3
modo collaterali o vicine al fenomeno mafioso, ma occupanti uno spazio neutro
in quanto specificamente disciplinate dal legislatore o attraverso la previsione di
autonome fattispecie illecite, quali i reati di assistenza agli associati (art.418
c.p.), di favoreggiamento personale e reale (artt.378 e 379 c.p.) e di scambio
elettorale politico-mafioso (art.416-ter c.p.), ovvero mediante l’introduzione di
particolari circostanze aggravanti fra cui quella applicabile ai delitti, punibili
con pena diversa dall’ergastolo, commessi “al fine di agevolare l’attività delle
associazioni previste dall’art.416-bis c.p.” inserita dall’art.7 della legge n.
203/1991.
Così individuati i limiti di natura ontologica e normativa con i quali deve
confrontarsi il concorso esterno per potere trovare una propria collocazione
nell’area del penalmente rilevante, risulta più semplice circoscrivere i profili
problematici della tormentata questione da me considerati nel corso di questa
indagine. Essa prende le mosse dalla esigenza di verificare la compatibilità
della disciplina generale del concorso di persone nel reato rispetto alle
fattispecie associative regolate nella parte speciale del codice penale. Risolta
positivamente questa preliminare necessità di accertamento, risulta meno ostico
affrontare il nucleo fondamentale della vexata quaestio relativo alla possibilità
di ipotizzare o meno un concorso esterno nell’associazione mafiosa ai sensi
dell’art. 110 c.p. A tal fine ho seguito come criterio – guida quello di
individuare gli indici rivelatori, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo dei tre
diversi livelli di condotte coinvolte direttamente nel dibattito, quale canone
4
strumentale per potere stabilire una linea di discrimine fra partecipazione
interna al sodalizio, situazioni riconducibili nella contestata fattispecie del
concorso esterno nell’associazione mafiosa ed ipotesi di contiguità alla mafia
integranti figure illecite diverse dalle prime due e già sanzionate da specifiche
disposizioni normative.
Nell’assumere un atteggiamento favorevole alla soluzione positiva di questo
problema, peraltro non nuovo se si tiene conto che l’istituto del concorso
esterno nel reato associativo ha trovato le sue prime applicazioni
giurisprudenziali a partire dagli anni ’60 con riguardo alle figure delittuose di
cospirazione politica mediante associazione e di banda armata
1
, ho ritenuto
imprescindibile utilizzare, mediante un esame critico, gli apporti fondamentali
forniti in merito dai veri protagonisti dell’acceso dibattito che lo anima. Mi
riferisco da un lato ai variegati orientamenti dottrinali raggruppabili in tre
diversi indirizzi: favorevole, disincantato o contrario alla configurabilità del
concorso esterno nell’associazione mafiosa, e dall’altro alle oscillanti decisioni
della giurisprudenza di merito e di legittimità in materia, spesso contrastanti, e
ora sorrette dai molteplici contributi di matrice dogmatica, e ora condizionate
da forti spinte emotive implicanti il desiderio di reprimere condotte che pur
essendo esterne all’associazione mafiosa sono tali da contribuire al suo
mantenimento, consolidamento e rafforzamento. Questa scelta metodologica
muove dalla oggettiva constatazione che, di fronte alla graduale modifica degli
1
Cfr. Cass. Sez. I, 27 novembre 1968, Muther, in Archivio Penale, 1997, II, 8; Cass., 25
ottobre 1983, Arancio, F. I. Rep. 1985.
5
atteggiamenti e degli attributi del fenomeno associativo, soprattutto di natura
mafiosa, si è assistito ad una spesso non adeguata e pronta risposta
dell’ordinamento statale e in particolare degli organi legislativi, additata quale
fattore principale della manifesta incertezza che domina la soluzione della
questione qui analizzata avente non solo portata meramente giuridica, ma anche
forti implicazioni politiche ed economiche. Qui si innesta la ragione della
sollecita presa di posizione in funzione vicaria della dottrina e della
giurisprudenza con specifico riguardo proprio a quella situazione di intreccio
simbiotico fra organizzazione illecita da una parte e soggetti estranei alla stessa
dall’altra, a volte anche esponenti di strutture istituzionali, politiche,
economiche o semplici liberi professionisti, suscettibili di configurarsi, a
seconda dei casi, o come forme di concorso necessario, ovvero di
fiancheggiamento normativamente sanzionato, o altrimenti, ed in modo non
unanimemente condiviso, come ipotesi di concorso esterno nell’associazione
mafiosa.
