5
Introduzione
Il termine “integrazione”, nelle scienze sociali, indica il processo attraverso il quale gli
individui diventano parte integrante di un sistema sociale, aderendo ai valori che ne
definiscono l‟ordine normativo. Un processo finalizzato alla convivenza pacifica che
riguarda tutta la società, i cui presupposti più importanti sono un atteggiamento di
apertura e di comprensione reciproca tra la popolazione autoctona e quella immigrata
1
.
Generalmente tali processi influenzano la vita delle persone sin dalla nascita, ma
quando si tratta di integrazione dovuta all‟immigrazione in un paese straniero la
situazione risulta diversa e necessita di apposite misure e soluzioni, poiché in un paese
ospitante si incontrano una lunga serie di ostacoli, primi fra tutti i pregiudizi nei
confronti degli individui immigrati. Questo lavoro è orientato a studiare quali sono i
principali pregiudizi presenti in Italia riguardo le comunità musulmane che vivono nel
nostro paese, partendo da chi sono alimentati, e cercando, per quanto è possibile, di
confutarli. In particolare, quando si parla di musulmani, si riscontra una reazione
nervosa e impaurita da parte dei cittadini. Sicuramente la situazione è notevolmente
peggiorata in seguito all‟attacco alle Twin Towers dell‟11 settembre 2001, che ha
generato una nuova serie di pregiudizi, ed è stata alimentata negativamente dai mass
media durante gli ultimi anni, provocando la nascita di un‟islamofobia diffusa. Tutte le
colpe però non possono essere attribuite solamente ai sistemi di comunicazione di
massa. Infatti, alla base della diffidenza, della paura, fino ad arrivare al vero e proprio
odio nei confronti della religione islamica, vi è senza dubbio un‟ignoranza di fondo,
ignoranza che sopravvive tra tanti e diversi pregiudizi anti-islamici sostenuti, anche
prima dell‟11 settembre, da alcuni esponenti sia del mondo politico, sia della Chiesa, sia
dell‟ambito intellettuale.
Si può riscontrare fra i cittadini italiani la quasi totale assenza di conoscenza su chi
siano veramente i musulmani e in cosa consista realmente la loro religione. Ciò fa sì che
l‟integrazione risulti difficile, lunga e a volte impossibile. Ma la cosa che appare ancor
più grave è l‟indifferenza verso il loro inserimento in Italia; non vi è nessuna voglia di
fare un passo nei loro confronti, e si preferisce restare ancorati al pregiudizio che siano
tutti “figli di Bin Laden” e che la violenza e il terrorismo facciano parte del loro Dna.
Quando si utilizza il termine “musulmano” il collegamento al velo, al burqa e ai
kamikaze è ormai diventato quasi automatico. Naturalmente non si può fare di tutta
l‟erba un fascio e generalizzare è sempre sbagliato. Però è un dato di fatto che,
soprattutto negli ultimi anni, sono la paura e l‟intolleranza a prevalere, non certo la
solidarietà e la volontà di sentirli parte della nostra società.
Scopo di questo lavoro vuole essere quello di mostrare il vero volto dell‟islam italiano,
cercando di capire chi siano i musulmani che vivono tra noi, in cosa credono, quali sono
le cose davvero importanti per la loro vita e per la loro comunità, per dimostrare che in
fondo non sappiamo molto di loro e ciò a cui siamo abituati a credere è applicabile
soltanto ad una piccolissima parte di essi. Alla base di questo lavoro vi è la convinzione
1
Enciclopedia Treccani, “Integrazione sociale”, http://www.treccani.it
6
che, se si favorisse una conoscenza reciproca delle rispettive culture, religioni e stili di
vita, a vincere sarebbe certamente la tolleranza. Il termine “tolleranza” forse non è
nemmeno adatto, poiché comporta l‟idea che vi sia qualcosa da sopportare. Mentre si
tratterebbe semplicemente di accettare che siamo diversi e che la convivenza non solo è
possibile ma anche utile e interessante per entrambi; per migliorare il nostro livello di
apertura ad un mondo che consideriamo totalmente estraneo e per aiutare l‟Altro a far
proprio ciò che c‟è di buono in Occidente. A perdere sarebbero sicuramente i pregiudizi
e gli stereotipi che per ora, purtroppo, sono ben radicati nelle due società e non
permettono di creare un‟Italia in cui queste due culture possano convivere
pacificamente.
