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tubicino, ma, dopo pochi tentativi falliti mi rivolsi all’ostetrica che
affacciatasi fra le gambe divaricate della signora borbottò: “Proprio
una infibulata ti doveva toccare! Ci credo che non ti riesca!”. Non mi
ricordo assolutamente com’era quella vulva, ero talmente turbata e
confusa! Mi ricordo che non mi riuscì e che guardai gli occhi di quella
donna in modo dispiaciuto.
Era africana e non parlava italiano, io non sapevo come fare a farle
capire che mi dispiaceva di non averla potuta aiutare. Lei mi rispose
con un sorriso.
Un secondo incontro con una ragazza mutilata l’ho avuto durante il
tirocinio in consultorio, non mi ricordo se frequentavo il secondo o il
terzo anno di ostetricia. La donna che avevo di fronte era bianca di
carnagione, non sicuramente africana, non era italiana, forse era
dell’est europeo e aveva raggiunto il consultorio perché doveva
effettuare un pap-test. Dopo averle chiesto alcuni dati che mi
servivano per compilare la scheda per lo screening, lei si svestì nella
parte inferiore e si accomodò sul lettino ginecologico per poter
svolgere l’esame. Con mio grande stupore e perplessità mi accorsi che
nella congiunzione superiore delle grandi labbra, sul clitoride, aveva
una pallina nera metallica: un piercing. Il possedere un piercing in una
zona così delicata è una forma di mutilazione genitale femminile e
l’OMS lo afferma quando parla del IV tipo di MGF.
Nel primo semestre del terzo anno la dottoressa Paola Marini
(responsabile dei consultori della Val di Nievole) una mattina durante
le sue lezioni del corso intitolato “Programmazione familiare e
prevenzione delle malattie sessuali trasmesse”, ci presenta un
7
questionario anonimo che aveva come tema “Le Mutilazioni Genitali
Femminili”, si trattava di domande sia aperte che chiuse, sulle
conoscenze che noi studentesse avevamo sulle MGF. Sarei curiosa di
rivedere oggi che cosa avevo scritto in quel questionario. La lezione
quella mattinata fu più interessante di tutte le altre; la dottoressa
Marini ci presentò per la prima ed ultima volta delle diapositive su
queste pratiche per noi così assurde. Rimasi molto incuriosita e
desiderai approfondire l’argomento: mi misi a leggere i due romanzi
di Waris Dirie (Fiore del deserto e Alba nel deserto) che raccontano la
storia della sua vita in Africa, dell’infibulazione che ha dovuto subire
da bambina. Dopo qualche mese decisi che la mia tesi di laurea l’avrei
svolta proprio su quest’argomento.
I migliori input per il lavoro condotto li ho ottenuti dalla dottoressa
Lucrezia Catania e suo marito, il dottor Omar Hussein Abdulcadir,
responsabile del Centro di Riferimento di Prevenzione e Cura delle
MGF di Careggi. Loro mi hanno permesso di visitare il centro e di
passare una giornata lì per farmi prendere consapevolezza di quante
donne africane ci sono in Toscana e soprattutto, quante donne mutilate
ci sono nella nostra regione! Nell’arco di 3-4 ore che sono stata in
quell’ambulatorio, si saranno presentate una ventina di donne che
avevano tutte una qualche forma di mutilazione genitale femminile.
Con questa tesi ho cercato di studiare quanto sia conosciuto e come
sia affrontato il problema delle MGF, a fronte della nuova legge
(legge n° 7 del 9 gennaio 2006), negli ospedali di Pistoia, Pescia e
Prato che, sebbene non siano ospedali di primo livello, si trovano
quotidianamente a confrontarsi con persone di ogni nazionalità e
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cultura dato che oggi viviamo in una società multietnica e
multiculturale e la pratica delle mutilazioni genitali femminili,
nonostante sia vietata in molti paesi fra cui l’Italia, persiste.
