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L’obiettivo del lavoro è infatti di individuare che tipo di legame
c’è e se c’è tra i repair e i gesti.
A tale scopo, sono stati raccolte videoregistrazioni di persone
nell’atto di riportare la narrazione di un cartone animato che
avevano appena visto ad un interlocutore.
I partecipanti, 6 maschi e 6 femmine tutti frequentanti il 3° anno
di liceo della comunicazione e linguistico aziendale,
conoscevano l’interlocutore che aveva trascorso diversi mesi con
loro prima di raccogliere i dati finali.
Queste video registrazioni sono state analizzate frame by frame
nella parte audio per identificare i repair e nella parte video per
identificare i gesti corrispondenti ai repair.
Nei capitoli che seguiranno sarà presentato il lavoro svolto
trattando in primo luogo la comunicazione non verbale nelle sue
origini e funzioni, la gestualità con le diverse classificazioni e
infine le disfluenze.
Nella parte finale sarà affrontata più specificatamente la ricerca
in tutte le sue parti, dalla costruzione del set-up sperimentale alla
descrizione della fase vera e propria riguardante l’osservazione
fino a giungere alla presentazione dei risultati.
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CAPITOLO 1
LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
1.1 Primi studi sulla comunicazione non verbale
Lo studio sulla comunicazione non verbale ha radici
relativamente antiche: la prima monografia dedicata
all’argomento risale al XVII secolo.
Nel XVIII secolo, lo studio sulla comunicazione non verbale e in
particolare del gesto era considerato un elemento determinante
per la comprensione dell’origine del pensiero e del linguaggio.
In particolare Condillac nel 1756 e Diderot nel 1751 si sono
occupati dell’argomento.
La ricerca concernente la sfera non verbale era ancora poco
sistematica. Suo unico scopo era quello di sostenere le
innumerevoli teorie filosofiche sull’origine della società.
I primi studi autonomi sulla comunicazione non verbale
risalgono alla prima metà del ‘900 con Lorenz (1939) e Eibl-
Eibesfeldt (1949). L’approccio era prevalentemente etologico o
biologico, venivano applicati i principi metodologici e teorici
dell’etologia animale al comportamento umano. Ciò era
giustificato partendo dall’assunto che il comportamento dipende,
più o meno, dalle predisposizioni filogeneticamente ereditate e
dall’adattamento. Sembrava infatti che la comunicazione non
verbale umana fosse simile al comportamento sociale degli
animali.
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L’impulso alle ricerche sulla comunicazione non verbale fu dato,
come si può notare, dalle analogie esistenti tra comportamento
umano e comportamento delle scimmie. Gli animali comunicano
per lo più stati interiori e intenzioni, mentre la conversazione
umana riguarda la gente, gli eventi esterni, il passato e il futuro.
Il comportamento animale è per lo più innato e si possono
rintracciare le sue origini nell’evoluzione, traendo così elementi
di spiegazione anche per il comportamento umano.
Nonostante la somiglianza fra il comportamento sociale
dell’uomo e quello degli animali, il punto di vista portato avanti
dall’antropologia ha attenuato l’entusiasmo degli etologi,
rivelando che nonostante, la somiglianza della manifestazione
delle emozioni nella culture diverse, molti degli aspetti del
comportamento non verbale evidenziano grandi differenze.
L’approccio etologico, quindi, sottolineando la necessità di
disporre di un modello dello sviluppo sociale specie-specifico,
rivela la sua utilità nel proporre il confronto uomo-animale ai fini
di una conoscenza più precisa dell’uomo.
Nei segnali del comportamento non verbale sono inclusi fattori
psicologici e culturali di diverso genere per cui il fine di ogni
singola area disciplinare è quello di giungere, tramite la
coordinazione degli studi, a una comprensione e ad un’analisi
sempre più completa degli aspetti presi in esame.
Non c’è un'unica teoria generale della comunicazione non
verbale.
