Conflitti interreligiosi e strategie del terrore Introduzione
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Introduzione
Parlare di religione, o meglio, di religioni, è di sicuro un arduo compito: la
complessità del fenomeno e la molteplicità delle forme e delle espressioni
a cui esso fa riferimento, comportano inevitabilmente un numero illimitato
di considerazioni e approcci; questi permettono di cogliere il senso ma,
soprattutto il ruolo, che la religione svolge all’interno dei contesti sociali.
Attualizzando il concetto possiamo riflettere su una dimensione religiosa
destinata a modificarsi poiché in stretta relazione con una società in
trasformazione. Nonostante siano caratterizzate da processi di
laicizzazione, le società, infatti, sembrano costituirsi sul concetto di
religione e sulla volontà di affermare la dipendenza dell’uomo dalla
divinità. L’importanza del fenomeno religioso riguarda anche il posto di
rilievo che esso occupa nelle dinamiche conflittuali moderne, oggetto
privilegiato di questa trattazione.
Prendendo in considerazione alcune teorie classiche appartenenti alla
sociologia delle religioni, come, ad esempio, quella funzionalista
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di
Durkheim, possiamo considerare il fenomeno religioso come
interdipendente dalla società nella quale ha la possibilità di affermarsi e
diversificarsi.
Per Durkheim, infatti, la religione è l’elemento in grado di creare
integrazione e coesione sociale, funzionale alla sopravvivenza della società
stessa; essa è il frutto della coscienza collettiva, intesa come «l’insieme
delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa
1
La concezione funzionalista risolve la religione e la sua essenza richiamando, esplorando e interpretando
la funzione che essa assolve con riguardo alla società nel suo complesso, in termini di stabilità e di
autocoscienza, ai gruppi sociali, specialmente primari come la famiglia, e agli individui stessi. Cfr.
FRANCO FERRAROTTI, “ Il contributo dei classici”, in AA.VV. Sociologia della religione, a cura di
Domenico Pizzuti, Borla s.r.l., Roma 1985, cit, p. 33.
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società ».
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La società, è dunque la fonte del sacro e della religione, per
questo, non può esserci società che non senta il bisogno di conservare e
rinsaldare i sentimenti e le idee collettive che ne costituiscono l’unità.
La religione è qualcosa di collettivo e questo è testimoniato dai motivi che
influenzano la sua nascita: essa nasce, infatti, per soddisfare un bisogno di
risposte e di concretezza che caratterizza tutto il genere umano.
Oltre alla consapevolezza di un rapporto individuale con la divinità, l’uomo
ha la necessità di condivide con gli altri la propria condizione terrena, di
estendere all’esterno la sua volontà di credere; da ciò prende vita il
concetto di comunità che, attraverso i simboli, dà vita ad una
comunicazione globale con la divinità.
Attraverso l’approccio con le teorie di O’Dea,
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che ripropone la tematica
funzionalista già sviluppata da Durkheim, è possibile rintracciare le
funzioni proprie della religione tra le quali figurano: quella di sostegno e di
consolazione, l’offerta di un rapporto trascendentale che dia sicurezza e
identità mediante i riti, l’identità stessa che permette ai singoli di
autodefinirsi e percepirsi.
La religione dunque, per il profilo funzionalista identifica l’individuo con il
suo gruppo, lo sostiene, lo consola, rafforzando l’unità e la stabilità sociale.
In seguito, l’analisi condotta da Luhmann,
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ci aiuta a comprendere come le
strutture del sub-sistema religioso si differenzino per meglio rispondere alle
crescenti complessità dell’ambiente.
2
EMILE DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, Comunità, Milano 1962. Cfr. anche FRANCO
FERRAROTTI, “Il contributo dei classici” in AA.VV. Sociologia della religione, op. cit., p. 17.
3
T.F. O’DEA., Sociologia della religione, Il Mulino, Bologna 1971.
4
NIKLAS LUHMANN è professore di Sociologia presso l’Università di Bielefeld, in Westfalia. La
fortuna di questo autore in Italia è notevole. La sua conoscenza da parte del pubblico italiano è cominciata
con la traduzione dei due volumi della Rechtssoziologie (Sociologia del diritto, Laterza, Bari 1977),
seguiti dal Sistema giuridico e dogmatica giuridica, il Mulino, Bologna 1978 e poi da Stato di diritto e
sistema sociale, Guida, Napoli 1978. Cfr. ENZO PACE, “Società complessa e religione”, in AA.VV.
