi) nell’estate del 1894 (tav. I, area verde): le
sepolture si distribuivano sia all’interno della penisola che sui costoni rocciosi prospicienti
il mare nella parte settentrionale ed orientale; la maggiore concentrazione di tombe si
addensava lungo la costa nord della penisola (tav. II, area blu). L’architettura funeraria non
era dissimile da quella già nota all’Orsi fin dall’indagine della singola sepoltura di
Milocca-Matrensa fino alle più recenti di Cozzo del Pantano: le tombe erano scavate nella
roccia, avevano pianta circolare con nicchie di numero e dimensione variabile sulle pareti.
La maggior parte era fornita di un lungo vestibolo di accesso che poteva, in alcuni casi,
immettere in un’anticella. In casi isolati l’anticella, scavata nella roccia ed a cielo aperto,
era stata poi dotata di un prospetto monumentale costruito. Nel caso delle sepolture 3, 23 e
41 nel vestibolo era realizzato un muricciolo nel quale si apriva una porta fra due
25
piedritti; nell’anticella rettangolare della sepoltura 28 due pilastri ricavati dalla viva
26
roccia sorreggevano un epistilio a timpano. Le celle potevano avere volta piana,
27
campanata o essere a profilo tholoide, come nel caso della sepoltura 12. Le sepolture
scavate nella parte centrale della penisola avevano accesso mediante un pozzetto verticale
realizzato al posto del lungo dromos di cui erano dotate quelle che si aprivano nelle pareti
verticali della costa. Anche a Thapsos le sepolture erano state utilizzate per molto tempo
19
ORSI 1893b, coll. 13-14.
20
ORSI 1893b, col. 26.
21
ORSI 1893b, tav. II 6.
22
ORSI 1893b, tav. II 7.
23
ORSI 1893b, coll. 13-14.
24
ORSI 1893b, col. 15, tav. I 8.
25
ORSI 1895, col.100; col. 111, figg. 17-18; col. 124.
26
ORSI 1895, col. 115, fig. 21.
27
ORSI 1895, col. 106, fig. 11.
4
Introduzione
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con periodiche riaperture e nuove inumazioni: solo poche tombe ospitavano un numero di
inumati inferiore a dieci unità, più numerose quelle con una quantità di defunti oscillante
intorno ai venti; in pochi casi le sepolture accoglievano i resti di più di quaranta individui.
Nei pochi casi di contesti non sconvolti Orsi notò che in genere gli inumati erano disposti
28
lungo il perimetro della cella ed in alcuni casi, come quello delle sepolture 1 e 59, la
“corona” perimetrale di defunti attorniava pochi inumati posti al centro della cella. Il
Roveretano in base alla posizione degli oggetti di corredo intuì la pratica secondo la quale i
defunti venivano disposti nella tomba in un ideale banchetto funerario: legati a questa
pratica erano i grossi contenitori (in genere bacini lebetiformi su piede) posti al centro della
camera funeraria, gli attingitoi ed i contenitori di diversa foggia che si trovavano presso i
singoli inumati e che erano utilizzati, secondo Orsi, rispettivamente per attingere liquidi dal
contenitore posto al centro della cella e per contenere cibo. La ceramica locale, che Orsi
già conosceva prima di effettuare le sue indagini in base all’esame preliminare dei pochi
avanzi recuperati anni addietro dal Cavallari, rientrava a pieno titolo in quella del suo
“secondo periodo”: la necropoli di Thapsos presentava, diversamente dalle altre dello
stesso comprensorio, una maggiore varietà di forme ceramiche ed una sensibile
diversificazione del repertorio decorativo inciso che adesso contemplava anche motivi
figurati. Un esempio era rappresentato dal fiasco con decorazione ad uccelli restituito dalla
29
sepoltura 10 per il quale il Roveretano avanzava l’ipotesi dell’imitazione di motivi
decorativi egei. Orsi attribuiva a fabbricazione sicula anche i vasi a superficie dipinta in
rosso (in realtà di provenienza maltese) come quelli delle tombe 27 e 64, considerati come
30
eredità dell’ultima produzione di ceramica sicula dipinta del “primo periodo”. Interesse
notevole destò l’abbondante presenza di ceramica di importazione: la necropoli infatti
aveva restituito la più nutrita messe di ceramica micenea all’interno del comprensorio della
Sicilia sud-orientale; ciò era una prova di quei contatti dei Siculi con l’Egeo che Orsi aveva
intuito già dalle indagini a Milocca ed al Plemmirio in base alla presenza dei due vasi
micenei nel primo sito, delle spade nel secondo. Il Roveretano considerò la necropoli di
Thapsos più recente di quella di Cozzo del Pantano: gli elementi che gli consentivano tale
ipotesi erano l’assoluta prevalenza del bronzo sull’industria litica, ancora attestata
nell’altra necropoli. Il bronzo era rappresentato principalmente dalle spade,
tipologicamente simili a quelle rinvenute al Plemmirio e Cozzo del Pantano, ma anche da
28
ORSI 1895, coll. 97, 131.
