3
soprattutto di affissioni di manifesti, di comizi e di volantini. E’ d’obbligo però
memorizzare alcune tappe, come quella del 1960 in cui una televisione, nata da soli sei
anni, ospitava le prime tribune elettorali con Fanfani, Togliatti, Nenni e Michelini. Da
allora la politica in televisione attirerà sempre più l’attenzione non solo del pubblico in
pantofole e degli attori della politica, ma anche dei legislatori e degli esperti
d’immagine. Nel 1983, inoltre, sarà la volta della comparsa sugli schermi italiani degli
spot propagandististici, che si mescolano alle vecchie forme di propaganda.
Poi sono arrivati gli anni ’90, anni di cambiamento politico tout court. Cambia la
situazione internazionale, cambia la classe dirigente italiana, in gran parte travolta dallo
scandalo di Tangentopoli, si trasformano i vecchi partiti e muta finalmente anche il
sistema elettorale: nel 1993, viene infatti introdotto quello che è notoriamente definito
come il “mattarellum”, cioè la nuova legge elettorale che vede assegnare i seggi del
Parlamento per il 75% col metodo maggioritario e per il 25% col metodo proporzionale.
Dopo questo stravolgimento cambia naturalmente anche il modo stesso di fare e
comunicare politica: già dal 1994 anche in Italia si fa un ampio ricorso alle tecniche di
marketing politico, ormai collaudate con successo negli Stati Uniti. Il fenomeno della
personalizzazione della politica si diffonde sempre di più, soprattutto a partire dal 1996,
quando si svolgono per la prima volta in Italia elezioni nazionali in cui i partiti o
coalizioni principali indicano preventivamente quale sarà il premier in caso di vittoria.
Il 1996 è l’anno della vittoria dell’Ulivo di Romano Prodi, che sceglie una
tecnica comunicativa originale e apprezzata dagli elettori: quella dell’uomo alla mano,
vicino alla gente, spontaneo. Tecnica che dopo le iniziali dêbacles del “Professore” si
rivelerà alla fine vincente. Sono le prime elezioni dal 1983 senza spot televisivi, quasi
del tutto vietati dalle norme sulla par condicio.
Nel 2001 è invece Silvio Berlusconi con la “Casa delle libertà” ad avere la
meglio, assicurandosi una netta maggioranza, che gli permette di realizzare in questo
modo il tanto sospirato “cambio della guardia” nella guida del governo. Le strategie
comunicative del “Cavaliere” appaiono questa volta impeccabili e nulla può il suo
avversario Francesco Rutelli, leader del centro-sinistra, che a sua volta fa un pressing
massiccio ricorrendo a consulenti di marketing importati dagli Stati Uniti, il che gli
consente di ottenere soltanto un recupero di alcuni punti percentuali nelle ultime
settimane di campagna elettorale.
Nel vari capitoli del nostro lavoro vedremo nei dettagli e cercheremo di
analizzare i punti fondamentali delle tematiche sopra accennate, la molteplicità dei loro
aspetti, la complessità della comunicazione politica di oggi, le sue cause ed effetti sulla
vita moderna.
4
CAP 1 °
Propaganda dei regimi totalitari e democratici nel corso degli anni ’30
e durante la seconda guerra mondiale
La comunicazione politica è una scienza che mai come nel XX secolo e agli
albori del XXI è stata al centro di intensi studi e dibattiti. Sistema di informazione e
sfera politica hanno infatti raggiunto un livello di interdipendenza e di evoluzione
impensabile fino a qualche tempo fa. Nuovi, potenti strumenti di comunicazione hanno
fatto il loro ingresso nella nostra società assumendo sempre maggiore importanza.
Questa disciplina ha comunque origini antichissime che si possono far risalire
addirittura al mondo classico: pensiamo alle poleis greche dove si insegnava l’arte della
retorica, cioè di persuadere gli altri, o, nei secoli successivi, alla Roma repubblicana
dove il governo era retto da magistrati eletti dal popolo, circostanza che portava anche
qui gli addetti ai lavori ad elaborare sofisticate tecniche di persuasione per ottenere il
consenso popolare, e quindi a sviluppare forme di comunicazione legate al rapporto tra
sistema politico e cittadini.
