Capitolo Primo
Sviluppo economico ed effetti territoriali nel Veneto
1.1 - L'evoluzione economica
1.1.1 - Lo sviluppo tra '800 e '900
La metamorfosi che ha trasformato il Veneto in una delle regioni europee
economicamente piø attive viene solitamente fatta iniziare negli anni Cinquanta e
Sessanta del Novecento, ma in realtà già molti decenni prima alcune aree avevano
conosciuto profonde trasformazioni. Da questi poli, lo sviluppo si diffuse portando il
Veneto, in gran parte ancora agricolo, a figurare nella rilevazione statistica del 1903
come la “terza” regione industriale.
Lo sviluppo economico partì dalla fascia pedemontana e montana dove, già in età
moderna, si concentravano un complesso di fattori favorevoli: abbondanza relativa
di materie prime ed energia idrica, antica attività protoindustriale, patrimonio di
competenze tecniche ed imprenditoriali accumulate in svariati settori, forme di
integrazione agricolo-commerciale-artigianale, propensione al rischio d'impresa e
agli scambi (cfr. Fontana, 2000, pp. 82-88).
Nell'Ottocento il tessuto produttivo regionale era essenzialmente costituito da
imprese di piccole dimensioni sparse sul territorio, in buona parte officine
meccaniche e laboratori tessili. Grandi imprese come i lanifici Rossi e Marzotto,
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associati ad un fitto apparato manifatturiero, portarono all'apice
dell'industrializzazione regionale la provincia di Vicenza.
Nelle aree rurali, l'integrazione tra agricoltura e industria, preziosa per le entrate
familiari, era una diffusa e antica consuetudine legata al lavoro manuale casalingo
per la produzione di attrezzi e oggetti d'uso quotidiano, nei periodi morti del ciclo
agricolo.
A partire da metà Ottocento, per la modernizzazione della regione e per l'emergere
delle attività produttive minori rilevante fu il ruolo del credito, che era presente sul
territorio con una ampia e capillare rete di società di mutuo soccorso e assicurative,
cooperative d'ispirazione cattolica, banche mutue popolari e casse rurali.
1.1.2 - Venezia e il veneziano
Gli insediamenti industriali veneziani furono il risultato di un processo di
modernizzazione delle manifatture tradizionali che si sviluppò nel corso del XIX
secolo con l'infittirsi di un tessuto di piccole aziende uniformemente distribuite nella
città (fonderie, cererie, ferriere, fabbriche di conterie e mosaici, tessiture e piccoli
cantieri) (cfr. Fontana, 2000, p. 111). A fine Ottocento notevoli complessi industriali
e nuove attività portuali si dislocarono in città, mentre altri opifici si trasferirono a
Venezia dalla terraferma, come ad esempio i Mulini Stucky. Su richiamo
dell'Arsenale, altre imprese e cantieri si stabilirono a Castello o negli ampi spazi
dell'isola della Giudecca.
1.1.3 – Il ruolo delle nuove infrastrutture e dell’energia
Di notevole sostegno allo sviluppo furono le molte infrastrutture realizzate a
cavallo dei due secoli: ferrovie che si irradiavano dai centri maggiori a quelli minori,
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ponti, acquedotti, opere idrauliche, strade. Ma il decollo industriale regionale
coincise con l’avvento dell’energia idroelettrica: ad inizio ‘900 nasce la Società
anonima per la utilizzazione delle forze idrauliche del Veneto (meglio nota come
Cellina); nel 1905 viene fondata la SADE (Società adriatica di elettricità). Questa
ultima annovera tra i propri soci molti che già lo erano della Cellina, e soprattutto la
Società per lo sviluppo delle imprese elettriche in Italia della Banca Commerciale
Italiana. Protagonista della definitiva integrazione del periferico capitalismo veneto
con i grandi circuiti della finanza nazionale fu Giuseppe V olpi, imprenditore e
politico veneziano.