Prima però di analizzare i principali pregiudizi anti-islamici, è bene fornire un quadro
generale sulla situazione attuale dell‟immigrazione musulmana presente in Italia, in
modo tale da comprendere verso chi si rivolgono i nostri stereotipi.
7
Capitolo I
Uno sguardo globale sull’immigrazione musulmana in Italia
1.1 Quando sono arrivati?
Per quanto riguarda l‟aspetto storico, prima di tutto è importante ricordare come la
storia italiana abbia un suo pezzetto di storia islamica. Si tratta di un periodo piccolo,
nascosto, quasi rimosso e dimenticato, ma con una sua storia. Anche se l‟islam di oggi è
un islam diverso e non ha una continuità con quello precedente, quest‟ultimo merita
comunque un breve cenno. La prima fase di presenza dell‟islam sul territorio italiano
risale all‟827 con lo sbarco degli arabi a Mazara del Vallo, e si conclude nel 1300 con la
distruzione della colonia saracena di Lucera per volontà di Carlo II d‟Angiò. In quegli
anni l‟epicentro fu sicuramente la Sicilia, la quale rimase stabilmente sotto il dominio
musulmano dal 947 al 1038. Prima di allora, però, l‟Italia aveva dovuto subire numerosi
attacchi, da parte degli arabi, soprattutto nelle zone del Meridione. Nel 813 avvenne il
primo attacco alla costa romana, che portò all‟assalto e alla distruzione dell‟odierna
Civitavecchia; nell‟anno 845 i musulmani occuparono Capo Miseno, Ponza e Taranto e
depredarono la città di Brindisi. L‟anno successivo posero sotto assedio Gaeta,
prendendo il controllo delle vie di comunicazione verso sud, e il 28 agosto navi
saracene giunsero alla foce del Tevere; dopo essere avanzati verso Roma da terra,
occuparono Civitavecchia, Portus e Ostia. Anche se gli assalitori non riuscirono a
penetrare nelle mura aureliane, devastarono e depredarono tutto ciò che vi si trovava
fuori, comprese le basiliche di S. Pietro e S. Paolo. Nell‟849 i saraceni subirono un duro
attacco da parte di Gaeta, Napoli e Amalfi le quali, dopo aver appurato che gli arabi
stavano per attaccare nuovamente Roma, misero a disposizione una flotta che si
posizionò tra Ostia e il Tevere e che riuscì a sbaragliare i nemici, portandoli alla ritirata.
Gli attacchi ai territori romani continuarono comunque anche negli anni successivi
2
.
Tornando alla Sicilia, nel periodo che va dal 947 al 1038, la regione ospitò mezzo
milione di musulmani e visse uno dei momenti storici più alti. Vennero infatti importate
dai paesi arabi importanti riforme economiche e produttive e Palermo nel X secolo
divenne la città più popolosa in Italia, con circa 300 mila abitanti. In seguito alla
conquista normanna, avvenuta tra il 1061 e il 1091, buona parte dei musulmani si
reimbarcò per l‟Africa e ne restano solamente 100 mila durante la creazione del Regno
di Sicilia. L‟esodo continuò fino ad arrivare a Federico II il quale, tra il 1220 e il 1223,
represse l‟ultima grande insurrezione islamica a Mazara. Tracce arabe resteranno nella
etimologia, nella lingua, nei costumi e nella civiltà. Tuttavia si tratta di storia
relativamente poco nota
3
.
