6
Il secondo capitolo riguarda l’analisi socio-economica dell’estremo ponente ligure. Oltre
all’entroterra sono presi in esame anche alcuni comuni costieri al fine di avere un quadro d’insieme
delle tendenze in atto in provincia di Imperia. Inquadrando l’area da un punto di vista socio-
economico si è cercato di far emergere alcune caratteristiche tendenziali allo scopo di evidenziare il
forte squilibrio esistente fra costa ed entroterra. Il capitolo si conclude con l’esame del patrimonio
edilizio per sottolineare lo sfruttamento irrazionale delle risorse e le deformazioni nei processi di
urbanizzazione prodottesi in funzione dello sviluppo turistico costiero.
Il terzo capitolo rappresenta il “cuore” di tutto il lavoro. In esso, sulla base di alcuni casi concreti
relativi sia ad esperienze complessive sia a singoli aspetti, si è cercato di fornire una valutazione
circa l’impatto socio-economico dei parchi. Allo stesso tempo sono state approfondite le
problematiche connesse al rapporto fra aree protette e sviluppo economico.
Nel quarto capitolo si analizzano le ragioni per le quali si ritiene indispensabile la creazione di
un’area protetta nelle Alpi liguri: per ogni risorsa è indicato quello che il parco potrebbe mettere in
atto per valorizzarla, unitamente ai finanziamenti ottenibili (sulla base di norme e casi concreti)
direttamente e indirettamente grazie a questo soggetto.
Nel quinto capitolo si è cercato di approfondire le cause che ostacolano o impediscono la
creazione del parco nell’area in esame. Le considerazioni presentate sono state ricavate dall’esame
della documentazione disponibile (pubblicazioni, articoli di giornale, conferenze) e dalle interviste
effettuate presso la popolazione locale.
Nell’ultimo capitolo infine, dopo aver illustrato l’ultima proposta di parco redatta dai tecnici
dell’amministrazione provinciale di Imperia, ci s’interroga sulle prospettive future di un parco nelle
Alpi liguri e si traggono alcune considerazioni finali.
Per concludere, ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione di questo lavoro e
chiedo scusa se in qualche espressione si riscontra un po’ di enfasi. A parziale giustificazione della
mia partecipazione “emotiva” c’è la ragione che mi ha spinto alla presente tesi: il forte attaccamento
all’entroterra in cui vivo.
7
“CAPITOLO 1” – Le caratteristiche del territorio e i riferimenti legislativi.
1.1 Perché un parco nelle Alpi liguri.
Parlando della provincia d’Imperia si è portati spesso a sottolineare la sua vocazione balneare,
sia per la notevole estensione della costa, sia perché la maggior parte delle attività produttive e della
popolazione è concentrata nella stretta fascia che si affaccia sul mare e ci si dimentica invece del
suo entroterra, ricchissimo di valori naturalistici e culturali. Quest’area, nel corso dell’ultimo
secolo, è stata caratterizzata da movimenti migratori che si sono invertiti dall’ultimo dopoguerra. Le
statistiche (presentate nel secondo capitolo) c’indicano che nel 1881 quasi i 2/3 degli abitanti
risiedevano nell’entroterra contro 1/6 nel 1998 e le borgate delle valli erano più importanti delle
città costiere. Il modo di vita era articolato su un’economia prevalentemente agricola e autarchica.
La razionalizzazione della produzione orticola e floricola sulla costa effettuata con criteri
imprenditoriali e di economia di mercato, unitamente al forte sviluppo del turismo di massa legato
ad un certo aumento del reddito nel dopoguerra, hanno spostato i poli di attrazione e di crescita sulla
frangia costiera. Risulta così non solo un’accelerazione economica di questa zona che si traduce in
uno sviluppo considerevole dell’urbanizzazione e del mercato del lavoro, ma anche una
devitalizzazione parallela dell’entroterra che non è riuscito ad integrarsi allo sviluppo economico
costiero e nemmeno a convertirsi ad altri modi di produzione basati sull’utilizzazione delle risorse
locali.
Come rivitalizzare l’entroterra?
