interazioni tra le sfere della produzione, della promozione e del consumo, date
anche e soprattutto dalle rispettive differenziazioni interne alle sfere stesse. Come
ha sostenuto Chandra Mukerij (1983), che ha ricostruito storicamente i percorsi
culturali di formazione dei bisogni e di classificazione delle merci, il
consumismo è parte di un più vasto orientamento materialista, comprendente
anche razionalismo, calcolo, mondanità, ma anche innovazione dei mezzi di
produzione, di trasporto e di comunicazione; e giunge ad affermare che
«edonismo e materialismo sembrano, in apparenza, contraddittori, ma entrambi
condividono l’attenzione per l’accumulazione materiale», e che nella realtà
storica «i consumatori edonisti e gli investitori ascetici erano assai poco
distinguibili», poiché «entrambi hanno agito come innovatori economici,
rimpiazzando un modello tradizionale di accumulazione della ricchezza con un
nuovo modo di usarla, di renderla parte più attiva della vita sociale» (Mukerij,
1983, p. 4). Tali osservazioni prendono senza dubbio spunto dal lavoro di Max
Weber in merito alle origini del capitalismo moderno ne “L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo” (1905), dove il determinismo materialistico di Marx (cfr.
par. 3.2) è reputato insufficiente e semplicistico, in quanto riduce lo sviluppo
storico e sociale a una determinazione monocausale e meccanicistica. Nel
considerare le motivazioni etiche tipiche del protestantesimo analoghe alla
condotta del moderno imprenditore capitalista, Weber tiene a sottolineare il fatto
che queste sono solo alcune delle innumerevoli concause del fenomeno preso in
esame. Inoltre, col termine “spirito” il sociologo tedesco vuole intendere uno
specifico atteggiamento del capitalista che tiene conto della propria attività
lavorativa non già nei termini di un mero impulso al guadagno, bensì come una
vocazione spirituale, il cui tratto distintivo viene definito “razionalismo
economico”, che appare in netta contrapposizione all’ascetismo contemplativo
del cristianesimo medievale, e per di più si realizza come vocazione di vita
terrena. La riforma protestante introduce perciò un «apprezzamento della vita
professionale laica» che genera un modello, che Weber chiama ossimoricamente
di «ascesi mondana», ovvero di rinuncia all’immediato godimento naturale della
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ricchezza accumulata, che conferisce un profondo significato morale all’attività
imprenditoriale e al successo economico. Nelle motivazioni di un tale agire
sociale Weber analizza quelli che secondo lui influenzano l’individuo. Partendo
dall’agire razionale rispetto allo scopo (per intenderci il pragmatismo), ritiene
rilevanti le influenze che tale agire, appartenente al capitalista per antonomasia,
subisce: esistono perciò forme di razionalità rispetto a un valore (nella fattispecie
i valori dell’etica protestante) e alla tradizione, ovvero a un’abitudine consolidata
da una routine; tenendo conto anche delle azioni che scattano sulla base di
impulsi per soddisfare un bisogno impellente.
Nei primi due capitoli di questo lavoro si sono trattate le analisi dei rapporti
che possono intercorrere fra individui, e nella fattispecie tra i consumatori;
rapporti che possiamo definire comunicazioni o interazioni simmetriche (1 a 1).
Si è cercato dunque di capire come i comportamenti di consumo possano
influenzare le meccaniche di socializzazione, e come viceversa in funzione di
quale contesto, individuale o sociale che sia, l’attore agirà nel consumare. In
particolare nel primo capitolo sono stati affrontati i lavori di Veblen e Simmel
che hanno posto come fattore fondamentale nel condizionamento dell’agire di
consumo l’emulazione: antagonistica e generante ostentazione in Veblen,
vincolata ai meccanismi della moda in Simmel. Nel secondo capitolo sono stati
presi in considerazione approcci più moderni, di taglio maggiormente
antropologico. Nel primo caso Bourdieu ha tratto le sue conclusioni in fatto di
gusti e stili di vita con una dettagliata analisi dei diversi agire di consumo delle
classi sociali francesi, mentre Douglas ha tenuto in particolare considerazione il
valore comunicativo che assume l’acquisizione di un bene. Infine l’ultima parte
del capitolo è stata dedicata ad alcune considerazioni di Bauman nel confronto
tra modernità e postmodernità, e sugli atteggiamenti che assumono i consumatori
contemporanei.
Nei due capitoli successivi si è voluto dare invece più attenzione alle
dinamiche intercorrenti fra consumatore e produttore, con la considerazione delle
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variabili presenti al loro interno, a partire dai mezzi di comunicazione di massa e
l’industria promozionale: esse possono essere dunque denominate comunicazioni
asimmetriche (uno a molti). In questo dibattito entra in gioco la distinzione
ironica, già compiuta da Eco, tra pensatori apocalittici, che vedono
negativamente questa asimmetria, e più in generale lo sviluppo del consumismo;
e integrati, che non badano a essa ma al contrario esaltano la potenzialità attiva
dell’attore consumatore, affatto passivo rispetto alle tecniche di modellazione del
comportamento e alla sola ricerca della felicità. E’ chiaro ad ogni modo che se
pur utile per una classificazione schematica, tale distinzione presa seriamente
risulta molto riduttiva se non errata. Nel terzo capitolo si analizzerà in particolar
modo le critiche alla società dei consumi e le argomentazioni utilizzate a questo
proposito. Nel quarto e ultimo si soppeseranno infine la mercificazione dei beni
di consumo e la demercificazione che gli individui compiono nei confronti di tali
beni. In particolare si cercherà di capire quanto la pubblicità e più in generale i
contesti creati ad arte possano persuadere il potenziale consumatore, e quanto
invece esso rielaborerà a modo proprio le informazioni ricevute dal medium sul
possesso del prodotto che potrà o meno acquistare.
