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pubblicità se non ci fossero i possibili destinatari ecco perché la
pubblicità è sempre andata di pari passo con i cambiamenti culturali e
sociali della massa. In questo modo è facile osservare i cambiamenti
del modo di fare pubblicità e del suo ruolo rispettivo ai cambiamenti
della società.
Fino agli anni 50, l'Italia era ancora una società tradizionale; i forti
valori presenti come la Chiesa, la famiglia, nonché i problemi alla
ricostruzione del dopoguerra, delineavano un contesto caratterizzato
da persone dedite più al risparmio che al consumo. Ma la massiccia
industrializzazione degli anni '50 portò un cambiamento radicale nelle
abitudini e nei consumi della gente. Sicuramente fattori quali la
scolarizzazione, l'urbanizzazione e il forte sviluppo dell'industria dei
mass-media, diedero una spinta decisiva che si concretizzò poi
prepotentemente negli anni '60.
Il ruolo che gioca la pubblicità in questo decennio di progresso e
rinnovamento è sicuramente un ruolo importante, veicolando stili di
vita e prodotti della moderna società industriale, aiuta il processo di
trasformazione della società ma d'altra parte, deve difendersi dalle
accuse di induzione agli acquisti non essenziali. I consumatori, però,
sembrano stare al gioco della pubblicità e così i consumi aumentano
5
sempre più tanto da eleggere la pubblicità a forma di spettacolo
quando, con la trasmissione televisiva "Carosello", si raggiunsero i più
alti indici di gradimento registrati nel palinsesto televisivo (fig.1).
Gli anni '60 sono anni di forte consumismo. Il modello di vita
s'incentra sul consumo e la fruizione di beni, facendo nascere così i
primi status-symbol. E ovviamente la pubblicità è complice diretta di
questa fase di modernizzazione. La società manifesta il massimo
consenso nei suoi confronti, e non solo, la pubblicità favorisce anche
l'aumento delle vendite e di conseguenza lo sviluppo economico
(fig.2).
Ma un secondo cambiamento sconvolgerà l'Italia nel decennio
successivo. Le prime avvisaglie del '68 con la rivolta studentesca,
l'autunno caldo, la nascita del femminismo, annunciano la successiva
crisi economica, quella energetica, la sindacalizzazione delle masse,
l'aumento del potere dei sindacati, la trasformazione nei rapporti di
classe e così via.
Lo sgretolamento del modello di vita da poco costituito, manda in
grave crisi la società italiana. Il porsi dei dubbi anche sui quadri di vita
ha fatto emergere dei gruppi sociali con forti valori antiautoritari, di
6
espressione personale e fortemente ostili al consumismo, al lavoro e
alla produttività.
Facile dedurre come la pubblicità non venisse vista di buon occhio in
quei tempi dove l’apparire non contava e dove il consumismo era
fortemente fronteggiato; i consensi si riducono drasticamente, ma non
solo, sembra che la pubblicità non riesca neanche più a imporre
cambiamenti nei modelli di vita della società italiana anzi, si trova
decisamente spiazzata dalla velocità stessa dei cambiamenti in atto
(fig.3). Persa la bussola tenta di difendersi riproponendo modalità
comunicative passate che non fanno altro che farla apparire come un
fattore non più di modernizzazione ma conflittuale con la società.
Sembra non essersi accorta dei nuovi linguaggi e dei nuovi stili di vita
che si stavano imponendo nella società: spiazzata dal repentino
cambiamento sociale la pubblicità si era attaccata a quei modelli
comunicativi che avevano coinciso con il suo periodo di massimo
consenso.
Negli anni '80 il forte e progressivo aumento del consumo fa ritornare
in auge di riflesso anche la pubblicità. Dimenticate le contestazioni
degli anni '70, il nuovo clima culturale apre le porte ad una
propensione all'acquisto senza precedenti: “la presa di distanza da
7
orientamenti collettivi per privilegiare invece la soggettività
individuale; l’erompere prepotente dell’edonismo come sommatoria di
tanti piccoli piaceri da godere nella quotidianità, generano un nuovo
diffuso goodwill verso il consumo”2 (fig.4). Riemergono tra l'altro
proprio dei settori economici come la moda che non avevano trovato
spazio nel decennio precedente. Ma è soprattutto con la
liberalizzazione delle frequenze televisive a livello nazionale, che
porterà ad un dualismo tra tv di Stato e di tv privata (con finaziamenti
derivanti dalla pubblicità) tuttora esistente, a decretare il successo
dell'advertising anche a livello economico. Così la pubblicità ritorna
prepotentemente in primo piano, riacquistando non solo un notevole
riscontro presso i consumatori, ma soprattutto divenendo un
importante agente di modernizzazione per una continua ricerca e
creazione di nuovi linguaggi e forme espressive.