Una seconda, ma effimera fase di presenza musulmana in Italia si ha tra il 1480 e il
1481, quando la città di Otranto venne occupata da un‟avanguardia ottomana. Questa
2
Stefanini M., “Le forme degli islam nostrani”, in Limes. Rivista italiana di geopolitica, Il nostro islam.
I musulmani d’Europa separati in casa?I circuiti dei terroristi, n.3, Roma, Carocci editore, 2004, pag.
109
3
Idem
8
però si trovò isolata in seguito alle guerre di successione derivate dalla morte
improvvisa del sultano Maometto II e, dopo la resa, un migliaio di musulmani vennero
arruolati nell‟esercito di re Ferdinando
4
.
Da questo momento in poi, per poter osservare la presenza musulmana in Italia
bisognerà attendere l‟epoca moderna, più precisamente la fine degli anni ‟60. È questo
il periodo in cui in Italia si verificano alcune importanti trasformazioni demografiche:
innanzitutto l‟esaurimento del flusso migratorio italiano verso l‟estero, ma anche il
blocco della migrazione interna dal Nord al Sud. Inoltre in quegli anni inizia la caduta
della natalità e il progressivo invecchiamento della popolazione. L‟Italia smette dunque
di essere un paese di emigranti e affronta una nuova fase, quella di nazione di
immigrazione, ed è proprio allora che inizia a doversi confrontare con una realtà nuova:
l‟islam in Italia. L‟islam contemporaneo arriva inaspettato, ovvero senza che le
istituzioni e le società fossero pronte. La nazione si trova infatti a dover affrontare un
fenomeno del tutto nuovo, che salta totalmente le fasi registrate in altri paesi europei,
come la Francia, la Germania e il Regno Unito. Ciò significa che non c‟era una
tradizione di rapporti coloniali o neocoloniali con paesi islamici e che nella penisola non
vi era nessuna presenza islamica negli eserciti
5
. Per quanto riguarda il nostro paese,
l‟unico rapporto contemporaneo di qualche importanza si è avuto durante l‟epoca
fascista, quando Mussolini si faceva fotografare con in mano la “spada dell‟Islam”, che
gli era stata donata a Tripoli nel 1937 da alcuni capi indigeni (anche se il dono non era
stato proprio spontaneo)
6
.
Bisognerà quindi attendere gli anni ‟60 per poter parlare di immigrazione islamica in
Italia. È in quel periodo, infatti, che l‟Onu affida al nostro paese l‟amministrazione
fiduciaria della Somalia, ed è in seguito a ciò che iniziano ad arrivare i primi flussi di
somali, molti dei quali andranno a frequentare le accademie per ufficiali. Inoltre, sempre
in quegli anni, cominciano ad arrivare diversi gruppi di profughi provenienti da paesi
islamici. A questi si aggiungeranno numerosi studenti provenienti soprattutto da Siria,
Giordania e Palestina. Saranno proprio loro a dare vita, nel 1971, alla costituzione della
prima associazione di musulmani, l‟USMI (Unione degli Studenti Musulmani d‟Italia),
creata all‟Università di Perugia. Ma la presenza islamica più importante e influente di
quegli anni sarà quella dei diplomatici e degli uomini d‟affari. Proprio riguardo gli
affari, nel 1966 re Faysal dell‟Arabia Saudita, dopo una visita di stato, sarà il primo a
suggerire di edificare una moschea a Roma, mettendo in evidenza la possibilità di
“investire” nel nostro paese. In seguito, nel 1969, nasce a Roma il Centro Culturale
Islamico d‟Italia (CCII), ed è ad esso che si devono i primi progetti sulla moschea di
Roma, che verrà poi aperta solamente nel 1995. Durante gli anni Settanta si verificherà
anche l‟arrivo dei primi musulmani dal Nord d‟Africa, principalmente dal Marocco. Un
consistente apporto verrà dato dalla venuta di immigrati albanesi e dall‟aumento dei
4
Idem
5
Nella Francia della Prima Guerra Mondiale la presenza di musulmani negli eserciti era consistente. La
moschea di Parigi nacque infatti, negli anni ‟20, proprio come ringraziamento simbolico ai musulmani
caduti sotto la bandiera francese.