Sociologia della religione, op. cit., p. 255.
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Secondo Luhmann, nelle moderne società complesse, la religione perde la
sua funzione di integrazione e di controllo sociale per lasciar spazio ad una
interpretativa, in grado di “cogliere il senso”. Essa interpreta il mondo
circostante indefinito per la società producendo un senso di unità che,
coinvolgendo tutti i sistemi, fornisce un orientamento. Da ciò deriva che la
religione diventa un mezzo di comunicazione come il potere, la verità, il
denaro.
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La religione, così intesa, rappresenta un elemento basilare, per questa
analisi, poiché è proprio la grande capacità comunicativa ad entrare con
forza nelle dinamiche conflittuali.
Il passo successivo alla definizione delle funzioni proprie della religione,
consiste nel tracciarne il percorso dalle origini fino alla sua affermazione
nei contesti sociali.
Questo ci offre la possibilità di comprendere come la risposta agli enigmi
dell’esistenza umana si diversifichi in base alle diverse domande poste dai
popoli della terra dando vita ad una grande proliferazione di professioni di
fede.
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Attraverso lo sviluppo storico della religione, poi, assistiamo alla nascita
dei grandi monoteismi, Ebraismo, Cristianesimo, Islam che, essendo
religioni rivelate, ovvero fondate su un’esperienza di rivelazione di Dio,
quindi su un testo sacro, rivendicano pretese di unicità. Questo aspetto
costituisce il primo motivo di tensione e di conflitto poiché, la sicurezza di
5
NIKLAS LUHMANN, Funktion der religion, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1977.
6
Per fede s’intende, dal punto di vista sociologico, “un atto originario” nel quale l’uomo progetta il senso
totale della propria esistenza; esso è decisione, progetto, azione del pensiero, actus fidei, stimolo
originario e iniziale. Cfr. SILVANA BURGALASSI, “La sociologia religiosa: proposte definitorie e
problemi attuali” in AA.VV. Sociologia delle religioni, op. cit., p. 147.
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possedere la verità assoluta, genera una situazione concorrenziale tra i
monoteismi che sfocia in una difficoltà di dialogo interreligioso, quindi di
comunicazione.
La diversità scaturisce, dunque, dal filtro etnico e culturale che fornisce
domande differenziate; da motivo di coesione sociale la religione diventa
motivo di diversità; le varie comunità si riconoscono in una determinata
cultura e in determinati dettami religiosi che favoriscono la formazione
della propria identità.
Le tensioni nate dalla diversità si concretizzano e ampliano la loro essenza
all’interno delle moderne società multi-culturali, nelle quali, diverse
culture, quindi sistemi diversi di credenza, hanno la possibilità di
confrontarsi e di scontrarsi.
I contenuti delle contese riguardano anche le norme religiose, in parte
giustamente diverse, soprattutto quando esse toccano la convivenza
quotidiana e le istituzioni giuridiche.
La diversità rappresenta l’humus, il terreno fertile per la nascita di
incomprensioni che sfociano in conflitti, una sorta di Torre di Babele, per
utilizzare un’espressione biblica.
I conflitti religiosi possono essere, però, di diversa natura, a seconda della
valenza e del significato che assumono nella società.
Nella seconda parte del lavoro, l’attenzione si soffermerà sulle ambiguità
funzionali della religione che caratterizzano la nascita di conflitti aspri e
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violenti, lesivi dei diritti umani, i quali inducono la religione ad essere
integrativa, per coloro che promuovono lo scontro, ma disgregativa per la
società.
I concetti coinvolti sono i medesimi in grado di produrre coesione sociale
ma, essi, assumono connotazioni diverse: l’identità, che permette ai singoli
di autodefinirsi, viene ostentata e intesa come necessità di difendersi
dall’altro, dal nemico. La funzione comunicativa, prerogativa della
religione, si trasforma in linguaggio delle politiche d’identità e diviene,
nell’azione collettiva, una risorsa per poter ottenere degli obiettivi; la
comunicazione religiosa diventa una strategie da mettere in atto e
rappresenta un modo per decontestualizzare e interpretare i concetti e i
messaggi religiosi, per adattarli alla situazione contingente.