Il consenso della pubblicità presso i fruitori della stessa rimane ormai
costante anche negli anni '90. Cambiano, però, gli atteggiamenti dei
consumatori che diventano più distaccati e riflessivi, più selettivi ed
esigenti, lontani, dunque, dal neoconsumismo degli anni '80. “Questi
nuovi valori sembrano plasmare diversi modelli di consumo che
2
G. Frabris, La pubblicità teorie e prassi, F. Angeli, Milano, 1997 p. 530
8
paiono nelle manifestazioni dei soggetti culturalmente più moderni,
più sobri, più low profile, con maggiori contenuti intrinseci rispetto a
quelli in passato prevalenti”3 (fig.5). Anche la pubblicità cambia,
diventa più matura, ma deve difendersi dalle pesanti accuse di falsità a
lei rivolte dai critici.
Il riferimento a Debord4 e alle sue tesi, è qui d’obbligo tanto più che
sembra si siano rivelate profezie veritiere. La sua critica della società
dello spettacolo caratterizzata da un continuo rinnovamento
tecnologico, dal falso indiscutibile, da un eterno presente sembra
sempre più attuale.
Ma forse se la società dello spettacolo è come è oggi, non tutte le
colpe vanno attribuite esclusivamente ai suoi elementi costituitivi. I
fattori precedentemente osservati hanno le loro ragioni di esistere
all'interno dell'intera società quella società composta da noi stessi
creando così una corrispondenza biunivoca tra il volere dello
spettacolo e il volere del pubblico.
E infatti la gente vorrebbe vedere in questi ultimi anni un genere di
pubblicità con la quale divertirsi e magari trascorrere quei fastidiosi
3
G. Frabris, La pubblicità teorie e prassi, F.Angelo, Milano, 1997 p. 531.
4
G. Debord La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano, 1997.
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secondi di invito all'acquisto in maniera più evasiva. Una pubblicità
quindi con più humor, con più effetti speciali, uno spettacolo dunque
dove, però, il prodotto non è più il tiranno ma una spalla, un complice,
addirittura il bersaglio dell'ironia.
Ed è solo in questi ultimi anni che anche in Italia c'è una più accurata
ricerca nella creazione delle campagne pubblicitarie in modo da
soddisfare quelle che sono le richieste del consumatore.
In questi 50 anni, abbiamo visto come è cambiato non solo il modo di
fare pubblicità, ma anche di recepirla. Questi cambiamenti hanno
avuto riflesso anche sui paradigmi teorici riguardo la comunicazione
in generale e in specifico quella pubblicitaria.
Fig.1 fig.2
10
Fig.3 Fig.4
Fig. 5
11
- Dall’azione persuasoria alla “agenda setting”
Il modello di analisi della comunicazione proposto da Lasswell nel
1948, sebbene non sufficientemente elaborato, rimane tuttora rilevante
dal momento che mette in evidenza i diversi momenti del processo
comunicativo e individua le principali aree di analisi ed i relativi
approcci metodologici per l'attività di ricerca. Il suo schema lineare
identifica cinque momenti ai quali corrispondono gli elementi di una
comunicazione (fig. 6).
Essi sono appunto una fonte emittente, un messaggio, un medium che
lo veicola, una audience a cui è diretto e gli effetti sortiti dalla
comunicazione.
Fig. 6
Anche se fu costruito sul sistema dei mezzi di comunicazione di
massa, il paradigma, data la sua unidirezionalità sembra più adatto a
descrivere la comunicazione persuasoria, ecco perché riesce ad
Chi
(fonte)
Dice cosa
(il messaggio)
Tramite
quale
fonte
(il medium)
A chi
(la audience)
Con quali
effetti
(effetti)
12
adattarsi facilmente alla pubblicità. Ad ogni fase del processo
comunicativo corrispondono altrettante aree di ricerca: i control
studies, lo studio di chi comunica, delle caratteristiche, cioè,
dell'utente inserzionista, le strategie di marketing e di comunicazione
in cui la pubblicità s'innesta. E una agenzia pubblicitaria, come
produttrice di comunicazione e come polo dialettico per l'azienda
utente, rientra in questo ambito di studio.
Il content analysis, ovvero lo studio del messaggio, in questi ultimi
anni con l'ampliarsi della prospettiva tradizionale grazie ad analisi più
profonde e con l'intervento degli studi della semiotica, ha assunto un
ruolo maggiore.
Il media analysis, cioè l'analisi del canale, non ha avuto subito
l'attenzione che meritava dalle ricerche in pubblicità ed è quanto meno
singolare pensando ad una comunicazione fondamentalmente
persuasoria. Basilare è anche la audience analysis con lo studio del
target da raggiungere, quindi uno studio che affronta i bisogni, le
motivazioni e gli atteggiamenti dei consumatori.
L'analisi degli effetti (effect analysis) della pubblicità si è sviluppato
soprattutto nell'area relativa all'efficenza persuasoria della
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comunicazione cioè in termini di goodwill, immagine, propensione
all'acquisto e così via.
Il pregio di questa linearità nel processo comunicativo di Lasswell
identifica allo stesso tempo anche il suo limite che è nel non prevedere
la possibilità di feedback di ritorno, avvalorando un'obsoleta
concezione del ricettore passivo delle comunicazioni.