Pure nei secoli successivi forme più o meno consapevoli di comunicazione
politica hanno senz’altro avuto luogo, ma gli strumenti mediatici che si avvicinano a
quelli moderni conoscono una loro matura evoluzione solo con l’esperienza della Prima
guerra mondiale, durante la quale i Paesi coinvolti constatarono per la prima volta la
forza dell’arma della propaganda, mediante la quale le masse venivano “gestite” da chi
disponeva di questo potere e convinte a sopportare per cause di forza maggiore i disagi
e le sofferenze della guerra. Lasswell definirà questo tipo di comunicazione di massa
come un “proiettile magico”
1
capace di sconfiggere il dissenso; è questa comunque
l’opinione più diffusa anche tra gli altri studiosi suoi contemporanei, i quali avevano la
convinzione che “i messaggi propagandistici della stampa, del cinema e della radio
avessero effetti diretti sul modo di pensare della gente e che ciò producesse
comportamenti prevedibili (…) indipendentemente dalle caratteristiche sociali ed
individuali dei soggetti”
2
. Indubbiamente appariva difficile affermare il contrario, e ciò
valga soprattutto in riferimento ai totalitarismi che s’instaurarono negli anni successivi,
che in genere si affermarono e consolidarono anche grazie all’istituzione del monopolio
dell’informazione. La positiva esperienza maturata nella Prima guerra mondiale sarà
dunque un esempio che verrà seguito senza esitazione soprattutto dai regimi totalitari
degli anni ’20 - ’30, con le varie esperienze di tipo fascista, comunista e nazista, ma non
ne saranno immuni neanche i grandi regimi liberal-democratici, come quelli della Gran
Bretagna e specialmente degli Stati Uniti. Questo avviene per rispondere all’esigenza di
rafforzare all’interno il consenso popolare in merito ai propri orientamenti di politica
socio-economica, ma anche alla luce delle nuove tensioni internazionali.
E’ in questi anni che fa il suo ingresso nelle case di moltissimi cittadini europei e
americani un nuovo strumento destinato ad avere un grosso seguito: la radio. Le prime
stazioni radiofoniche private o di Stato compaiono in Europa e negli Stati Uniti negli
anni ’20 suscitando subito un vivo interesse da parte del pubblico e diventando quindi
molto presto il più potente strumento di comunicazione di massa fino all’avvento della
televisione negli anni ’50; fu infatti il primo mezzo di comunicazione capace di arrivare
ad un pubblico vasto e socialmente differenziato. Questa opportunità fu abilmente
sfruttata soprattutto da uomini politici che impararono presto ad impratichirsi col nuovo
1
Lasswell, 1927, in G. Pasquino, Corso di scienza politica, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 258.
2
G. Mazzoleni, La comunicazione politica, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 279.
5
strumento, quali Hitler in Germania e Mussolini in Italia, ma ebbero un ottimo successo
anche i discorsi di Franklin Roosevelt negli Stati Uniti e di Winston Churchill in Gran
Bretagna.
Fascismo
La radio, ad ogni modo, affiancò i mezzi tradizionali di comunicazione che
continuarono a svolgere un ruolo importante nei principali Paesi europei e negli USA. Il
fascismo italiano, ad esempio, fu abilissimo nello sfruttare ogni mezzo di propaganda:
dall’arte alla stampa, dalla radio alla cinematografia, dal teatro alle manifestazioni di
piazza. Ma non solo: la fascistizzazione avveniva anche per mezzo di entità ed
istituzioni normalmente escluse da questo tipo di comunicazione di massa, quali la
scuola, che doveva preparare i fascisti della successiva generazione e assicurarne la
fedeltà al littorio; le associazioni sportive, che dovevano trasmettere ai giovani il culto
dell’ardimento e del sacrificio, a cui si aggiungevano le attività dopolavoristiche e
quelle paramilitari più specificatamente fasciste.
La macchina propagandistica fascista iniziò a farsi più massiccia e organizzata
negli anni ’30, quando, una volta raggiunto il consolidamento politico del regime,
occorreva organizzare il consenso di massa per dare al nuovo Stato basi più solide e
durature, ma anche per creare, “forgiare”, un nuovo modello di italiano, fiero e
laborioso secondo i canoni ideologici fascisti.