29
ORSI 1895, coll. 104-105; tav. IV 14.
30
ORSI 1895, col. 143.
5
Introduzione
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oggetti di ornamento personale come fibule, orecchini, armille. Il ferro era appena
31
testimoniato da due barrette dal sepolcro 48. Altro elemento che comprovava, secondo
Orsi, la recenziorità della necropoli di Thapsos rispetto alle altre del comprensorio
siracusano era l’evoluzione dell’architettura funeraria che a Thapsos contemplava esempi
monumentali: per essi il Roveretano arrivava anche a postulare la presenza stanziale di
32
gente d’oltremare apportatrice di nuove tecniche. Altro indizio era la maggiore presenza
di importazioni egee: queste fornivano inoltre utili agganci cronologici per inquadrare lo
sviluppo della necropoli. In base al cross-dating offerto dalle ceramiche micenee e facendo
33
uso di una cronologia bassa per tale classe ceramica il Roveretano propose l’arco
compreso tra l’XI ed il IX a.C. Alcune sepolture, come già documentato nelle altre
necropoli dello stesso comprensorio, erano state riutilizzate in età storica: la sepoltura 8
restituì due “coppe di Thapsos” protocorinzie; l’evidenza archeologica sembrava così
confermare la testimonianza tucididea sulla morte a Thapsos di Lamis, ecista dei megaresi.
Dopo l’esperienza sulla penisola di Magnisi le indagini di Orsi in siti del secondo periodo
proseguiranno, concentrandosi sempre nel comprensorio siracusano. Nel 1898 il
Roveretano ritornò nella piana di Matrensa-Milocca per appurare se il sepolcro rinvenuto
fortuitamente nel 1871 fosse isolato o se facesse parte di un più ampio complesso
funerario. Orsi individuò la sepoltura già nota ed approfondì l’indagine in cerca degli strati
appartenenti alla deposizione originaria. Questi furono rinvenuti e restituirono gli avanzi di
due inumati adulti e di un bambino accompagnati da due coppette attingitoio con ansa
34
cornuta e pochi frammenti di un bacino. Uno dei due defunti adulti (chiaramente di sesso
maschile) presentava sul petto una spada di bronzo, del tipo noto nelle necropoli siracusane
35
di secondo periodo e considerato di importazione egeo-micenea. I materiali rinvenuti nel
1871 e che completavano il corredo erano un bacino lebetiforme su piede e quattro coppe
su piede. Il Roveretano riuscì ad individuare ed indagare altri cinque sepolcri che avevano
conservato corredi meno ricchi del precedente: la tomba 6 ospitava circa venti defunti e
presentava evidenti tracce di utilizzo in due momenti; alle deposizioni del “primo periodo”
spettavano numerosi coltelli in pietra, perle in materiale vario a carattere ornamentale e
frammenti di ceramica dipinta. Alle deposizioni di secondo periodo erano pertinenti sei
vasi a superficie rossa con tipi già noti nelle altre necropoli del comprensorio siracusano:
31
ORSI 1895, coll. 126-127.
32
ORSI 1895, col. 140.
33
ORSI 1895, col. 144 e nota 3; col. 150.
34
ORSI 1903, tav. XII 10.
35
ORSI 1903, p. 143; tav. XII 5.
6
Introduzione
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erano prodotti maltesi nelle forme del bacino biconico, del bicchiere troncoconico e del
36
boccale monoansato. Riguardo alla valutazione complessiva della necropoli, in base
all’evidenza ceramica della sepoltura 6, Orsi la collocò a cavallo tra primo e secondo
periodo siculo: il sepolcreto di Matrensa-Milocca entrava a far parte di quelle “necropoli di
transizione” che rappresentavano per il Roveretano il momento di passaggio tra due
37
periodi, in linea di sostanziale continuità dell’ethnos siculo.