Nella prima parte del lavoro ho presentato il problema delle
Mutilazioni Genitali Femminili dandone la definizione, parlando della
terminologia, dell’epidemiologia, delle motivazioni che portano a
perseguire la pratica, di chi esegue le MGF, in che modo e da quanto
tempo. Un altro paragrafo è dedicato alle conseguenze e complicanze
date dalle MGF sia a breve che a lungo termine, sia fisiche che
psichiche, con maggior riferimento alle complicanze ostetriche, infatti
il capitolo 2 è completamente dedicato al parto e al ruolo dell’ostetrica
di fronte a questa problematica. La prima parte del lavoro si conclude
con un capitolo sulla lotta alle Mutilazioni Genitali Femminili, alla
legislazione in Africa e negli altri paesi con particolare attenzione alla
nuova legge che vieta le Mutilazioni Genitali Femminili in Italia.
Nella seconda parte del lavoro possiamo trovare lo studio effettuato
sulle cartelle cliniche dei reparti ginecologia e ostetricia degli ospedali
di Prato, Pescia e Pistoia e l’indagine conoscitiva sul rispettivo
personale sanitario. Nel primo capitolo della seconda parte troviamo i
metodi e gli strumenti utilizzati nella ricerca. Nel secondo capitolo
sono esposti i risultati, sia della revisione delle cartelle cliniche, sia
dell’indagine sul personale sanitario. Nel terzo capitolo vengono
discussi i risultati ottenuti dalla ricerca e nel quarto capitolo possiamo
leggere quelle che sono le conclusioni, con la proposta innovativa che
potrebbe risultare utile per migliorare il lavoro dei professionisti
sanitari.
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PRIMA PARTE
1.LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI
1.1 Definizione
Ogni asportazione definitiva e irreversibile di un organo sano è una
mutilazione. La vulva comprende l’insieme degli organi genitali
esterni femminili che sono: il monte di venere, le grandi labbra, le
piccole labbra, il clitoride, il vestibolo, il bulbo del vestibolo o bulbo
della vagina, il meato uretrale o urinario, le ghiandole del Bartolini, le
ghiandole vestibolari minori o periuretrali e l’imene.
Figura 1. Genitali esterni normali
10
Quando questi organi sono normali, non c’è alcun motivo medico,
morale o estetico per sopprimerli del tutto o in parte.
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le MGF come
tutte quelle procedure che comportano la rimozione parziale o totale
dei genitali esterni femminili o altri interventi dannosi sugli organi
genitali femminili tanto per ragioni culturali che per altre ragioni non
terapeutiche”
1
1.2 Terminologia
Il termine “Mutilazione Genitale Femminile” (che da ora in avanti
chiamerò MGF) fu introdotto prima degli anni ’90 da alcune
femministe che protestavano verso la dicitura allora in atto di
“circoncisione femminile”, che veniva usata per indicare queste
pratiche. Parlando di “circoncisone” però, si oscurano i gravi effetti di
questa procedura. “Analoghi interventi sull’uomo includerebbero
l’asportazione parziale o completa del pene piuttosto che la sola
asportazione del prepuzio”
2
. Nel 1990 la voce “mutilazione genitale
femminile” fu adottata con molta autorevolezza dal Comitato
Interafricano sulle pratiche che colpiscono la salute delle donne e delle
bambine (Inter-African Committee) tenuto ad Addis Abeba (Etiopia) e
nel 1991 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha
raccomandato alle Nazioni Unite di adottare questa terminologia, che
di conseguenza è stata ampiamente impiegata nei documenti
1
Catania L., Abdulcadir O.H., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta
del rito simbolico alternativo, Derive approdi, Roma 2005, p. 147.
2
Morrone A., Vulpiani P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali
femminili in Europa., Armando Editore, Roma 2004, p. 29.