Ecco perché in una prospettiva “de Jure condendo” qualsiasi rimedio di natura
legislativa, peraltro reclamato sia dal mondo degli studiosi del diritto che dalla
prassi giudiziaria, proposto al fine di risolvere il gravoso problema del concorso
eventuale dell’extraneus nel sodalizio mafioso, non può che essere considerato
lodevole sollecitazione a che il legislatore riprenda in mano lo scettro della
politica criminale, sollevando la giurisprudenza dall’onere di compiere scelte
6
selettive dell’area del penalmente rilevante nella sfera delle condotte in qualche
modo collaterali alla mafia non confortate da precise indicazioni normative.
In questo senso va, per esempio, valutata la proposta di legge n. 3598 presentata
il 17 aprile 1997 dall’on. Li Calzi e altri
2
che mira ad introdurre nel codice
penale un art. 416-quater recante la rubrica <<Sostegno esterno ad associazione
di tipo mafioso>>, punendo con la reclusione da due a cinque anni <<chiunque
al di fuori dei casi di partecipazione ad una associazione di tipo mafioso
realizza in maniera non episodica condotte di sostegno ad una associazione di
tipo mafioso o arreca un contributo di tale rilevanza da avvantaggiare
l’associazione nel suo complesso >>. Del resto un chiaro tentativo nel senso del
ripristino di un determinato equilibrio tra potere legislativo e giudiziario è stato
compiuto con il “Progetto 1992” di riforma del codice penale
3
. Questo propone
una modifica dell’attuale disciplina generale del concorso di persone nel reato
mediante una tipizzazione delle condotte concorsuali, prospettando un modello
differenziato in concreto della compartecipazione criminosa che abbia riguardo
all’effettivo contributo dei singoli alla realizzazione dell’illecito, ed individua
nella c.d. <<condotta di agevolazione>>, di cui specifica la nozione, il limite
estremo della responsabilità concorsuale. Di fronte alla reclamata necessità di
colmare l’inadeguatezza per difetto della vigente normativa in materia di
2
Per un riferimento a tale proposta di legge, Visconti, Difesa di mafia e rischio penale, F. I.,
1997, II, p. 630.
3
In proposito bisogna ricordare che nel 1988 l’allora ministro di grazia e giustizia Vassalli
nominò una ristretta commissione di studiosi, presieduta dal professore A. Pagliaro, perché
preparasse uno schema di legge – delega per un nuovo codice penale. Il testo del Progetto,
7
concorso di persone nel reato rispetto alle fattispecie associative, indicata
proprio come la principale causa della resistenza alla criminalizzazione delle
ipotesi di concorso esterno nel sodalizio, sebbene il Progetto 1992 non affronta
direttamente questo specifico profilo problematico del rapporto fra concorso di
persone e reati associativi, e pur avendo scelto di non dedicare alcuna norma del
codice penale all’associazione di tipo mafioso, preferendo riservare ad essa un
trattamento particolare nel contesto di uno specifico intervento normativo, non
esclude la configurabilità di una responsabilità a titolo di concorso nei confronti
di soggetti non inseriti stabilmente nell’organizzazione associativa. Nella sua
prospettiva questa è rilevabile attraverso l’adozione di quella tecnica di
valutazione concreta del contributo di compartecipazione criminosa assunta dal
Progetto 1992 quale criterio generale che consenta di individuare nell’apporto
dell’extraneus, sia esso causale o semplicemente idoneo ad agevolare la
realizzazione del reato associativo in una delle sue modalità di estrinsecazione,
una condotta concorsuale nettamente distinta, sul piano obiettivo, da quella di
partecipazione criminosa.
