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Introduzione
Il sistema economico internazionale, con la fine della divisione del mondo in due
blocchi contrapposti, ha conosciuto una nuova fase di dinamismo ed integrazione.
Con l’emergere del fenomeno della globalizzazione, con l’apertura dei mercati e
delle zone di libero scambio, il capitale è divenuto un fattore altamente mobile.
Una delle sfide più grandi che impegna le economie e i governi mondiali,
coinvolge i sistemi tributari dei singoli paesi e il diritto tributario internazionale.
La mobilità crescente e differenziata degli elementi suscettibili di imposizione
porta gli operatori economici a mettere in concorrenza tra loro gli Stati. Il
meccanismo che si pone in essere si traduce nel fenomeno della Concorrenza
Fiscale. Se è possibile osservare questo fenomeno a livello globale, tanto più è
possibile registrarlo in un’area molto integrata qual è l’Unione Europea.
Questo progetto di tesi nasce dall’interesse di chi scrive per il processo
d’integrazione europea. L’esperienza dell’Unione Europea, rappresenta un
unicum nella storia, che sta attualmente vivendo una crisi profonda, scatenata dai
perturbamenti economici dell’ultimo triennio.
Il processo d’integrazione, con cui è stata posta in essere questa istituzione, si è
basato, principalmente, sulla creazione di un ambiente adatto ad accogliere un
mercato economico, libero dalle barriere che potessero ostacolare la circolazione
delle merci e dei fattori produttivi. Quest’obiettivo è stato sicuramente
conseguito: l’abolizione progressiva dei sistemi di controllo doganali; la
promozione della mobilità europea ed il diritto di stabilimento dei lavoratori e
delle imprese; la creazione di un’area valutaria e monetaria unica all’interno
dell’Unione, rappresentano sicuramente alcune delle evidenze più importanti del
successo del progetto.
Al tempo stesso, come sta emergendo nell’escalation degli eventi economici
dell’ultimo triennio, la presenza dell’unione economica e monetaria rappresenta,
in questo momento, il principale vulnus della costruzione europea. La crisi
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economica ha evidenziato la contraddizione, esistente all’interno dell’Unione, di
aver adottato da un lato una politica monetaria unica, dall’altro di aver mantenuto
ventisette politiche fiscali indipendenti, sia nella funzione di spesa che nella
riscossione delle imposte.
I vincoli di bilancio stabiliti prima dai parametri di Maastricht e quindi
confermati nel Patto di Stabilità e Crescita, non hanno ottenuto l’effetto di
contenimento delle politiche di spesa. Se da una parte esistono dei vincoli di
bilancio, anche se inefficaci nel loro compito, risulta invece assente un
coordinamento della politica impositiva: è importante sottolineare come la
riscossione dei tributi rappresenti una delle espressioni più evidenti della
sovranità di un ente di governo. Essa è una delle voci fondamentali per finanziare
il bilancio pubblico che opera, allo stesso tempo, come strumento di regolazione
economica e di redistribuzione della ricchezza. Per questo motivo resistono i
sistemi tributari degli Stati membri e gli interventi in materia tributaria
nell’Unione sono stati principalmente di natura negativa, ovvero funzionali al
consolidamento del mercato unico.
Nella disciplina tributaria si estrinseca lo scontro tra le istanze degli Stati sovrani
e quelle dell’Unione. La materia interessa quelle ipotesi di limiti alla delega di
sovranità nazionale in favore degli organismi comunitari: il voto all’unanimità
per deliberare sulla materia rappresenta il più chiaro esempio della mancanza
della volontà degli Stati ad avviare un processo di un’Unione maggiormente
politica.
L’Unione Europea rappresenta un laboratorio politico-istituzionale interessante,
per valutare gli effetti della concorrenza fiscale internazionale: da un lato è stato
di fatto eliminato il rischio di cambio, dall’altro permane agli Stati membri la
piena sovranità in materia fiscale. La tassazione delle imprese diventa un
elemento chiave nelle scelte di policy dei vari paesi data l’elevata mobilità del
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capitale all’interno di un’area integrata. soprattutto grazie alle notevoli differenze
nei sistemi tributari
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presenti nei vari paesi.
La tesi si prefigge l’obiettivo di valutare gli effetti della competizione fiscale
nell’Unione Europea e se in quale misura sia auspicabile un coordinamento delle
politiche tributarie. Il lavoro è strutturato in tre parti. I primi due capitoli sono
propedeutici a costruire l’analisi empirica condotta nell’ultimo capitolo.
