Introduzione
All’interno di contesti concorrenziali ed altamente dinamici, il vantaggio competitivo delle
imprese risulta essere profondamente legato alle modalità con cui esse affrontano i problemi
dell’innovazione di prodotto e, in particolare, al rapporto tra innovazione e conoscenza di
mercato. All’interno del quadro presentato, sono due le principali ragioni in grado di motivare
quanto detto.
Un primo elemento è dato da una sempre maggiore rilevanza strategica assunta
dall’innovazione di prodotto, soprattutto ora che all’interno di scenari internazionali sempre
più globalizzati e iper-concorrenziali vi è la necessità da parte delle imprese di considerare un
riposizionamento competitivo all’interno del mercato basato sul progressivo e sistematico
innalzamento della qualità dell’offerta. Il fatto di saper sviluppare capacità elevate
nell’innovazione di prodotto, unitamente all’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo,
risulterà, quindi, una delle maggiori sfide per l’impresa, dal momento che proprio questo
contesto rappresenta uno dei principali ambiti del confronto competitivo attuale.
Una seconda motivazione in grado di spiegare la forte centralità dei temi legati
all’innovazione e alla conoscenza di mercato è data da una domanda sempre più dinamica e
imprevedibile, espressione di una crescente varietà dei bisogni dei consumatori finali e di una
maggiore variabilità nelle modalità di fruizione dei prodotti e nella valutazione dei loro
benefici (Marchi, 2007). In molti settori, conseguentemente a questo fattore, si è così
registrato un generale accorciamento dei tempi di progettazione e di lancio del prodotto sul
mercato e, parallelamente, un notevole incremento del tasso di introduzione di nuovi prodotti.
In un contesto come quello appena presentato l’impresa, pertanto, oltre a sostenere la
dimensione più strettamente tecnologica e legata ad un’innovazione di tipo supply-side, dovrà
dedicarsi anche al rafforzamento della componente organizzativa e di marketing, necessaria
per incrementare l’efficacia e l’efficienza dei processi di sviluppo dell’innovazione, per
poterla presentare sul mercato secondo le modalità più congrue ai fini di una sua accettazione.
La capacità di innovazione dell’impresa sembra pertanto essere notevolmente associata alla
sua capacità di realizzare solidi legami con il mercato e in particolare con i consumatori e gli
utilizzatori finali di prodotto. Secondo l’impostazione seguita all’interno del nostro lavoro,
l’elemento essenziale in grado di alimentare e sviluppare in modo sistematico e continuativo
l’innovatività dell’impresa sarebbe rappresentato dall’abilità nel gestire la conoscenza di
mercato, assorbendo, distribuendo e condividendo le competenze provenienti dagli attori del
mercato, considerabili alla stregua di vere e proprie fonti di conoscenza esterne all’azienda.
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La capacità di proporre in modo continuativo nel tempo prodotti innovativi diventa perciò un
elemento fondamentale per determinare la performance di lungo periodo dell’impresa: mentre
le singole innovazioni possono essere in qualche modo imitate dai competitors, la
complessiva capacità di innovazione, costituita da competenze e conoscenze di natura tacita
difficilmente articolabili e decodificabili dall’esterno, rappresenta una fonte di vantaggio
competitivo particolarmente robusta, durevole e potenzialmente difendibile dall’impresa.
L’acquisizione delle competenze per gestire la conoscenza di mercato a supporto
dell’innovazione rappresenta, quindi, un compito assai critico e allo stesso tempo
impegnativo, tale da spingere le imprese a ricercare forme di conoscenza di mercato in
soggetti dissimili, lontani da essa per esperienze e modelli cognitivi di riferimento.