38
Nel 1899 Orsi pubblicò i risultati di nuove indagini nella necropoli del Plemmirio ed
appena tre anni dopo, nel 1902, i dati derivanti da nuove esplorazioni nel sepolcreto presso
39
il fiume Molinello di Augusta: agli scarsi avanzi ceramici restituiti dalla precedente
esplorazione del 1893 si aggiungeva adesso un cospicuo gruppo di ceramiche locali, tutte
rientranti a pieno titolo nel repertorio vascolare del secondo periodo. Tra i corredi spiccava
quello della tomba 5 che restituì un vasetto triansato di importazione micenea. Nel 1909
videro la luce i risultati dell’indagine di quattro sepolture a grotticella artificiale site in
40
contrada Tabaccheddu di Floridia. Queste, tutte violate, presentavano un pozzetto di
ingresso, una cella circolare con nicchie alle pareti ed il profilo tholoide. L’unico
manufatto di secondo periodo restituito dal sepolcreto fu un vasetto “a calamaio”
41
(alabastron) miceneo, rinvenuto nella sepoltura 1.
Quale era il quadro in cui si inseriva il secondo periodo siculo e che caratteristiche
emergevano per quest’ultimo in base alle acquisizioni delle ricerche orsiane nelle necropoli
della Sicilia sud-orientale?
La sequenza presto delineata da Orsi nel 1892, ampliata nel 1897 e basata esclusivamente
sull’indagine di necropoli, senza dunque il supporto di una stratigrafia, prevedeva quattro
periodi detti “siculi”, due dell’età del bronzo e due dell’età del ferro. L’aggettivo “siculo”
esteso a tutti e quattro i momenti cronologici la diceva lunga sulle idee del Roveretano
riguardo l’elemento etnico che si rivelava dalla cultura materiale. L’idea della monoliticità
dell’ethnos siculo, alla quale dovette contribuire in modo determinante la continuità
dell’inumazione in grotticella artificiale, lo portò a coniare il termine di “stazioni di
transizione” per giustificare, in chiave di continuità etnica, la presenza nello stesso sito di
elementi di cultura materiale appartenenti a due diversi periodi, come nel caso della
36
ORSI 1903, p. 147; tav. X 3, 5; tav. XI 6, 9.
37
ORSI 1903, pp. 148-149.
38
ORSI 1899a.
39
ORSI 1902.
40
ORSI 1909.
41
ORSI 1909, p. 376 fig. 32.
7
Introduzione
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necropoli di Matrensa-Milocca. L’analisi del Sergi sui crani restituiti dalla necropoli di
Castelluccio e del Plemmirio aveva indicato ad Orsi che i Siculi erano di razza ligure e
quindi imparentati con gli Iberi: il Roveretano rimarrà fedele all’ipotesi della provenienza
42
occidentale dei Siculi e sacrificherà sull’altare di tale convinzione anche i dati offerti
dalla tradizione sulla provenienza peninsulare di tale ethnos. Coerentemente con tale
assunto Orsi sarà “costretto” ad ipotizzare una migrazione in direzione sud-nord per
rendere conto della presenza sicula nel meridione della penisola. Non ben distinti
rimanevano i Sicani delle fonti letterarie, ora considerati popolazione della stessa famiglia
43
dei Siculi ma di cronologia differente, ora rispolverati per le età più antiche, come nel
caso delle genti di Stentinello. In questo panorama si inseriva il secondo periodo siculo,
ben lumeggiato dalle esplorazioni delle necropoli della Sicilia sud-orientale: rimaneva
valida per Orsi la continuità nella manifestazione dell’ethnos siculo pur in presenza di una
produzione ceramica che non aveva nulla in comune con quella del primo periodo, data la
totale assenza di decorazione dipinta, alla quale subentrava una ceramica grigia, lustrata e
decorata ad incisioni. L’elemento principale di continuità era il rituale della sepoltura in
tombe scavate nella roccia. Rispetto alle necropoli del primo periodo quelle di secondo
presentavano uno stadio di maggiore progresso, rivelato dalla grandezza e dalla rifinitura
dei singoli sepolcri. Nella tradizione locale si erano inseriti influssi esterni rilevabili dalle
sepolture con vestiboli monumentali presenti nella necropoli di Thapsos: queste
innovazioni dovevano essere state introdotte da genti transmarine, verosimilmente
identificabili con i portatori della ceramica micenea. Questa testimoniava, secondo Orsi, il
più maturo grado di civiltà raggiunto dai Siculi di secondo periodo; era la prova tangibile
di quella “corrente di civiltà” dall’Oriente che costituiva uno degli elementi fondamentali
della Sicilia preellenica; offriva utili riferimenti cronologici per inquadrare l’utilizzo delle
necropoli ed era la prova fondamentale dell’apertura attiva dei Siculi ai contatti
transmarini, cosa che costituiva il principale elemento di differenziazione tra primo e
secondo periodo.
