5
La storia di queste popolazioni è estremamente interessante per le
loro vicende di terra di confine, ma soprattutto per i modi in cui
hanno cercato di preservare la loro identità e per le caratteristiche ad
essa intrinseche.
Le domande da porsi sono quindi:
- i Ladini devono rimanere politicamente ed amministrativamente
determinati nell’ambito dei loro attuali confini zonali o possono e
devono riunirsi in nome della prospettata “Rezia” e Friuli, naturale
area storico-geografica in cui sono avvenuti e registrati i loro
insediamenti ?
- Considerate le diversità e la disparità delle condizioni politiche ed
amministrative delle cinque valli che comporterebbe un lungo e
difficile lavoro di unificazione, possono i ladini di Ampezzo e
Livinallongo “accontentarsi” di cambiare Provincia facendosi
annettere a quella di Bolzano ?
- Le rivendicazioni di autonomia nei confronti della provincia di
Belluno che ripresero con nuovo vigore nel ’91,(in concomitanza con il
simposio del 26 luglio di quell’anno a La Valle di Badia, dove si
riunirono i diciotto sindaci delle cinque valli con lo scopo di posare la
prima pietra della “Grande Ladinia”) e mai realizzate, erano di natura
socio-culturale o politico-economica ?
- Può Cortina rivendicare un’appartenenza alla regione Trentino-Alto
Adige alla luce delle vicende più recenti che la vuole Italiana solo dal
1918, o sarebbe meglio indagare nella storia per scoprire forse che
non e’ poi così lontana nelle sue origini dal tanto vicino Cadore, e
quindi con un “sangue” più Veneto di quanto non si voglia credere ?
Obiettivo della mia Tesi e’ cercare di capire perché in questi anni
nell’Ampezzo si è parlato molto di cambiare Provincia e così Regione, e
perché dopo quanto detto, ancora oggi non sì e’ arrivati a nulla,
nemmeno al tanto chiacchierato Referendum sull’autonomia che era
stato auspicato da chi nella “Grande ladinia “ crede ancora.
6
A STORIA DELL’AMPEZZO DALLE ORIGINI
ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
I) DAGLI ALBORI AL 1200
- Periodo preromano:
Questi luoghi erano già conosciuti dai cacciatori della media età della
pietra, a dimostrazione di questo, sensazionale fu nel 1987 il
ritrovamento dello scheletro intatto di un capo tribù vissuto circa
8000 anni fa, a Mondeval, a 2150 metri, presso il confine sud di
Cortina.
2
Si suppone che l’Ampezzo fosse abitato da Illirici e Veneti (necropoli e
iscrizioni paleovenete a non molta distanza). Durante l’età del bronzo
e del ferro quindi le Alpi centrali erano già abitate da varie genti, a cui
i Romani in seguito diedero il nome collettivo di Reti.
Nel 450 avanti Cristo circa arrivarono dal Friuli in Cadore i
Paleoveneti, che si fusero con gli abitanti locali. A Lagole presso
Calalzo di Cadore, sono venuti alla luce numerosi oggetti preistorici,
alcuni con iscrizioni in alfabeto paleoveneto. Una popolazione
abbastanza numerosa è confermata dalle tombe a cremazione
scoperte a Pieve di Cadore e zone circostanti, e da una stele con
iscrizione funeraria trovata al di là del passo Giau a mt 2.100.
Se i Paleoveneti arrivarono fin lassù, forse già per scavare metalli,
sarebbe strano se dalla valle non fossero giunti fino in Ampezzo.
- Epoca romana:
Nel 181 avanti Cristo i Romani fondarono la colonia latina di Aquileia:
da essa si irradiò la graduale pacifica conquista romana. Se non già
prima, il Cadore fu assoggettato all’Impero nel 15 a.C. quando Druso
e Tiberio vinsero i Reti e i legionari avanzarono fino al Danubio.
L’arrivo dei romani fu un momento tragico per i Reti, i quali
resistettero all’invasione e difesero la loro libertà con accaniti
combattimenti.
E’ certo che all’epoca dell’imperatore Claudio nel 47 d.C. l’Ampezzo
era della Venetia ed Histria, e dipendeva dal municipio di Julium
Carnicum (Friuli) come il resto del Cadore.
La cristianizzazione è avvenuta per opera dei romani, tutte le valli
ladine rimasero per più di un millennio sotto la diocesi di Sabina,
trasferita poi a Bressanone, eccetto Ampezzo che dipendeva
direttamente da Aquileia. Caracalla nel 212 dichiarò cittadini romani
tutti gli abitanti dell’impero, divenuti quindi romani e cristiani. Anche
2
Richebuono G.: Breve storia dei ladini dolomitici - Istituto culturale Ladino - 1992 Micurà de Ru . (Pag. 6)
L
7
i montanari aborigeni cominciarono ad abituarsi al latino dei
sacerdoti , dei commercianti , degli esattori delle tasse ecc.… con i
quali venirono a contatto nei loro villaggi.