Le risposte che a tal riguardo verranno proposte in questo lavoro prendono avvio dal costrutto
di collaborative innovation, un nuovo concetto che fonda le proprie basi nella teoria e nella
pratica del marketing e dei processi innovativi. Mentre in passato gli attori esterni, e in
particolare i consumatori, rappresentavano soggetti passivi da osservare con il solo scopo di
aumentare le probabilità di successo dei prodotti da sviluppare, oggi, all’interno della
cosiddetta nuova “Economia dell’Innovazione”, è possibile instaurare con essi un dialogo
reciproco per alimentare e sostenere il processo di apprendimento organizzativo aziendale. In
altri termini, mentre in passato si registrava una sostanziale assenza di dialogo e le interazioni
erano perlopiù ad un’unica via, oggi invece per l’impresa è possibile alimentare in modo
continuativo forme dialogiche interattive e reciproche. Innanzitutto, è possibile interagire in
maniera diretta con i singoli consumatori, favorendo l’emergere di vere e proprie discussioni
in grado di stimolare la creatività e un’eventuale potenziamento dei contenuti dell’oggetto
analizzato; inoltre, diventa ora possibile sviluppare un’interazione con il mercato di
riferimento implementando nuovi modelli organizzativi basati su gruppi di consumatori
organizzatisi in autonomia all’interno di proprie comunità virtuali o addirittura stabilendo
relazioni con intermediari dedicati (come ad esempio knowledge brokers o sistemi open
source) in grado di produrre autonomamente parte della conoscenza di mercato necessaria per
l’innovazione. In definitiva, quindi, la collaborative innovation è considerata come una
modalità di ri-progettazione continua dell’offerta, in cui il ruolo del cliente assume una
rilevanza strategica e in cui le competenze e le forme di conoscenza ad esso appartenenti
vengono coinvolte attivamente all’interno del processo di sviluppo di nuovi prodotti, così
come quelle di altri attori esterni in grado di contribuire al sistematico cambiamento
dell’impresa. Il passaggio ad un tale modo di interpretare e produrre l’innovazione è stato reso
possibile dal potenziamento registrato negli ultimi anni dal marketing e dall’innovazione per
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mezzo dell’avvento delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e della loro
implementazione nei principali processi aziendali. Queste ultime, consentendo un processo
interattivo continuativo e maggiormente profondo rispetto al passato sia nei mercati di
consumo che in quelli industriali, hanno permesso che si potessero affiancare alle tradizionali
ricerche di mercato ben più complessi strumenti Web-based di marketing, in grado di
coinvolgere attivamente il cliente all’interno del processo di innovazione dell’impresa. Se in
passato, infatti, i consumatori erano considerati fonti significative di informazione dal
momento che, con le proprie conoscenze, permettevano di testare i prodotti ideati
autonomamente dall’industria prima del loro lancio effettivo sul mercato e consentendone
l’eventuale adeguamento a seconda dei suggerimenti forniti, oggi le competenze e le
esperienze dei clienti divengono un riferimento fondamentale per l’impostazione
dell’innovazione. In definitiva, l’apertura tecnologica e la possibilità di dialogare con il
mercato offrono un numero sempre maggiore di interazioni finalizzate all’innovazione. La
collaborative innovation, inoltre, sta diventando sempre più un ambito che non si limita al
coinvolgimento del solo cliente finale, ma che si estende agli utilizzatori del prodotto e ad
operatori generalmente interessati alla produzione, generando un vero e proprio passaggio
verso forme di innovazione distribuita basate su un’apertura democratica a favore delle fonti
esterne di conoscenza e caratterizzata da specifici business model, in grado di oltrepassare la
tradizionale forma di organizzazione gerarchica dell’innovazione.
Nell’ambito di questi processi di collaborative innovation, le comunità virtuali di
consumatori, in particolare, si configurano come un’importantissima fonte di nuova
conoscenza alla quale sinora le imprese non avevano mai potuto avere accesso diretto. La
possibilità di interagire con queste comunità di consumatori, che il più delle volte si
compongono della parte più fedele ed esperta dell’intera base clienti dell’azienda, apre nuove
prospettive per l’impresa, supportando tanto l’attività di analisi e comprensione del mercato
quanto i processi di vero e proprio di sviluppo di nuove offerte. In questo modo si creano le
premesse per lo sviluppo di fenomeni comunitari attraverso la Rete, considerata come
l’ambiente “fisiologico” e più indicato per la nascita e il consolidamento di comunità di
consumatori in grado di manifestare e rendere patrimonio comune forme di conoscenza,
creatività e competenze appartenenti ai singoli. Internet, infatti, nasce prima di tutto come
mezzo di relazione a struttura decentrata privo di struttura organizzativa, proprio per questo in
grado di valorizzare la dimensione partecipativa e il contributo di tutte le risorse, anche
esterne e periferiche, a un sistema che non prevede forme assolute di gestione centralizzata.