Oggi a più di un secolo di distanza dalle indagini di Orsi nelle necropoli di secondo
periodo della parte sud-orientale dell’isola e dalla definizione dei quattro periodi siculi,
cadute le proposte di identificazione etnica avanzate dal Roveretano, affinatesi le
cronologie (relative ed assolute) della preistoria siciliana, tramontato l’assioma
42
ORSI 1895, col. 140 nota 1.
43
ORSI 1908, pp. 164-166.
8
Introduzione
_________________________________________________________________________
dell’immediata identificazione tra cultura materiale ed ethnos, qualcosa tuttavia rimane
valido degli sforzi orsiani profusi nella ricostruzione del profilo archeologico della Sicilia
pre-greca. Per quanto riguarda il metodo, Orsi mostrò un’aspirazione alla completezza
della documentazione che ha del moderno: descrizioni dettagliate, confronti con materiali a
lui noti o da lui editi, analisi statistiche, successioni cronologiche, datazioni incrociate,
collaborazione con discipline delle scienze sperimentali (si veda ad esempio l’analisi
44
chimica condotta sulle perle in resina rinvenute nella tomba 10 del Plemmirio)
costituiscono il punto di forza della ricerca orsiana specie se valutato nella prospettiva
della metodologia dell’epoca. Sul contenuto, segnatamente per il “secondo periodo”,
rimangono valide tutt’oggi, mutatis mutandis, le intuizioni sull’apertura attiva delle culture
siciliane ai contatti con l’oriente del Mediterraneo e sull’arrivo in Sicilia, lungo le rotte dei
45
commerci egei, di nuovi lieviti culturali.
Nel 1957 Luigi Bernabò Brea con il suo The Sicily Before Greeks (pubblicato l’anno
46
successivo in Italia) inaugurerà una nuova scansione del quadro della preistoria siciliana
che sarà destinato a sostituire la sequenza dei quattro periodi siculi di Orsi. In tale
risistemazione, anticipata nel corso di una serie di lezioni tenute alle Baleari il cui
47
contenuto fu pubblicato nel 1954, la preistoria siciliana contemplava la divisione in
paleolitico-mesolitico-neolitico-età dei metalli; quest’ultima veniva suddivisa in età del
rame, del bronzo e del ferro. L’età del bronzo era divisa a sua volta in un’età del bronzo
antico, medio, tardo. Tramontata del tutto l’identificazione orsiana dei Siculi con le genti
dell’intero arco dell’età del bronzo, il recupero dei dati tradizionali sulla diabasis sicula e
sulla loro provenienza dalla penisola italiana veniva circoscritto alla tarda età del bronzo.
Nel nuovo quadro cronologico-culturale, basato su un convinto diffusionismo, le necropoli
del secondo periodo orsiano nel comprensorio siracusano rientravano nella media età del
bronzo ed il centro di Thapsos ne diveniva il sito eponimo. La carta di distribuzione della
facies di Thapsos comprendeva per la maggior parte zone della Sicilia sud-orientale, già
indagate da Orsi, ma mostrava addentellati anche nella parte centro meridionale dell’Isola.
Grazie ad un migliore inquadramento delle ceramiche di importazione si riesce adesso a
dare una collocazione c ronologica appropriata alla cultura di Thapsos: le ceramiche
44
ORSI 1891a, p. 123 e nota 1.
45
Per una valutazione complessiva, basata sull’esame di tutti gli scritti, dell’attività di Paolo Orsi nel quadro
della preistoria siciliana e delle sue impostazioni metodologiche e delle idee base del suo pensiero, si veda
LA ROSA 1985, al quale si aggiunga LA ROSA 1991b, pp. 47-52
46
BERNABO’ BREA 1958.
47
BERBABO’ BREA 1953-1954.