Visto quello che è accaduto negli ultimi 50 anni nella fascia costiera (come d'altronde nell’intero
litorale ligure), in montagna sono in molti a ritenere che lo sviluppo da ricercare per i paesi delle
vallate abbia esattamente quelle caratteristiche e a temere, in conseguenza, che la tutela e la
conservazione delle risorse significhi la negazione implicita a potenziali e incommensurabili
ricchezze. Questa considerazione è palesemente erronea per almeno tre motivi convergenti:
ξ la costa è una conurbazione lineare, concentrata sullo sfruttamento e il consumo di un’unica
valenza ambientale facilmente apprezzabile da chiunque: il mare. Al contrario, le risorse
dell’entroterra sono polverizzate, disagevoli, poco valutabili a prima vista e con difficoltà
intrinseche di fruizione;
ξ la domanda di ambiente e di servizi ricreativi che proviene dalla società urbana si rivolge alla
montagna per ottenere un’alternativa globale alla città. Chi ama oggi le Alpi liguri non predilige
8
certamente né gli anonimi condomini urbani né i luoghi affollati. Cerca invece grandi silenzi,
uno spazio incontaminato, una cultura rurale autentica, cibi e aria pulita etc;
ξ le capacità di impresa sono, nei comuni dell’entroterra, nettamente inferiori sia in qualità sia in
quantità rispetto a quelle esterne. Ad esempio, uno sviluppo tumultuoso (peraltro del tutto
improbabile) di un centro invernale sarebbe immediatamente preda di capitali e iniziative
esterne all’area. È, infatti, ben noto che perfino il patrimonio immobiliare storico caratteristico
dei luoghi più segreti e pittoreschi sta da qualche tempo passando di mano dagli abitanti
residenti alle agenzie immobiliari.
Per questi motivi riteniamo che non sia possibile prevedere un percorso di sviluppo non effimero
dell’intero entroterra, sede di 34 comuni, per una superficie complessiva di quasi quarantamila
ettari, che non punti al mantenimento delle qualità ambientali. Condizione che, a parer nostro, solo
la creazione di un parco potrebbe rispettare coniugando tutela e sviluppo ecosostenibile.
Quale che sia la strada da seguire per rivitalizzare l’entroterra, il punto di partenza non può che
essere l’osservazione e la riflessione su quanto avvenuto sulla costa nel ventennio 1950-70. Un solo
dato statistico è sufficiente a far capire l’entità del disastro: il patrimonio edilizio accumulato negli
anni del boom comprende circa 400.000
1
mila vani in seconde case, utilizzate per un mese l’anno,
con strutture assolutamente inadeguate e con costi enormi per la collettività. È sufficiente però
percorrere pochi chilometri in macchina e qualche minuto a piedi per trovare vette montane e grandi
boschi, elementi floristici, fiumi e torrenti, fauna selvatica, grotte carsiche, monumenti geologici,
reperti archeologici, prati e pascoli, erbe officinali, fasce e uliveti, ponti, cappelle, edicole, fontane,
e infine feste locali, rappresentazioni sacre e profane, tradizioni. Per trovare una parte di provincia
ancora integra: quella che a parer nostro un parco potrebbe valorizzare.
1
AA.VV., Atti del convegno, “I parchi regionali liguri”, Spotorno (SV), 22 e 23 giugno 1974, pag. 16.
9
1.1.1 Cenni storici.
La zona delle Alpi liguri fornisce importanti testimonianze della storia dell’insediamento umano.
Tracce di vita preistorica legata ad una nomade attività di caccia possono essere rinvenute in buona
parte del territorio, ma le sedi più ricche e frequentate furono le caverne della costa, come quella dei
Balzi Rossi, vero monumento mondiale del paleolitico medio e superiore. Nei pressi del valico di
Ponte S. Ludovico, al confine con la Francia, la celebre falesia di calcare giurassico dei Balzi Rossi
accoglie alla sua base una successione di caverne e di ripari che ne hanno fatto uno dei principali
“santuari” della preistoria mediterranea, dove l’uomo vi s’insediò circa 200.000 anni fa. Questa
formidabile successione di cavità asciutte e soleggiate, oggi a pochi metri dal mare (ma in passato,
durante le regressioni, distanti anche 6 km dalla linea della costa), ha rappresentato per secoli il
luogo dove diversi gruppi di preistorici fissarono la loro dimora, seppellirono i propri morti e
lasciarono enormi quantità di oggetti, strumenti, resti di animali ed espressero manifestazioni
artistiche primitive (incisioni rupestri).