11
dell’ONU”
3
. La parola “mutilazione” è stata pensata per rafforzare
l’idea di quanto questa pratica sia crudele nei confronti dei diritti
umani delle donne e delle bambine, in realtà le comunità coinvolte
non sono molto d’accordo sull’utilizzo di questo vocabolo, perché loro
non sono nell’intenzione di mutilare le proprie bambine. Per questo
motivo quando ci troviamo davanti a una donna proveniente da paesi
soggetti a MGF, non sarebbe produttivo per quanto riguarda
un’anamnesi accurata chiederle se ha subito una mutilazione genitale
femminile, lei risponderebbe sicuramente di no. È meglio chiederle se
nel suo paese vengono cambiati i genitali delle bambine e se lei ha i
genitali modificati, oppure usare il termine “infibulazione o gudnin”.
La terminologia impiegata (così come il tipo di MGF) varia a seconda
del gruppo etnico coinvolto. “I termini più usati sono “circoncisione
femminile” o l’espressione “aperta” o “chiusa” […] Altri utilizzano
l’espressione “chirurgia rituale genitale femminile” che si riferisce alla
natura non terapeutica delle procedure e presenta una connotazione
meno emotiva rispetto all’espressione “mutilazione genitale
femminile”.”
4
3
Unicef, Centro di ricerca Innocenti. Cambiare una convenzione sociale dannosa: la pratica
della escissione/mutilazione genitale femminile. Giuntina, Firenze, Italia 2005, p. 10.
4
Morrone A., Vulpiani P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali
femminili in Europa., Armando Editore, Roma 2004, p. 29.
12
1.3 Classificazione
L’OMS classifica a seconda della gravità 4 tipi di MGF:
I. È la forma di mutilazione meno grave. Consiste nella rimozione
del prepuzio clitorideo con o senza l’asportazione totale o
parziale dell’asta clitoridea. Si può limitare a volte ad una
piccola incisione sul clitoride da cui far stillare qualche goccia
di sangue (“Sette gocce di sangue” Sirad Salad Hassan 1996).
Questo tipo di MGF viene anche chiamato clitoridectomia o
sunna. Il termine sunna è un termine che l’OMS vuole
abbandonare perché dal punto di vista islamico sunna è
l’insieme delle parole, dei detti, dei gesti e dei comportamenti di
Maometto. Nel Corano è vietata qualsiasi modifica dell’aspetto
umano se non finalizzata a scopi terapeutici o preventivi
nonostante sia ammessa la circoncisione maschile che è un
dettame di Dio, così come per gli ebrei
5
.
La procedura più comune è quella di trattenere tra pollice e
indice il clitoride, tirarlo e tagliarlo con un movimento veloce
con un oggetto tagliente. L’emostasi viene fatta tamponando
la ferita con garze o altre sostanze o con punti di sutura.
“Un’analisi dettagliata della letteratura non individua alcuna
documentazione sulla circoncisione rituale, nel corso della
5
Crf. Catania L., Abdulcadir O.H., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la
proposta del rito simbolico alternativo, Derive approdi, Roma 2005, p. 206.
13
quale viene tolta solo la pelle intorno al glande della clitoride,
senza danneggiare la sensibilità dell’organo.”
6
Figura 2. MGF di I tipo
Figura 3. MGF di I tipo
6
Tola V., Scassellati G., Mancuso S.,Mutilazioni genitali femminili. Dimensioni culturali e
problematiche socioassistenziali, Poletto Editore, p. 12.
14
II. È l’escissione propriamente detta (chiamata anche tahara che in
sudanese significa purificazione o khefad che in arabo significa
riduzione). Consiste nell’asportazione del clitoride e di tutte o
parte delle piccole labbra (o ninfe).
L’operazione viene fatta anch’essa con un rapido movimento e
“l’emorragia viene arrestata con impacchi, bendaggi o punti di
sutura circolari che possono o meno coprire l’uretra e parte
dell’orifizio vaginale. Sono stati riportati casi di escissioni
estese la cui cicatrizzazione avviene con la fusione delle
superfici scoperte con una conseguente pseudo- infibulazione
anche se le parti non sono state cucite”
7
.
Figura 4. MGF di II tipo
7
Morrone A., Vulpiani P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali
femminili in Europa., Armando Editore, Roma 2004, p. 32.