5
di un approccio più positivo dello Stato nei confronti delle organizza-
zioni non lucrative.
Scopo di questo mio elaborato, è quello di fornire una visione del
mondo non profit, descrivendo le peculiarità di questa realtà ormai
sempre più radicata e presente nella nostra società, arrivando a dare una
definizione il più possibile completa.
Per arrivare a una definizione del non profit bisogna ricordare che
attualmente le istituzioni non profit sono definite come enti giuridici o
sociali creati per lo scopo di produrre beni o servizi il cui status non
permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno di tipo
finanziario per chi o coloro che le costituiscono o finanziano.
Un ulteriore criterio di classificazione prende in considerazione la
fonte prevalente di finanziamento, distinguendo le non profit in market
e non market a secondo che nella loro attività prevalgano i ricavi delle
vendite di beni e servizi oppure i trasferimenti di fonte pubblica o pri-
vata.
Quindi, in base alla natura dei soggetti che le hanno costituite e alla
destinazione dei servizi, si distingueranno tipologie di non profit a ca-
rattere mutualistico, ossia che producono servizi destinati esclusiva-
mente ai propri soci, oppure di natura pubblica o privata, a seconda che
i soggetti promotori siano enti pubblici o governativi piuttosto che cit-
tadini od organizzazioni private, infine nell’ambito delle non profit di
pubblica utilità vanno annoverate realtà che erogano servizi per la col-
lettività e altre che, invece, rivolgono la propria attività alle persone.
Rientrano nel primo gruppo le organizzazioni di emanazione esclusi-
6
vamente pubblica che, per esempio, si occupano di servizi in campo
ambientale. Il secondo gruppo, quello relativo ai servizi di pubblica uti-
lità, riguarda i settori della sanità, della cultura e dell’assistenza sociale.
Nel quinto e ultimo capitolo di questa tesi, la mia attenzione si sof-
fermerà in maniera più specifica su una onlus in particolare,
l’Associazione Amici dei Bambini, una organizzazione non governati-
va che da più di vent’anni si occupa di adozioni internazionali e delle
problematiche legate all’infanzia negata.
La “mission” di questa organizzazione, il suo impegno e, soprattutto,
quello dei suoi volontari, ha sempre suscitato in me un sentimento mi-
sto tra la curiosità e l’ammirazione, culminato qualche anno fa nella
decisione di diventarne un piccolo e modesto sostenitore.
7
CAPITOLO I
IL MONDO NON PROFIT: CLASSIFICAZIONI, FUN-
ZIONI ED EVOLUZIONE.
1.1 Come si è sviluppato il non profit.
In Italia, iniziative riconducibili all’ambito del non profit affondano
le loro radici nell’alto Medioevo
1
, ma l’insieme delle norme che ne re-
golano o ne dovrebbero regolare l’attività e lo stato delle conoscenze in
argomento, salvo alcune eccezioni, denunciano una grandissima arre-
tratezza associata da una evoluzione troppo lenta in rapporto
all’imponente ricchezza delle iniziative assunte in questi ultimi tempi.
L’attenzione della quale il fenomeno degli enti non profit ha goduto
da parte del legislatore e della dottrina negli ultimi due decenni, nonché
la circostanza che sia invalso l’uso di indicare tali enti con
un’espressione tratta dalla lingua inglese, potrebbero facilmente portare
1
Cardini F., “Storia Medievale”, Le Monnier, Firenze, 2006.
Le Goff J., “L’anno medievale”, ed. laterza, Bari, 1999.
Piccinini G., “I mille anni del medioevo”, ed. Mondadori, Milano, 2007.
Sergi G., “L’idea di medioevo”, , ed. Donzelli,Roma, 2003.
8
alla conclusione che si tratti di una realtà di recente formazione o, ma-
gari, di un fenomeno importato da oltreoceano.
Che l’esuberante mondo delle Organizzazioni della Società Civile
viva oggi una vera e propria crisi di identità è da tutti riconosciuto, so-
prattutto da coloro che in esso operano e che intorno a esso vanno ri-
flettendo da tempo.
Ciò non deve sorprendere, né impensierire, giacché si tratta di qual-
cosa di molto positivo.