Nella parte occidentale delle Alpi liguri le più importanti testimonianze dell’età preistorica si
concentrano lungo le valli del Tanaro e del Pennavaira. In particolare, quest’ultima era una delle
principali vie di transito tra la costa ligure e la pianura padana. Qui, dal 7000 a.C. circa, si
stabilirono comunità umane che occuparono nel tempo (la frequentazione della valle perdurerà fino
all’età romana) le numerose caverne che si aprono, fra le quali le più importanti sono l’Arma di
Nasino e dello Stefanin. Notevole è stata altresì l’influenza dei romani e numerose sono le
testimonianze del loro passaggio e della loro colonizzazione nelle Alpi liguri, soprattutto sulla
costa. Significativo è l’esempio di Albintimilium, l’odierna Ventimiglia, cittadina di frontiera
famosa per il suo teatro romano che era in grado di accogliere circa 5.000 persone, e che fu
costruito fra la fine del II e l’inizio del III secolo dopo Cristo. Oggi l’area dell’antica città è invasa
da strutture urbanistiche moderne quali la ferrovia, l’ospedale, la nuova via Aurelia (che passa
proprio sopra il teatro!) e numerose abitazioni, che ne impediscono il sistematico scavo e il recupero
delle testimonianze storiche e archeologiche.
Sempre in epoca romana, il territorio era attraversato dalla via Giulia Augusta lungo la costa,
dove erano sviluppati anche i principali insediamenti abitativi. Il percorso principale della via
comprendeva anche numerosi tronchi minori, che si spingevano all’interno e assicuravano i
collegamenti con le vallate dell’entroterra, come ad esempio la strada che valicava il colle di Tenda,
passante per la val. Roia e la strada che risaliva la val. Nervia per arrivare a Pigna. Al giorno d’oggi,
a testimonianza di tali passaggi, restano i numerosi ponti romani in pietra con la loro caratteristica
forma ad arco. Sia il tracciato della via romana costiera, sia i tronchi minori interni, ricalcavano
10
antichi percorsi preromani e furono in seguito ripetuti dalle strade medievali e anche dalle
mulattiere ricostruite in età più recente. Le condizioni naturali del territorio hanno sempre
condizionato i tracciati delle strade che, salvo qualche variante, sono sempre passati per gli stessi
luoghi. Per questi motivi diventa molto difficile risalire all’epoca in cui queste vie di comunicazione
furono costruite. Nella parte centrale delle Alpi liguri, invece, la penetrazione romana è stata scarsa
e si è limitata ai fondovalli marginali al sistema, forse attratta dalle vie di comunicazione tra la valle
Aroscia e la valle del Tanaro.
In epoca medievale la zona interna acquista crescente interesse soprattutto nelle valli Nervia e
Argentina. A levante il sistema feudale che tendeva a dominare le vie di comunicazione fra
l’Albenganese ed il Tanaro, ha favorito il sorgere di favolosi castelli su speroni rocciosi a
sbarramento delle valli; tali risultano il castello di Zuccarello, quello di Rocca Barbena e quello
della Rocca dell’Aquila d’Arroscia, posto a sorveglianza dei traffici tra la valle Arroscia e l’alta val.
Pennavaira. Si trova invece a Dolceacqua, in val. Nervia, il famoso castello dei Doria, conosciuto a
livello internazionale, vero gioiello dell’arte medievale e risalente alla seconda metà del XII secolo
dopo Cristo. Quest’ardita costruzione è collocata sulla roccia a circa 60 metri di dislivello dal borgo
e, data la sua posizione dominante, consentiva il controllo del fondovalle e dell’importante percorso
che collegava Perinaldo a Isolabona lungo la dorsale del torrente Nervia.
L’intera area parco, infine, è ricca di pascoli di alta montagna nei quali, forse con diverse
soluzioni di continuità dalla preistoria, si sono verificate attività di pastorizia transumante che hanno
lasciato le loro tracce nelle moderne “caselle” e nei “giass”
2
. Le aree meglio esposte e di minore
pendenza sono state però in età post-medievale colonizzate da gruppi di case sparse circondate da
coltivazioni, castagneti da frutto e pascoli. Solo i tratti montuosi più impervi sono stati lasciati alla
silvicoltura e all’allevamento del bestiame.
2
Le caselle e i giass erano antiche costruzioni destinate a ricoveri in quota dei pastori che conducevano ai pascoli più
alti le mandrie.