1.1.4 - Nascita di Porto Marghera
La SADE e la Cellina, con altre società e finanzieri privati, diedero vita alla
Società Porto Industriale di Venezia. Qui, i primi stabilimenti si insediarono nel ’22.
Nel primo decennio gli investimenti produttivi passarono da 22,5 a 514 milioni di
lire, con un trend di crescita che già prefigurava la Marghera del secondo
dopoguerra. L’apparato produttivo consisteva in stabilimenti chimici, siderurgici e
cantieristici, impianti per la raffinazione del petrolio, due impianti termoelettrici,
imprese attive nell’edilizia, nelle lavorazioni alimentari, nei trasporti, nei servizi
pubblici.
Il polo produttivo vicentino e quello veneziano, separati dalla pianura del Veneto
centrale, innescarono effetti diffusivi dell'imprenditorialità: sorsero piccole unità
produttive impegnate nell'imitazione delle produzioni tessili, nella filatura laniera e
serica, officine di meccanica leggera e vi fu la crescita di un indotto a servizio della
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grande impresa formatasi attorno al polo veneziano (cfr. Roverato, 1996, pp. 161-
168).
1.1.5 - L'agricoltura
Al censimento del 1911 la popolazione veneta appariva dispersa sul territorio
regionale e la forza lavoro fortemente legata all'ambiente rurale, dove, in generale, la
produttività agricola era scarsa. I magri redditi venivano integrati con il lavoro in
laboratori artigianali o nelle fabbriche, in particolare nelle aree di alta pianura e
pedemontane caratterizzate dalla piccola proprietà. Anche nelle fasce di media
pianura l'insediamento era fitto e il frazionamento della proprietà elevato, mentre
nella bassa pianura erano preminenti le grandi proprietà che con le opere di bonifica
avevano visto la progressiva espansione delle superfici coltivate.
Dal censimento del 1936 oltre la metà della popolazione attiva risultava occupata nel
primario, ma diffusa è la figura dell'operaio-contadino legato alla terra per
condizione familiare e con ritorni quotidiani e stagionali ai lavori agricoli (cfr.
Bernardi, 2005, pp. 115-116).
Nel secondo dopoguerra al frazionamento della proprietà fondiaria nelle zone alpine
e prealpine si aggiunge l'accentuazione dello stesso fenomeno anche in pianura. Di
pari passo procede la modernizzazione tecnica con la progressiva industrializzazione
dell'agricoltura con forte aumento della produzione e riduzione degli addetti (cfr.
Fontana, 2000, p. 100).
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1.1.6 - L'industria
Nella corso della prima metà del Novecento, dalle imprese-pilota nei vari
comparti manifatturieri insediatesi nelle valli prealpine e nella pianura prese avvio
un processo di diffusione dell’imprenditorialità. Fu grazie all’individualismo
artigianale di molti lavoratori dipendenti (capi tecnici, quadri interni, operai), che si
erano formati professionalmente in azienda e che poi ne erano usciti per mettersi in
proprio, supportati dal coinvolgimento familiare tipico delle iniziative individuali
(cfr. Bernardi, 2005, pp. 123-124), che nacquero e si svilupparono nuove piccole e
medie imprese che, differenziandosi e specializzandosi, integravano sempre piø i
loro processi produttivi. La spinta imitativa, con continue innovazioni migliorative
del prodotto, e la continua gemmazione di nuovi imprenditori diedero vita a quel
tessuto imprenditoriale minore protagonista della seconda metà del Novecento.