Ma il latino che i Reti, i Norici, i Carni ecc.… sentivano parlare non
era sicuramente quello classico dei letterati ma quello “volgare”, e i
popoli sottomessi a Roma non rinunciarono al loro idioma in modo
totale, così in ciascun popolo, il latino venne ad assumere una
fisionomia speciale.
Si formò una grande regione su ambedue i versanti delle Alpi,
dall’attuale Svizzera fino a Vienna e attraverso l’Alto-Adige al Friuli ed
a Trieste, in cui il latino assunse caratteristiche proprie, diverse da
quelle delle zone romanizzate prima e con diverso sostrato. Nacque
così la lingua ladina, una lingua sfortunata, che scomparve
nell’attuale Austria con le invasioni barbariche e si ridusse sempre
più attraverso i secoli, essa è oggi limitata a cinque vallate nei
Grigioni (Svizzera), a cinque vallate dolomitiche ed al Friuli con la
Carnia.
La maggior parte degli specialisti, tra cui Graziadio Isaia Ascoli, non
dubita che il ladino costituisca un sistema idiomatico a sé stante,
parallelo a quello dell’alta Italia ma indipendente da esso.
3
L’impero romano ebbe su queste terre una grande forza unificatrice e
livellatrice, nella Rezia, nel Norico, in Carnia ecc.. le leggi erano
identiche, e il trattamento analogo, questo ha enfatizzato alcune
caratteristiche salienti della cultura e della lingua presenti nel
territorio.
- Periodo barbarico:
Con la ritirata dei romani, la popolazione latinizzata fu abbandonata
alle feroci incursioni dei “barbari”.
Per circa un secolo i Ladini vissero abbandonati più o meno a se
stessi: dalla fine dell’amministrazione romana all’arrivo dei
Longobardi e dei Baiuvari.
Nel 568 i Longobardi occuparono il Friuli, da là sottomisero anche la
Carnia, il Cadore e l’Ampezzo. Risalendo l’Adige istituirono un ducato
anche a Trento, avanzarono poi a Bolzano e Merano assoggettando
anche la Val di Fiemme.
Per influsso degli ordinamenti longobardi i pascoli e i boschi
divennero proprietà collettiva e indivisibile di determinate “famiglie
di regolieri“, consociati che trasmettevano il loro diritto solo ai figli
maschi residenti, questa peculiarità longobarda fu importantissimo
per lo sviluppo d’Ampezzo
4
.
3
Ascoli Graziadio Isaia: Saggi ladini, in Archivio glottologico italiano 1873. Ristampa Torino 1972
4
Vedi paragrafo sulle “Regoles” da pag 8 a 11.
8
I longobardi erano pochi e furono assimilati, la loro lingua germanica
non costituì un pericolo per il ladino, che in questa zona rimase
intatto e dominante.
“La Regola“ non divenne dunque un ente territoriale, ma una
comunità chiusa di comproprietari di beni privati indivisibili e
inalienabili.
I Baiuvari oltrepassarono il Brennero verso il 580 e verso il 610 si
impadronirono definitivamente di tutta la Pusteria, germanizzando i
ladini rimasti nelle valli laterali, senza però mai spingersi in Ampezzo.
Da allora in poi gli Ampezzani hanno confinato a nord con popolazioni
di lingua tedesca, che per gli sviluppi successivi divennero con il
tempo tirolesi.
Successivamente Carlo Magno sottomise i Longobardi (774), quindi il
Cadore con Cortina che divenne una delle sue 10 centene, così
facendo essa divenne parte del regno dei Franchi e acquistò una
propria individualità diventando una contea.
Cortina, quando Enrico IV (di Canosa) nel 1077 conferì al patriarca di
Aquileia Sigeardo pieni poteri, era Friulana. Passò così ad un
principato ecclesiastico che costituì l’unico stato ladino formatosi a
sud delle Alpi fino al 1420.
- Periodo Caminese:
Con il Cadore sotto i Conti da Camino (signori di Treviso), feudatari
del Patriarca di Aquileia (1138-1335). Il primo documento rimastoci
che nomini Ampezzo (in latino Ampicio) è del 1156; nel 1175 si
nomina la località Bottestagno
5
.
A riscontro di questo, dal 1241 in poi, la denominazione Ampezzo di
Cadore si ripete su tutte le pergamene e in seguito su tutti gli atti fin
oltre il passaggio all’Austria.
E’ quindi probabile che buona parte dei suoi abitanti sia venuta dal
Cadore, allora completamente ladino, ponte fra la ladinità dolomitica
e quella carnico-friulana.
Nel 1235 poi, i Cadorini e con loro gli Ampezzani, riuscirono a farsi
mettere per iscritto degli “statuta”
6
, con cui il Conte limitava le
ingerenze del podestà, riconosceva le “Regole” del 1200 (nella stessa
data appare per la prima volta nei documenti la Comunità Cadorina) e
diverse consuetudini locali, stabiliva tariffe e pene pecuniarie facendo
così acquisire ad entrambi i territori un’autonomia invidiabile.
