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Introduzione
La campagna elettorale è il periodo che più di tutti vede un’intensificazione della
comunicazione politica rivolta ai cittadini. Nonostante buona parte degli elettori abbia già
deciso da tempo se e per chi votare, è in questo momento che i cosiddetti indecisi posso-
no far chiarezza e scegliere a chi affidare il proprio voto. I partiti cominciano ad avanzare
promesse allettanti ai cittadini, i toni si alzano, la sfida fra i candidati si fa sempre più ac-
cesa (non è un caso, infatti, che molti scandali emergano nel periodo preelettorale, così da
infangare gli avversari compromettendo il loro eventuale successo). Comunicare in ma-
niera efficace diventa allora fondamentale, e la persuasione si rivela l’arma più importan-
te per convincere i cittadini a scegliere il proprio partito o candidato.
La persuasione è un processo comunicativo attraverso il quale una fonte cerca di ot-
tenere un cambiamento nel ricevente presentando fatti, argomenti e ragionamenti. Fon-
damentalmente, il cambiamento inseguito dalla comunicazione persuasiva può essere di
due tipi. Innanzitutto si può parlare di cambiamento quando, attraverso una comunicazio-
ne persuasiva, si ottiene un mutamento nella direzione e/o nell’intensità degli atteggia-
menti e delle opinioni preesistenti (per esempio, quando una persona cambia le sue opi-
nioni riguardo a un abito che prima non le piaceva e che adesso, invece, apprezza); in se-
condo luogo, è possibile ottenere un cambiamento persuadendo il ricevente a cambiare il
proprio comportamento (è il sogno del marketing, la possibilità di influenzare positiva-
mente i comportamenti d’acquisto dei consumatori a favore dei propri prodotti). Questi
due tipi di cambiamento sembrano suggerire, di primo impatto, che atteggiamenti e com-
portamenti siano due aspetti legati indissolubilmente nel processo persuasivo. Ciò, in
realtà, non è del tutto vero. Non è per nulla scontato, infatti, che un cambiamento di at-
teggiamenti e opinioni si rifletta necessariamente in un relativo comportamento, così co-
me non è per nulla scontato che la messa in atto di un comportamento specifico scaturisca
da un precedente cambiamento di atteggiamenti e opinioni. Al contrario, in molti casi a
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un cambiamento di atteggiamento non segue la messa in atto del relativo comportamento,
e un cambiamento comportamentale può essere relativamente indipendente dagli atteg-
giamenti e dalle opinioni dell’individuo.
Tutto ciò porta a riflettere attentamente su quelli che sono gli strumenti e i mezzi uti-
lizzati dalla politica per comunicare, dai più moderni come i siti web, i blog o i social
network, ai più classici come le lettere, gli spot televisivi, i manifesti. Proprio questi ulti-
mi sono stati al centro della ricerca che abbiamo condotto per verificare se la formulazio-
ne del claim di un manifesto elettorale potesse ottenere effetti differenti sui cittadini a se-
conda che questo fosse formulato come un’ingiunzione o come un’ingiunzione parados-
sale. Una serie di studi condotti a partire dagli anni Sessanta, infatti, ha offerto interessan-
ti contributi su come i riceventi rispondono a comunicazioni autoritarie e limitanti la pro-
pria libertà. La teoria della reattanza – questo il nome dell’impianto teorico entro il quale
sono confluite le ricerche – ha evidenziato come il linguaggio prescrittivo possa suscitare
nel ricevente un senso di frustrazione talmente forte da portare al rifiuto della comunica-
zione e, in alcuni casi, a risultati completamente opposti rispetto a quanto desiderato dalla
fonte del messaggio (effetto boomerang).
Uno sprone alla conduzione del presente esperimento, inoltre, è arrivato in seguito al-
la constatazione che non esistono ricerche simili in ambito internazionale, soprattutto per-
ché l’inglese non mostra alcuna distinzione visibile tra le varie persone grammaticali nei
verbi (fatta eccezione per la terza persona singolare che assume il suffisso -s). Nel proget-
to di ricerca qui esposto, invece, si è rivelata fondamentale la distinzione tra alcune per-
sone grammaticali per l’ideazione delle diverse condizioni sperimentali.
Concretamente la tesi sarà strutturata come segue: il primo capitolo prenderà in esa-
me il rapporto tra comunicazione persuasiva e politica, esaminando le più importanti teo-
rie delle comunicazioni di massa che si sono avvicendate e analizzando quali strumenti,
mezzi e strategie la politica abbia adottato per comunicare con i cittadini; un argomento
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particolarmente interessante, in questo senso, è il crescente processo di personalizzazione
e di spettacolarizzazione che da qualche decennio a questa parte sta permeando la comu-
nicazione politica occidentale.