Inoltre, occorre sottolineare come sempre più le conoscenze sparse in Rete tendano a
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riaggregarsi spontaneamente attorno ad interessi condivisi, attraverso un processo di
progressiva ricerca di affinità e reciproca valorizzazione. In questo modo, ogni qualvolta si
avvertano esigenze di apprendimento e di confronto in ambiti differenti da quelli
maggiormente presidiati, fenomeni di specializzazione delle conoscenze presenti all’interno
del singolo cluster potranno andare a combinarsi e a sovrapporsi a fenomeni di
socializzazione della conoscenza tra cluster diversi. Partendo da questi presupposti,
particolare attenzione viene dedicata alle comunità virtuali di consumo quali strumenti di
creazione o apprendimento distribuito, in grado di valorizzare la dimensione sociale ed
esperienziale della conoscenza di consumo e di sviluppare logiche di collaborazione con i
clienti nell’ambito delle attività di innovazione di impresa. Le comunità dotate di tali
potenzialità, note come comunità di creazione, possono giungere ad alimentare un processo di
apprendimento di natura collaborativa con il mercato di riferimento, in grado di stimolare e
rendere maggiormente efficaci i processi innovativi dell’impresa accelerando, oltre alla fase
di generazione e selezione delle idee e di introduzione del nuovo prodotto sul mercato, anche
lo stesso sviluppo del prodotto in senso stretto (Sahwney, Verona, Prandelli, 2005).
Una volta fissata l’attenzione sulle comunità virtuali di marca e su quelle caratteristiche di
interattività e socializzazione della conoscenza che ne fanno contesti particolarmente indicati
ove sviluppare specifici processi di apprendimento dal mercato e in grado di consentire
l’accesso a forme ricche di conoscenza sociale, occorre però ragionare su quali possano essere
i meccanismi specifici di trasferimento, interpretazione e applicazione di questa specifica
conoscenza di mercato alle diverse fasi di sviluppo dei nuovi prodotti. Quest’ultima, in
particolare, benché validata socialmente attraverso le interazioni sviluppatesi all’interno della
comunità, risulta comunque trasferibile solamente a partire dalle competenze e dai
comportamenti di singoli individui partecipanti alla comunità, ognuno dei quali è dotato di
proprie peculiarità in termini di esperienza di utilizzo del prodotto, capacità di condivisione
della conoscenza posseduta e comprensione dei trend futuri di innovazione nel mercato. E’
verosimile perciò considerare che, all’interno delle comunità virtuali di marca, non tutti i
partecipanti possano risultare ugualmente utili per l’innovazione di prodotto e per sviluppare
attività congiunte di collaborazione effettivamente rilevanti. Inoltre, considerare
genericamente tutti gli utilizzatori, in quanto tali, come sorgente possibile del processo
innovativo servirebbe a ben poco, almeno in termini gestionali ed operativi: se tutti gli
utilizzatori fossero in partenza uguali e se i loro processi di apprendimento non potessero
essere approssimati, non resterebbe altro che considerarli come una “black box”, ossia come
un sistema descrivibile soltanto per come reagisce (output) ad una determinata sollecitazione
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(input), ma i cui “ingranaggi” non sono visibili e analizzabili. Per queste ragioni risulta
fondamentale per l’impresa formulare e testare nuovi modelli ed euristiche che le consentano
di individuare e selezionare, all’interno della comunità virtuale, quei consumatori che,
essendo dotati di un maggiore potenziale innovativo intrinseco, possano meglio di altri
attenuare i problemi associati al trasferimento della conoscenza e fornire un sostanziale
contributo se inseriti in processi di collaborative innovation orientati allo sviluppo di nuovi
prodotti o di nuove configurazioni d’uso di prodotti esistenti.