4
Concludo rilevando che, a prescindere dalle osservazioni critiche più o meno
favorevoli a questi rimedi de Jure condendo, il legislatore deve premurarsi nel
dotare la magistratura di strumenti giuridico-penali congegnati nel rispetto dei
principi costituzionalmente garantiti, e non come mezzi di esasperata
portato a termine nel dicembre 1991, e la relazione che lo accompagna sono stati pubblicati in
Documenti Giustizia, 1992, fasc. 3.
4
Per un’analisi del Progetto 1992, sul punto, Militello, Agevolazione e concorso di persone nel
Progetto 1992, Ind. Pen., 1993, p. 575 e ss.
8
repressione, e idonei a criminalizzare quell’area di comportamenti e di soggetti
vicini alla mafia, zona dai confini indefiniti e incerti, ricompresa fra attività di
partecipazione rilevante ex art. 416-bis c. p., condotta di fiancheggiamento
integrante un’autonoma fattispecie illecita o penalmente legittima, per troppo
tempo immune dalla disapprovazione penale.
9
CAPITOLO I
Il difficile rapporto fra concorso di persone
nel reato e reato associativo
10
1. I reati associativi
La trattazione del problema relativo all’individuazione dei presupposti e dei
limiti della tanto discussa figura del “concorso esterno” nel reato associativo
semplice e, in particolare, di stampo mafioso, presuppone alcune osservazioni
al fine di distinguere fra fattispecie associative, costituenti un’autonoma
categoria di reati c. d. a “concorso necessario” (o fattispecie plurisoggettive
necessarie) e il concorso di persone nel reato, di cui agli artt. 110 e ss. c.p., il
quale rappresenta invece una forma di manifestazione dell’illecito penale.
In via preliminare, però, bisogna, anzitutto, considerare i parametri
caratterizzanti, sotto il profilo umano, strutturale – organizzativo e finalistico
nonché i requisiti di natura oggettiva e soggettiva richiesti per l’integrazione dei
due principali illeciti di natura associativa: la tradizionale associazione per
delinquere prefigurata dall’art. 416 c.p., e la più recente associazione di tipo
mafioso prevista dall’art. 416 bis c.p., entrambe rientranti nel settore dei reati
contro l’ordine pubblico.
a) Con specifico riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416
c.p.
1
essa manifesta l’intento del legislatore del ‘30 di introdurre uno
strumento repressivo idoneo a fronteggiare, in via preventiva, le più svariate
forme di manifestazione della criminalità organizzata comune. Infatti il
bene da essa protetto è costituito dall’ordine pubblico, che risulterebbe
minacciato dalla semplice esistenza di un’associazione stabile avente come
1
Con riguardo all’associazione per delinquere: Fiandaca – Musco, Diritto Penale, parte speciale,
Zanichelli, Bologna, 1997, II, p. 471 e ss.
11
programma la commissione di delitti. L’art. 416 c.p. configura nei primi
due commi la struttura fondamentale dell’associazione per delinquere,
dando vita a due distinte ipotesi di reato a seconda che gli associati
rivestano la posizione di promotori, costitutori o organizzatori, ovvero di
semplici partecipi. Infatti, posto che soggetto attivo dell’illecito può essere
chiunque la condotta incriminata nell’ipotesi delittuosa di cui al primo
comma dell’art. 416 c.p. consiste nell’attività di colui che: o promuove
l’associazione, facendosi iniziatore della stessa e adoperandosi affinchè
venga costituito il sodalizio criminoso; o costituisce quest’ultimo
determinando o concorrendo a determinare la nascita dell’organizzazione,
provvedendo, inoltre, al compimento del complesso di attività successive
alla promozione dell’ente associativo; ovvero, infine, organizza
l’associazione coordinando l’attività dei singoli soci per assicurare la vita,
l’efficienza e lo sviluppo del sodalizio. La norma incriminatrice, peraltro, al
terzo comma equipara ai promotori i “capi”, e cioè i soggetti che regolano
l’attività collettiva da una posizione di superiorità o supremazia gerarchica,
ruolo che presuppone la partecipazione all’associazione per delinquere,
laddove, al contrario, chi la promuove, la costituisce o l’organizza può
anche non esserne membro. Nell’ipotesi delittuosa prevista dal secondo
comma dell’art. 416 c.p., il fatto tipico consiste, invece, nel mero
“partecipare” all’associazione: trattandosi di reato a concorso necessario è
specificamente richiesto che i partecipi siano almeno tre, numero nel quale
12
debbono essere computati anche i non imputabili. Quanto alla struttura della
condotta incriminata è da sottolineare che il legislatore richiede il <<solo
fatto di partecipare all’associazione>>: secondo l’interpretazione
tradizionale seguita dalla giurisprudenza, è partecipazione l’esplicazione di