11
1.1.2 Flora e fauna.
Nelle Alpi liguri, una situazione climatica molto particolare, prodotta dall’incontro di tre diversi
climi (mediterraneo, alpino, sub-continentale), e la complessità morfologica dei terreni, hanno
favorito lo sviluppo di una flora notevolmente varia con la presenza di numerosi endemismi
3
. In
altre regioni è difficilmente riscontrabile una simile varietà che si manifesta in proporzioni così
vaste come in questa parte di Liguria. Il botanico ginevrino Emile Burnat, che allo studio
appassionato della flora di questo settore dedicò gran parte della sua vita, affermava che il numero
di piante di questa parte delle Alpi “supera di molto quello di ogni altro territorio europeo di uguale
superficie”.
4
Le valli dell’entroterra, perpendicolari alla costa, lasciano penetrare in profondità il clima
costiero che favorisce lo sviluppo della vegetazione di tipo mediterraneo (cisti, timo, ginestra, etc.)
ad altitudini inconsuete. Salendo di quota s’incontra invece la vegetazione tipicamente alpina, con
praterie e vasti boschi di abete e larici. Nella fascia collinare s’incontrano due specie introdotte
dall’uomo: l’ulivo, che si può trovare fino ad 800 metri di quota, e il castagno, soprattutto sul
versante piemontese.
Sui monti Toraggio (1971 metri) e Pietravecchia (2038 metri), nell’alta val. Nervia, vaste distese
di larici con sottobosco di rododendri ricordano paesaggi di regioni alpine molto più settentrionali,
mentre poco più in basso s’incontrano piante della macchia mediterranea. Su questi due monti,
assistiamo a eccezionali risalite in quota delle piante mediterranee, il timo su tutte le altre (ascende
fino ad oltre 1900 metri sul Pietravecchia). Meritano una citazione anche il leccio (tra gli alberi), le
ginestre, l’alaterno, il lentisco (tra gli arbusti della macchia), la còrida (Coris monspeliensis),
l’onònide minutissima (Ononis minutissima) e il cìtiso argenteo (Argyrolobium zanonii). Alla
risalita delle specie mediterranee si oppone la discesa delle specie sub-continentali e alpine, ad
esempio la sassìgrafa autunnale (Saxigrafa aizoides) e la draba aizoide (draba aizoides) scendono a
1400-1500 metri. Ovviamente, “salite” e “discese” portano a contiguità e coesistenze che hanno
realmente dell’incredibile; il connubio più significativo è quello tra il timo e la sassìgrafa a foglie
opposte (Saxifraga oppositifolia), che, a 1500 metri di quota, sul versante meridionale del
Pietravecchia, occhieggiano dalla medesima fenditura: un fatto unico nell’intero arco alpino. E
pensare che questa sassìgrafa, in Groenlandia, si spinge fin sulle coste settentrionali, a 83° di
3
Specie (piante o animali) che vivono esclusivamente in un determinato territorio, di norma poco esteso, e mancano in
tutto il resto del mondo.
4
Burnat E., in “Flore des Alpes Maritimes”, 1892-1931, 1-7, Gèneve.
12
latitudine nord; se al polo vi fossero rocce, anziché ghiacci, questa specie vi riuscirebbe a
sopravvivere!
5
.
Per quanto riguarda la fauna, anche il popolamento animale risente di queste particolari
condizioni climatiche e geologiche. Al di là degli animali più comuni (cinghiali, volpi, la gran parte
degli uccelli etc.), le specie più significative delle Alpi liguri sono essenzialmente quelle a
distribuzione alpina, assenti dal resto della Liguria, e quelle che a causa delle modifiche degli
habitat, dell’inquinamento o per via di una caccia indiscriminata sono divenute ormai rare quasi
ovunque. Le vette, le gole rocciose e i boschi meno accessibili della vallate alpine liguri hanno,
infatti, offerto rifugio a molti animali altrimenti a rischio di estinzione. Segnaliamo qui di seguito
gli animali più caratteristici delle Alpi liguri distinti per ambienti.
Tra quelli della macchia e della boscaglia mediterranea segnaliamo: il colubro lacertino (il più
grande serpente europeo che può superare i due metri di lunghezza) e la rarissima lucertola
occellata (questa specie sembrava definitivamente scomparsa, ma in questi ultimi anni sono stati
segnalati alcuni esemplari nell’imperiese).