Nella trattazione del primo capitolo è stato analizzato il fenomeno della
concorrenza fiscale. Attraverso la disamina delle varie teorie e dei differenti
modelli economici che sono stati elaborati dalla metà del secolo scorso, sono stati
individuati tre filoni di letteratura sull’argomento: i modelli standard di
concorrenza fiscale; la teoria della public choice e dello Stato leviatano; la teoria
della Nuova Geografia Economica applicata alle scelte pubbliche. Lo scopo di
questo primo capitolo è stato quello di acquisire una conoscenza teorica
dell’argomento, riconoscendo e valutando le differenze specifiche di ogni singolo
contributo.
Nel secondo capitolo abbiamo cercato di tracciare un quadro sintetico ma allo
stesso tempo esauriente sullo stato dell’armonizzazione europea in materia
fiscale. Tramite una rassegna dell’evoluzione storica della politica tributaria nel
processo d’integrazione europea, abbiamo cercato d’individuare lo schema
giuridico istituzionale esistente e le prospettive future nella regolazione della
materia fiscale. In particolare, nella conclusione del capitolo, si è analizzato il
progetto di costituzione di un’unica base imponibile consolidata a livello
comunitario (CCCTB).
Nel terzo capitolo si è sviluppato l’obiettivo generale della tesi, utilizzando due
differenti contributi teorici sulla tematica della concorrenza fiscale, e quindi
1 Queste differenze, come sarà evidenziato in seguito, non riguardano solo la definizione
della base imponibile e l’aliquota su essa applicata, ma anche i sistemi contabili utilizzati ai
fini fiscali.
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cercando di applicarli al caso europeo. I due filoni di letteratura presi in
considerazione sono: il modello standard e la Nuova Geografia Economica.
La letteratura standard suggerisce che il meccanismo della concorrenza fiscale
conduca gli stati verso una competizione al ribasso sulle aliquote impositive, per
evitare la fuoriuscita dei capitali e delle attività produttive. Tuttavia, la letteratura
più recente della Nuova Geografia Economica, suggerisce che esistano dei vincoli
che mitigano o impediscono l’insorgere del meccanismo race to the bottom.
Fattori come le scorte nazionali di know how, la tecnologia, e in particolare,
l’accesso al mercato e la qualità del sistema infrastrutturale, sono di particolare
interesse per la localizzazione degli investimenti. Paesi o regioni in grado di
fornire questi cosiddetti fattori di agglomerazione, possono, in questo modo,
bloccare i capitali, nonostante le elevate aliquote fiscali, innescando così un
effetto deterrente alla corsa al ribasso.
Il confronto tra le ipotesi contrastanti presentate da questi due contributi è stato
condotto attraverso un’analisi empirica. In particolare abbiamo cercato di
rispondere alle seguenti domande:
1. È possibile ricavare una geografia della tassazione in Europa?
2. Quale effetto ha il differenziale d’imposta sulla localizzazione degli inves-
timenti? La concorrenza fiscale è un elemento distorsivo nel contesto eu-
ropeo?
3. L’effetto fiscale può essere mitigato dalla presenza di rendite derivanti
dall’agglomerazione?
4. Quale effetto predomina nel contesto europeo?
Lo scopo di questo capitolo è di cercare di cogliere l’effetto dell’interazione tra il
differenziale impositivo e le rendite di agglomerazione, sulla localizzazione degli
investimenti nell’Unione Europea.
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Questo elemento è cruciale per costruire una riflessione sull’obiettivo generale
della tesi.
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CAPITOLO I
LA CONCORRENZA FISCALE:
LO STATO DELL’ARTE DELLA TEORIA ECONOMICA
L’idea che possa esistere una competizione tra diversi enti pubblici per assicurarsi
le risorse necessarie per finanziarie la propria spesa non è nuova. Adam Smith
(1776), nel suo saggio “La Ricchezza delle Nazioni” intuisce la base del
meccanismo che regola la concorrenza fiscale: la possibilità per il contribuente di
spostare la propria ricchezza per ottenere un vantaggio economico derivante da
un minore imposizione tributaria. Scrive Smith:
The proprietor of stock is properly a citizen of the world, and is not
necessarily attached to any particular country. He would be apt to
abandon the country in which he was exposed to a vexatious inquisition,
in order to be assessed to a burdensome tax, and would remove his stock
to some other country where he could either carry on his business, or
enjoy his fortune more at his ease.