Si può pertanto comprendere l’importanza, all’interno di un tale contesto, del concetto di Lead
User, introdotto e impiegato da Von Hippel proprio per sostenere come gli utilizzatori non
siano di per sé tutti uguali. Il lead user, infatti, viene definito come quel cliente che, in ragione
dell’esperienza pratica maturata nell’uso del prodotto e della capacità di analisi prospettica,
riesce a dare rappresentazione al bisogno esplicito di un prodotto innovativo in anticipo
rispetto al resto del mercato (Von Hippel, 1977, 1986). Esso costituisce perciò una fonte di
conoscenza specialistica da integrare all’interno del processo di sviluppo di nuovi prodotti, in
grado di contribuire a generare nuove soluzioni circa gli attributi di prodotto o il suo design,
selezionarle, trasformarle in prototipo e lanciarle sul mercato. Nella definizione originaria, i
lead users sono quindi ben più che semplici “early adopters”. Questi ultimi, semplicemente,
dimostrano un’inclinazione alla sperimentazione e al consumo che li differenziano
notevolmente dagli altri in termini di propensione al rischio (i prodotti nella fase di
introduzione possono risultare ancora non perfetti) e in quanto disposti a pagare un prezzo più
elevato (per la necessità di ammortizzare quanto più rapidamente i costi fissi). I lead users,
invece, rappresentano una specie profondamente diversa e a sé stante: essi non aspettano
passivamente soluzioni che risolvano i loro problemi e le loro necessità, ma intervengono in
prima persona, e spesso autonomamente, nell’individuare nuove opportunità e nuovi spazi
d’azione ancor prima del produttore. Il lead user non può quindi essere individuato in modo
automatico come colui che si colloca al centro di un determinato mercato, ma come un
soggetto dotato di propria intelligenza distintiva, in grado di auto-produrre o di collaborare
allo sviluppo di soluzioni avanzate. Molti studi si sono focalizzati sul ruolo e le caratteristiche
di questi utenti innovatori, nonché sui modelli utilizzabili per la loro identificazione e
selezione, soprattutto per quel che riguarda ambienti offline di relazione in mercati di tipo
business-to-business. Solo più recentemente, per mezzo della crescente diffusione delle
comunità virtuali, l’attenzione dei ricercatori si è rivolta anche ai mercati consumer,
all’interno dei quali i processi di individuazione dei lead users risultano tipicamente più
complessi. Sebbene la partecipazione spontanea e volontaria dei clienti a comunità virtuali di
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marca possa semplificare in questo senso il processo di identificazione dei lead users, rimane
tuttavia aperto il problema del comprendere a fondo quali siano, all’interno di comunità
densamente popolate e relativamente complesse, le variabili utilizzabili per la selezione dei
partecipanti più interessanti sotto il profilo del potenziale contributo innovativo; per questo
motivo si rende pertanto necessaria la definizione di una metodologia manageriale,
applicabile ad ambienti virtuali di interazione, per l’individuazione, la gestione e
l’inserimento dei consumatori lead user all’interno di processi collaborativi finalizzati
all’innovazione di prodotto.
Partendo da tutta questa serie di presupposti, il presente elaborato si pone l’obiettivo di
approfondire le tematiche legate alla gestione della conoscenza, focalizzandosi in particolare
sulla conoscenza detenuta dai consumatori e alle modalità con cui questa possa essere
integrata dall’impresa all’interno dei suoi processi di marketing. Più specificatamente, inoltre,
il nostro lavoro si concentrerà sull’utilizzo della conoscenza del consumatore nei processi di
sviluppo di nuovi prodotti per il mercato. Facendo riferimento a basi e strumenti di
knowledge management, oltre a comprendere l’importanza che un tale argomento viene ad
assumere per le imprese, si vogliono in questo modo evidenziare quelle che sono le
caratteristiche della conoscenza presente all’interno e all’esterno dell’organizzazione, e, in
quest’ultimo caso, come essa possa essere assorbita e integrata con successo all’interno dei
propri processi aziendali.
Il lavoro di tesi risulta essere strutturato in cinque principali parti.
Nel primo capitolo si introdurrà il tema della conoscenza di mercato come fonte di
innovazione e di vantaggio competitivo per l’impresa. Si partirà da una descrizione della
conoscenza, delle sue caratteristiche e delle sue componenti fondamentali al fine di costruire
una prima base teorica per poi essere in grado di comprendere la specifica analisi sulla
conoscenza del consumatore e sugli strumenti di collaborazione che verranno in seguito
presentati. Successivamente ci si focalizzerà su un particolare tipo di conoscenza,
rappresentata dalla conoscenza di mercato, analizzandone nello specifico le peculiarità
distintive, i contesti all’interno dei quali si genera e gli ambienti aziendali in cui essa può
trovare concreta applicazione. A chiusura del capitolo si introdurrà il tema dell’innovazione,
passando attraverso una prima definizione e un’analisi delle molteplici forme in cui essa può
realizzarsi all’interno dei processi aziendali. In particolare, in quest’ultima parte del capitolo,
provando a sintetizzare i temi principali di un dibattito vasto, complesso ed ancora aperto, si
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discuterà il legame tra conoscenza di mercato e innovazione di prodotto, con l’obiettivo di
cogliere le specificità osservabili in contesti competitivi e altamente dinamici e proporre
diversi possibili orientamenti strategici con i quali intendere i processi innovativi di impresa.