una qualsiasi funzione di natura esecutiva, anche di secondaria importanza,
non dovendosi trattare necessariamente di attività avente natura preparatoria
rispetto ai delitti rientranti nel programma criminoso. La condotta di
partecipazione è, infatti, di per sé concettualmente distinguibile dalle attività
esecutive del disegno criminoso dell’associazione per delinquere, e consiste
nello svolgimento di funzioni strumentali alla stessa vita del sodalizio
illecito. Proprio quest’autonomia concettuale delle condotte di semplice
partecipazione all’ente criminoso spiega perché i partecipi non siano
automaticamente responsabili di concorso nei c.d. “delitti – scopo”. Ma
l’esistenza di un numero minimo di tre persone non è da sola sufficiente a
dar vita ad una vera e propria associazione per delinquere. In proposito,
seguendo un orientamento giurisprudenziale abbastanza consolidato, si
individuano almeno due requisiti costitutivi di questa fattispecie illecita: un
vincolo associativo tendenzialmente stabile o permanente fra tre o più
soggetti, cioè destinato a durare anche dopo l’eventuale realizzazione di
ciascun delitto programmato, e l’indeterminatezza del programma
criminoso. È ,invece, controverso se ed in quale misura sia, altresì,
necessaria una “organizzazione” di persone e di mezzi. La prassi applicativa
13
oscilla tra la tesi che non è imprescindibile né una vera e propria
organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di specifiche cariche né
un’organizzazione complessa di mezzi, e l’avvertenza tuttavia che basta un
minimum di struttura organizzativa quale presupposto del vincolo
associativo, ovvero una rudimentale predisposizione dei mezzi occorrenti
per la realizzazione del programma criminoso
2
. Però, per rispettare il
principio di offensività anche sul terreno del reato associativo, occorre
vagliare di volta in volta se l’associazione per delinquere sia dotata di una
struttura organizzativa adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di
mira, posto che la pericolosità del sodalizio illecito non può essere desunta
dalla semplice esistenza dell’accordo criminoso. Per quel che concerne, poi,
l’aspetto finalistico, l’associazione regolata dall’art. 416 c.p. deve avere
come scopo la commissione di <<più>> delitti, vale a dire che essa deve
mirare all’attuazione di un “indeterminato programma delittuoso”. Poiché
gli illeciti programmati possono essere tutti della stessa specie,
l’indeterminatezza del disegno criminoso può avere riguardo solo alla loro
entità numerica. E’ chiaro, comunque, che se gli associati programmano un
solo reato, ovvero perseguono scopi non già illeciti, bensì semplicemente
antisociali o immorali, l’art. 416 c.p. non è applicabile. Guardando
all’elemento soggettivo integrante questa fattispecie associativa, è opinione
comune che essa configuri un reato a “dolo specifico”. Il requisito
2
In proposito: Padovani, Codice Penale, Giuffrè, Milano, 1997, p. 1565
14
psicologico richiesto consiste, innanzitutto, nella coscienza e volontà di far
parte in maniera permanente del sodalizio illecito, non essendo necessario
che gli associati si conoscano tra loro. E’, invece, essenziale l’intenzione
(dolo specifico) di contribuire all’attuazione del generico programma
criminoso, senza però pretendersi che la volontà abbia ad oggetto
immediato la realizzazione di ben individuati delitti. In ogni caso il dolo è
escluso dall’ignoranza del carattere delittuoso dei fatti rientranti nello scopo
comune. Trattandosi di un reato di pericolo, esso si consuma nel momento
in cui viene ad esistenza l’associazione per delinquere e sorge il pericolo per
l’ordine pubblico, restando indifferente, invece, la realizzazione dei delitti
programmati. Inoltre, essendo un illecito permanente, la consumazione si
protrae finché l’organizzazione criminale rimane in vita. Gli ultimi due
commi dell’art. 416 c.p. prevedono due circostanze aggravanti speciali da
applicare all’associazione per delinquere. La prima è costituita dalla
<<scorreria in armi>> nelle campagne o nelle pubbliche vie da parte degli
associati: è necessario che tale condotta sia finalizzata all’attuazione del
programma criminoso e non anche che tutti i partecipanti siano armati. La
seconda circostanza aggravante si applica nell’ipotesi in cui il numero degli
associati è di <<dieci o più>>. Infine va ricordato che avendo carattere
generico, la fattispecie incriminatrice qui esaminata non è applicabile ove
un fatto di associazione sia più specificamente disciplinato da altra
15
disposizione normativa (ad es. l’art. 416 bis c.p.), per cui il concorso di reati
associativi è escluso.