Per quanto riguarda la stampa, essa fu messa sotto controllo dal regime nel 1925,
condicio sine qua non nel programma di fascistizzazione dello Stato: è già a partire da
quell’anno, infatti, che l’ufficio stampa comincerà a diramare ai giornali le cosiddette
“veline”, cioè le note di servizio che davano istruzioni tassative ai direttori dei giornali
sulle notizie che andavano assolutamente pubblicate e quali invece non dovevano
comparire, e spesso anche sulla “gradazione” del rilievo e dell’enfasi con cui bisognava
dare le singole notizie.
Una legge del 31 gennaio del 1925, poi, rendeva obbligatoria l’iscrizione di
giornalisti e responsabili delle varie testate all’Albo dei giornalisti, riducendolo così ad
un importante strumento per l’emarginazione dei giornalisti non allineati al regime.
I giornali del ventennio spesso assomigliavano quindi per lo più a una sorta di
bollettini celebrativi, finalizzati a promuovere l’indottrinamento e la formazione delle
masse piuttosto che dare una corretta informazione alle stesse. In più essi riprendono
spesso lo stile oratorio e solenne dei discorsi mussoliniani, per esempio utilizzando
formule affermative e mai toni dubitativi nei titoli, parole enfatiche e “ad effetto” quali
“rivoluzione trionfante”, “fierezza”, “inequivocabile”, “travolgente”, e così via. I toni
esaltanti e patriottici diventarono una prassi obbligatoria anche per giornali estranei alle
dinamiche politiche, come i quotidiani sportivi e in parte la fumettistica. Nei quotidiani
normalmente solo la terza pagina godeva di un certo respiro in quanto era dedicata a
dibattiti culturali in cui potevano filtrare anche alcune deboli divergenze dall’ortodossia
fascista.
Tutta la stampa ufficiale, comunque, dovette piegarsi al fascismo. Ai vecchi
giornali (alcuni dei quali vennero fatti chiudere, come l’Avanti e l’Unità, legati alle
ideologie socialista e comunista), se ne affiancarono negli anni ’30 una miriade di altri
nuovi, stampati dalle varie federazioni e associazioni fasciste, le quali avevano tutte un
proprio “foglio”, oltre a numerose riviste culturali e pubblicazioni giovanili. Tra le
riviste culturali la più famosa era forse l’”Italiano” diretto da Longanesi, mentre tra i
“fogli” universitari e giovanili possiamo annoverare “Rivoluzione” di Firenze e
“Vent’anni” di Torino. Questi “fogli” erano tra i pochi giornali che godessero di una
6
certa indipendenza, anche quando nel 1937 il Ministero della cultura popolare renderà
più rigorosa la censura sulla carta stampata.
Abbiamo citato in precedenza il grande utilizzo della radio come strumento di
propaganda. Anche durante il periodo fascista questa ebbe un’importanza notevole. In
Italia dalla fine degli anni ’20 l’E.I.A.R. (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche)
fu l’ente cui fu concesso l’esercizio della radiodiffusione in monopolio. Formalmente
era una società per azioni, ma di fatto finanziata e controllata dal regime, che aveva a
disposizione per eventuali comunicati due ore al giorno di trasmissione, nonché la
possibilità di usufruire di un ulteriore spazio, in qualunque momento, per eventuali
comunicazioni di interesse collettivo. Fu grazie allo strumento radiofonico che tutti gli
italiani potevano udire la voce del duce durante i suoi celebri discorsi. Chi non aveva la
radio a casa, poteva ascoltarla in piazza dove potenti altoparlanti trasmettevano ciò che
il leader fascista aveva da comunicare. Il discorso di Mussolini del 1933 in occasione
della battaglia del grano fu ascoltato da tutta l’Italia, così come pure altri famosi
discorsi, come quello pronunciato in occasione della battaglia demografica negli anni
’30 e quello contenente l’annuncio che il maresciallo Badoglio era “entrato in Addis
Abeba alla testa delle truppe vittoriose” in occasione della conquista dell’Etiopia nel
1936, fino al celebre proclama che annunciava l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940.