Il secondo capitolo focalizzerà l’attenzione su una delle principali tematiche di questo
lavoro, quella relativa al concetto di lead users, ossia a quei consumatori che essendo in
possesso di determinate peculiarità caratteristiche, si configurano come maggiormente indicati
ad un eventuale coinvolgimento da parte delle imprese in pratiche e processi collaborativi
mirati allo sviluppo di nuovi prodotti o di nuove configurazioni d’uso di prodotti esistenti.
Una volta introdotto e definito il concetto di lead user, originariamente diffuso in letteratura
da Von Hippel (Von Hippel, 1977, 1986), si cercherà di comprendere e analizzare più da
vicino le caratteristiche del Lead User Method, ossia di quello che si configura come una vera
e propria metodologia utilizzabile dalle imprese strutturalmente orientate all’innovazione. In
questo modo, dopo aver definito le potenzialità di questa metodologia innovativa rispetto ai
tradizionali strumenti di marketing, e dopo aver fornito alcune evidenze empiriche a
testimonianza della validità pratica dell’approccio, ci si focalizzerà sulle specifiche fasi in cui
tale metodologia è articolata, ponendo distinzione nel caso si intenda utilizzarla all’interno di
mercati consumer o di tipo business-to-business.
Nel terzo capitolo si restringerà il campo di analisi alle sole comunità. Inizialmente
verranno presentate alcune riflessioni sociologiche sul fenomeno comunitario, analizzando la
natura sociale e tribale delle comunità, le implicazioni sociali e alcuni fattori comportamentali
dei membri delle comunità. Successivamente si presenterà un’analisi dell’evoluzione del
fenomeno tribale corrispondente alla nascita delle moderne comunità, studiandone le
caratteristiche e le tipologie esistenti, con particolare riferimento alle comunità di
consumatori. Dopo aver fatto ciò, si cercherà di evidenziare quali tra queste caratteristiche
hanno un impatto positivo sullo scambio cognitivo, verificando pertanto la capacità delle
comunità (in specifico, delle comunità virtuali di consumo) di configurarsi come fornitori di
conoscenza a favore dell’impresa. Per chiudere, si analizzeranno le motivazioni alla base di
un ricorso alle comunità virtuali, sia dal punto di vista dell’azienda che del semplice soggetto
partecipante, riportando alcuni elementi utili alla progettazione di una comunità virtuale che
sia in grado di contribuire alla creazione di nuova conoscenza garantendo libertà di
interazione ai membri.
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Nel quarto capitolo si andrà a definire un innovativo approccio per lo sviluppo di nuovi
prodotti attraverso la collaborazione attiva di alcuni consumatori particolarmente interessanti
per l’impresa, ovvero quei lead users analizzati all’interno del secondo capitolo. Inizialmente
si introdurranno le basi dell’approccio teorico della collaborative innovation, indicandone le
caratteristiche fondamentali ed i benefici ottenibili dalle imprese che decidono di
implementarlo nei loro processi. Dopo aver considerato quali siano le forme di conoscenza
possedute dal consumatore e le ragioni per cui queste siano ritenute particolarmente attraenti
per le imprese, si cercheranno di chiarire le motivazioni in grado di spiegare la propensione
degli stessi clienti alla collaborazione ed al coinvolgimento in attività di sviluppo di nuovi
prodotti. Successivamente, si tenterà di analizzare quale sia l’influenza specifica di Internet su
questo processo e sulle singole fasi di sviluppo di nuovi prodotti, in grado di motivare e
favorire un più esteso coinvolgimento del cliente all’interno dei processi innovativi aziendali.
Questi elementi serviranno da introduzione ad un’analisi più approfondita degli strumenti
metodologici e operativi attraverso cui implementare il processo di collaborative innovation
all’interno degli schemi organizzativi aziendali. Dopo aver brevemente introdotto le principali
tecniche manageriali per l’integrazione attiva della conoscenza dei consumatori all’interno dei
processi creativi di innovazione, si effettuerà una classificazione di tutti gli strumenti del
collaborative marketing utilizzabili dalle imprese nello sviluppo di un’interazione
collaborativa con i consumatori, valutando come, di volta in volta, essi possano essere
concretamente impiegati all’interno delle fasi del processo di sviluppo di nuovi prodotti.
