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INTRODUZIONE
Questa tesi di laurea si propone di affrontare la questione del rapporto che intercorre tra emozioni
e parole riferite alle emozioni: che significato hanno i termini emotivi? Cosa può svelare il
linguaggio in merito alla natura e all’organizzazione del fenomeno emotivo? Che effetti ha
sull’individuo e sulle interazioni sociali il processo di comunicazione verbale delle emozioni?
Sono questi i quesiti principali ai quali si cercherà di dare una risposta con l’obiettivo di far luce sul
ruolo che il linguaggio e il lessico emotivo rivestono nel processo di strutturazione dell’esperienza
emozionale: un conto è provare l’emozione e un conto è comunicarla verbalmente, darne una
rappresentazione semantica ed esprimerla. E’ una distinzione questa che non va ignorata, anche se
va sottolineato che non si tratta di processi completamente indipendenti bensì di processi che in
qualche modo si influenzano a vicenda. Si tratta perciò di porre in evidenza i legami profondi che
legano le emozioni con la semantica emotiva, e con le convenzioni linguistiche proprie di una
cultura.
Il primo capitolo ha lo scopo di fornire un inquadramento generale del fenomeno emotivo sia per
chiarire quale sia la natura e la struttura delle emozioni, sia per dare una visione generale delle
principali prospettive psicologiche presenti in letteratura. Prima di tutto viene presentato un
sintetico excursus delle teorie di riferimento presenti in psicologia, a partire dalle quali sono state
“spiegate” le emozioni. L’obiettivo è quello di definire cosa sono le emozioni e che cosa gli
psicologi intendono con questo termine. Il resto del capitolo è invece dedicato specificatamente ai
modelli teorici che riguardano la semantica emotiva: si tratta di modelli che partono dal presupposto
di poter indagare il fenomeno emotivo a partire dal linguaggio che ad esso si riferisce, convinti della
sua capacità di svelare l’organizzazione strutturale e concettuale delle emozioni. I modelli proposti
sono: il “dizionario dei termini emotivi” di Davitz e la prospettiva classica sulle emozioni; il
modello prototipico e quello dello script emotivo; il modello circomplesso di Russell; il
metalinguaggio semantico universale di Wierzbicka.
Nel secondo capitolo si affronta l’esame del processo di etichettamento verbale delle emozioni e
della loro espressione attraverso il canale del linguaggio. Il primo paragrafo, a partire dal saggio di
Frijda e Zammuner (1992), si occupa dell’aspetto, potremmo dire, piø “ tecnico” del processo che
guida gli individui nella scelta dei termini che si considerano piø adeguati a descrivere una propria
emozione. Secondo gli autori esperienza emotiva ed etichettamento verbale possono differire;
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questo perchØ dare un nome alle proprie emozioni non è un qualcosa di definito a priori dalle
convenzioni linguistiche, ma al contrario è un processo di riflessione in cui giocano un ruolo
fondamentale le caratteristiche del soggetto, le norme culturali e la disponibilità di termini offerta
dal lessico emotivo, che varia sensibilmente da cultura a cultura. Nel secondo paragrafo viene
esaminata la teoria dei piani condivisi di Oatley secondo la quale la comunicazione e l’espressione
verbale delle emozioni è funzionale alla definizione delle relazioni interpersonali e all’acquisizione
di un determinato ruolo sociale all’interno della propria comunità. Infine, l’ultimo paragrafo si
concentra sul tema della condivisione sociale delle emozioni: perchØ si è spinti a condividere con
gli altri le proprie emozioni e che effetti produce sul benessere psicofisico degli individui.
Il terzo capitolo è dedicato all’analisi di un’emozione in particolare: la collera. Dopo aver definito
cosa sia la collera, quali sono le sue manifestazioni, quali le cause scatenanti e con chi ci
arrabbiamo piø frequentemente si affronta la questione della comunicazione verbale di questa
emozione in tre idiomi in particolare: l’italiano, l’inglese e il cinese. Attraverso l’analisi delle
principali espressioni linguistiche riferite alla collera presenti in queste tre lingue
sarà possibile ricavare la teoria popolare o del senso comune per questa emozione.
Verranno infine individuate le somiglianze e le differenze sulle modalità di concettualizzazione
della collera nelle tre culture considerate.