Dopo la fase, durata circa un quarto di secolo, durante la quale si è
assistito al progressivo affermarsi di tali organizzazioni, anche sul fron-
te propriamente economico delle nostre economie di mercato, era natu-
rale che questi soggetti arrivassero a porsi il problema della loro identi-
tà specifica.
Come si rileva dai risultati della prima rilevazione censuaria operata
dall’ISTAT
2
, alla fine del 1999 erano attive nel nostro paese 221.000
OSC (vale a dire 38 enti ogni 10.000 abitanti), che davano occupazione
a 630.000 soggetti e alle cui iniziative partecipavano oltre 3,2 milioni di
volontari.
Le domande che ricorrono con sempre maggiore insistenza e che e-
sprimono l’esigenza di giungere, possibilmente in tempi rapidi, a defi-
nire cioè, letteralmente, a dare una definizione di senso a queste orga-
nizzazioni sono del tipo seguente.
2
Zamagni S. (a cura di), “ Il non profit italiano al bivio”, ed. Egea, Milano, 2002.
9
Dove porre il fundamentum divisionis fra volontariato, imprese so-
ciali, associazioni, fondazioni, realtà queste che, per prassi ormai con-
solidata, vengono tutte incluse nel cosiddetto “terzo settore”?
E’ vero o no che i soggetti dell’economia sociale e civile, mentre ri-
vendicano la loro specificità rispetto ai soggetti dell’economia capitali-
stica, stentano a dimostrare nei fatti la loro differenza? Quanto fondato
è il rischio che il terzo settore possa finire con il diventare un sostituto
funzionale dell’agire pubblico, un erogatore di servizi sociali certamen-
te utile ai fini della razionalizzazione della spesa sociale, ma incapace
di assecondare una trasformazione in senso razionale delle politiche so-
ciali? Specificamente, in cosa consiste la socialità dell’impresa sociale
se si considera che ogni attività di impresa, inclusa quella capitalistica,
possiede un intrinseco elemento di socialità, come la stessa carta costi-
tuzionale non manca di sottolineare?
Due le posizioni dominanti al riguardo, da un lato quella di coloro
che vedono nel terzo settore l’eccezione che vale a confermare la regola
della centralità dell’economia for profit, un’eccezione da richiamare in
campo, magari con sostegni ad hoc.
Dall’altro lato vi è la posizione di chi, più o meno esplicitamente,
giudica il terzo settore capace di occultare, con interventi di mera co-
smesi sociale, realtà come l’aumento sistematico delle ineguaglianze
fra gruppi sociali e delle nuove forme di precarizzazione, localizzate in
special modo nel mercato del lavoro.
10
1.1.1 Enti religiosi del medioevo.
In realtà, gli enti senza scopo di lucro hanno una tradizione antica
nella nostra cultura
3
.
Volendo brevemente ripercorrere le tappe della evoluzione del fe-
nomeno non profit, si può iniziare l’analisi a partire dall’alto medioevo,
quando furono costituiti numerosi enti (sia religiosi che laici) con fina-
lità di assistenza e carità per sopperire alla assoluta mancanza di aiuto
ai bisognosi.
In genere questi enti operavano direttamente erogando servizi e pro-
dotti.
Tuttavia, se ci è nota la presenza a Lucca sin dall’anno 720 di un ri-
covero, diretto da laici e destinato a quella particolare categoria di
viaggiatori, ci è anche nota l’esistenza nella Milano del 784 di un ospi-
zio per trovatelli fondato dall’arciprete Dateo
4
.
Alla base dell’impegno di molti e a fondamento degli sviluppi suc-
cessivi anche in altre direzioni, vi era certamente l’elemento che meglio
di ogni altro caratterizzava la vita di persone e gruppi di ogni ambito
della struttura sociale di quell’età, ossia la forte esigenza di cercare il
massimo di coerenza tra le verità della fede e le azioni e la convinzione
che la via della salvezza passasse anche, e forse soprattutto, attraverso
le “buone opere”.
3
Le Goff J. “L’anno medievale”, op. citata.
4
C. D. Fonseca, “Forme assistenziali e strutture caritative nella Chiesa del Medioe-
vo”, in “Chiesa e società. Appunti per una storia delle Diocesi lombarde”, a cura di A.