5
Richebuono G.: Il Castello di Bottestagno – Regole d’Ampezzo – Cortina 1994. (Pag. )
6
Richebuono G.: vedi nota precedente. (Pag. )
9
II) LE “REGOLES”
- Come nascono e si sviluppano nella storia
Le Regole erano norme di diritto privato e le troviamo già
perfettamente organizzate, fin dalle lontane origini, con un capo
annuale detto “marigo”, assistito da “laudatori” e “saltari” (guardie),
con riunioni e deliberazioni democratiche. Un primo elenco delle 17
famiglie regoliere di Vinigo risale al 1289
7
.
In Ampezzo le Regole sono viste come espressione e consociazione di
tutti i comproprietari del territorio.
Ciò ha sempre comportato che nessun regoliere, benché
comproprietario, poteva sfruttare il terreno pascolabile a modo suo,
per suo egoistico vantaggio. I pascoli erano gestiti in comune, dalla
Regola, in maniera ordinata, razionale e sociale: nessun ampezzano,
benché comproprietario, poteva vendere la terra o il suo legname di
sua iniziativa, perché i boschi erano gestiti a beneficio di tutti i
consociati originari. Il Comune pagava il lavoro, distribuiva l’utile
netto ricavato o lo investiva in opere di pubblica utilità.
Le regole furono quindi da sempre molto importanti, sono qualcosa di
fondamentale per gli Ampezzani e per la loro storia. Furono il
fondamento dello spirito di coesione, di socialità esemplare, di
cooperazione che hanno da sempre contraddistinto la comunità
ampezzana.
Sui confini territoriali di Ampezzo (che coincisero spesso con i confini
nazionali di Stato) si attestarono i regolieri, che li difesero
accanitamente con la legge e con le armi attraverso i secoli. Si deve
alle Regole se i pascoli e i boschi sono ancora oggi proprietà della
comunità originaria.
“La Regola, sovrapponendosi alla volontà dei singoli attraverso il voto
della maggioranza, tutela la perpetuità e socialità degli scopi comuni e
insieme la distribuzione del lavoro, la divisione degli oneri e degli utili;
fissa le modalità del godimento, delibera le sanzioni contro chi
danneggia gli interessi della comunanza; interviene con i suoi arbitri a
comporre le vertenze, con i suoi rappresentanti difende il patrimonio
collettivo e ne garantisce la conservazione, il progresso, l’autonomia.
La proprietà collettiva, mentre impedisce due fattori patologici del suolo
cioè frazionamento eccessivo e latifondo, presenta tutti i pregi della
proprietà demaniale senza averne i difetti. Interessa i contadini alla
conservazione ed al miglioramento dei beni, dà una base economica
alla famiglia, ferma il lavoratore alla terra e ne sconsiglia l’emigrazione,
inizia alla vita pubblica i montanari, contribuisce a mantenere fra gli
7
Richebuono G.: Cenni sulle regole d’Ampezzo – Edito dall’ U.L.D.A. – Cortina 199 .(Pag. )
10
uomini una più giusta eguaglianza, condizione essenziale di uno stabile
assetto di democrazia
8
”.
E’ stata così garantita la cura e la sollecitudine per la campagna per il
bestiame, il controllo dei prezzi affinché non salissero, l’ordine
pubblico. Interessante è il regolamento edilizio che già alla fine del
1300 prescriveva: “Deliberiamo che nessuno di Ampezzo od altri osi
costruire una casa o qualunque edificio fuori dei limiti imposti dal
Comune, come risultano dettagliatamente dagli scritti della suddetta
comunità; chi contravvenisse viene privato della libertà dalla comunità
e l’edificio viene asportato.”
La comproprietà dei consorti era chiara, ma c’erano ancora incertezze
sul come esercitare e trasmettere questo diritto. Perciò durante il
periodo veneziano si fecero a questo riguardo delle aggiunte allo
statuto del 1338, o si precisarono norme antiche, e troviamo scritto:
“Nessuno può divenire (nuovo) regoliere se prima non è stato assunto
dal Consiglio Generale e se non ha residenza stabile in Cadore; chi si
trasferisce fuori del Cadore con la famiglia e non paga per sei mesi,
perde il diritto di Regola; ogni famiglia ha una sola consortia (diritto di
regola); ma i figli adulti hanno una consortia a testa; ogni Regola deve
compilare il Laudo e farlo approvare al vicario;
la Regola può vizzare solo con espressa licenza del Consiglio; ciascuna
decena deve tenere almeno 40 pecore; è proibito vendere pascoli o
affittarli ai foresti; è proibito vendere a foresti o asportare erba e fieno o
biade; è proibito vendere consortie di Regola ai foresti: la vendita è
ammessa agli altri consorti della stessa Regola al massimo ad altro
Cadorino, ma sempre con licenza del Consiglio.