La possibilità di ascoltare la voce di Mussolini in diretta a mezzo radio fu senz’altro uno
degli strumenti di propaganda di maggior effetto, che riusciva a suscitare nella gente un
senso di forte emotività e di orgogliosa appartenenza al fascismo.
Altro basilare strumento di comunicazione per il regime fu la cinematografia.
Anch’essa sottoposta ad uno stretto controllo con una legge già dal 1923, fu trasformata
in un importante mezzo privo di autonomia per diffondere l’immagine del modello
culturale fascista e pubblicizzare le realizzazioni dello Stato. A questo scopo, fu creato
l’istituto L.U.C.E. con decreto legge del 1925, che per tutto il ventennio si fece carico
della produzione di numerosissimi film-documentario o cine-giornali. Lo scopo di
questi filmati era quello di informare puntualmente gli italiani, con spirito didattico e
pieno di ottimismo, sulle attività del regime, proiettandoli anche nelle scuole.
Ma il fascismo gradì anche la produzione di
film a lungometraggio, contenenti più o meno sempre
motivi propagandistici. Nel ’29 uscì “Sole” di
Alessandro Blasetti, che raccontava la vita delle
popolazioni contadine nelle terre pontine bonificate
dal regime. Il governo diede però uno stimolo più
deciso alla produzione cinematografica negli anni ’30:
vengono infatti prodotti “Acciaio” del regista tedesco
Walter Ruttmann, che descriveva il lavoro meritorio
degli operai delle officine di Terni; “Camicia nera” di
Gioacchino Forzano, che parlava della vita fascista in
maniera ancora più diretta; poi una sorta di ritratto
sulla figura di Mussolini, intitolato “L’uomo del
destino, il Duce”; “Scipione l’Africano” di Carmine
Gallone che invece riecheggiava, esaltandola, la
grandezza dell’antica Roma. Augusto Genina, inoltre,
con “L’assedio dell’Alcazar” del 1939, descriveva le
imprese fasciste nella guerra civile spagnola.
Anche l’arte ebbe la sua parte nella
costruzione di quel gigante che fu la macchina
propagandistica fascista. In particolare vennero seguite due direttive che
apparentemente possono sembrare anche contraddittorie: il recupero della classicità e la
Fig.1.1 - La locandina del film dedicato a
Mussolini, uscito nel 1935
7
contemporanea ricerca della modernità, specialmente nella realizzazione di certe opere
pubbliche: cioè la grandiosità classica del passato doveva “legarsi”, nel segno della
continuità, alla maestosità e grandezza del presente fascista. Si pensi al palazzo “M” di
Latina, ai vari palazzi di giustizia in tantissime città italiane, o al celebre palazzo
dell’EUR a Roma, ecc. La costruzione di opere pubbliche come queste, inoltre,
venivano spesso accompagnate da un’adeguata campagna pubblicitaria. Su questa linea,
tipico del fascismo era anche l’organizzazione di manifestazioni (la giornata
dell’Impero, l’anniversario della Marcia su Roma, il Decennale dell’era fascista, ecc.) e
di periodiche visite del duce nelle città italiane, con il corollario di feste solenni o di
accurate coreografie: è ormai notissima, per esempio, quella realizzata all’Arena di
Verona proprio in occasione della visita di Mussolini o quella pirotecnica a Roma in
Piazza Venezia nel giorno della conquista dell’Etiopia da parte delle truppe italiane. In
tali occasioni, il duce si cimentava nei suoi acclamatissimi discorsi, spesso, come
abbiamo ricordato, trasmessi anche via radio, in cui dava prova del suo fascino e della
sua forza carismatica, trasmettendo alle folle un’idea di vigoria e sicurezza. La sua
mimica e il suo modo di esprimersi erano indubbiamente trascinanti e convincenti e
davano un’idea di ferma autorità ma anche di paterna protezione. Lo stesso Mussolini si
preoccupava di leggere spesso testi sulla psicologia delle masse
3
. Non mancavano anche
le uscite in pubblico di un duce “operaio” o “contadino”, per esempio mentre mieteva il
grano, trapiantava il primo alberello di un bosco o sistemava i primi mattoni di una
nuova opera pubblica, che avevano il ben riuscito intento di comunicare l’immagine di
un leader lavoratore, vicino al popolo.