Il secondo capitolo tratterà in maniera approfondita la teoria della reattanza avanzata
dallo psicologo Jack Brehm, fornendo un valido supporto empirico grazie ad alcune im-
portanti ricerche condotte negli anni; successivamente sarà dedicato ampio spazio al rap-
porto tra persuasione e reattanza, evidenziando come l’intento manipolatorio di una co-
municazione possa stravolgere gli effetti desiderati sul ricevente se la sua libertà di scelta
non viene rispettata; inoltre, verrà presentata l’ingiunzione paradossale come strumento
per ovviare al problema del rifiuto di una comunicazione persuasiva.
Nel terzo capitolo verrà presentata la ricerca sperimentale vera e propria, illustrando
gli obiettivi e le ipotesi di ricerca, il metodo utilizzato, i risultati e la discussione degli
stessi in relazione all’impianto teorico precedentemente esposto.
La conclusione, infine, offrirà qualche suggerimento utile a imbastire campagne elet-
torali efficaci, evitando – per quanto possibile – il rifiuto della comunicazione politica da
parte dei cittadini.
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1. Persuasione e politica
1.1. Teorie delle comunicazioni di massa
Da sempre la politica si è posta come obiettivo prioritario, ancor prima che governa-
re, quello di convincere le persone attraverso strategie di persuasione. Questo accadeva
già nell’antichità, ma da duecento anni a questa parte ha assunto un’importanza smisurata
dovuta alla nascita di due elementi fondamentali della modernità: l’opinione pubblica e i
mezzi di comunicazione di massa.
L’opinione pubblica nacque nel corso del Settecento tra l’Inghilterra, la Francia e la
Germania quando la società borghese e la classe operaia iniziarono a trovarsi intorno ad
alcuni luoghi ricreativi e culturali (come le tipografie, i caffè, i saloni) per discutere di
questioni di importanza pubblica. Per la prima volta nella storia, dunque, i cittadini co-
minciarono a dibattere seriamente intorno ai temi più rilevanti della società, dialogando,
confrontandosi e criticando pubblicamente il potere politico ed economico. Questa ten-
denza fu poi accentuata dalla comparsa dei mezzi di comunicazione di massa (giornali e
radio, in primis), i quali contribuirono fortemente ad abbattere le barriere che separavano
il pubblico dal privato. In questo modo l’opinione pubblica iniziò a trasformarsi sempre
più in una massa estremamente ampia, eterogenea e priva di organizzazione. Scrive State-
ra [1993]:
Il termine “massa” fu inizialmente associato ad alcunché di amorfo, magmatico, im-
prevedibile, pericolosamente instabile; “massa” era essenzialmente la “massa bruta”,
soggetta alle più svariate sollecitazioni, pronta a seguire intriganti demagoghi, a pie-
garsi istintivamente alle parole d’ordine abilmente diffuse da questi.
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Si capisce, dunque, come il termine massa rimandasse chiaramente a qualcosa di negati-
vo, dove gli individui erano intesi come soggetti passivi nelle mani di potenti manipolato-
ri delle coscienze.
È proprio questa concezione che sta alla base della psicologia delle folle di Gustave
Le Bon, secondo il quale l’individuo, quando entra a far parte di un gruppo di grandi di-
mensioni, perde la sua razionalità diventando facilmente influenzabile e controllabile da
personaggi carismatici e agendo, spesso, guidato da istinti aggressivi e violenti sulla base
della diffusione di responsabilità per le conseguenze dei propri atti e comportamenti. In
altre parole, si verificherebbe un fenomeno di suggestione collettiva per mezzo del quale
il singolo individuo, come sotto ipnosi, manifesterebbe opinioni e comportamenti pale-
semente diversi da quelli che lo caratterizzano quando si trova da solo. La teoria di Le
Bon non ha mai avuto evidenze empiriche a sostegno, eppure ha avuto un’eco incredibile
perché fu la prima risposta che i governanti ebbero in merito ai quesiti legati alla nuova
società di massa. In questo nuovo contesto i potenti delle nazioni dovevano infatti legit-
timare il proprio potere ottenendo consenso da parte delle masse che governavano, e que-
sta legittimazione avvenne per mezzo di una nuova forma di persuasione: la propaganda.
Molti leader confessarono di aver preso spunto dalle teorie di Le Bon per il loro operato,
e tra questi anche Hitler e Mussolini incentrarono la loro azione propagandistica attorno
al concetto di folla così come fu proposto da Le Bon, cioè una massa indistinta soggetta
agli istinti e facilmente manipolabile da una personalità carismatica. Gli esiti di queste
azioni manipolatorie furono evidenti durante la Seconda guerra mondiale, purtroppo, a
conferma del fatto che non sempre gli individui agiscono razionalmente, anzi, molto
spesso è l’istintività che guida le loro azioni.
I mezzi di comunicazione di massa, per la loro capacità di influenzare profondamente
la percezione che gli individui avevano del mondo, assunsero allora un’importanza smi-
surata, al punto tale da finire al centro di tantissimi studi a partire dagli inizi del Novecen-
to.