La presente tesi intende concentrarsi su un obiettivo specifico, quello cioè di indagare in che modo
il linguaggio agisce sull’esperienza emotiva, quali modificazioni apporta e che cosa ci dice in
riferimento non solo alle nostre emozioni ma anche in riferimento a quelle degli altri. Le emozioni
rappresentano un aspetto essenziale della nostra esistenza, gli danno colore e ne costruiscono il
significato. Il linguaggio è lo strumento che ci permette di relazionarci agli altri: esso fa da
mediatore tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno con cui entriamo in contatto. In questo
processo molti altri fattori come le norme culturali, la percezione e la valutazione del sØ giocano un
ruolo importante; pertanto le implicazioni del rapporto tra linguaggio ed emozione meritano di
essere indagate.
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CAPITOLO I
UN INQUADRAMENTO GENERALE
1.Cosa sono le emozioni
Il panorama scientifico riferito alle emozioni si presenta ricco di teorie e prospettive spesso
contrastanti tra loro, dalle quali risulta difficile ricavare una spiegazione univoca del fenomeno
emotivo. Nonostante tali discrepanze, pare comunque possibile individuare una linea comune circa
le caratteristiche principali delle emozioni. In generale, si può parlare di emozione come di uno
stato soggettivo articolato e complesso composto da aspetti cognitivi, fisiologici ed espressivi
(tono della voce, espressioni facciali). Si tratta di un’alterazione fisiologica intensa e di
breve durata, accompagnata da una valutazione cognitiva della situazione legata al
soddisfacimento degli interessi e degli scopi dell’individuo che prova l’emozione.
Le emozioni, così come appena descritte sono state distinte in psicologia da altri importanti
fenomeni che investono la sfera emotiva umana. Tra questi ritroviamo i termini che fanno
riferimento agli affetti, ai sentimenti, agli stati d’animo e all’ umore. Il termine affetto è un termine
ampio e generico che concerne la qualità dell’esperienza emotiva, in particolare si riferisce alla
valenza positiva o negativa degli accadimenti (Anolli, 2002). L’analisi del significato di umore e di
stati d’animo ha suscitato maggiore interesse da parte degli studiosi, e le differenze individuate
tra questi termini rispetto alle emozioni risultano utili al fine della comprensione della natura stessa
del fenomeno emotivo. “Stati d’animo” e “umore”, come riportano D’Urso e Trentin (1998), “si
riferiscono a stati affettivi di bassa entità, durevoli e pervasivi, senza una causa immediatamente
percepibile e con la capacità di influenzare eventi inizialmente neutri”. E’ chiara la differenza con
le emozioni, che invece risultano essere, come precedentemente descritto delle risposte intense e
momentanee a specifici eventi. Le definizioni riportate risultano essere molto utili ai fini di un
iniziale inquadramento del processo emotivo, ma sono allo stesso tempo troppo generiche, poichØ
fanno rientrare al loro interno tutta una serie di aspetti, la cui spiegazione piø di una volta ha diviso
gli studiosi e le varie posizioni teoriche. I nodi spinosi riguardano soprattutto il rapporto tra
emozione e cognizione (nota è la controversia tra Zajonc e Lazarus), tra aspetti fisiologici e
culturali, tra emozione, linguaggio ed etichette verbali. Quest’ultimo aspetto, oggetto principale
della nostra indagine, rappresenta una questione estremamente interessante poichØ permette l’analisi
del fenomeno emotivo attraverso lo strumento piø comune a tutti e che tutti utilizziamo per parlare
di emozioni: il linguaggio (Galati, 2002).
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2.Le emozioni nel panorama scientifico
Uno studio sistematico delle emozioni in psicologia, è stato trascurato per lungo tempo. Solo a
partire dagli anni Settanta, si assiste allo sviluppo di un vivace dibattito in ambito scientifico circa la
natura e i processi che le caratterizzano. I motivi di questo disinteresse sono diversi, e sono legati
sia alla complessità e alla vaghezza della materia, sia alla contrapposizione tradizionale fra
razionalità del pensiero e irrazionalità delle emozioni, ragione per cui sono state confinate ai
margini degli interessi degli studiosi. Oggi la dicotomia tra “pensiero” ed “emozione” è stata
superata e i processi emotivi sono pienamente riconosciuti come parte di quelli cognitivi
(Anolli,2002).
L’analisi delle emozioni ha messo gli studiosi di fronte a numerosi problemi, che hanno portato allo
sviluppo, nel corso degli anni, di diverse teorie ed interpretazioni del fenomeno emotivo. Tentando
di operare una sintesi del panorama teorico si possono individuare specifiche prospettive
psicologiche. La teoria periferica di James (1884) e la teoria centrale di Cannon (1927) hanno
animato per prime il dibattito scientifico. Entrambi hanno dato del processo emotivo una
spiegazione biologica pur indicando centri di attivazione, di controllo e di regolazione delle
emozioni differenti. La spiegazione fisiologica proposta da questi due studiosi non va
trascurata poichØ fino agli anni Sessanta/Settanta il punto di vista biologico era
dominante in psicologia: è solo a partire da questo periodo che viene introdotta nello studio delle
emozioni la dimensione psicologica, con la nascita delle teorie cognitive delle emozioni.