Ma per dare un’immagine più completa
dell’onnipresente e persuasiva propaganda fascista,
non possiamo non ricordare anche l’invasione dei
vari manifesti, locandine e cartoline
propagandistiche, quasi tutte firmate dalla celebre e
abile mano del disegnatore Gino Boccasile, che seguì
le sorti del fascismo dai primi giorni fino alla caduta
della Repubblica sociale. I manifesti esaltavano i
prodotti italiani, fossero essi alimentari o industriali:
la pasta come la moda, i motori o lo sport. Ma anche
i manifesti in tempo di guerra ebbero la loro parte,
come il famoso “Tacete, il nemico vi ascolta”
4
, o un
altro con titolo “Alle armi”, che invitava i giovani ad
arruolarsi nelle truppe della X° Flottiglia MAS.
Meritano una breve riflessione la strategia e
lo stile della propaganda fascista durante le alterne
vicende della seconda guerra mondiale, la quale
segnò l’apice, ma presto l’agonia e la fine dei due
grandi regimi totalitari dell’Occidente. I cinegiornali
obbedivano ora più che mai – oltre a quanto abbiamo già rilevato - alla necessità di
convincere il popolo che le sorti del conflitto andavano sempre per il meglio. Esaltavano
l’eroismo, spesso anche veritiero, delle truppe italiane. Parlavano raramente, però, o ne
parlavano in toni assolutamente smorzati, dei clamorosi tonfi dei nostri soldati, sempre
più frequenti a partire dal 1942. La propaganda, poi, indirizzava i suoi strali anche
3
Per esempio “La psicologia delle masse” di Gustave Le Bon, che fu una specie di manuale per gli
agitatori politici degli anni ’20 e ’30, tra cui, appunto, Mussolini.
4
A. Ferri, Gino Boccasile, cento anni fa nasceva l’artefice del costume dell’Italia fascista
(http://www.pageonline.it/pageonline/costume/boccasile/boccasile.html).
Fig.1.2 – Il manifesto di Boccasile che
invitava all’arruolamento nella X°MAS.
8
contro le “democrazie plutocratiche” – per dirla alla Mussolini – nemiche del nostro
Paese in guerra, ma pure contro l’odiata Russia comunista.
Nazismo
La propaganda assunse un aspetto di vitale importanza anche per il
nazionalsocialismo tedesco. Nel regime hitleriano, però, senz’altro ebbe un ruolo più
deciso la strategia del terrore, almeno rispetto al fascismo, piuttosto che un’intensa
opera di convincimento, che pure non mancò. Da quando nel 1933 Hitler divenne
cancelliere ogni velleità democratica da parte dell’opposizione fu in breve spazzata via.
La propaganda nazista fu legata essenzialmente alla figura del ministro Joseph
Goebbels: da subito stampa, cinema e radio furono assoggettati al suo controllo. La
radio fu uno strumento molto sfruttato e reso più popolare dallo stesso ministro della
propaganda, visto che ne incrementò la diffusione e che migliaia di apparecchi radio
vennero collocati anche in numerosi luoghi pubblici. Era spesso lui stesso a parlare ai
microfoni, cosa che tra l’altro gli offriva l’opportunità di avere una grande popolarità.
Quanto al cinema, che era un pallino personale di Goebbels
5
, fu improntato ad un severo
pseudomoralismo, che era finalizzato ad un tipo di educazione in funzione antisemita.
Anche la stampa fu rigidamente controllata, e in Germania, come in Italia, il Ministero
dava indicazioni ai direttori dei giornali su cosa scrivere e non scrivere e come scriverlo.
Molta importanza fu data inoltre all’attività didattica nelle scuole, i cui
programmi vennero “depurati” dello studio di autori e scienziati ebrei o comunque
contrari al nazismo (anche il rogo dei libri a Berlino nel 1933 fu una testimonianza di
questo indirizzo politico), per essere sostituiti dallo studio della vita di Hitler e dalle
tante ore dedicate alla ginnastica, a cui il leader nazista dava particolare rilievo.