Le Regole sono state disattese in tutti questi secoli, solo dallo Stato
italiano, dopo l’unione di Ampezzo con l’Italia stessa divenuta dal 1918
definitiva
9
”. Nel 1927 fu emanata la legge sul riordinamento degli usi
civici (16-06-1927 n° 1766) che ignorava del tutto le Regole, e gli
Ampezzani si videro espropriare complessivamente di tutti i loro beni,
comprati, difesi, posseduti dai tempi dei tempi come già
precedentemente detto.
Anche dopo il secondo conflitto mondiale la suddetta legge rimase in
vigore. Allora il prof. Bolla presentò un ricorso al Ministero
dell’Agricoltura e Foreste dicendo che la legge del 1927 non poteva
essere applicata alle Regole, consociazioni speciali di natura privata.
Una commissione inviata dal Ministero ad esaminare la questione,
rigettò il ricorso con sentenza del 24.12.1947 a Trento; ma ordinò lo
scioglimento della promiscuità fra Regole e Comune. Questa sentenza
di Trento fu impugnata dalle Regole presso la Corte d’Appello di Roma
8
Richebuono G.: vedi nota precedente. (Pag. )
9
Richebuono G.: vedi nota 7. (Pag. )
11
con atto del 26.01.1948; ma anche quest’ultima confermò la sentenza
di Trento (30-12-1955 e 18-02-1956) e le Regole si rivolsero allora alla
suprema Corte di Cassazione (6-4-1956), che intanto non fece niente.
Nel frattempo però l’amministrazione del Comune era tornata in mano
agli Ampezzani che con delibera del 7-1-1947 si dichiarò disposto a
riconoscere i secolari diritti delle Regole, a sciogliere la promiscuità ed
a definire la vertenza; anzi a cedere loro la proprietà del suolo,
riservandosi solo 700 metri cubi di legname annui (Sindaco Angelo
Ghedina)
10
.
Nell’attesa di sviluppi legislativi intanto il Comune e le Regole si
consociarono per la gestione provvisoria tecnico-amministrativa.
Fu solo l’insistenza del prof. Bolla, instancabile fautore delle Regole a
Roma fu emanata finalmente una nuova legge per la montagna
(Legge Fanfani, 25-07.1952 n° 991) che dichiarava all’art.34:
“nessuna innovazione è operata in fatto di comunioni familiari vigenti
nei territori montani nell’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale: dette
comunioni continuano a godere e ad amministrare i loro beni in
conformità dei rispettivi statuti e consuetudini, riconosciuti dal diritto
anteriore sotto cui sorsero.”
Questo articolo, pur non trovando applicazione pratica immediata,
conteneva in radice il riconoscimento delle Regole come proprietarie
dei terreni ed idonee ad amministrarli secondo le vecchie
consuetudini, su base privata, non secondo leggi nuove. Era la prima
grande vittoria.
La cosiddetta transazione: cioè lo scioglimento della promiscuità fra
Regole e Comune fu approvata dal Consiglio comunale di Belluno il
5.7.1957.
L’atto privato della transazione, fu omologato nel 5.12.1957 dalla
commissione usi civici e portò a termine la controversia fra le parti.
Il ministero dell’Agricoltura e Foreste nominò una commissione per
l’effettiva ripartizione (18.6.1958) che finì i suoi lavori nell’Aprile 1959.
Il Comune successivamente approvò la ripartizione delle terre voluta
dalla Commissione nella seduta del 18.5.1959.
Il 23.3.1960 avvenne l’intavolazione nel libro fondiario delle terre
ripartite: le une a nome del Comune di Cortina d’Ampezzo (con la
cancellazione della precedente servitù di pascolo e di percepire erba e
legna a favore delle Regole ); le altre a nome delle 11 Regole d’Ampezzo
elencate quali comunione generale in condominio.
Inoltre: come scrive Richebuono “i beni elencati di proprietà delle
Regole, conserveranno la loro originaria natura, rimanendo inalienabili,
indivisibili, e vincolati alla loro destinazione.”
10
Richebuono G.: Cenni storici sulle regole d’Ampezzo- cit. (Pag. )
12
Negli anni i Laudi che vennero compilati hanno sempre ribadito i
concetti chiave (l’ultimo Laudo è datato 1985 e contiene 33 articoli
contenenti: finalità, oggetto, soggetti tra cui gli organi e loro
costituzione, diritti di godimento e doveri con relative sanzioni,
rapporti tra Regole Comune e Comunità montana). Il Laudo adatta
anche le antiche usanze alle norme vigenti, adeguandosi ai tempi
attuali: ammette per es. nella Comunità tutti i maschi maggiori di 25
anni anche se non ancora sposati e separati dal padre e contempla la
possibilità di impianti sportivi sui beni della Regola, ma in via
eccezionale, a condizioni particolari ed escludendo qualsiasi
insediamento di tipo residenziale.
Da notare che purtroppo le donne non sono state ancora ammesse
pienamente alle Regole, infatti “l’appartenenza è un diritto che da un
consorte capo-famiglia passa per eredità in parti uguali a tutti i figli
maschi, e in loro mancanza alle figlie
11
”.