L’ultimo capitolo del nostro lavoro di tesi è dedicato alla presentazione di una case history
di successo per quel che riguarda il tema della collaborative innovation. Il caso presentato
riguarda Ducati Motor Holding S.p.a., un’impresa italiana operante a livello mondiale nel
settore motociclistico. La scelta di questa specifica impresa come oggetto di analisi deriva
prima di tutto dal fatto che essa ha dimostrato di essere stata una delle prime al mondo nel
restare al passo con i cambiamenti avvenuti nel macrosistema economico e sociale, riuscendo
a percepire i vantaggi ottenibili dalla valorizzazione del potenziale offerto dai propri
consumatori e, più nello specifico, dalle comunità offline e online costituite intorno allo
storico marchio Ducati. In particolare, attraverso l’analisi del caso Hypermotard, si cercherà
di comprendere quale sia la recente evoluzione nelle pratiche di collaborative innovation
adottate dall’impresa. In riferimento a ciò, abbiamo sviluppato e proposto un modello di
selezione dei lead users, ossia di quei consumatori maggiormente qualificati per supportare
l’impresa nelle attività di sviluppo di nuovi prodotti, cercando di verificare quale sia stato il
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contributo effettivo fornito da essi allo sviluppo della nuova moto Ducati Hypermotard. Con
l’applicazione di questo nostro modello, in specifico, si vogliono individuare e selezionare
quelle particolari variabili in grado di identificare soggetti dotati di un alto potenziale
collaborativo ai fini innovativi; inoltre, estendendo in parte l’ampiezza e la profondità della
ricerca, si vuole testare la validità e l’attendibilità di un interessante analogo modello
manageriale per la selezione dei lead users all’interno della comunità virtuale Ducati
sviluppato in precedenza (Etzi, Marchi, 2007).
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1 Innovazione, conoscenza di mercato e vantaggio competitivo
1.1 La gestione della conoscenza
All’interno di questo paragrafo cercheremo prima di tutto di definire la conoscenza, per poi
successivamente tentare di comprendere quali siano le dimensioni e gli ambienti nei quali essa
si sviluppa e in cui viene applicata. Diverse sono le discipline e gli autori che, analizzando il
concetto di conoscenza, hanno contribuito a delinearne le prerogative fondamentali,
alimentando però allo stesso momento un dibattito spesso eterogeneo e contrastante che
continua tuttora. L’obiettivo di questo paragrafo non è quello di analizzare in maniera
approfondita questo tema di per sé vasto e complesso, ma piuttosto quello di individuarne ed
esaminarne brevemente le caratteristiche principali che costituiranno una base per le
successive indagini sulla conoscenza dei consumatori e sull’utilizzo di questa come uno dei
principali driver per lo sviluppo di innovazioni di prodotto all’interno di un processo
collaborativo e congiunto.
1.1.1 Caratteristiche della conoscenza
Parlando della conoscenza, occorre partire innanzitutto dalla distinzione tra informazione e
conoscenza. Quest’ultima è costituita da informazioni elaborate da un individuo attraverso un
processo di deliberazione e apprendimento (Alavi, 2000); essa è, in sostanza, informazione
“situata”, contestualizzata ed applicata ad uno specifico contesto di utilizzo. La conoscenza
risulta quindi essere un bene ancor più prezioso della semplice informazione grezza poiché,
comprendendo anche le competenze e le esperienze del singolo individuo, può essere
applicata per risolvere specifici problemi. Anche se di per sé la conoscenza è un prodotto
individuale, che risiede nella mente delle singole persone, essa può essere trasmessa e
codificata in diversi modi, fino a farle assumere delle caratteristiche che ne consentono la
trasmissione e la condivisione.
Tra le varie tipologie di conoscenza, un’importante prima classificazione è quella che
distingue conoscenza esplicita da conoscenza tacita: la prima è quella formale, rappresentata e
condivisa mediante codici di linguaggio, come nel caso di una serie di istruzioni, una formula
matematica o una descrizione scritta; la seconda è quella che, pur essendo patrimonio della
persona che ne è in possesso, non viene espressa o diffusa. In particolare, quest’ultimo tipo di
conoscenza, anche se difficilmente condivisibile, costituisce un riferimento implicito che
orienta le decisioni degli individui che ne sono possessori.
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Questa prima distinzione si rende necessaria poiché permette di sviluppare una prima
classificazione delle tipologie di conoscenza presenti in azienda; all’interno di ogni
organizzazione infatti, è possibile individuare sia un patrimonio di conoscenze tacite, presenti
grazie alle competenze e alle esperienze degli individui che ne fanno parte, sia un insieme di
conoscenze esplicite, raccolte nelle procedure, nei documenti e nei cataloghi prodotti
dall’impresa.