L’antefatto storico che spiega la rapida ascesa del movimento nazista è da
ricercare specialmente nel fatto che Hitler si faceva promotore di idee ed istanze
ampiamente condivise dal popolo tedesco, il quale era entusiasta ed attratto dal fare
deciso, ardimentoso e privo di tentennamenti dello statista. Egli, infatti, parlava, prima
ancora di diventare cancelliere ed essere legittimato da un plebiscito che gli procurò il
98% dei consensi, di ricostruzione e riscatto della Germania, di riappropriazione per il
popolo tedesco della dignità perduta, con ovvio riferimento alle dure, umilianti clausole
del trattato di pace di Versailles imposte alla Germania sconfitta nel primo conflitto
mondiale, miranti a stroncare ogni velleità egemonica della Germania nell’Europa
continentale. Hitler parlava di potenza per la sua Germania, mostrando un’assoluta
fermezza nel portare avanti i suoi propositi, che mise per iscritto nel suo Mein Kampf
(La Mia Battaglia), un libro che ebbe notevole popolarità, tanto da diventare quasi una
Bibbia laica nella Germania nazista. Altro forte elemento di propaganda teso a
cementare la coesione del popolo germanico fu la ricerca, al proprio interno, di un capro
espiatorio per i tanti mali patiti dalla Germania e questo fu individuato nel popolo
ebraico, accusato di essere una sorta di “cancro” estraneo, venuto da fuori, nella società
tedesca, colpevole quindi di ”contaminare” la purezza della razza ariana-indoeuropea
(qualcosa di simile accadeva negli stessi anni anche in Giappone, dove il governo
predicava la superiorità dell’etnia yamato più o meno con gli stessi obiettivi)
6
. Gli ebrei
furono quindi progressivamente discriminati, partendo dalla revoca della cittadinanza
nel 1935 fino alla tragedia estrema dei campi di sterminio.
5
F. Gattuso, Il Dottor Goebbels (http://www.cronologia.it/storia/biografie/hitler2.htm).
6
A. Cecchi Paone, Appuntamenti con la storia: l’attacco di Pearl Harbour, film documentario degli
archivi Mediaset.
9
Una peculiarità su cui è opportuno soffermarsi è che il nazismo puntava molto,
forse anche più del fascismo, sulle manifestazioni pubbliche “ad effetto”, sulle parate
militari che raccoglievano ondate oceaniche di folla e contribuivano ad incrementare il
senso di orgogliosa appartenenza della gente al nazismo. Ebbero ovunque una vasta
risonanza, per esempio, la parata militare che si tenne a Norimberga nel 1935 per il
giuramento di fedeltà delle S.S. al furher, “condita” da numerose rappresentazioni
coreografiche, poi quella del marzo dello stesso anno in occasione dell’annuncio del
riarmo militare, o le tante altre di fine decennio che ebbero luogo all’indomani
dell’annessione nazista dell’Austria, dei colpi di mano in Cecoslovacchia e Polonia o in
occasione degli incontri di Hitler con Mussolini. Soldati ordinatissimi in fila o truppe
che marciano al “passo dell’oca” dovevano dare ai tedeschi stessi e al mondo l’idea di
una Germania che si rialzava potente e determinata sotto l’ala dell’aquila prussiana.
Nei primi anni del regime, inoltre, Hitler mirò a catturare consensi sempre
maggiori anche con la realizzazione di opere pubbliche, quali una vasta e moderna rete
di autostrade, personalmente inaugurate dal furher, che risultarono senz’altro opere utili
e consentirono di assorbire manodopera non specializzata, ma che nello stesso tempo
furono straordinari ed abili espedienti propagandistici, se non altro perché allentavano
temporaneamente il problema più urgente della Germania: la disoccupazione. Luca
Violini dice a proposito che “funzionale agli interessi del grande capitale tedesco,
sostenuta da una ferrea repressione di ogni rivendicazione operaia e da un regime di
bassi salari, la ripresa economica e l’assorbimento della disoccupazione permisero a
Hitler di ottenere un consenso praticamente assoluto”
7
.