Lo spirito che animava una volta gli antichi regolieri è oggi rimasto
vivo e vitale, profondamente radicato nelle famiglie originarie, circa
1000, ed è sentito tutt’oggi come qualcosa di indispensabile per la vita
socio-economica del paese. Questa minoranza, che abita in un paese
“svenduto” in buona parte agli immigrati ed ai “signori”, non
dimentica e difende i propri secolari valori.
3) DAL 1300 AL PERIODO NAPOLEONICO
- Periodo Patriarcale:
Era sempre con il Cadore, anche nel 1335 quando Serravalle Rizzardo
da Camino, ultimo Conte della famiglia, morì senza lasciare un erede
maschio.
E’ in questa occasione che i cadorini, approfittandone, si costituirono
in Comunità autonoma. Nel 1337 il principe Carlo di Lussemburgo
riconobbe la Comunità’ di Cadore come una sorta di piccola
repubblica federale capace di sottoscrivere trattati e di
autogovernarsi.
Dieci le “centene“ ciascuna con la propria personalità e autonomia,
ognuna delle quali rappresentata da tre membri nel “ parlamento “ di
Pieve di Cadore.
I cadorini approfittando della lontananza dei nuovi padroni tedeschi e
della maggiore libertà che godevano, nel 1338 incaricarono il loro
vicario Rinaldo de Rinaldis, trevigiano, e 12 notabili cadorini (tra cui
11
Mentre nella storia cadorina e negli “statuta” la donna aveva uno status invidiabile per quei tempi, rispetto al resto
d’Italia, oggi le ricostituite Regoles hanno notevoli resistenze nel riconoscere pari diritti alle donne. Su questa
questione si è già più volte espressa la commissione provinciale per le Pari Opportunità presieduta da Laura
Turchetto e la questione femminile è stata sollevata sia in sede regionale che in Parlamento.
13
anche quello ampezzano) di raccogliere le leggi e le consuetudini del
Cadore per avere un corpo di leggi sicure, scritte.
Nello stesso anno la commissione presentò il suo lavoro al consiglio
generale del Cadore che l’approvò.
Nel 1354 si aggiunsero le concessioni del patriarca Nicolò, poi le
“provisiones et reformationes” continuarono negli anni successivi. Lo
statuto, completato e migliorato fu rubato nel 1511 dai tedeschi,
portato a Dobbiaco, poi a Trento. Ora è conservato nell’archivio della
Luogotenenza di Innsbruck
12
, fu impossibile riaverlo, fu solo concessa
una copia fatta dal notaio de Mazolis di Trento.
Con l’aiuto di Vecellio Vecelli lo statuto venne ricompilato ed il 26
febbraio del 1545 era pronto per essere approvato dal Consiglio; il 6
luglio 1545 era approvato dal Doge.
Questi statuti valevano anche per l’Ampezzo che ormai dipendeva da
trenta anni dal Tirolo, ma che conservava le antiche leggi Cadorine.
Nel 1693 Cortina, desiderando possederne una copia, lo fece tradurre
dal latino in un italiano approssimativo e lo fece stampare con alcune
clausole valevoli solo per l'Ampezzo.
Lo Statuto del 1338, 130 pagine di pergamena, e’ ancora oggi
considerato un vero capolavoro di saggezza. E’ rimasto in vigore per
più di 450 anni; ed è con questo assetto che Cortina rimase sotto il
patriarcato di Aquileia fino alla fine del suo dominio temporale.
- Periodo Veneziano:
Nel 1420 il Cadore ricevette un ultimatum da Venezia e passò sotto il
suo dominio, chiedendo e ottenendo però il mantenimento della sua
autonomia; così anche Ampezzo passò dal protettorato di Aquileia a
quello di Venezia ma, con sua grande fortuna, poté continuare a
reggersi secondo i propri “statuti”, con un’indipendenza invidiabile,
fino ai tempi napoleonici.
- Periodo Austriaco:
Nell’anno 1490 il Tirolo passò a Massimiliano d’Austria che, (eletto
imperatore nel 1493) nel 1500 ereditò anche i possedimenti dei Conti
di Gorizia e, annessa al Tirolo, tutta la Val Punteria.
Fu allora che si propose di togliere il Cadore a Venezia per potersi così
creare un raccordo tra il suo Impero e i territori di Gorizia e Trieste.
Nel 1508 marciò verso Ampezzo da Dobbiaco alla testa dei suoi 4000
uomini, bloccato per poco nei pressi del castello di Bottestagno
13
il 22
febbraio sottomise Cortina e Pieve di Cadore che si arresero senza
combattere (al fine di evitare il saccheggio e gli incendi), ma il
12
Richebuono G.: Storia d’Ampezzo – Ed. Cooperativa di Cortina – Cortina 1993. (Pag. 75-86)
13
Si trovava a circa 6 km a nord di Cortina e si ergeva alla sommità di un roccione, una parete alta 200, di cui però le
origini si sono perse nel passato, il nome deriva da Boitestain: letteralmente sasso sul fiume Boite.
14
contrattacco Veneto annientò poco dopo (2 marzo) le truppe tedesche
e le respinse oltre confine.