1.1.7 - Dalla depressione economica all'esplosione dei distretti locali
Nel secondo dopoguerra si affermò la tesi della depressione economica del
Veneto: il Consiglio dei Ministri attribuì la qualifica di area depressa a ben 489
comuni veneti su 583. Grazie alle leggi 657/1950 e 991/1952, e a successivi
provvedimenti del 1957 e del 1966 arrivarono finanziamenti agevolati, contributi a
fondo perduto e agevolazioni fiscali per le attività manifatturiere. Si crearono così
ulteriori condizioni perchØ il sistema della piccola e media impresa si rafforzasse e
diffondesse nel Veneto, dando vita a una fitta rete di distretti industriali specializzati
localizzati. Fin da metà anni Cinquanta, il Veneto si specializzò sempre piø in vari
settori, tra i quali: nel tessile-abbigliamento, nel sistema casa-arredo, nella
meccanica strumentale, nella lavorazione delle pelli, del marmo, della calzatura,
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dello scarpone, del mobile, dell'occhiale, dell'oreficeria ecc., con una forte
proiezione sui mercati esteri (cfr. Fontana, 2000, pp. 114-118). Negli anni Settanta la
crescita della regione venne sempre piø imperniandosi sulla piccola e media impresa
e sulla creazione di reti produttive a base locale con una articolata frammentazione
dei cicli produttivi: il cosiddetto modello veneto (Fumian, 2000, p. 156).
L'affermazione della società dei consumi, la caduta dei regimi dell'Europa orientale
nel 1989 e l'apertura di questi nuovi mercati, la svalutazione della lira porteranno ad
una eccezionale crescita delle esportazioni e dei profitti.
A partire dal 2001 il mondo produttivo veneto vive una stagione di riassetto e
trasformazione dagli esiti ancora in evoluzione. Ciò è dovuto all'entrata in vigore
della moneta unica europea, con la conseguente impossibilità di cogliere i vantaggi
permessi della svalutata Lira sui mercati esteri, e alla concorrenza dei paesi con
basso costo della manodopera (la Cina su tutti) e un problematico ricambio
generazionale alla direzione di tante imprese venete di origine familiare.
1.2 - Gli effetti sul territorio
1.2.1 - L’espansione insediativa nel Veneto
Sono sufficienti alcuni vocaboli ricorrenti nella narrazione della vicenda
storico economica del Veneto - diffusione, espansione, distribuzione - per suggerire
le caratteristiche peculiari con cui, parallelamente alla evoluzione economica, si è
attuato negli ultimi decenni l’insediamento nel Veneto (cfr. Della Puppa, 2003, p.
73). Oggi, in una ampia parte della regione la realtà territoriale può essere descritta
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come un insieme disordinato che mescola tra loro centri abitati e zone industriali,
campi coltivati e centri commerciali, nuovi quartieri di villette; oppure, come un
territorio agropolitano con specificità positive e contraddizioni (cfr. Bernardi, 2006,
p. 12) o, piø provocatoriamente, una ipotetica immensa e disomogenea città-Veneto
(Fumian, 2000, p. 174).
Chi oggi attraversa la regione, e soprattutto le pianure del Veneto centrale, non può
non notare i contrasti tra la bellezza e l'eleganza di tanti centri storici, degli scorci di
paesaggio rispetto all'anonimato di ampie zone di campagna urbanizzate ridotte a
periferie e che si sovrappongono annullando di fatto i confini comunali. Qui, il
miscuglio tra città e campagna ha creato una terza realtà brutta ed impersonale dove
insegne invadenti, onnipresenti concessionari di automobili e tangenziali varie si
alternano a mura di borghi medievali, a piazze e a ville.
Nonostante ciò, è un modello che continua a riprodursi senza alcuno schema di
riferimento se non quello dell'immediato tornaconto economico (cfr. Marson, 2001,
pp. 27-31). L'evoluzione dello spazio regionale avviene ancora oggi con costruzioni
che si addensano lungo strade, attorno ai centri rurali o che nascono negli spazi
aperti senza alcuna visione d'insieme. Inoltre, le politiche territoriali sembrano
assistere a ciò che accade, senza alcuna capacità, o reale volontà, di anticipare e
orientare decisioni piø lungimiranti.