9
Introduzione
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micenee restituite dalle necropoli del siracusano sono per la maggior parte del MIC IIIA2;
pochi pezzi sono riconducibili al MIC IIIA1 e IIIB. La facies di Thapsos si colloca dunque
tra lo scorcio del XV secolo ed il primo quarto del XIII secolo a.C. Si definisce meglio
anche lo spettro delle relazioni mediterranee già intuito da Orsi: i contatti con l’Egeo, ai
48
quali sono ricondotte anche le spade restituite dalle tombe thapsiane, si inseriscono in un
quadro più ampio di relazioni che coinvolgono, oltre la cuspide sud-orientale dell’Isola,
anche l’arcipelago eoliano. Qui la facies caratteristica della media età del bronzo è quella
del Milazzese: essa prende il nome dal promontorio sull’isola di Panarea dove fu indagato
il villaggio eponimo di questa cultura. La facies del Milazzese, che risulta attestata anche
lungo la fascia settentrionale della Sicilia, presenta tratti comuni con quella di Thapsos
specie per quanto riguarda il patrimonio decorativo della ceramica ed alcune forme quali i
bacini su piede, i fiaschi monoansati e le pissidi globulari. Essa inoltre mostra di essere
coinvolta, a differenza della Sicilia sud-orientale, anche in scambi con l’ambiente
peninsulare, attestati dalle ceramiche appenniniche rinvenute nell’abitato del centro
49
eponimo. Nel quadro proposto da Bernabò Brea oltre all’interfaccia egea, indagata
proprio in quegli anni da Taylour con una monografia sulle importazioni micenee in Italia
50
meridionale, si delinea quella maltese, testimoniata dalle abbondanti ceramiche restituite
dalle necropoli indagate dal Roveretano nell’entroterra di Siracusa: la vera natura di tali
ceramiche non era stata compresa da Orsi per mancanza di confronti. Le importazioni
maltesi, confinate nella cuspide sud-orientale della Sicilia e già attestate durante l’antica
età del bronzo (facies di Tarxien Cemetery), si ascrivono alla cultura di Borg in-Nadur; le
forme caratteristiche, nella tipica ceramica a superficie rossastra, sono la brocca globulare
monoansata con ampio collo svasato, i bicchieri troncoconici biansati e le fruttiere
biconiche, tutte decorate con le caratteristiche serie di linee parallele orizzontali incise
appena sotto il labbro. Ceramiche di questo tipo erano presenti nelle necropoli di Matrensa,
Thapsos e Cozzo del Pantano: in quest’ultima la sepoltura 23 restituì il più nutrito set di
ceramiche maltesi attestate in un’unica sepoltura nella Sicilia sud-orientale.
Nella nuova sequenza culturale della preistoria isolana Bernabò Brea individuava
l’orizzonte culturale proto-thapsiano: esso era identificato con la facies (detta in seguito di
Rodì-Tindari-Vallelunga) che pochi anni addietro era stata profilata dai reperti rinvenuti in
una tomba a Vallelunga (Caltanissetta) e dagli scavi nel centro urbano di Tindari e che era
48
BERNABO’ BREA 1958, p. 134.
49
BERNABO’ BREA 1958, p. 124.
50
TAYLOUR 1958.
10
Introduzione
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rimasta fino ad allora isolata nell’ambito della sequenza culturale siciliana. L’elemento di
collegamento era rappresentato dalla ceramica grigia inornata, dalla tendenza
all’allungamento delle anse e della loro foggia bicornuta, particolare quest’ultimo che
ritornava in molte forme ceramiche thapsiane ed in particolare negli attingitoi. Il termine
basso dello sviluppo della cultura di Thapsos era individuato, grazie alle ceramiche di
importazione micenea, nel primo q uarto del XIII secolo a.C. Intorno a tale data si
collocava l’avvicendamento tra la facies di Thapsos (bronzo medio) e quella di Pantalica
Nord: questa, rientrante nel secondo periodo della sequenza orsiana, è adesso attribuita
all’età del bronzo tardo. Nel quadro tracciato da Bernabò Brea i siti costieri sarebbero stati
abbandonati e si sarebbe verificato un arroccamento generalizzato su posizioni a vocazione
difensiva come quello del centro eponimo del bronzo tardo. Il motivo dell’abbandono delle
coste in favore dell’entroterra veniva individuato nella diabasis sicula: si trovava così
accordo con la tradizione offerta da Ellanico che collocava la migrazione dei Siculi in
Sicilia dall’Italia meridionale tre generazioni prima della guerra di Troia, cioè intorno al
1270 a.C. Una simile situazione di pericolo era testimoniata anche nelle Eolie dove segni
di distruzione violenta (con il contemporaneo abbandono delle isole minori) erano presenti
negli strati finali dell’insediamento del medio bronzo sull’acropoli di Lipari. Ai livelli
caratterizzati dalle ceramiche del Milazzese seguivano strati con materiali di chiaro profilo
peninsulare, appartenenti alle fasi tarde della cultura appenninica. Anche in questo caso
l’evidenza archeologica sembra riecheggiare i dati delle fonti storiche: Diodoro Siculo
affermava che le Eolie sarebbero state occupate da Liparo, figlio di Auson re degli Ausoni,
popolo dell’Italia meridionale.