L’importanza di questo campo di studi è andata crescendo nella
seconda metà del ‘900, coinvolgendo un numero considerevole di
discipline.
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La psicologia ha preso atto dell’utilità e dei contributi arrecati dai
vari ambiti di studio, non rinunciando a una sua specifica
dimensione: assumendo dall’etologia l’esistenza di una base non
appresa dell’espressione delle emozioni, di un equipaggiamento
psicologico di base da cui dipendono le segnalazioni non verbali;
ha riconosciuto inoltre il contributo della linguistica e in
particolare della paralinguistica: la maggior parte infatti del
comportamento non verbale è usata in accompagnamento al
linguaggio e il comportamento non verbale può dipendere da
strutture analoghe a quelle del linguaggio, oppure può essere
stato appreso come dimostra gran parte della comunicazione
verbale.
L’approccio antropologico e sociologico hanno invece
contribuito nel sostenere l’esistenza di variazioni interculturali in
molti aspetti del comportamento non verbale e degli effetti del
comportamento non verbale nell’interazione sociale.
Si sono aperti nuovi campi di indagine e nuovi livelli di analisi:
quello del comportamento spaziale dell’uomo, del movimento e
della gestualità, dei mutamenti dello sguardo, dell’espressione
del volto, dell’aspetto esteriore e degli aspetti non strettamente
linguistici del discorso. Tale bagaglio di segnali non verbali ha,
secondo Argyle, una triplice funzione di controllo della
situazione sociale immediata, di sostegno della comunicazione
verbale, talvolta, di sostituzione dell’eloquio.
La definizione di comportamento non verbale inizialmente
comprendeva l’intero insieme di “tutto ciò che è non verbale”.
Ciò implicava che sotto l’etichetta di comportamento non verbale
si raccogliessero fenomeni disparati, quali:
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Gesti delle mani e della testa;
Espressioni facciali;
Gesti vocali;
Abbigliamento.
Pike nel 1967 ha elaborato una “teoria unificata della struttura
del comportamento umano”, dove afferma che la lingua è solo
una fase dell’attività umana e non dovrebbe essere dissociata da
altre fasi.
Per provare la sua teoria, Pike elabora un gioco in cui le parole di
una frase sono progressivamente sostituite da gesti. Il gioco
descritto dimostra che forme non verbali possono essere
strutturalmente integrate con forme verbali.
Duncan nel 1969 suddivide i comportamenti non verbali in:
Movimenti del corpo o comportamento cinetico, gesti e
altri movimenti del corpo inclusi espressione facciale,
movimento degli occhi e postura;
Paralinguaggio, qualità della voce, pause e suoni come
risate, sbadigli e brontolii;
Prossemica, ossia uso dello spazio dell’uomo;
Olfatto;
Sensibilità della pelle al tatto e alla temperatura;
Uso di artefatti, come abiti e cosmetici.
Knapp nel 1972 ha affermato che una possibile definizione
riguardante il comportamento non verbale è che esso comprende
tutte le risposte umane che non possono essere descritte come
parole espresse manifestamente oralmente o per iscritto.
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D’altra parte, Key, nello stesso anno, da linguista ha notato che
tutta la comunicazione umana consiste in movimenti del corpo. I
movimenti dell’apparato vocale possono provocare il linguaggio,
o il paralinguaggio, cioè l’azione non verbale.
Altri autori si sono proposti di tentare una definizione più precisa
stabilendo dettagliate classificazioni comportamentali.
In tal proposito, possiamo ricordare Ekman e Friesen che tra il
’69 e il ’72 hanno dato una forte spinta alla ricerca sulla
comunicazione non verbale. Essi hanno seguito un approccio di
tipo globale considerando non un solo aspetto del
comportamento motorio, ma tutti gli aspetti nel loro complesso.