La notizia giunse all’Imperatore che scrisse al comandante di
Pusteria, consigliando di aspettare i rinforzi per evitare un’altra
vergogna: ”Bottestagno e Pieve devono essere conquistati; i cadorini
sottomessi dovranno pagare da 40 a 50 mila fiorini di taglia, rei del
tradimento (per essersi sottomessi a lui e poi invece non aver avvisato
dell’arrivo e delle mosse dei veneti e per aver anzi collaborato con
loro)[...]Il Cadore deve essere unito alla Pusteria e restare così in
eterno
14
”.
Nel 1509 fu mandato da Venezia a Bottestagno, come rinforzo, Zorzi
da Zara con solo 25 soldati perché non ritenevano la situazione
pericolosa, invece Massimiliano mise in atto la sua vendetta contro i
cadorini e ampezzani, per lui traditori perché tornati volentieri sotto i
veneziani.
“Tutta la Val del Boite fu messa a sacco ed a fuoco di villa in villa, di
casa in casa, da Pieve fino in Ampezzo. Il 19 luglio fu visto l’incendio di
Pieve, Valle, Venas, Borca, di San Vito e di Ampezzo, spogliate prima
dei beni e delle loro sostanze
15
”.
Perciò non è affatto vero che gli ampezzani si fossero messi già allora
dalla parte dell’imperatore, e se in Ampezzo c’erano dei simpatizzanti
per l’Austria, dopo il 19 Luglio, giorno di distruzione insensata, essi
cambiarono certamente idea.
Nel 1511 Venezia mandò Antonio Giustiniani dall’Imperatore per
trattare un accordo, ma “..la Cesarea Maestà non vuol patto ni acordo
alcuno”. Anzi in Agosto arrivò in Cadore un manifesto di Massimiliano
a stampa in cui si invitavano tutti i sudditi veneti a darsi
spontaneamente all’imperatore. Fu così che nel mese di Ottobre
l’Imperatore armato di artiglieria pesante, si fece strada dalla Pusteria
in Ampezzo lungo la strada di “Alemagna”. Distrutto a colpi di
cannone il castello di Bottestagno il 18 ottobre 1511 Massimiliano
marciò su Cortina dove intimò formale sottomissione. Gli ampezzani
fecero atto di omaggio (del resto il paese era invaso dalle truppe
austriache) però non persero la loro dignità e fierezza di liberi
montanari nemmeno in quel momento; chiesero e ottennero
l’assicurazione che i loro diritti consuetudinari non sarebbero stati
menomati.
Nello stesso anno nacquero anche gli “Schutzen” o difensori della
patria. l’Imperatore aveva infatti concesso loro la grazia dispensandoli
dal partecipare a campagne offensive fuori regione, ma li obbligava a
prendere armi in caso di aggressione. Per imparare a sparare con
14
Richebuono G.: Storia d’Ampezzo – cit. (Pag. 146)
15
Richebuono G.: vedi nota precedente. (Pag. 148)
15
precisione, dovevano esercitarsi tirando al bersaglio e quindi nella
zona italiana e ladina presero il nome di Bersaglieri
16
.
Cortina venne annessa all’impero Austriaco definitivamente solo
con Carlo V, erede di Massimiliano e molto meno bellicoso di
quest’ultimo; questa alleanza pose fine alle guerre e fece sì che il
nuovo assetto prevedesse il confine ad Ampezzo e il Cadore ai veneti
17
.
Ad ogni nuovo sovrano del Tirolo gli ampezzani mandarono i loro
rappresentanti a far atto di sottomissione, ma chiedendo al
contempo la conferma scritta dei loro “privilegi” (in Comune sono
conservate le pergamene su cui gli imperatori d’Austria ratificarono gli
statuti), che furono disattesi solo da Giuseppe II il quale, abolendo la
sua secolare autonomia, l’aggregò definitivamente al Tirolo nel 1782.
Carlo V nominò a capo del castello di Bottestagno e quindi del
villaggio di Ampezzo, Jakob von Thun (1523–1525) ordinandolgli di
non opprimere i propri sudditi ma di “ lasciarli in libertà con buone e
vecchie consuetudini e tradizioni, come è stato loro promesso alla
conquista… Innsbruck 7 Marzo 1523”.
18
Ben diverso fu il periodo sotto il capitano Christoph Herbst (1525-
1538), conosciuto come dispotico e violento; voleva trattare gli
ampezzani alla stregua degli altri tirolesi, rimasti ancora sotto il
regime feudale.
Ma con gran coraggio essi intentarono contro di lui un processo, tanto
che nel 1537 il re Ferdinando (fratello di Carlo V al quale lui stesso
cedette i territori ereditari dell’Austria) accolse le loro richieste, diede
ordine di sentire testimoni imparziali i quali confermarono le angherie
subite dalla sua gente. Fortunatamente, prima della conclusione del
processo, Herbst morì senza lasciare eredi.