Caprioli, A. Rimoldi, L.Vaccaro, La Scuola, Milano, 1986.
11
Non altrimenti si comprende il coinvolgimento di una moltitudine di
persone e l’imponente mole delle donazioni che i ricchissimi e i meno
ricchi facevano durante la vita e in vista del”trapasso” a favore di opere
di ogni genere.
L’elemosina costituisce uno strumento per la redenzione dei peccati
e perciò la presenza dei poveri nella società cristiana determina la rea-
lizzazione del progetto della salvezza.
Non meraviglia allora constatare come, alla fine del duecento, a Mi-
lano e nel milanese esistessero dieci ospedali nella capitale, e come a
Roma nel medesimo periodo fossero in attività otto ospedali,ventuno
confraternite, undici collegi, diciassette confraternite e ospedali nazio-
nali (nel senso di istituzioni operanti al servizio delle comunità forestie-
re di Roma come i lombardi, i veneziani, i tedeschi e simili), sedici
confraternite professionali. Alla vigilia del XVI secolo erano ormai nati
i monti di pietà per difendere le categorie economiche più deboli, a Mi-
lano si contavano dieci ospedali e addirittura venticinque nella provin-
cia.
5
1.1.2.Il sedicesimo secolo e i monti di pietà.
I monti di pietà sorsero nella seconda metà del Quattrocento (quindi
in pieno umanesimo civile) in Umbria e nelle Marche per estendersi in
tutta l’Italia e in seguito anche nel resto d’Europa.
5
Vittadini G. (a cura di), “Il non profit dimezzato”, ETAS libri, Milano, 1997.
12
La ragione principale che portò alla nascita dei monti di pietà era di
tipo solidaristico, non primariamente economico: data l’impossibilità
per le famiglie meno abbienti di avere accesso al credito ad un equo
tasso di interesse, e per questo costrette a rivolgersi agli usurai (cristiani
o ebrei) e quindi precipitare in miseria, i francescani della riforma, mol-
to attenti agli aspetti concreti dell’evangelizzazione, promossero queste
istituzioni come mezzo di “cura” della povertà e di lotta all’usura
6
.
Il capitale di queste proto banche etiche, che oggi trovano una conti-
nuazione ideale nelle varie forme di microcredito, o nelle casse rurali,
si accumulava per mezzo di collette, sottoscrizioni, eredità, donazioni,
depositi vincolati e questue.
Il monte di Recanati
7
, uno dei primi, era retto da quattro ufficiali,
uno per quartiere, con l’assistenza di due notai, che avevano il compito
di tenere accuratamente i libri contabili delle entrate e delle uscite e di
staccare le bollette dei pignoranti.
E’dunque la città, l’essere cittadini, il legame di reciprocità sul quale
si fonda la riflessione su prestiti, interessi e restituzione.
Inoltre, in questa fase vi è affermato in nuce quel principio di sussi-
diarietà che nei secoli successivi diventerà uno dei principi base della
dottrina sociale cristiana, e oggi dell’Europa.
I monti, poi, svolgevano altre funzioni ausiliarie, tra cui provvedere
le doti per le spose povere e anche adattarsi a “fare da paraninfi” fun-
gendo da mediatori tra famiglie per matrimoni.
6
Centro Studi sui Monti di Pietà e sul Credito Solidaristico.
7
Bruni L., Zamagni S., “Economia civile”, il Mulino, Bologna, 2004.
13
1.1.3 .L’illuminismo.
Se si guarda all’ospedale maggiore di Milano, la “Ca Granda” fon-
data nel 14868, la complessità della gestione e l’articolazione delle
competenze necessarie per farlo funzionare emergono con altrettanta
chiarezza.
Si trattava di una impresa imponente, come lasciano capire facil-
mente le ammirate osservazioni di un tedesco transitante da Milano
verso la fine del Quattrocento, colpito dal fatto che l’ospedale ”nutre
giornalmente milleseicento uomini oltre gli ammalati”.
La grande istituzione milanese era, nel settecento, il maggiore pro-
prietario fondiario dello Stato, con 148.000 pertiche pari a quasi 10000
ettari di terra ad altissima produttività e con 110 case in affitto in città,
un patrimonio integrato dagli impieghi mobiliari nei Monti e nei banchi
pubblici, la cui gestione complessiva può con tutta tranquillità essere
considerata alla stregua di una delle non molte grandissime imprese e-
sistenti in quegli anni.