6
Allievi S., Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’Islam europeo, Roma, Carocci editore, 2002, pp. 47-
48
9
marocchini negli anni ‟90; mentre di data più recente sono i flussi migratori senegalese,
tunisino, egiziano, pakistano, bengalese
7
ecc…
1.2 Quanti sono?
Quando si affronta il tema della consistenza della presenza straniera in Italia, è
opportuno avere chiarezza sui dati quantitativi. Quando però si parla della presenza
islamica, la cosa si rivela complicata. È infatti difficile stimare esattamente il numero di
musulmani presenti in Italia, sia perché innanzitutto l‟appartenenza religiosa non è
sempre facilmente rilevabile, sia perché il cosiddetto “musulmano” è difficile da
contestualizzare. Infatti non è semplice capire chi si può definire “musulmano”, e chi
invece rimane fuori dalla categoria. Rispondere alla domanda: quanti sono i musulmani
in Italia? è un‟impresa ardua, che implica prendere coscienza che ci si troverà di fronte
ad una buona dose di approssimazione, poiché si incontreranno svariate difficoltà.
Innanzitutto, come detto, si tratta di soggetti difficilmente catalogabili. Non sarebbe
opportuno, per esempio, associare l‟identità nazionale con l‟identità religiosa. È come se
sostenessimo che gli italiani, in quanto italiani, siano necessariamente tutti cattolici.
Naturalmente ciò non corrisponde al vero. Allo stesso modo, per fare un esempio,
esistono in Egitto (paese a maggioranza musulmana) cristiani ortodossi, protestanti,
cattolici, ebrei, ma anche coloro che, pur essendo nati da genitori musulmani, di fatto
non sono praticanti, oppure laici, agnostici o atei. Dunque non sarebbe affatto corretta
una semplificazione del genere.
I problemi però non si esauriscono qui. Infatti la definizione di “musulmano”, se
considerato come un‟entità unica, è imperfetta. Sarebbe più corretto operare una
distinzione tra le varie comunità confessionali musulmane, a cominciare dalla differenza
tra sunniti e sciiti e fra le diverse scuole teologiche, ideologiche, giuridiche, culturali
presenti nell‟islam. Allo stesso modo, anche quando parliamo di cristiani, applichiamo
la distinzione tra cattolici, protestanti e ortodossi. Per poter ottenere dei dati il più
possibile attendibili bisogna quindi tenere ben presente la realtà del pluralismo islamico
(di cui si parlerà più avanti)
8
.