I grandi boschi montani ospitano: la martora, (un mustelide che abita soprattutto i boschi di
conifere), il gatto selvatico, il picchio nero (specie estremamente rara ritenuta da molti esperti
l’elemento faunistico di maggior valore delle Alpi liguri), il gallo forcello, il gufo reale (il più
grosso rapace notturno dei nostri boschi), lo sparviero e l’astore.
Negli ambienti alpino e subalpino si possono ammirare: l’ermellino, il camoscio, la lepre alpina,
la marmotta e la pernice bianca. Tutti questi animali frequentano le praterie d’altitudine più
tranquille, generalmente nella fascia al di sopra delle foreste. Infine, i grandi spazi in quota
rappresentano anche il territorio di caccia dell’aquila reale: questo magnifico rapace nidifica sulle
pareti rocciose più impervie delle alti valli. Sulle pendici del Pietravecchia è facile avvistarla.
5
Martini E., “Inusitati connubi”, in “guida alle ALPI LIGURI”, Sagep editrice, Genova 1993, pag. 44.
13
1.1.3 Carsismo.
La grande quantità di terreni calcarei dell’entroterra imperiese ha determinato un notevole
sviluppo di fenomeni carsici, di superficie e soprattutto di profondità. Essi si attivano in funzione
del tenore carbonatico dei linotopi, ma sono anche strettamente correlati all’assetto tettonico, ai
caratteri morfologici e climatici (inclinazioni, precipitazioni, temperatura etc.) e alla copertura
vegetale.
6
Le Alpi liguri nel loro complesso costituiscono un carso d’alta quota, di tipo alpino, a clima
temperato-umido con limitate influenze mediterranee e con un elevato grado di carsificazione (oltre
1500 cavità). Nel settore imperiese la densità del fenomeno speleologico si avvicina a quelle delle
più famose aree carsiche italiane: il numero delle cavità è superiore alle cinquecento unità,
distribuite in aree a differente potenziale. Le maggiori concentrazioni di grotte si hanno nelle
successioni mesozoiche dell’alta val. Tanaro, nei calcari nummulitici delle alte valli Nervia e
Argentina e nei conglomerati pliocenici di Ventimiglia.
Le più famose cavità dell’area, meta di un’intensa attività speleologica, sono:
ξ la Tana dei Rugli, presso il monte Toraggio, che si sviluppa per 1950 metri e ha un dislivello di
142 metri;
ξ la grotta della Melosa o Tana Freida, presso il monte Corma, la più profonda della Liguria,
lunga circa 1600 metri e con un dislivello di 253 metri (+38, -215);
ξ la grotta delle Ferrate, presso il monte Pietravecchia, con uno sviluppo di circa 100 metri e una
profondità di 45.
Oltre ai fenomeni carsici, la stessa zona è anche ricca di altre entità morfologiche quali: gole,
orridi, fosse di interesse escursionistico, depositi morenici e giacimenti di minerali da collezione.
Oggi questo ricco patrimonio geologico versa in uno stato di abbandono e degrado: le cause di
questa situazione sono da ricercarsi nella mancanza di una regolamentazione per talune discariche,
nell’assenza di disciplina dei prelievi da parte dei collezionisti e nell’erosione naturale degli agenti
atmosferici. La presenza di un parco potrebbe favorire: la realizzazione di un preliminare
censimento per avere l’inventario completo delle entità di maggior pregio; (in materia le
pubblicazioni disponibili sono poche), la regolamentazione dell’attività speleologica (che avrebbe
anche dei risvolti turistici con visite e percorsi guidati) e infine la messa in atto di opportune azioni
conservative.
6
Cresta P. “Guida alle ALPI LIGURI”, Sagep editrice, Genova 1993, pag. 30.
14
1.1.4 Il clima.
È noto a tutti che il ponente imperiese gode di condizioni climatiche privilegiate, in virtù della
posizione leggermente più meridionale rispetto alla Liguria nel suo complesso e grazie alla sua
prevalente esposizione a mezzogiorno, al contatto con il mare, e all’esistenza del sistema montuoso
retrostante, che costituisce uno schermo efficace contro le correnti fredde provenienti da nord. La
disposizione a semiarco di questa barriera naturale, da sud-ovest a nord-ovest, mette il ponente
imperiese al riparo dalle depressioni che a fine inverno/primavera e in autunno si formano sul mar
Ligure e che, scorrendo lungo le catene, finiscono per scaricare la loro umidità più a oriente, contro
l’Appennino ligure e le Alpi Apuane. Questo fatto garantisce un tempo assai più asciutto rispetto
alla Riviera di levante
7
.