Inoltre, istituzioni come quella richiamata, comportavano specifiche
e vaste conoscenze in settori diversi, da quello medico propriamente
detto a quello amministrativo, contabile e giuridico: queste ultime di un
livello tale da far sì che il modello di contratto d’affitto dei fondi rustici
redatto dagli amministratori della Ca’ Granda fosse assunto dai privati
come schema di riferimento per la gestione delle loro terre.
8
Vittadini G., (a cura di), “Il non profit dimezzato” , op. citata.
14
E, del resto, gli studi sulla amministrazione dei beni fondiari hanno
portato alla luce uno schema di organizzazione aziendale di rilevante
complessità e modernità, orientata a rendere massima la redditività dei
fondi nella prospettiva non certo di trarre profitti, ma di destinare risor-
se crescenti all’ampliamento della dimensione operativa.
Considerazioni analoghe possono essere fatte per altre strutture ope-
ranti nel sociale.
Se si guarda alla storia della biblioteca ambrosiana, fondata dal Car-
dinale Federico Borromeo, si coglie la presenza di una molteplicità di
funzioni unificate da una precisa politica di gestione finalizzata al per-
seguimento dei fini di una istituzione aperta ai bisogni culturali di
un’intera società.
Se lo svolgimento dei programmi di ricerca era affidato al Collegio
dei dottori sotto la guida del prefetto e la stamperia provvedeva alla
pubblicazione delle opere, vi era chi si occupava dell’acquisto dei libri
e degli altri materiali, mentre le risorse di denaro necessarie alla vita
dell’istituzione e di quelli che vi lavoravano erano tratte dalla gestione
del patrimonio di terreni e beni mobiliari effettuata dalla Congregazio-
ne dei provveditori.
L’assistenza ospedaliera rappresentò il primo e più importante filone
di attività, e di gran lunga il più impegnativo, di tutto il sistema delle
imprese operanti nel sociale.
Negli anni e nei secoli il progredire delle conoscenze mediche e
l’apparire di nuove malattie e di nuove infermità determinarono, anche
in un settore tradizionale come quello ospedaliero, l’avvio di nuove ini-
15
ziative che, almeno per l’Italia, furono assunte dalla chiesa e dalle sue
organizzazioni prima che dallo Stato.
Furono le iniziative della prima metà dell’Ottocento del beato Cotto-
lengo.
Furono le case di don Orione
9
, aperte dopo la grande guerra per i re-
duci colpiti nel loro equilibrio mentale, che, ricoverati inutilmente nei
manicomi pubblici, furono poi trasferiti negli ospedali della congrega-
zione perché si provvedesse seriamente alla riabilitazione.
1.1.4 Il diciannovesimo secolo e la classe operaia.
L’Ottocento, nonostante il mutuato rapporto e la mutata funzione
dello Stato, fu un periodo di notevole effervescenza e di singolare ca-
pacità di ideazione di nuove iniziative.
Fu il secolo delle esperienze di autotutela di cui è buon esempio il
fiorire delle società di mutuo soccorso che, proprio per la limitata dota-
zione di risorse, obbligavano ad un’amministrazione assai attenta per
raggiungere il massimo delle possibilità con il minor dispendio di mez-
zi
10
.
Esse furono ideate per sostenere le persone e le famiglie nei casi di
malattia o di morte di qualche congiunto, in tempi nei quali la legisla-
zione sociale, e specialmente quella previdenziale, erano quasi del tutto
assenti.
9
Ibidem.
10
Ibidem.
16
Più avanti, la ricerca del modo di realizzare una qualche forma di tu-
tela del proprio lavoro suggerì di estendere il modello alle attività eco-
nomiche.
Fu il mondo contadino a sviluppare le migliori esperienze in propo-
sito, dando vita ad una molteplicità di istituzioni operanti nei più diver-
si settori: dalle mutue di assicurazioni che coprivano dai danni derivati
dagli incendi, a quelle che provvedevano al risarcimento dei danni pro-
vocati dal maltempo o dalle malattie del bestiame.