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In questo capitolo cercheremo di individuare lo stato dell’arte della letteratura
sull’argomento, prestando particolare attenzione a quei contributi che analizzano
gli effetti della concorrenza fiscale sul welfare e sull’allocazione delle imprese.
2 SMITH,A. (1776), pag. 659
Il proprietario di capitale può essere definito propriamente un cittadino del mondo, e non è
necessariamente legatoad un particolare Paese. È verosimile che costui sarebbe spinto ad
abbandonare il Paese che lo assoggettasse a indagini vessatorie al fine di determinare
un’imposta onerosa e trasferirebbe il proprio capitale in un diverso Paese, nel quale gli fosse
possibile continuare a badare agli affari propri o godere dei propri beni con minori difficoltà.
(T.d.R.)
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1.1 Gli effetti della concorrenza fiscale sul Welfare: teorie a
confronto
La concorrenza fiscale è un fenomeno antico, ma dal punto di vista accademico
l’analisi di questo meccanismo è relativamente recente. Fino al XX secolo i
differenziali tra le tassazioni dei diversi paesi erano trascurabili ed insufficienti a
far scaturire significativi movimenti di capitali e contribuenti attraverso i confini
degli Stati.
Con la nascita dello stato sociale e il conseguente aumento repentino del carico
fiscale in quasi tutti i paesi occidentali, si è avuta un’intensificazione della
pianificazione fiscale internazionale da una parte, e dei fenomeni illeciti
dell’evasione e della elusione fiscale dall’altra. Questo cambiamento ha costituito
la condicio sine qua non per innescare il meccanismo della concorrenza fiscale.
Il fenomeno, utilizzando una terminologia tipica della Teoria dei Giochi, si
sostanzia in una competizione non cooperativa tra enti appartenenti ad un’area
economica integrata, che opera tramite l’uso strategico delle proprie politiche
tributarie, al fine di attrarre risorse necessarie per accrescere il livello di benessere
del territorio amministrato.
1.1.1 Il contributo di Charles Tiebout
Il dibattito economico contemporaneo sull’analisi del fenomeno della
concorrenza fiscale ha trovato il suo incipit negli anni cinquanta del secolo
scorso, con un articolo di Charles Tiebout (1956). In questo articolo, l’economista
statunitense presenta un modello che analizza il meccanismo di competizione che
può avere luogo tra diverse amministrazioni pubbliche. Esso risulta, per certi
versi, molto simile al meccanismo di concorrenza che regola le scelte delle
imprese nel mercato.
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Il modello prevede le seguenti ipotesi:
1. Gli individui sono perfettamente mobili e perfettamente informati sulle offerte
di servizi pubblici erogati dagli enti di governo rivali;
2. Le imposte applicate sono uniformi e di tipo lump sum. Esse cioè prevedono
il pagamento di un ammontare fisso, indipendente dalle caratteristiche
dell’oggetto della tassazione; l’imposta applicata è uguale al costo marginale
sostenuto dall’ente di governo per assicurare il servizio pubblico;
3. La dimensione ottimale di ogni ente di governo è determinata in base alla
combinazione di servizi pubblici offerta; quando questa dimensione non è
raggiunta, gli amministratori cercano di attrarre nuovi residenti allo scopo di
ridurre il costo medio dell’erogazione dei servizi pubblici;
4. Le possibilità e l’offerta di occupazione sono omogenee nella regione consid-
erata, e quindi non influenzano le scelte dei consumatori elettori;
5. Esiste un numero di enti di governo sufficiente ad assicurare l’erogazione di
servizi pubblici atti a soddisfare le utilità di tutti gli individui.
Il modello descrive una situazione ideale fondata sulle citate ipotesi. L’ipotesi
essenziale ai fini del raggiungimento dell’efficienza del modello è l’ultima. Con
un numero sufficiente di enti di governo, questi ultimi sono da considerarsi
utility-takers, in quanto, come nell’ipotesi di mercati perfettamente
concorrenziali, non sono in grado di alterare unilateralmente il livello di utilità
degli elettori consumatori.