D’altra parte, se gli effetti mitigatori del clima marittimo penetrano nell’interno attraverso le
valli principali, per la via inversa possono talvolta scendere violenti corrente d’aria fredda
(tramontana).
L’altitudine influisce fortemente su pressione e temperatura: salendo lungo i versanti delle Alpi
liguri si riscontra una diminuzione media della temperatura di 0,56° C ogni 100 metri di dislivello,
mentre le precipitazioni aumentano, poiché il vapore acqueo contenuto nella masse d’aria in risalita,
raffreddandosi, tende a condensarsi e a precipitare sotto forma di pioggia o neve.
8
Assai frequenti sono le nebbie orografiche, costituite da massa di aria umida che, nelle giornate
invernali, contribuiscono alla formazione del noto fenomeno della “galaverna”. Nella giornate
limpide e prive di vento, le fitte nebbie orografiche padane appaiono come una distesa argentea.
Le piogge sono modeste e si concentrano fondamentalmente nelle stagioni intermedie. Le
precipitazioni medie annue variano dai 1200 ai 1500 mm/annui, con punte massime nel periodo
autunno inverno.
La stagione invernale è caratterizzata da abbondanti nevicate alle quote più elevate, e talvolta la
copertura nevosa rimane irregolarmente fino ad aprile-maggio: non è infrequente che nelle piste di
Monesi, si possa sciare anche a primavera inoltrata.
Infine, per quanto riguarda la stagione estiva, essa presenta, soprattutto verso i rilievi
dell’entroterra, cambiamenti meteorologici che spesso sono repentini (nell’arco di poche ore), con
la formazione di improvvisi temporali. È, infatti, molto accentuato l’apporto delle condensazioni
durante la stagione estiva.
7
Cfr. nota 6, pag. 16.
8
Cfr. nota 6, pag. 17.
15
1.1.5 Monumenti e opere d’arte.
Quello che caratterizza e distingue il territorio delle Alpi liguri rispetto ad altre regioni è
l’entroterra con i suoi bellissimi paesini, ricchi di storia, cultura, tradizioni ed arte. Le strutture
difensive (torri, mura, rocche, castelli), l’edilizia civile (ponti in pietra, ville, ambienti urbani), l’arte
religiosa (chiese, cappelle, santuari, conventi) e le strutture di supporto alle attività agricole, come
mulini e frantoi, costituiscono l’asse portante del patrimonio storico e culturale dell’area.
L’edilizia religiosa è ricca di opere d’arte di notevole bellezza legate ad autorevoli artisti: da
sottolineare le opere del Canavesio, del Brea, del Maragliano, di Guido da Renzo e del Cambiaso.
Questi autori, insieme ad altre scuole, operarono presso le comunità dell’entroterra, fra il XV e il
XVIII secolo dopo Cristo, lasciandoci veri e propri capolavori come il santuario di San Bernardino
a Triora (con affreschi del Canavesio), la chiesa di San Pantaleo a Ranzo (con un famoso ciclo di
affreschi) e il castello di Rezzo completo di arredi originali.
Particolarmente affascinante è il complesso di santuari e cappelle montane situate in luoghi
particolarmente panoramici, un tempo luogo di raduno dei pastori, oggi meta di passeggiate ed
escursioni.
Oggi purtroppo questo ricco patrimonio artistico, nonostante il presidio delle popolazioni locali,
versa in uno stato generale di abbandono e degrado. Nel caso degli affreschi, le condizioni molto
precarie delle chiese e delle parrocchie che li conservano, ne facilitano il deterioramento, favorito
anche dall’opera dell’uomo attraverso restauri spesso affrettati. Per quanto riguarda invece gli
oggetti d’arte e gli arredi, il pericolo proviene dai ripetuti furti, nei confronti dei quali mancano
completamente le misure di prevenzione e controllo. Paradossalmente, la necessità di restauro, che
porta le opere dal luogo originario ai centri specializzati (spesso fuori regione), è causa essa stessa
di sottrazione, visto che le opere una volta restaurate non tornano nei luoghi originari per la citata
assenza delle condizioni di sicurezza.