1.2.2 - La frammentazione del territorio veneziano
Se ancora , talvolta, i veneziani definiscono con tono canzonatorio campagna
la terraferma, oggi la contrapposizione non è piø tra cultura contadina e urbano-
mercantile, ma tra la cultura della piccola e media impresa diffusa e una realtà
cittadina fatta in primis di servizi pubblici, culturali e del turismo (cfr. Marson, 2001,
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p. 17). Inoltre, la terraferma è oggi abitata da molti piø veneziani di quelli rimasti nel
capoluogo. Un “travaso” causato molto spesso dallo sfratto e dall'elevato costo degli
alloggi nella città lagunare, che ha avuto come destinazione Mestre e dintorni. Il
territorio comunale veneziano è quindi composto da piø parti distinte: da Venezia
con la sua laguna, da un non luogo (AugØ, 1993, p. 73) chiamato città diffusa o
campagna urbanizzata e, nel mezzo, da Mestre e Porto Marghera.
La stessa provincia di Venezia è caratterizzata da un sistema territoriale
frammentato: la zona meridionale, le cui reti di relazione (con la sola eccezione di
Chioggia) gravitano piø su Padova che su Venezia; la zona orientale, piø vicina a
Pordenone di quanto non lo sia a Venezia, legata all'entroterra da relazioni sviluppate
lungo i corso dei fiumi in direzione nord-sud piuttosto che in orizzontale attraverso
zone in passato in gran parte paludose, coperte di boschi e di lagune; l'area centrale,
parte di una estesa conurbazione cresciuta verso Padova e Treviso, un tessuto di
centri che hanno ormai per gran parte perduto la loro originaria funzione agricola e
in cui si è affermato il cosiddetto sviluppo secondo il modello Nordest (cfr. Turri,
1979, p. 196). Lungo la costa, il turistificio litoraneo ha annullato buona parte delle
risorse naturali e paesistiche su cui il litorale stesso basava la propria attrattività,
inseguendo con perseveranza un modello di sviluppo incrementale lineare (cfr.
Lemmi, 2001, pp. 125-134). Oggi, la muraglia fronte mare costituita da anonime ed
invadenti strutture ricettive e per il tempo libero si presenta ormai quasi ininterrotta a
ridosso degli arenili tra le foci dei fiumi Sile e Tagliamento e a Sottomarina di
Chioggia, con i conseguenti ed inevitabili problemi ambientali (rifiuti, smog, rumore
ecc.) e di congestione stagionale.
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1.2.3 - Oltre la Tangenziale: l'espansione urbana nel veneziano
La lettura di una carta topografica provinciale rivela che i corridoi storici,
sud-nord e ovest-est sono sostanzialmente immutati nei secoli: le strade romane
tracciano esattamente ciò che oggi e nell’immediato futuro sembra essere il sistema
connettivo di questa provincia: la Romea (che con una strada, da Campagna Lupia si
connette alla Riviera del Brenta), l’Idrovia e l'asse Padova-Venezia-Trieste; il corso
dei fiumi si rivela tuttora come ordinatore del costruito. Ne consegue la forte
integrazione tra città e campagna, in particolare nell'area centrale.
A caratterizzare lo scenario territoriale veneziano sono:
- nell’ambito centrale (l’area veneziana, parte del mirese e del miranese), la
diffusione di tutte le attività insediate, residenziali ed economiche, coerente con i
caratteri del modello di sviluppo basato su piccola e media impresa;
- la rete insediativa consolidata già nel 1970 con la polarità della cosiddetta
Terraferma Veneziana (Mestre e Marghera) e gli assi portanti della cosiddetta
cintura: Brentana, Miranese, Terraglio, Castellana e Triestina;
- la crescita demografica e l’espansione edilizia degli anni Settanta: l’area
metropolitana della provincia veneziana si è evoluta lungo la viabilità minore, in
particolare tra Castellana e Miranese e nell’area tra la Riviera del Brenta e la laguna;
- la localizzazione dei nuovi insediamenti negli ultimi venticinque anni: lo sviluppo
piø recente sembra aderire per contiguità al già costruito, attorno ai poli (es. Scorzè,
Marcon, Dolo), lungo le assi Brentana, Miranese, Terraglio, Castellana, Triestina e
lungo la viabilità minore. Con la tendenza negativa alla fusione dei piccoli centri e
delle frazioni con conseguente perdita di ampi spazi liberi;
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