I simboli, propri di ogni cultura, fungono da rappresentanti del dramma
delle identità che si sentono minacciate; anche essi agiscono come mezzo
di comunicazione sociale, idoneo a convincere la coscienza della validità
del ricorso alla violenza.
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I simboli, che, come vedremo nel corso della trattazione, possono essere
costituiti da riti o da dettami religiosi contenuti nei testi sacri, permettono
di avere una rappresentazione della diversità che distingue un’etnia da
un'altra.
La comunità, chiudendosi in se stessa diventa setta, gruppo, che si ghettizza
e diversifica in rapporto alle altre modalità religiose, sociali, civili.
Le religioni entrano in un conflitto aspro e violento quando finiscono per
7
Cfr. ENZO PACE, Perché le religioni scendono in guerra, Laterza, Bari 2004.
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diventare delle ideologie etniche; l’ideologia,
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strettamente collegata al
concetto di religione, è frutto di un uso rigidamente statico del “religioso”.
Essa costituisce una forma sostitutiva e degradante del rapporto con il
trascendente.
La religione, vissuta come ideologia etnica, travalica i confini spirituali
assumendo caratteri, obiettivi e programmi distintamente politici che danno
vita a forme di radicalismo portatrici di una violenta conflittualità e
persecuzione. Queste forme di radicalismo, sono l’espressione di gruppi,
che distaccandosi dalla comunità, interpretano autonomamente, la parola
rivelata, le attribuiscono un senso nuovo, ambiguo e pericoloso.
I movimenti radicali nascono in seno ad ogni fede religiosa; essi sono insiti
nei monoteismi e si distinguono per la forza con cui professano i loro
messaggi e raggiungono i loro obiettivi.
L’esempio del radicalismo islamico, da non confondere con il
fondamentalismo, ci aiuta a comprendere il fenomeno attraverso le
strategie utilizzate dai gruppi per compiere la loro azione distruttiva.
Ritroviamo gli elementi propri delle religione a cui vengono attribuite
nuove funzioni: il testo sacro, rappresentato dal Corano, il concetto di Jihâd
e di martire impropriamente intesi, la ritualità, il sacrificio.
Nei gruppi sono rintracciabili alcune caratteristiche fondamentali come,
il ricorso alla violenza indiscriminata, la clandestinità, il movente
religioso; per questo, il radicalismo islamico è inserito in un concetto più
ampio, denominato terrorismo religioso.
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Cfr. SILVANA BURGALASSI “La sociologia religiosa: proposte definitorie e problemi attuali”, op. cit.
p.155.
Conflitti interreligiosi e strategie del terrore Introduzione
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Le strategie, che il terrore mette in atto, riguardano: l’asimmetria degli
scontri, l’uccisione di civili, la capacità di destabilizzare psicologicamente
attraverso la creazione di situazioni di insicurezza e precarietà, la forte
capacità comunicativa che riscontra consensi e genera atti emulativi, la
figura del martire suicida. In ultimo, la capacità di porre in essere un’azione
locale che si diffonde a livello globale, dando vita ad una guerra di tipo non
convenzionale.
Se consideriamo le azioni dei gruppi radicali come atto di devianza,
possiamo applicare a tali fatti alcune teorie: un esempio è rintracciabile in
quella elaborata dalla scuola di Chicago, sull’eziologia delle bande giovani
dei quartieri urbani sfavoriti, che ci permette di effettuare dei confronti.
L’ultima parte del lavoro è dedicata alle possibili soluzioni ipotizzabili per
ridurre i conflitti, soprattutto quelli che mettono in serio pericolo la
sicurezza, la dignità, la vita.
Il fenomeno del terrore va circoscritto ed individuato, separato, nel caso del
radicalismo islamico, dalla comunità della quale rappresenta una
degenerazione. E’, infatti, importante sottolineare come, l’attenzione
concentrata solo sugli aspetti militari e violenti dell’islam radicale, generi
timori e pregiudizi che spesso vanno a discapito della comunità di fedeli
propriamente intesa. Pregiudizio, disinformazione, paura sono anch’essi
elementi di conflitto.