Ultima riflessione, legata alle precedenti, riguarda il rapporto della politica con
lo sport. La superiorità della razza tedesca doveva essere dimostrata anche mediante la
superiorità sportiva, soprattutto nell’atletica. “La gioventù tedesca del futuro - scriveva
Hitler - deve essere snella e agile, veloce come un levriero, forte come il cuoio e dura
come l’acciaio Krupp. Non occorre che abbia alcuna preparazione culturale”. E a questo
proposito, Hitler e Goebbels vollero fortemente l’organizzazione delle Olimpiadi del
1936 a Berlino
8
, nonostante il tentativo di boicottarle da parte di alcuni Paesi, visti
anche il trionfalismo e il consenso che la vittoria ai Mondiali di calcio aveva portato due
anni prima all’Italia e al fascismo. Com’era prevedibile, le Olimpiadi del ’36 dal
nazismo vennero sfruttate ampiamente come mezzo formidabile di propaganda:
tantissime energie fisiche ed economiche vennero infatti profuse senza risparmio dal
regime. Le Olimpiadi vennero vinte naturalmente dalla Germania, il che costituiva,
secondo i tedeschi, una consacrazione della superiorità della razza ariana sulle altre.
Anche il nazismo, in maniera non dissimile dal fascismo, strumentalizzò con
euforica pubblicità le conquiste straordinarie della “guerra-lampo” nella prima parte del
conflitto mondiale, in particolare quella a danno della Francia, nemica storica e
propugnatrice principale dell’umiliazione della Germania a Versailles.
7
L. Violini in La seconda guerra mondiale: 1933-8 - Le premesse del conflitto (Fabbri video).
8
C. Sangalli, Sport e potere - A Berlino grandioso spettacolo usato in chiave politica
(http://www.cronologia.it/sport/crono26.htm).
10
Unione Sovietica
Altro regime totalitario che fece ampio uso della propaganda nei suoi molteplici
aspetti fu l’Unione Sovietica, soprattutto a partire dagli anni ’30, gli anni dello
stalinismo.
Già nel 1928 fu approvata dal partito comunista sovietico una prima risoluzione
secondo la quale letteratura, cinema, teatro, stampa e musica dovevano essere adoperati
come strumenti di lotta contro l’ideologia e la cultura borghesi, mentre le opere dello
stalinismo dovevano essere continuamente esaltate e messe a confronto con il decadente
periodo zarista, sottolineandone naturalmente le differenze a proprio vantaggio.
Secondo questo filone, ovviamente, Stalin doveva essere esaltato e celebrato come un
salvatore della patria, una specie di “messia” venuto a redimere la Russia dall’ignoranza
e dalla decadenza. Il suo culto venne in pratica a sostituire quello della religione,
osteggiata fino al punto da essere, alla fine, drasticamente vietata qualsiasi confessione
religiosa, sia essa ebraica, musulmana o cristiana.
Era naturale, inoltre, che la propaganda evidenziasse quei pochi episodi che nei
secoli precedenti avevano visto la Russia vittoriosa militarmente contro altre potenze,
così da creare una maggiore spirito unitario tra i russi: le guerre di Pietro il Grande
contro i Paesi scandinavi, quelle della campagna contro Napoleone, ecc.
Per renderli più credibili e convincenti, questi fatti dovevano essere sostenuti e
rafforzati da un’adeguata organizzazione propagandistica. Essa nell’Unione Sovietica
ebbe come tratto peculiare lo sfruttamento degli intellettuali e degli scrittori in misura
maggiore rispetto ai due regimi totalitari fascista e nazista. Anche in Russia, però, molta
amplificazione venne data alle manifestazioni di piazza e all’esaltazione di qualunque
opera pubblica venisse costruita, nonché al culto personale della figura del leader, nella
fattispecie Stalin.
Nel 1932 venne quindi rifondata l’associazione degli scrittori, che doveva
rispondere in modo più consono alle esigenze di propaganda suindicate: nacque così
l’Unione degli scrittori sovietici (che sostituì l’Associazione russa scrittori proletari) in
cui il personaggio di maggior spicco fu lo scrittore Gorkij, in quel periodo il più attivo
organizzatore della cultura sovietica secondo i dettami di Stalin. Ecco che cosa disse, in
quegli anni, in un appello agli scrittori sovietici:
“La guida della letteratura da parte del partito deve essere del tutto purgata da qualunque influenza
filistea, i membri del partito attivi in campo letterario devono impegnarsi a insegnare idee capaci di
mobilitare le energie del proletariato in tutti i paesi in vista della battaglia per la libertà, ma devono anche
dar prova di autorevolezza morale, perché gli operatori culturali siano consapevoli della loro
responsabilità collettiva per quanto accade nelle loro file. La letteratura sovietica, con la sua ricchissima
gamma di talenti e il numero crescente di nuovi e dotati scrittori, deve essere come un organismo
collettivo , come un possente strumento della cultura socialista”.