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CAPITOLO 1 - L’EMULAZIONE: MODA E CONSUMO
VISTOSO
La società in cui viviamo si connota come una particolare variante del
capitalismo, dove i nostri bisogni quotidiani sono soddisfatti mediante l’acquisto
e l’utilizzo di merci. Senza dubbio al giorno d’oggi l’attività di consumo
rappresenta un importante e conteso terreno di mutamento sociale in cui l’agire
dei soggetti, a seconda delle interpretazioni, è più o meno indirizzato da
influenze esterne di svariata origine, e i cui scopi sono stati teorizzati da una
moltitudine di studiosi.
1.1 GEORG SIMMEL
Il sociologo tedesco Georg Simmel si interroga su come l’attore sociale
arrivi a formulare i propri giudizi di valore, e su quali siano le condizioni
strutturali e le logiche propriamente sociali di stabilizzazione dei gusti e delle
preferenze. L’autore, per l’importanza attribuita ai processi imitativi, si avvicina
all’analisi di Veblen, che vedremo a seguito, anche se Simmel si concentra
maggiormente sui meccanismi di diffusione dei comportamenti di consumo nella
società.
Nella “Filosofia del denaro” (1907) il valore delle cose dipende dalla
valutazione che ne da il soggetto, e non dalle sue oggettive proprietà materiali e
dalla quantità di lavoro incorporata per produrlo. La valutazione è a sua volta
condizionata dal contesto storico e culturale in cui ha luogo. Nelle metropoli ad
esempio l’individuo ha bisogno di poter indossare vestiti e consumare oggetti che
sappiano comunicare agli altri la sua identità sia come appartenenza a un gruppo
sia come originalità e individualità. A questo proposito nel saggio “La moda”
(1895) Simmel presenta tale fenomeno come risultato del bisogno di coesione e
allo stesso tempo differenziazione tale che egli possa godere della sensazione di
esprimere se stesso in un linguaggio comune dunque comprensibile agli altri. La
moda rappresenta per Simmel la metafora del fascino che le novità esercitano sul
soggetto moderno in generale, e sulla borghesia e le classi medie in particolare;
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poiché esse, a differenza della nobiltà, non possono fare affidamento su tradizioni
e stili familiari di lunghissima durata e, a differenza delle classi meno abbienti,
sperano di migliorare la propria posizione sociale anche trovando un proprio
stile. La moda, a giudizio di Simmel, si addice molto bene allo spirito moderno
perché non solo propone delle novità, ma le mette pure continuamente in circolo.
La propensione per il nuovo, transitorio e mutevole, corrisponde al «tempo
impaziente» della vita moderna che implica «il desiderio di un rapido
cambiamento dei contenuti della vita» (Simmel, trad. it. 1986, p. 27). In quanto
effimera e destinata a svanire, la moda permette di concepire la novità come
illimitata e allo stesso tempo diffonde la percezione che ciò che è «assolutamente
innaturale» può esistere perlomeno in questa fugace forma. Per di più moda e
stile forniscono all’individuo un «ancoraggio provvisorio» e gli permettono di
avvicinarsi alle cose mantenendo una certa distanza, consentendogli così di
sottolineare la propria irriducibilità a qualsiasi dato esteriore. Secondo questa
concezione quindi l’individuo moderno vuole imparare a governare e realizzare
se stesso come soggetto originale, e per fare ciò adotta un certo stile, che, se
legittimato dal tempo, lo libera dell’«assoluta responsabilità» su di sé, potendo
indicare indirettamente un proprio gusto, senza la necessità di «stare in equilibrio
sulla linea sottile della mera individualità». In sintesi la giustapposizione di stili
differenti che caratterizza l’ambiente del soggetto moderno costruisce uno spazio
per l’originalità individuale. Scegliendo ad esempio di combinare stili diversi
(nel vestire o nell’abitazione), l’individuo fornisce un nuovo significato alle cose,
che acquistano valore nella combinazione del loro insieme e sottolineano la sua
capacità di esprimere, anche solo mediante una miscela di stili già codificati, un
gusto proprio.
Pur non riducendo le dinamiche della moda a una mera logica di
posizionamento sociale, Simmel tende a descrivere tali dinamiche come operanti
mediante imitazione soltanto dall’alto verso il basso. La nuova moda pertanto
apparterrebbe solo alle classi superiori, e una volta che essa entra in possesso
delle classi inferiori, le prime per differenziarsi dalle masse si volgono
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