A questo punto, il problema che si pone davanti è: in assenza di un atto formale che
attesti la religione di appartenenza, quali sono i criteri da utilizzare per poterli
quantificare? La risposta è: concentrarsi esclusivamente sugli individui provenienti da
paesi a maggioranza musulmana (più del 50% della popolazione totale). Eccone una
lista completa aggiornata al 2009:
7
Stefanini M., “Le forze degli islam nostrani”, in Limes. Rivista di geopolitica, op. cit, pp. 109-110
8
Allam M., “La mappa dell‟islam italiano”, in Gritti R./Allam M., Islam, Italia. Chi sono e che cosa
pensano i musulmani che vivono tra noi, Milano, Guerini e Associati, 2001, pp. 41-42
10
Tabella 1
Afghanistan 99,7% Libano 59,3%
Albania 79,9% Libia 96,6%
Algeria 98% Malaysia 60,4%
Arabia Saudita 97% Maldive 98,4%
Azerbaigian 99,2% Mali 92,5%
Bahrein 81,2% Marocco 99%
Bangladesh 89,6% Mauritania 99,1%
Brunei 67,2% Niger 98,6%
Burkina Faso 59% Nigeria 50,4%
Ciad 55,8% Oman 87,7%
Comore 98,3% Pakistan 96,3%
Egitto 94,6% Qatar 77,5%
Emirati Arabi Uniti 76,2% Senegal 96%
Gambia 95% Sierra Leone 71,3%
Gibuti 96,9% Siria 92,2%
Giordania 98,2% Somalia 98,5%
Guinea 84,4% Sudan 71,3%
Indonesia 88,2% Tagikistan 84,1%
Iran 99,4% Territori Palestinesi 98%
Iraq 99% Tunisia 99,5%
Kazakhstan 56,4% Turchia 98%
Kirghizistan 86,3% Turkmenistan 93,1%
Kosovo 89,6% Uzbekistan 96,3%
Kuwait 95% Yemen 99,1%
Tratta da: “List of countries by muslim in the world”, http://en.wikipedia.org
Dopo aver individuato quali sono i paesi da tenere in considerazione, per elaborare una
stima dei musulmani presenti in Italia, bisogna considerare quattro categorie: a) gli
immigrati regolari; b) gli immigrati clandestini; c) gli immigrati che hanno acquisito la
cittadinanza italiana; d) gli italiani convertiti all‟Islam. Naturalmente però non si tratta
di un criterio che permette di ottenere dei numeri precisi poiché, oltre ai problemi
relativi già esplicitati, si presenta anche quello degli immigrati irregolari. Infatti il
numero degli immigrati entrati illegalmente in Italia o privi del permesso di soggiorno
varia con molta frequenza. La verità è che si adotta questo metodo soltanto perché non
ne esiste un altro, e non certo perché si ritiene che sia quello corretto
9
.
Detto ciò, esistono delle stime che si possono ritenere per lo meno attendibili. Una di
queste è fornita dal Dossier statistico sull‟immigrazione che l‟associazione
Caritas/Migrantes pubblica ogni anno con dati aggiornati. Proprio grazie a questo
aggiornamento costante, si può notare come il numero degli immigrati islamici sia
notevolmente aumentato negli ultimi anni. Infatti agli inizi degli anni „80, dopo l‟arrivo
dei gruppi di cui si è accennato, la popolazione non era superiore ai 50-60 mila
individui. Ma attualmente l‟islam è divenuto in Italia la seconda principale confessione
religiosa dopo il cattolicesimo, e ciò è avvenuto in un tempo brevissimo. Secondo le
stime del Dossier 2010 Caritas/Migrantes, il numero dei musulmani nel nostro paese si
9
Ibidem, pp. 42-43
11
aggira attualmente intorno a 1.500.000. Questo dato tiene conto anche sia dei cittadini
italiani di nascita convertiti che degli immigrati che hanno acquisito la cittadinanza
(insieme queste due categorie raggiungono la quota di 67.000 individui). Tale stima
comprende anche gli immigrati regolari, consistenti in 912.000 persone (82%) e gli
immigrati clandestini, con circa 132.000 presenze (12%)
10
.
È interessante sottolineare come, fra le prime 20 comunità straniere residenti in Italia,
ben otto provengono da Paesi a maggioranza musulmana. Infatti, come mostra la tabella
2, al secondo e terzo posto troviamo l‟Albania e il Marocco, e scendendo si incontrano
Tunisia, Egitto, Bangladesh, Senegal, Pakistan e Nigeria. In Italia dunque il numero dei
fedeli musulmani corrisponde a circa l‟1,9% della popolazione italiana, contro un 91,6%
di Cristiani. Le altre religioni in totale raggiungono lo 0.7%, mentre il restante 5.8% è
costituito da non religiosi o atei
11
.
Tabella 2
Presenza straniera residente in Italia al 1 gennaio 2010 per paese di cittadinanza.
Primi 20 paesi (paesi a maggioranza musulmana evidenziati).