È sullo sfondo di questo rinnovato quadro della preistoria siciliana che Bernabò Brea
negli anni ’60 del ‘900 iniziava una serie di indagini a Thapsos finalizzate
all’individuazione ed allo studio dell’abitato: si apriva una nuova pagina nella storia della
ricerca sulla media età del bronzo nella Sicilia orientale, la cui conoscenza, fin dalle
esplorazioni di Orsi, era basata esclusivamente sui contesti funerari. Dopo l’indagine di
nove sepolture agli inizi degli anni ’50, una delle quali restituì un vaso del MIC IIIA1 che
51
risultò essere uno dei più antichi vasi micenei del comprensorio siracusano, e dopo lo
52
scavo di cinque tombe nel 1962 da parte di Bernabò Brea, nel novembre del 1964 sotto la
direzione dello stesso studioso prese l’avvio lo scavo delle strutture che affioravano nel
51
GENTILI 1951.
52
BERNABO’ BREA 1966a.
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Introduzione
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piazzale antistante la Masseria Calvo, in una zona prospiciente l’insenatura settentrionale
53
della penisola di Magnisi. Dalle indagini emersero due strutture a pianta rettangolare
54
indicate dallo scavatore, da nord a sud, con le lettere A e B (tav. III). I due vani erano
uniti per uno dei lati lunghi: il muro divisorio tra i due ambienti doveva essere stato
realizzato in un momento successivo alla costruzione dei due vani, visto che al di sotto di
esso si recuperarono ceramiche thapsiane in parte complete. Il lato meridionale del vano B
presentava un andamento ricurvo nella parte terminale, mentre totalmente assente risultava
il lato corto occidentale dello stesso vano. Ugualmente non conservato era il lato
settentrionale del vano A. In esso, presso il lato corto occidentale, si rinvenne un pithos
incassato nel terreno; un vaso minore fu ritrovato a ridosso del lato meridionale dello
stesso vano. Esso restituì anche una verghetta bronzea con due le figure contrapposte,
55
forse identificabili con una volpe ed un cane. Una struttura con diverso orientamento che
si sovrappose al vano A è testimoniata da un lacerto di muro ad andamento rettilineo con
direzione nord-est/sud-ovest. La ceramica rinvenuta durante l’indagine era esclusivamente
attribuibile alla cultura di Thapsos. Per le strutture rinvenute lo scavatore invocò prototipi
egei, in quanto la tipologia delle costruzioni a pianta rettangolare risulta estranea alla
56
tradizione isolana del medio bronzo, rappresentata invece dalla pianta sub-circolare.
Quest’ultimo tipo di unità abitativa era attestata a Thapsos dalle capanne che si iniziarono
ad indagare tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli ’70 a sud della Masseria Calvo e cioè
57
nell’area della penisola antistante l’istmo che la collega alla terra ferma. Riflettendo sulla
doppia tipologia insediativa Bernabò Brea si chiedeva se l’ambiente a pianta rettangolare
fosse la residenza di un signore locale: in questa prospettiva, secondo lo studioso, la
struttura rappresentava “un precedente modesto ma significativo” dell’anàktoron di
Pantalica.
Nello stesso anno 1964 in cui furono effettuate le prime indagini presso la Masseria Calvo,
Bernabò Brea condusse una breve campagna di saggi nel centro montano di Pantalica i cui
58
risultati verranno pubblicati molto tempo dopo, nello scorcio degli anni ‘80. Essi hanno
permesso allo studioso di confermare l’ipotesi della diacronia tra la facies di Thapsos e
quella di Pantalica Nord: le indagini in relazione ai muri I, II e III, sistemati sia accanto al
53
BERNABO’ BREA 1970, p. 141, fig. 1.
54
BERNABO’ BREA 1970, p. 143, fig. 2.
55
BERNABO’ BREA 1970, p. 151, fig. 5.
56
BERNABO’ BREA 1970, pp. 146-148.
57
BERNABO’ BREA 1970, p. 146.
58
BERNABO’ BREA 1990.