b) L’introduzione, operata dalla legge n. 646/1982, della nuova figura
criminosa dell’associazione di tipo mafioso ha alla base più di una ragione
giustificatrice
3
. Da un lato l’art. 416 bis del codice penale che la prefigura
intende, anche simbolicamente, evidenziare il particolare disvalore della
criminalità mafiosa, quale fenomeno socialmente dannoso a diversi livelli.
Dall’altro lato, la configurazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc
tende all’obiettivo pratico di rimediare alla spesso lamentata inadeguatezza
della tradizionale ipotesi delittuosa dell’associazione per delinquere a
reprimere la fenomenologia criminosa di stampo mafioso. Peraltro,
prendendo in considerazione l’incidenza sugli interessi protetti da questa
disposizione normativa, l’associazione di tipo mafioso lascia trasparire
un’attitudine “plurioffensiva”: essa, in effetti, è capace di minacciare, oltre
ai beni dell’ordine democratico e dell’ordine pubblico, anche le condizioni
che assicurano la libertà di mercato e di iniziativa economica. L’esame della
fattispecie illecita qui considerata evidenzia come la struttura delle condotte
incriminate nei primi due commi dell’art. 416 bis c.p. ripete il modulo tipico
del reato associativo. Infatti, precisato che anche in questo caso soggetto
attivo del reato può essere chiunque, e in ragione della natura
necessariamente plurisoggettiva dello stesso, la norma punisce chi fa parte
3
Con riguardo all’associazione di tipo mafioso: Fiandaca – Musco, Diritto Penale, cit., p. 477 e
ss.
16
di un’associazione mafiosa formata da tre o più persone, prevedendo una
pena più grave per coloro che promuovono, dirigono o organizzano la
stessa. Essa, pertanto, pone gli stessi problemi interpretativi, anche
relativamente alla necessità o meno di una struttura organizzativa, già sopra
esaminati con riguardo al fenomeno associativo semplice. Particolarmente
significativo è il disposto del terzo comma dell’art. 416 bis c.p., dove per la
prima volta in un testo di legge si definisce l’associazione di tipo mafioso,
adottando un criterio di specificazione facente leva sia sui mezzi usati, sia
sui fini perseguiti dagli associati di mafia. Sotto il profilo “strumentale”
l’organizzazione illecita di natura mafiosa si caratterizza, rispetto
all’associazione per delinquere semplice, per la circostanza che i suoi
membri <<si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo
e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva>>. Il
ricorso alla “forza intimidatrice” rappresenta, senza dubbio, uno dei
connotati tipici del comportamento mafioso tant’è che, secondo l’opinione
dominante, esso integra un requisito “aggiuntivo”, e non “sostitutivo”,
rispetto ai tradizionali elementi costitutivi del reato associativo comune.
Tuttavia, la formula “si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo
associativo” ha dato vita ad alcuni dubbi di natura ermeneutica, superabili
sol se si tiene conto che l’interpretazione di essa probabilmente più
corrispondente alla volontà del legislatore è quella che esclude la necessità
che gli associati compiano concreti atti intimidatori: piuttosto, la forza