D’Urso e Trentin (1998) propongono un raggruppamento delle principali teorie cognitive in base
alla loro affinità:
1) teorie interpretative (Schachter e Singer, 1962; Mandler 1984) secondo cui l’emozione è formata
da due componenti distinte. Una componente è di natura fisiologica con l’attivazione
dell’organismo (arousal), l’altra è di natura psicologica e riguarda l’interpretazione cognitiva della
situazione;
2) teorie delle valutazioni cognitive (appraisal) e delle tendenze all’azione (Arnold, 1960; Frijda,
1986; Smith e Ellsworth, 1985; Roseman, 1991; Scherer, 1984) secondo cui esiste una interazione
funzionale e reciproca tra emozione e cognizione. Ogni emozione equivale alla valutazione
cognitiva della situazione e gli elementi cognitivi sono causa diretta dell’esperienza emotiva, così
come i processi cognitivi sono influenzati dal sentire emotivo.
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3) teorie della rappresentazione cognitiva (Fehr e Russell, 1984; Shaver et al., 1987;
Conway e Bekerian,1987) secondo cui le esperienze emotive vengono concettualizzate nella mente
sotto forma di prototipo e/o di script.
Contemporanee alle teorie cognitive, sono le teorie psicoevoluzionistiche delle emozioni,
che si rifanno direttamente all’evoluzionismo di Darwin. Gli esponenti principali sono Tomkins
(1962) e Plutchik (1962, 1980, 1984, 1994), i quali ritengono che le emozioni siano legate alla
realizzazione di scopi universali fondamentali per la sopravvivenza della specie. Si tratta di una tesi
innatista delle emozioni, che fu poi ripresa da Izard (1978, 1990, 1994) e in particolare da Ekmann
(1972, 1989, 1992 a e b) per l’analisi delle espressioni facciali delle emozioni (Anolli, 2002). Di
tutt’altra impostazione è la teoria costruttivista che si oppone radicalmente agli assunti dello
psicoevoluzionismo. Per Averill (1980, 1985), Harrè (1986a) , Lutz (1988) e Mandler (1990),
principali esponenti, le emozioni non sono fenomeni naturali ed innati, ma sono prodotti costruiti
culturalmente allo scopo di coordinare le interazioni sociali.
3.Il rapporto tra linguaggio, esperienza ed emozioni.
Il problema del rapporto tra linguaggio ed esperienza, e cioè tra parole e cose della realtà, ha
interessato da sempre il dibattito scientifico. Saussure, padre fondatore della linguistica strutturale,
descrive il linguaggio come un insieme di segni caratterizzati da una relazione tra significante (la
parola) e il significato (ciò a cui questa parola si riferisce). Da questa relazione si ha il fondamento
del processo di significazione, cioè della funzione semantica del linguaggio. Secondo Nelson (1985)
all’interno del processo di significazione si possono individuare tre importanti momenti connessi tra
loro: la referenza, la denotazione e il senso. Per referenza si intende il riferimento di una parola a
oggetti o eventi del mondo esterno; per denotazione l’organizzazione concettuale del significato di
quella parola che guida l’identificazione del referente; per senso il significato generale della parola
non tanto in relazione al suo referente quanto in relazione a tutti gli altri termine del codice
linguistico a cui appartiene. Il processo di significazione investe ogni ambito dell’esperienza a cui il
linguaggio si riferisce, e quindi anche l’ambito dell’esperienza psichica. Il linguaggio, infatti, ha la
funzione di esprimere e descrivere al mondo esterno la propria esperienza, di qualsiasi tipo essa sia.
Viene naturale chiedersi se in questo processo il rapporto che si instaura tra parole e cose sia neutro
oppure se la lingua operi sulla realtà stessa delle trasformazioni, adeguandola alle sue leggi,
distinzioni e categorie precostruite (Galati, 2002). Questi sono i quesiti a cui non solo linguisti, ma
anche filosofi e psicologi hanno cercato di dare delle risposte: la questione ha dato vita a dibattiti
che vedevano differenti posizioni contrapposte. Alcuni autori dello strutturalismo linguistico si sono
spinti fino ad esiti radicalmente formalistici: tra questi Jacques Derrida, che arrivò a postulare una