Nel 9 Febbraio 1563 lo stesso Ferdinando I, divenuto imperatore,
scrisse ad Innsbruck: ” … in considerazione della provata fedeltà e
devozione degli uomini di Ampezzo verso di Noi e la nostra inclita Casa
d’Austria, per grazia speciale rettifichiamo, confermiamo ed approviamo
i loro privilegi, statuti ordinamenti, le lodevoli consuetudini e immunità..
decretando che siano fermi e validi.. e debbano quindi essere osservati
da tutti.
Perciò comandiamo al nostro capitano del castello di Bottestagno
attuale e agli altri che a lui succederanno, di mantenere fermamente la
comunità e gli uomini di Ampezzo nei detti privilegi, astuti, ordinamenti
ed … immunità, di non molestarli e di non opprimerli in opposizione ad
essi…”
19
16
Richebuono G.: vedi nota precedente. (Pag. 150)
17
Trattato di Worms del 3 Maggio 1521.
18
Richebuono G.: Il Castello di Bottestagno – cit. (Pag. 36 )
19
Richebuono G.: Storia d'Ampezzo – cit. (Pag.164 – 170)
16
Molti di questi privilegi sono ancora conservati in Comune altri
finirono a privati, alcune andarono perdute.
- 1511 (perduto): Leonhard Rauber, per Massimiliano I
imperatore
- 1523 Ferdinando I arciduca, da Innsbuck
- 1550 (perduto): re Ferdinando d’Austria, da Augusta
- 1563 Ferdinando I imperatore da Innsbruck
- 1567 Ferdinando arciduca, da Innsbruck
- 1598 Rodolfo II imperatore
- 1626 Leopoldo arciduca, da Innsbruck
- 1646 Ferdinando Carlo arciduca, da Innsbruck
- 1663 Sigismondo Francesco arciduca, da Innsbruck
- 1670 Leopoldo I imperatore, da Vienna
- 1710 Giuseppe I imperatore, da Vienna
- 1713 Carlo VI imperatore, da Vienna
- 1742 Maria Teresa imperatrice, da Vienna
- 1782 Giuseppe II imperatore, da Vienna
- 1792 Francesco II imperatore, da Vienna
I castelli in questo periodo di pace versavano in uno stato di
abbandono, anche se più di un restauro fu effettuato a Bottestagno
(quasi demolito dalla battaglia del 1511 da Massimiliano I). L’ultimo
periodo di splendore nel 1619, quando fu ricostruito quasi
completamente, dopo di che perse sempre più importanza fino alla
demolizione autorizzata nel 1794. Furono trascurati e caddero in
rovina anche gli altri castelli del Cadore.
Le continue riparazioni erano eccessivamente onerose ed abitarvi
diventava sempre più scomodo, ed è purtroppo per questi motivi che
oggi né a Pieve né Bottestagno è rimasto un solo muro di sassi a
testimoniare quelli che furono due grandi roccaforti dell’alto Veneto
nonchè palcoscenico di gloriose battaglie
20
.
Abbiamo visto che queste zone erano ancora Ladine alla fine del
1300; nei due secoli seguenti fu germanizzato tutto l’Alto-Adige ad
eccezione di Caldano e della Bassa Altesina, che rimasero a lungo
mistilingue per l’afflusso dei ladini della Val di Non e della Val di
Fiemme; all’inizio del 1600 si parlava ancora Ladino a San Michele di
Castelrotto ed a Nova Ladinia. Il confine linguistico rimase poi stabile
ai passi: a Pontives per la Val Gardena, a Pedaforada per la Val Badia.
Rimasero ladini oltre al Friuli con la Carnia anche tutto il Cadore, le
valli di Zoldo, dell’Agordino e del Biois. Cominciava però ovunque la
lenta penetrazione della lingua veneta, così come l’avanzata del
dialetto trentino in Val di Non, nelle Giudicarie, in Val di Cembra ecc..
20
Tutt’oggi lo stemma del Cadore è simboleggiato da due torri separate da un abete; i due castelli rappresentati erano
quello di Bottestagno in Ampezzo e quello di Pieve di Cadore e delimitavano i confini territoriali.
17
La vita famigliare era scandita da duri rintocchi, erano tutti
contadini, ed anche i bambini incominciavano presto a lavorare,
sorvegliando i più piccoli, pascolando le vacche, portando la legna, il
mangime al pollame ecc… I fratelli e le sorelle, qualora fossero rimasti
al maso, avrebbero avuto lo status di servi e serve lavorando con
paghe irrisorie. Unica alternativa l’emigrazione, che del resto è sempre
stata molto forte nelle valli ladine.
Siccome le bocche da sfamare erano numerose era più che una
necessità mandare i figli “fora dai Todesc”, i ragazzini andavano al
servizio dei tedeschi, più ricchi, cogliendo l’occasione per imparare il
tedesco che in un futuro gli sarebbe di sicuro tornato utile anche per
studiare nelle università di Innsbruck, dove era d’obbligo.