Proprio l'inserimento dei processi di feedback nella comunicazione è
l'elemento distintivo del modello di Schramm (fig.7).
Fig.7
Lo schema di Schramm illustra abbastanza bene la circolarità dei
messaggi in una comunicazione pubblicitaria. Sebbene di tipo
14
inferenziale, in pubblicità il feedback acquista molto più valore che
non nel resto del sistema dei media. Già in fase di progettazione
pubblicitaria, il ruolo del feedback assume un'importante veste
attraverso tutta una serie di test sul target predefinito per il
raffinamento del messaggio. Ancora più evidente è il suo ruolo dopo
la veicolazione della pubblicità stessa; importanti indicatori sono i dati
di esposizione ad essa, di vendita, di eventuali mutamenti
nell'immagine dell'azienda.
Successivamente altri modelli, nel tentativo di raffinare le teorie
comunicative, hanno dato un contributo importante alla la
comunicazione pubblicitaria.
La teoria dell'informazione di Shannon & Weaver (1949) introduce un
concetto fondamentale per la comunicazione pubblicitaria: il rumore
che interviene nel processo comunicativo sul canale. Nelle intenzione
dei due ricercatori che basarono il proprio studio sulla comunicazione
tra macchine, il concetto di rumore fu inserito come interferenza,
elemento di disturbo che richiede una ridondanza del messaggio (la
sua ripetizione) per ovviare alle interferenze (fig. 8).
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Messaggio segnale ricevuto
Fig. 8
Così, in una telefonata, ad esempio, il trasmittente e il ricevente sono
identificabili nei due interlocutori; il messaggio è la conversazione dei
due, il cavo elettrico è il canale mentre il segnale è il cambiamento di
tensione. Il rumore, infine, interviene nel passaggio del segnale sotto
forma di interferenze elettromagnetiche.
Nella comunicazione pubblicitaria, invece, questo rumore diventa
addirittura auspicabile e ancora di più lo diventa l'uso della
ridondanza. E' facile notare, infatti, il notevole uso di ripetizioni,
analogie e similitudini presenti negli spots.
Un successivo filone di studi si concentra, invece, sulle funzioni che
le comunicazioni di massa e la pubblicità svolgono nella società.
La teoria uses and gratifications si inserisce in questa nuova
prospettiva dove sono, appunto, i bisogni e gli interessi del pubblico a
spiegare la fruizione dei mass media. Il ruolo della audience da
Fonte di
informazione
Fonte di
rumore
destinatario
trasmittente canale ricevente
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passiva diventa attiva, i suoi bisogni li ricerca nell'informazione,
nell'identità personale, nell'integrazione e interazione sociale,
nell'intrattenimento.
L'informazione ricercata, che sembra essere il movente più importante
di esposizione alla pubblicità, è relativa alle novità di mercato, alle
loro caratteristiche funzionali e alle performances. Così il ruolo
richiesto alla pubblicità è quello "didattico", volto ad esaudire il
bisogno di sapere inteso anche come chiave per il mondo, per capire i
cambiamenti in una realtà sempre più complessa e mutevole e dai
ritmi sempre più veloci.
La teoria uses and gratifications trova così particolare rilievo
all'interno delle teorie comunicative riuscendo ad allargare il campo di
studio dal contenuto del messaggio all'intero contesto comunicativo: il
messaggio può riuscire a motivare la gratificazione, l'esposizione al
mezzo e la situazione comunicativa.
Un altro campo degli uses and gratifications riguarda la teoria della
agenda setting. “L’assunto fondamentale di questa teoria è che la
comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è
mediata dai media”5. Questa influenza è esercitata iscrivendo
5
E. Shaw Agenda setting and Mass media theory in <<International Journal for Mass
CommunicationStudies>>, 1979 – traduzione di M. Wolf, 1990.
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nell'"agenda" di ognuno di noi, gli appuntamenti fondamentali della
nostra vita quotidiana.
Questa teoria ha dei riflessi importanti in pubblicità. “L'agenda setting
- notano Schultz, Martin e Brown6 - è semplicemente l'idea che, in una
situazione sconosciuta, o fra marche sconosciute ed a scarsa frequenza
d'acquisto, i consumatori abbiano poco o nessun supporto su cui
orientare la decisone di acquisto...in questi casi si dice che la
pubblicità "set the agenda" per l'acquisto”.
Così il ruolo della pubblicità sarebbe quello di mostrare il prodotto, le
sue alternative, di dare una sorta di lista generale di spesa in cui
scegliere il proprio acquisto. Allo stesso tempo, però, la pubblicità
ricorda anche quali sono i bisogni principali enfatizzandone
evidentemente alcuni a scapito di altri e quindi anche alcune marche
piuttosto che altre.
Il gran merito di queste ultime teorie, sta nell'aver saputo modificare
la concezione della pubblicità vista come plagio, come tiranno e sulla
quale si erano sviluppate le teorie precedenti.
6
D. Schultz, D. Martin, W. Brown, Strategic Advertsing Campaigns, Lincolnwood, 1988.