Paesi 2010
Romania 887.763
Albania 466.684
Marocco 431.529
Cina R.P 188.352
Ucraina 174.129
Filippine 123.584
India 105.863
Polonia 105.608
Moldova 105.600
Tunisia 103.678
Macedonia 92.847
Perù 87.747
Ecuador 85.940
Egitto 82.064
Sri Lanka 75.343
Bangladesh 73.965
Senegal 72.618
Pakistan 64.859
Serbia e Mont. 57.877
Nigeria 48.674
Bulgaria 46.026
Tratta da: Dossier statistico immigrazione 2010 Caritas/Migrantes
10
Wikipedia, “Islam in Italia”, http:// it.wikipedia.org
11
Idem
12
Rimanendo nell‟ambito dei dati quantitativi, per rendere ancora più chiara ed evidente
la consistenza numerica dei musulmani in Italia potrebbe, infine, essere interessante fare
un piccolo accenno al numero dei luoghi di culto attualmente presenti. Come si evince
dal Dossier statistico 2010 Caritas/Migrantes, oggi le moschee e i luoghi di culto
islamici in Italia sono circa 400 con 300 imam, ovvero uno ogni 5.000 fedeli
12
. Secondo
un‟indagine pubblicata l‟8 febbraio 2010 sul quotidiano La Repubblica, le regioni in cui
i luoghi di preghiera sono più numerosi sono la Lombardia (123), il Veneto (110) e
l‟Emilia Romagna (104). Seguono poi il Piemonte, la Sicilia e il Lazio, che si aggirano
tra le 60 e le 36 moschee e luoghi di culto. Si va a scendere fino a quelle regioni in cui
ancora ve ne sono pochissimi, come la Sardegna (6), la Valle d‟Aosta (3), la Basilicata e
il Molise (2)
13
. Sarebbe interessante approfondire come mai in queste regioni vi siano
così pochi luoghi di culto: potrebbe dipendere dalla minore consistenza degli immigrati,
ma anche da problemi d‟integrazione incontrati nelle specifiche regioni.
1.3 Come sono distribuiti?
Per capire meglio la condizione degli immigrati islamici nel nostro paese, è importante
sapere quali sono i territori in cui hanno scelto di vivere e quali le motivazioni di tali
scelte. Facendo riferimento ad alcuni dati statistici aggiornati, si è scelto, per attuare una
semplificazione, di osservare quelli riguardanti le tre comunità più numerose, ovvero
quella albanese, quella marocchina e quella tunisina, dato che rappresentano le tendenze
principali dei musulmani d‟Italia. Le tre collettività risiedono in quasi tutte le aree del
paese, ma con livelli di concentrazione differenti a seconda delle zone. Vediamo caso
per caso.
La comunità albanese, come visto nella tabella 2, si trova al secondo posto nella
graduatoria delle comunità straniere più numerose in Italia. Essa attualmente consta di
441 mila residenti, cioè più del 5,7% del totale. La regione in cui essi prevalgono è la
Puglia, dove rappresentano il 26,1% del totale degli stranieri, con quasi 22 mila
residenti; una situazione molto simile la si può trovare anche nelle Marche, dove più di
uno straniero su sei è albanese. I cittadini albanesi, negli ultimi dieci anni, sono più che
triplicati, passando da poco più di 127 mila presenze al 1 gennaio 2000 a circa 467 mila
nel 2010. Nonostante la Puglia e le Marche siano le due regioni in cui la presenza
albanese è più consistente, essi risultano oggi sparsi un po‟ in tutte le aree del paese. Si
nota, infatti, una particolare concentrazione attorno ai grandi capoluoghi di provincia,
come Milano, Torino, Genova e Firenze, ma anche nel Veneto e nelle zone costiere
12
Perego G./Gnesotto G., “Immigrati e religioni: preminenza degli ortodossi e dibattito sulle moschee”, in
Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2010. XX Rapporto, Roma, Idos edizioni, 2010, pag.
207
13
Idem.