Un elemento fortemente collegato alla distinzione tra conoscenza tacita ed esplicita è quello
relativo alla facilità di trasferimento della conoscenza. Infatti, tanto più essa risulta essere
tacita, tanto più risulterà difficilmente trasferibile (sticky knowledge); una conoscenza
esplicita sarà invece più facilmente trasferibile, sia perché essa può essere trasmessa in modo
indipendente dal soggetto che la possiede, sia perché, data la maggior generalità di questo tipo
di conoscenza, è minore il trade-off percepito tra la necessità e il vantaggio di trasferire la
conoscenza contro la volontà di proteggere informazioni importanti e di valore. Pertanto le
conoscenze tacite, pur risultando di fondamentale importanza all’interno dei processi
decisionali di un’organizzazione, sono difficilmente trasferibili a causa del loro valore e della
loro specificità. Inoltre, occorre evidenziare come a differenza dei beni tangibili, la
conoscenza organizzativa si rafforzi con l’applicazione e la condivisione continuativa nel
corso del tempo, mantenendo un alto valore solamente se viene sistematicamente utilizzata.
Una seconda importante classificazione è quella compiuta da Spender (1996), che categorizza
le tipologie di conoscenza lungo due dimensioni: il tipo di conoscenza (distinguendo tra
conoscenza esplicita e implicita) e il livello di analisi (distinguendo tra conoscenza
individuale e sociale). L’inserimento di queste due variabili all’interno di una matrice produce
il seguente risultato (figura 1.1):
• Conoscenza conscia: si riferisce alla conoscenza esplicita di un individuo, ossia a
tutto quello che egli “sa di sapere” (ad esempio, la sintassi di un software).
• Conoscenza automatica: corrisponde a quel tipo di conoscenza che un soggetto
possiede a livello inconscio e non esplicitato (ad esempio, il know-how su uno
specifico problema);
• Conoscenza oggettiva: è quella relativa alla conoscenza esplicita e codificata di
un’organizzazione (ad esempio, il manuale delle procedure);
• Conoscenza collettiva: si riferisce a tutte quelle regole non scritte condivise
all’interno dell’organizzazione (ad esempio, la cultura aziendale).
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FIGURA 1.1 - Rappresentazione tassonomica della conoscenza
Livello di analisi
Individuale Sociale
Esplicita Conscia Oggettiva
Implicita Automatica Collettiva
Fonte: Spender (1996).
Infine, un’ultima classificazione è quella proposta da Nonaka e Takeuchi (1995). Questa
tassonomia si sofferma sugli aspetti dinamici della conoscenza, riflettendo il punto di vista
degli autori, secondo i quali “la conoscenza umana si crea e si diffonde attraverso
l’interazione sociale fra conoscenza tacita ed esplicita” (Nonaka, Takeuchi, 1995). In questo
modo, emergono quattro distinte modalità di conversione della conoscenza:
• Internalizzazione (da conoscenza esplicita a conoscenza tacita): corrisponde al
processo mediante il quale una conoscenza esplicita viene condivisa in
un’organizzazione contribuendo a ristrutturare le basi delle conoscenze tacite proprie
dei diversi individui;
• Socializzazione (da conoscenza tacita a conoscenza tacita): si riferisce a un processo
di condivisione di esperienze e di generazione di forme di conoscenza tacita come
modelli mentali e abilità tecniche condivise.
• Esternalizzazione (da conoscenza tacita a conoscenza esplicita): è un processo di
creazione di conoscenza nel quale il passaggio da conoscenza tacita ad esplicita è
favorita da elementi quali metafore, analogie, concetti, modelli o ipotesi.
• Combinazione (da conoscenza esplicita a conoscenza esplicita): si riferisce al
processo di sistematizzazione dei concetti in un sistema di conoscenza.
Gli stessi autori, a tal riguardo poi, sottolineano come nell’impresa questi quattro differenti
processi si intersechino e si sovrappongano all’interno di una sorta di “spirale continua della
conoscenza”, considerata come una delle maggiori fonti di vantaggi competitivi duraturi.