21
Ma non erano sicuramente esperienze piacevoli; questi ragazzini
“Krautwalsche”, venivano spesso sfruttati e umiliati. Qualcuno
tentava la fuga ma, stremati ed affamati, rischiavano la vita sulla via
di ritorno a casa.
Dall’altro versante, quello cadorino, le angherie e le rivalità non sono
mai cessate, tanto da rischiare in più di un’occasione di arrivare al
limite di una nuova guerra. Vuoi per il legname, per i confini o per lo
sfruttamento delle risorse minerali ed idrogeologiche, ogni motivo era
valido per aggredire i vicini Cadorini, ed a stento Austria e Venezia,
con importanti opere di mediazione esterna, riuscirono a mantenere
la “pace” in tutti gli anni a seguire.
Il 1700 segnò la fine della signoria di Bottestagno, gli ultimi
capitani furono tutti discendenti della famiglia dei Winkelhofer.
Maria Teresa d’Austria stava riformando il suo stato. L’ufficio di
capitanato di Bottestagno fu da lei ritenuto troppo costoso e inutile,
quindi da eliminare: “..dopo la morte del capitano in carica non ne sarà
nominato altro ed il castello sarà presidiato da un piccolo numero di
soldati..” la suddetta morte avvenne nel 1770
22
.
In Ampezzo si tornò quindi alla situazione dell’epoca veneziana, in cui
il paese si reggeva autonomamente; non c’era più nessun foresto
23
a
comandare e l’autorità erano tutte del posto ed elette
democraticamente.
Gli abitanti ebbero l’illusione di aver finalmente raggiunto le loro
aspirazioni: costituire una piccola repubblica indipendente sotto il
protettorato dell’Austria.
In realtà l’Austria non pensava minimamente ad allentare i legami;
era solo una situazione transitoria, nel grande sforzo di
riorganizzazione ed ammodernamento dello Stato.
21
Palla L.: Ladini tra tedeschi e italiani – Marsilio – 1986 Venezia. (Pag.124 )
22
Richebuono G. : Il Castello di Bottestagno in Ampezzo – cit. (Pag.55 )
23
Questo termine dialettale deriva da “chi viene dalla foresta” quindi straniero e sconosciuto.
18
Nel 1766, infatti, apparve il Codex Teresianus (codice civile unitario),
nel 1768 la Costitutio criminalis Teresiana; e le nuove leggi dovevano
essere applicate in tutta l’Austria, per abolire gli statuti particolari che
creavano a suo avviso solo un’immensa confusione.
Giuseppe II poi ordinò l’assunzione di giudici studiati, giuristi di
professione e funzionari approvati dallo Stato. Perciò dal 1789 in poi i
vicari ampezzani divennero nuovamente vicevicari, sostituti del
titolare in sua assenza e vennero nuovamente imposti vicari foresti. In
pratica una certa autonomia continuò per un po’ per inerzia; ma le
nuove leggi sarebbero dovute entrare in vigore anche in Ampezzo,
abolendo i privilegi dello Statuto Cadorino; la repubblica d’Ampezzo
tramontò poi per sempre con le guerre napoleoniche.
IV) LE GUERRE NAPOLEONICHE
- La rivoluzione francese e le sue conseguenze
Le riforme, certamente necessarie per trasformare l’Austria da
una confederazione di tipo antiquato e quasi ancora medioevale in
uno Stato unitario e moderno, furono interrotte dalle guerre
napoleoniche.
La rivoluzione francese, scoppiata nel 1789, fu inizio di un grande
sconquasso per l’Europa e anche per il Tirolo.
Nel 1792 l’Austria dichiarò guerra alla Francia; nel 1796 Napoleone
tolse agli austriaci la Lombardia. Il 30 maggio dello stesso anno il
consiglio ampezzano donò 400 fiorini al sovrano quale contributo per
la difesa del Tirolo e della religione cattolica, e mobilitò tutti gli uomini
idonei alle armi dai 17 anni ai 60, in numero di 418.
In Settembre un drappello di francesi risalì di sorpresa dall’agordino
la valle di Livinallongo e scese lungo la Val Badia. Immediatamente
accerchiati, furono consegnati dai ladini alle autorità di San Lorenzo
scongiurando così l’imboscata.
Per un anno intero, dal settembre 1796 a quello del 1797 ci fu
attraverso Ampezzo un continuo andirivieni di truppe austriache in
avanzata o in ritirata.
Il 12 maggio 1797 Venezia si arrese a Napoleone: finì così
miseramente la veneranda e gloriosa repubblica, a cui anche il Cadore
apparteneva dal 1420. Il giorno dopo, 13 maggio, i francesi giunsero a
Pieve; abolirono la secolare costituzione cadorina
24
. Con la pace di
Compoformio (17 ottobre 1797) Napoleone cedette il Veneto e quindi
anche il Cadore all’Austria, in cambio di Belgio e Lombardia.
Nel gennaio del 1798 i francesi si ritirarono dal Cadore, che riebbe
dagli austriaci la sua secolare costituzione.
24
Richebuono G.: Storia d’Ampezzo – cit. (Pag 296-300)