Conflitti interreligiosi e strategie del terrore Le funzioni sociali della religione
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Parte I
Capitolo primo Le funzioni sociali della religione
Lo studio delle funzioni proprie della religione, all’interno dei contesti
sociali, è argomento ampiamente dibattuto e teorizzato.
Dal punto di vista sociologico, la religione è considerata garante dell’ordine
pubblico e della coesione sociale; le interpretazioni, date al fenomeno dai
sociologi, pongono l’attenzione su aspetti differenti dell’oggetto indagato.
L’obiettivo di dimostrare come la religione costituisca un elemento in
grado di assicurare alla società equilibrio e stabilità, trova concretezza nella
teoria funzionalista elaborata dal sociologo francese Emile Durkheim.
Egli scorge nel fenomeno religioso una costruzione puramente sociale,
esterna all’individuo,
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in grado di impedire processi dissociativi. Esso ha la
capacità di mettere in campo una serie di risorse simboliche in grado di
integrare gli individui ad un insieme di valori comuni. La coscienza
collettiva,
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intesa come entità sociale indipendente dalle singole coscienze
e dotata di una logica di sviluppo autonoma, rappresenta l’elemento in
grado di assicurare alla società una stabilità nel tempo.
Per Durkheim, dunque, la coscienza collettiva, funzionale alla società, si
concretizza nei rituali religiosi, durante i quali i partecipanti sperimentano
un particolare stato d’animo che si diffonde come per contagio. Ciò è
fondamentale per rafforzare la struttura del gruppo e della comunità.
La religione, per Durkheim può essere intesa come una sorta di catena
circolare, che ha nell’organizzazione sociale l’anello d’inizio e di fine.
9
EMILE DURKHEIM, Sociologie et philosophie; Alcan, Paris 1905. Cfr. FRANCO FERRAROTTI, “Il
contributo dei classici”, in AA.VV. Sociologia delle religioni, op. cit., p. 18.
10
EMILE DURKEIM, La divisione del lavoro sociale, Comunità, Milano 1963.
Conflitti interreligiosi e strategie del terrore Le funzioni sociali della religione
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La società riesce ad esprimersi nella mente umana e organizza le
esperienze umane; le persone, cercando di spiegare questa influenza
all’infuori di sé, sviluppano religioni che ricalcano le strutture delle proprie
società.
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Nella religione, intesa come fenomeno unificatore della collettività, grande
importanza è rivestita dai vari elementi
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di cui si compone poiché
rappresentano un avvicinamento a Dio attraverso dinamiche precise; essi
concorrono alla formazione di un livello globale di comunicazione con la
divinità.
Tali elementi sono: la fede, in grado di suscitare la convinzione che le
divinità siano quelle vere; i riti, catalizzatori dell’esistenza umana,
permettono a Dio di essere partecipe di tutta l’esperienza umana; Il
sacrificio, che attraverso l’offerta dei propri beni a Dio, unifica l’uomo e da
coronamento alle formulazioni rituali; la festa, dividendo il tempo profano
da quello sacro, palesa la presenza di Dio. L’etica che, rappresentando il
bisogno di regolare la propria singola morale con quella degli altri, dà vita
al concetto di legge divina.
Abbiamo poi altri due elementi funzionali a dare continuità nel tempo alla
religione: la tradizione, che certifica la volontà della comunità di
mantenersi unita nel tempo e, “Il libro sacro”, rappresentante
dell’importanza della trasmissione culturale religiosa.
I simboli, che possono essere contenuti nei testi sacri, rappresentano una
modalità univoca di comunicazione; essi, condivisi dai fedeli, permettono
di esplicitare il rapporto collettivo con la divinità.
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Cfr. NEIL J. SMELSER, Manuale di sociologia, traduzione italiana di Alda Savio, il Mulino, 1987.
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Cfr. ELIA RUBINO, I sentieri dell’umanità, Istituto superiore di Scienze Religiose Ambrogio
Autperto, Campobasso 2001, cit., p. 24.