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Introduzione
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palazzo che nel pendio antistante, portarono alla scoperta di frammenti ceramici thapsiani
59
pertinenti principalmente a bacinetti su piede tubolare. Essi hanno fornito la prova del
fatto che i primi abitanti di Pantalica erano ancora portatori della ceramica grigia thapsiana,
cosa che proverebbe l’arroccamento degli abitanti del centro costiero in posizioni meglio
difendibili, il tutto in relazione alla discesa dei Siculi. Un’altra prova della fuga dalla costa
era costituita dall’anforetta micenea del MIC IIIB fortunosamente recuperata dallo studioso
ligure in contrada Maiorana di Buscemi, sul massiccio del Monte Lauro. Ritornando alla
costa orientale dell’Isola, nello stesso anno 1964 che vide le indagini a Thapsos e
Pantalica, Bernabò Brea indagò l’abitato che sorgeva sull’isolotto di Ognina. Lo studioso
rinvenne una stratigrafia c he comprendeva livelli con ceramica neolitica ( facies di
Stentinello) ai quali si sovrapponevano strati con abbondante ceramica castellucciana, del
60
tipo D4 nota dagli scavi nella grotta della Chiusazza, associata a ceramica maltese della
cultura di Tarxien Cemetery ed infine una minore quantità di ceramica di Thapsos
associata a ceramica maltese della facies di Borg in-Nadur, evidenza non nuova per i
61
contesti thapsiani del comprensorio siracusano. Tra i materiali veniva segnalato anche un
62
frammento di lingotto di fusione. Secondo lo studioso l’abitato di Ognina avrebbe
ospitato una colonia maltese legata agli scambi con le genti castellucciane dell’entroterra;
il centro sarebbe sopravvissuto, continuando nella sua vocazione commerciale, fino all’età
di Thapsos e si sarebbe estinto in connessione ai “rivolgimenti politici” intercorsi agli inizi
del XIII secolo a.C. legati alla discesa dei Siculi e che avevano coinvolto anche i centri
63
costieri thapsiani.
Le ricerche nell’abitato di Thapsos iniziate nel 1964 proseguiranno dagli inizi degli anni
’70 fino alla metà degli ’80 sotto la direzione di Giuseppe Voza. Nei primi anni ’70 furono
indagate tre zone nella parte occidentale della penisola: una nel tratto di costa che
64
fronteggia l’istmo, una a nord di essa ed una a sud (tav. II, area rossa, verde, gialla).
Furono individuate dieci capanne a pianta circolare e sub-circolare; solo nella zona nord si
65
raggiunse il suolo delle strutture e si recuperò la ceramica, come nel caso della capanna
nel quadrato 21/XLIV che restituì un bacino lebetiforme, una coppa su piede, un pithos
ovoidale su basso piede tubolare ed un frammento di coppa con decorazione incisa con
59
BERNABO’ BREA 1990, pp. 82, 96.
60
TINE’ 1965.
61
BERNABO’ BREA 1966b.
62
BERNABO’ BREA 1966b, p. 44.
63
BERNABO’ BREA 1966b, pp. 67-69.
64
VOZA 1972.
65
VOZA 1972, pp. 180-183.
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Introduzione
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teoria di uccelli. Strutture a pianta rettangolare furono rinvenute nella parte centrale
dell’area indagata: nella zona dei quadrati 30-31/IL-L venne alla luce una serie di ambienti
rettangolari, uniti per il lato corto e disposti intorno ad una zona libera centrale, che
costituivano quello che fu definito Complesso A (tav. IV). Tra le strutture a pianta
circolare e quelle con pianta rettangolare si notò più che una sovrapposizione una sorta di
66
“interferenza” o “adattamento”: per il Complesso A si invocarono confronti con simili
strutture note nell’Egeo ed in particolare con i vani sull’acropoli di Gla in Beozia. A sud-
est del Complesso A, nella zona del quadrato 22/XLV, fu rinvenuto un ambiente
quadrangolare con materiali ceramici e fibule ad arco a gomito ascrivibili all’età di
Cassibile. Durante la stessa campagna di scavi furono portate alla luce due linee di
fortificazione: la prima lunga duecento metri, ad andamento ricurvo e dotata di torri
semicircolari (rivolte peraltro a nord, cioè verso l’ampia area delle necropoli) era compresa
nei quadrati 63-71/XXVII-XXXII nella parte sud-orientale della penisola (tav. II, area
arancione a tratteggio); essa è strutturalmente confrontabile con la fortificazione a torri