Le classificazioni fin qui presentate ci permettono di evidenziare come la conoscenza sia
tutt’altro che un concetto rigido e inscindibile; gestire la conoscenza, perciò, vuol dire anche
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Tipo di conoscenza
essere in grado di migliorare la creazione, l’utilizzo e il trasferimento di ogni forma di
conoscenza presente all’interno dell’impresa.
1.1.2 L’importanza della conoscenza per l’impresa
La conoscenza è una delle risorse fondamentali per l’attività di impresa. La sua
importanza, come quella di una sua accurata gestione da parte delle organizzazioni, è andata
crescendo negli ultimi decenni a causa di diversi fenomeni sociali ed economici tra loro
fortemente interconnessi (Pennarola, 2005):
• La base delle economie industrializzate si sta velocemente spostando dalle risorse
naturali e tangibili alle risorse intellettuali. Una prova di questa trasformazione è data
dalla crescente importanza di elementi intangibili quali il marchio di prodotto e di
impresa e la reputazione dell’azienda come fattori decisivi nel processo di scelta dei
consumatori.
• La tendenza verso lo sviluppo di prodotti e servizi a sempre più elevata intensità di
informazioni.
• In molti casi l’innovazione di un servizio o di un prodotto è legata oggi ad una
maggiore personalizzazione dello stesso, ossia alla volontà di renderlo il più vicino
possibile alle esplicite aspettative del singolo cliente. In questo senso, la
customizzazione dei prodotti impatta sulla capacità informativa dell’impresa in due
modi: in primo luogo, richiedendo la gestione di un più vasto e completo portafoglio
prodotti; secondariamente, richiedendo la raccolta e la gestione di numerose
informazioni relative ai clienti e ai loro desideri.
• I sistemi economici manifestano ora una volatilità e un tasso di cambiamento assai
maggiori, rendendo indispensabile la capacità da parte dell’impresa di gestire i
processi aziendali nel modo più efficiente possibile, riducendo per prima cosa i tempi
operativi. In questo contesto, perciò, le organizzazioni di miglior successo saranno
quelle in grado di acquisire informazioni, di elaborarle e di utilizzarle efficacemente
nel minor tempo possibile.
• La globalizzazione dei mercati, aumentando la competizione su tutti i fronti, rende
cruciale un elemento come la velocità di introduzione di nuovi prodotti e servizi sul
mercato. Aumentando in questo modo il valore delle informazioni, le imprese si
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trovano a dover capitalizzare le esperienze passate, sia proprie che della concorrenza,
per garantire un efficace apprendimento e per evitare di ripetere errori già commessi.
• L’allargamento geografico dei mercati connesso con la globalizzazione impone ai
consumatori di dover spesso interagire con applicazioni Web-based. Per l’impresa
diviene quindi cruciale poter disporre di tecnologie e processi efficienti.
Tutti i fattori appena elencati ci dimostrano come la conoscenza sia un elemento
fondamentale dell’attività di impresa all’inizio del XXI secolo, giustificando e motivando
l’attenzione che verrà dedicata alle sue caratteristiche specifiche all’interno del nostro lavoro.
1.1.3 La catena del valore della conoscenza
Il riconoscimento della multidimensionalità della conoscenza, unitamente alle
considerazioni svolte nel paragrafo precedente, sono alcuni dei punti chiave alla base della
teoria che sostiene che l’obiettivo ultimo di un’impresa è quello di generare, trasferire e
applicare la conoscenza necessaria a produrre e distribuire nuove soluzioni di prodotto. In
questo senso, secondo la “knowledge-based theory of the firm”, le aziende sono dei sistemi il
cui fine principale è quello di gestire le differenti forme di conoscenza esistenti per giungere
alla generazione di nuova conoscenza distintiva quale fonte di vantaggio competitivo (Grant,
1996).
In particolare, secondo alcuni autori (Davenport, Prusak, 1998; Marzotto, 2000), gestire la
conoscenza all’interno di un’organizzazione significa:
• Creare le opportunità e le condizioni affinchè i suoi membri siano più facilmente
predisposti alla collaborazione, alla generazione delle idee e allo scambio di
informazioni.
• Implementare meccanismi in grado di esplicitare la conoscenza individuale e
mantenere schemi d’azioni atti a sviluppare e a conservare il patrimonio cognitivo
aziendale.
• Sviluppare sistemi di gestione dell’informazione e della conoscenza in grado di
garantire l’integrazione tra conoscenze e competenze sviluppate in ambiti differenti,
contribuendo ad aumentarne il livello di trasferibilità.
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