Tale meccanismo funziona tramite la tendenza degli elettori consumatori a
muoversi attraverso le diverse offerte di servizi pubblici alla ricerca di quella che
meglio possa aderire ai propri bisogni e che, a parità di utilità, abbia un costo
fiscale inferiore. Gli elettori consumatori, quindi, esprimerebbero il loro “voto”
spostando la propria residenza nei confini dell’amministrazione ritenuta
maggiormente virtuosa nella gestione della cosa pubblica. Scrive Tiebout (1956)
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Just as the consumer may be visualized as walking to a private market
place to buy his goods, the prices of which are set, we place him in the
position of walking to a community where the prices (taxes) of community
services are set. Both trips take the consumer to market.
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Tiebout battezza questo fenomeno come “voting-by-feet mechanism”.
Le amministrazioni pubbliche, come le imprese sul mercato, possono reagire alla
domanda degli elettori consumatori, intervenendo su due parametri:
1. Modificando il carico fiscale richiesto, agendo ad esempio sulle aliquote o
sull’ampiezza della base imponibile;
2. Aumentando o migliorando la propria offerta di servizi pubblici.
Tiebout afferma che la concorrenza fiscale possa avere un effetto di stimolo al
miglioramento del Welfare. Il meccanismo concorrenziale permetterebbe una
migliore allocazione dei servizi pubblici e delle risorse, una riduzione degli
sprechi ed una maggior responsabilizzazione degli amministratori pubblici.
1.1.1.1 Critiche al modello
Le critiche al modello di Tiebout, si sono concentrate soprattutto per le ipotesi
restrittive che lo caratterizzano.
Alcuni autori (Bewley, 1981; Banzhaf e Walsh, 2008) sottolineano il carattere
irrealistico delle ipotesi del modello. In primo luogo l’idea che gli enti di governo
possano riscuotere una imposta individuale non differenziata uguale al costo
marginale del servizio pubblico necessario a soddisfare l’utilità individuale degli
3 TIEBOUT,C (1956), pag. 422
Così come il consumatore può essere visualizzato mentre cammina verso un negozio
privato, per comprare i beni cui il prezzo è fissato, (adesso) lo poniamo nella situazione di
camminare verso una comunità dove i prezzi ( le tasse ) sono stabilite. Entrambi i percorsi
conducono il consumatore nel mercato. (T.d.R)
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elettori consumatori. Bewley (1981) sottolinea come l’offerta ottimale di servizi
pubblici esista nel modello solo dentro i confini di ipotesi non ritenute realistiche.
Affinché l’obiettivo previsto da Tiebout possa essere raggiunto, secondo Bewley,
dovrebbero verificarsi le seguenti condizioni: l’esistenza di comunità
amministrative omogenee; presenza di amministratori pubblici orientati alla
massimizzazione del profitto; costi dei servizi pubblici proporzionali alla
popolazione residente; esistenza di libero commercio all’interno della regione
economica integrata.
Banzhaf e Walsh (2008) nel tentativo di verificare empiricamente le ipotesi del
modello di Tiebout, si sono scontrati con la difficoltà di monitorare effettive
migrazioni di individui condizionate dalla ricerca di migliori servizi pubblici.
Secondo i due autori, non sarebbe possibile escludere dall’analisi dei dati, il
rumore statistico prodotto da altre variabili, quali le opportunità di occupazione o
il costo della vita, non considerate tra le condizioni del modello di Tiebout.
1.1.1.2 Uno sviluppo del modello: le esternalità fiscali
Gli scostamenti dalla formulazione ideale del modello si traducono in parte in
un’inefficienza della concorrenza fiscale. In particolare, è necessario considerare
l’ipotesi della creazione di esternalità fiscali. Esse sono il prodotto di interventi
pubblici di un ente sui bilanci pubblici di altre amministrazioni (Wildansin 1989).
Infatti, gli interventi di policy programmati da un ente di governo, volti ad
aumentare il benessere dei propri residenti, potrebbero comportare la perdita di
benessere per i residenti di altre regioni confinanti. Ad esempio un ente di
governo potrebbe prevedere una politica tributaria volta a diminuire la propria
imposta sul reddito da capitale, per attrarre maggiori investimenti. Questa politica
avrà l’effetto di ridurre gli investimenti nelle regioni adiacenti, con conseguente
diminuzione delle basi imponibili e quindi una contrazione del prelievo fiscale. In
questo caso la politica dell’ente considerato, provocherebbe un esternalità
negativa sulle regioni adiacenti.