semicircolari del Petraro di Melilli attribuibile ad età castellucciana. Durante l’indagine
furono rinvenuti frammenti di ceramica dell’antica età del bronzo cosa che ha fatto
pensare, dato anche l’andamento ricurvo della cinta che non sembra essere in relazione
topografica con l’insediamento dell’istmo, alla pertinenza della fortificazione ad un nucleo
abitato più antico e di diversa collocazione rispetto a quello della media età del bronzo. La
seconda fortificazione, ad andamento rettilineo, sembra stare in più sicura relazione
topografica con l’abitato prospiciente l’istmo: il muro giace all’interno della penisola, di
fronte la sua insenatura meridionale, ed è compreso nella zona dei quadrati 47-56/XXXI-
XXXIII (tav. II, area fucsia). Le indagini individuarono inoltre tre gruppi di sepolture che
si addensavano in tre nuclei rispettivamente nella parte settentrionale, centrale e
meridionale della penisola, al di là della linea di fortificazione che doveva originariamente
bordare il limite orientale dell’abitato. La sepoltura che giaceva nel quadrato 47/XXI (poi
67
ribattezzata tomba D) restituì, oltre a ceramica locale, il più nutrito set di vasi micenei
mai rinvenuto nelle necropoli siciliane: esso comprendeva una coppa profonda, una kylix,
una tazza monoansata, due alabastra angolari, un alabastron a sacco, tre vasetti triansati.
Oltre alla ceramica micenea (ascrivibile al MIC IIIA2-IIIB) la tomba restituì ceramica
maltese della cultura di Borg in-Nadur e tre vasetti ciprioti: due brocchette della classe
66
VOZA 1972, pp. 186-187.
67
VOZA 1973a, pp. 34-36, nn. 74-84.
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Introduzione
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686970
Base-Ring ed una della classe White Shaved. Un’altra brocchetta appartenente a
quest’ultima classe ceramica fu rinvenuta tra i corredi della tomba A1, insieme ad un
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vasetto triansato del MIC IIIA2. Nella stessa campagna di scavi sorprendente fu il
rinvenimento di un gruppo di nove sepolture ad enchytrismòs che giacevano nell’area dei
quadrati 51-52/XXIV-XXV, nella parte centrale della penisola. I defunti erano adagiati
all’interno di grossi pithoi cordonati senza alcun corredo; i contenitori erano poi sistemati
orizzontalmente sul terreno, che in quella parte della penisola presenta roccia affiorante e
formante piccole concavità, e probabilmente ricoperti con terra e ciottoli. In mancanza di
elementi di corredo l’inquadramento culturale delle sepolture è stato permesso dai
contenitori, morfologicamente simili a quelli segnalati da Orsi in alcune sepolture della
necropoli di Thapsos ed a quelli da lui rinvenuti alla Barriera di Catania in associazione a
materiali thapsiani.
72
Nel periodo 1970-1971 furono estese le indagini ad est del Complesso A: iniziarono ad
affiorare strutture rettangolari unite per il lato corto e distribuite intorno ad una corte
centrale pavimentata. Questa nuova unità insediativa, ribattezzata Complesso B (tav. IV),
giaceva nella zona compresa nei quadrati 31-33/XLVII-XLVIII. Le indagini in questa parte
centro-occidentale dell’abitato permisero di chiarire ulteriormente il rapporto esistente tra
73
le capanne circolari e le strutture rettangolari formanti i complessi A e B. Durante gli
scavi furono rinvenuti elementi che permisero di avanzare una datazione per le strutture
rettangolari: nell’ambiente c del Complesso B fu rinvenuto un bacino lebetiforme su piede
simile a quello della sepoltura 23 di Cozzo del Pantano nella quale era presente, tra gli
elementi di corredo, una fibula ad arco di violino. Si aveva dunque un elemento di
datazione indiretta per il Complesso B che doveva essere in vita già nel XIII secolo a.C.
Indicazioni sulla sopravvivenza del centro abitato provenivano dall’ambiente
quadrangolare sito a sud-est del complesso B (nel quadrato 33/XLVII) e che restituì
ceramica piumata tipica dell’età di Cassibile associata a ceramiche maltesi delle ultime fasi
di Borg in-Nadur e della cultura di Bahrija.
68
VOZA 1973a, p. 36, nn. 85-86.
69
VOZA 1973a, p. 36, n. 87.
70
VOZA 1973a, p. 41, n. 118.
71
VOZA 1973a, p. 40, n. 117.
72
VOZA 1973b.
73
VOZA 1973b, p. 140.
15