L’Ottocento fu anche il secolo nel quale si moltiplicarono le iniziati-
ve nel campo della scuola.
In verità, il settore dell’istruzione aveva da sempre fatto registrare
una forte presenza di religiosi e laici.
La grande iniziativa milanese della quale si è detto, ossia la Biblio-
teca ambrosiana, ne è forse l’esempio più illustre.
Ma, come risulta da attendibili ricerche, grandi vescovi come san
Carlo e Federico Borromeo avevano creato”prebende canonicali stabili-
te per mantenere un canonico che faccia scuola di leggere, scrivere e
conti, e magari latino, ai fanciulli del paese”.
E, del resto, noti a tutti sono i collegi creati da ordini religiosi parti-
colarmente attenti ai problemi dell’istruzione, come i Gesuiti o i Barna-
biti.
Così come tutti conoscono i grandi collegi universitari sul modello
del Borromeo di Pavia, che costituirono lo strumento di accesso
all’università anche dei non ricchissimi.
17
La società lombarda di antico regime aveva fatto molto anche prima
dell’intervento dello Stato: più di duecento scuole pubbliche e gratuite
nelle campagne lombardo - austriache sono un patrimonio di tutto ri-
spetto, un tessuto sorprendente, creato dalla volontà di molti attori in
circostanze e con motivazioni diverse
11
.
In alcuni protagonisti ottocenteschi della formazione giovanile, sono
ben individuabili peculiari principi pedagogici che derivano non tanto
da sistematiche teoriche quanto piuttosto dall’esigenza di dare il mas-
simo di efficacia all’azione formativa.
Figure di straordinaria ricchezza spirituale come don Bosco o don
Guanella si impegnarono nell’educazione popolare proponendo, e que-
sto fu un’autentica svolta rispetto alla stessa tradizione cattolica, pro-
grammi identici per i giovani e i giovanissimi di tutte le classi sociali.
Esistono tre grandi ambiti di azione: l’educazione della gioventù,
l’assistenza ai bisognosi portatori di infermità un tempo assolutamente
trascurate (dementi, sordomuti, ciechi); l’istruzione professionale nella
quale si impegnò una moltitudine di persone animate da uomini santi
come Giovanni Piamarta e Giovanni Bosco.
Emerge da tutto ciò un quadro di grande ricchezza ma anche di no-
tevolissima integrazione rispetto alle forme tradizionali di azione socia-
le, proprio a segnare il modellarsi delle forme stesse alle esigenze mu-
tevoli di una società in rapida trasformazione.
Accanto alla distribuzione di cibo ai poveri e alle scuole per
l’istruzione elementare furono create biblioteche e stamperie per libri
11
Francesconi A., “Comunicare il valore dell’azienda non profit”, CEDAM, Padova,
2007.
18
da destinare all’istruzione popolare, scuole di arti e mestieri, scuole
sperimentali di agricoltura
12
.
L’agricoltura, per esempio, fu posta di fronte all’esigenza di miglio-
rare in modo significativo le proprie performance di fronte alla concor-
renza altrui e di evitare che il processo di emigrazione, unica risposta
alla crisi del settore, portasse alla scomparsa di intere comunità.
Di qui il moltiplicarsi delle scuole di agricoltura, che furono il dato
caratteristico del lavoro sociale sviluppato da molte congregazioni nate
nell’Ottocento, come quelle di don Bosco, di don Orione, di don Gua-
nella.
Il processo di industrializzazione, inoltre, portò in primo piano la
questione della difesa del lavoro operaio.
Dal punto di vista della definizione dei rapporti con le imprese, fu il
sindacato a porsi come strumento principale di autopromozione.
Ma la tutela e il soddisfacimento delle esigenze materiali, morali,
culturali e religiose dei lavoratori fu l’oggetto specifico e dichiarato
dell’azione di molte congregazioni religiose, specie femminili, che col-
locarono al centro della loro missione, oltre alla vita comunitaria di
preghiera, l’impegno a favore delle donne e delle giovani occupate nel-
le fabbriche.
12
Cova G., La situazione italiana: una storia di non profit, in Vittadini, “Il non profit
dimezzato”, ETAS libri, Bologna, 1997.