Per questa parte di patrimonio artistico la presenza di un parco porterebbe sicuramente degli
effetti positivi; tale soggetto potrebbe, infatti, favorire: un’opera complessiva di censimento delle
opere d’arte (comprese quelle trasferite per restauri), la messa in atto di sistemi di controllo e
prevenzione per furti ed atti vandalici, e infine la visita da parte dei turisti, ad esempio con visite
organizzate da cooperative di giovani locali.
16
Per ciò che concerne il tessuto urbano, la maggior parte dei centri, (soprattutto quelli situati più
all’interno), è interessata da fenomeni di degrado dell’edilizia più antica, proprio quella che più
caratterizza l’entroterra. La prospettiva del borgo non è delle più favorevoli, l’alternativa al
progressivo spopolamento (diverse scuole elementari stanno chiudendo o sono accorpate per il calo
demografico) è rappresentata in molti casi dal “silenzioso esproprio” da parte delle agenzie
immobiliari che, durante i restauri, spesso si disinteressano del mantenimento delle caratteristiche
originarie degli edifici.
Comunque, in questi ultimi anni, grazie ai cospicui fondi comunitari (Obiettivo 5b), qualcosa si
sta facendo; in molti paesi sono stati restaurati, o si farà prossimamente, molte strade e centri
storici.
17
1.1.6 Valori etnografici e tradizioni popolari.
Le Alpi liguri, oltre ad avere bellezze naturalistiche, architettoniche ed artistiche, sono anche una
terra di uomini, con le relative tradizioni, feste, sagre, mestieri, drammatizzazioni sacre e profane. A
questi valori è affidata la conservazione della memoria collettiva e la possibilità di trasmettere alle
generazioni future la cultura locale.
Nei paesini dell’entroterra, fino a non molti anni fa, si era conservata la consuetudine delle
veglie. Nelle serate invernali era usanza per la gente di campagna riunirsi nelle stalle o nelle cucine
per conversare. Venivano raccontate storie e leggende spesso riferite a presenze diaboliche o fatti
soprannaturali, tramandate di generazione in generazione. Erano temute soprattutto le streghe,
creature malefiche e misteriose, che soggiogavano le anime dei più deboli. A Triora, antico borgo
dell’alta valle Argentina, vi fu, verso la fine del XVI secolo, un clamoroso processo per atti di
stregoneria che portò al rogo di numerose donne del posto. Quest’antico paesino, con la sua
architettura rustica (portici, portali in ardesia, archi), conserva ancora nei propri carruggi
l’atmosfera di tempi che furono; la visita al museo Etnografico e della Stregoneria regala ancora
l’emozione di quel misterioso ed affascinante periodo.
La vita del mondo contadino era segnata nel corso dell’anno da una serie di eventi stagionali e
religiosi la cui origine risale ad antichissimi riti pagani. In particolare erano molto sentiti i
festeggiamenti per l’arrivo della primavera; tuttora in molti centri sopravvivono ancora interessanti
celebrazioni come quella di San Sebastiano a Dolceacqua nella domenica più vicina al 20 gennaio:
si tratta di un corteo che attraversa le vie del paese con in testa un grande albero di alloro ornato di
ostie colorate, augurio di buoni raccolti.
Comunque, con il declino della civiltà contadina, molte di queste festività sono scomparse; si sta
cercando in questi ultimi anni di recuperarne qualcuna per attirare maggior turismo, ma
naturalmente manca il fascino e il significato originario.
Molto numerose e particolarmente fiorenti erano le botteghe artigiane e quei mestieri quasi del
tutto scomparsi con il tramonto della civiltà contadina. A Rezzo sono ormai pochissime le persone
che realizzano a mano le ceste con il legno di nocciolo; quello del cestaio è ormai un mestiere che,
come molti altri dell’artigianato ligure, sta lentamente scomparendo.
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Anche i valori etnografici e le tradizioni popolari hanno dunque bisogno di una politica di
salvaguardia, per impedirne la totale dissoluzione. A tal fine la presenza di un parco potrebbe
favorire: la nascita musei e la creazione di strutture permanenti di documentazione e ricerca, con
possibili nuovi posti di lavoro per i giovani locali.
In generale, la conservazione di questo patrimonio culturale, non deve essere motivata da ragioni
semplicemente nostalgiche, ma da una profonda necessità di conoscere, salvaguardare, e tramandare
alle generazioni future una realtà culturale e sociale alternativa a quella dei sistemi urbani
maggiormente concentrati ed estesi al tempo stesso.