In particolare tali autori si sono occupati principalmente dello
sviluppo dei metodi per lo studio del comportamento non
verbale, guidati da un duplice interesse: la comprensione del
singolo individuo con i suoi atteggiamenti, sentimenti, tratti di
personalità, e la comprensione dell’interazione sociale, della sua
natura, delle condizioni e caratteristiche della comunicazione,
delle impressioni che gli interagenti ne ricavano, dello stile e
delle abilità interpersonali che si manifestano al suo interno.
Classificano il comportamento non verbale umano secondo sei
tratti:
Condizioni esterne;
Rapporto con il comportamento verbale associato;
Consapevolezza dell’emissione;
Intenzionalità dell’emissione;
Feedback dal ricevente;
Tipo di informazione veicolata.
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Secondo i parametri appena elencati, Ekman e Friesen
suddividono il comportamento non verbale in tre categorie:
- Atti Informativi, se forniscono informazioni riguardo al
parlante ma non sono intenzionali;
- Atti Comunicativi, se sono chiaramente e
intenzionalmente mirati a trasmettere un significato al
ricevente;
- Atti Interattivi, se tendono a modificare o influenzare il
comportamento del ricevente.
Ricci Bitti nel 1978, elabora un modello << unitario >>
rappresentato dalla individuazione dell’articolazione esistente fra
elementi verbali ed elementi non verbali nei processi
comunicativi distinguendo tra:
Elementi non verbali del parlato, suddivisi in
intonazione della parola o della frase; e qualità della
voce, vocalizzazioni e fenomeni temporali;
Elementi cinesici, come la postura, l’orientazione e la
distanza, i movimenti di parti del corpo quali gesti o
cenni del capo.
Il sistema verbale in senso stretto non esaurisce tutto il
linguaggio parlato, ma corrisponde a quegli aspetti del discorso
che sono contenuti convenzionalmente nella forma scritta, in
particolare la parole. Ma parlare significa anche usare
costantemente sottolineature, congiunzioni, variazioni nel grado
di intensità: in effetti non sono le parole da sole a far capire se
una frase sia interrogativa o dichiarativa, ma una variazione del
tono alla fine della frase. Tali variazioni costituiscono
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l’intonazione e cambiamenti sistematici nell’intonazione
indicano cambiamenti nel significato delle frasi. La parole e la
loro intonazione sono strettamente interdipendenti e insieme
rappresentano le componenti del parlato, quelli paralingustici,
possono svolgere un ruolo significativo nel discorso.
Sempre secondo Ricci Bitti (1987) gli elementi cinesici sono
rappresentati dalle posizioni e dai movimenti del corpo e di parti
di esso che assumono un chiaro significato comunicativo e che si
manifestano in forme codificate sul piano culturale.
Durante l’interazione gli elementi cinesici, paralinguistici,
intonazionali e verbali operano simultaneamente; in certi casi
essi funzionano in modo coerente e compatibile ed ottengono un
reciproco effetto di rafforzamento, in altri casi inviano
informazioni contraddittorie.
Tutti i comportamenti comunicativi si basano su movimenti più o
meno complessi. Nessuna delle modalità comunicative (verbale,
intonazionale, paralinguistica, cinesica) è estranea al movimento
(Ricci Bitti 1988).
Zammuner nel 1998, tenta di definire i comportamenti non
verbali classificandoli in:
cinesia o linguaggio del corpo;
paralinguaggio, costituito dalle vocalizzazioni prive di
contenuto;
grado di contatto fisico tra due individui;
prossemica o comportamento nello spazio
interpersonale;
caratteristiche fisiche degli individui;
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ornamenti come profumi, gioielli, abbigliamento o
trucco.
Dinanzi a tale complessità, è evidente che non è possibile dare
una definizione onnicomprensiva del fenomeno considerato. E’
importante perciò considerare come comunicazione non verbale
“tutto ciò che non si comunica o non si può comunicare
attraverso la parola”.
Un’ottica di questo tipo rende quindi opportuno rivedere quanto
sia stato riduttivo negli anni scorsi considerare il solo aspetto
verbale della comunicazione; di sicuro esso risulta il più
immediato ma non l’esclusivo.