9
Tutti i letterati, in sostanza, da quel momento erano obbligati a giurare fedeltà alla
dottrina socialista-stalinista. Chi non lo faceva poteva sperare al massimo nell’esilio.
Nel 1935 anche il cinema venne messo sotto più stretto controllo da parte del regime
con lo stesso obiettivo.
L’icona di Stalin iniziò a campeggiare con enormi manifesti nelle piazze e nelle
fabbriche delle città russe, ma anche nelle case non mancava una sua immaginetta
10
. Il
suo culto venne imposto anche tra le formazioni giovanili sovietiche, mentre la sua
presenza era immancabile nelle spettacolari parate organizzate nella Piazza Rossa per
9
G. Pacini, Il culto di Stalin (www.cronologia.it/mondo24n.htm).
10
Ibidem.
11
l’inaugurazione di colossali opere pubbliche oppure per celebrare l’anniversario della
rivoluzione.
Anche nell’Unione Sovietica la propaganda durante la guerra dovette
necessariamente concentrarsi sulle altalenanti sorti del conflitto, per tenere alto il morale
delle truppe e della popolazione, costretta a sopportare immani sacrifici e disagi, e per
ribadire la natura difensiva della partecipazione sovietica al conflitto, contro i mostri
aggressori nazista e fascista. Stalin attraverso la radio parlava spesso al suo popolo che
lo ascoltava nelle fabbriche e nelle case, così come già avevano fatto Churchill,
Roosevelt e altri capi di governo dei Paesi belligeranti. Ecco cosa disse ai suoi cittadini,
all’indomani dell’attacco tedesco, il 22 Giugno 1941: “Questa non è una guerra
normale, è la guerra di tutto il popolo russo, non solo per eliminare il pericolo che
incombe sulle nostre teste, ma per aiutare tutti i popoli schiacciati sotto il peso del
nazismo”
11
. Soprattutto nei momenti più difficili Stalin utilizzerà la radio per spingere
il suo popolo alla resistenza ad oltranza contro i nazifascisti.
Stati Uniti
Discorso diverso va fatto per gli Stati Uniti d’America, dove il compito dei
media non era ovviamente finalizzato ad una campagna di consolidamento di un regime
dittatoriale, ma legato al momento elettorale o in genere al dibattito politico proprio di
ogni contesto democratico. Gli Stati Uniti d’America erano, a livello mondiale, uno dei
Paesi dove i media erano più diffusi. Con 26 milioni di apparecchi radio negli anni ’30,
contro il milione in Italia, erano anzi il Paese con la più ampia radiodiffusione
12
, dunque
con un sistema mediatico capace di un’influenza non indifferente. A conferma di quanto
si è accennato più sopra, si può citare il caso della campagna elettorale presidenziale del
1932, durante la quale il candidato democratico F. D. Roosevelt utilizzò la radio in
modo massiccio e pressoché continuativo per pubblicizzare il suo programma di politica
economica, il cui obiettivo primario era il risanamento del Paese dopo la crisi del 1929.
La buona riuscita del suo piano, denominato New Deal (Nuovo Corso), fu così in
gran parte attribuita alle “conversazioni nel canto del fuoco” tenute dall’aspirante
presidente, che ne poté illustrarne in tutta tranquillità i punti salienti con argomentazioni
che alla fine risultarono vincenti e diedero un’enorme popolarità a lui e al suo progetto.
Tanto più che la radio americana non operava in regime di monopolio, il che ribadisce
ancora meglio la bravura di Roosevelt, il quale ebbe quindi il merito di ridurre
notevolmente la forza della propaganda delle stazioni radio a lui ostili.
E’ oltretutto a partire proprio da quegli anni che negli Stati Uniti si radica il
convincimento di dover tenere in maggiore considerazione l’opinione pubblica, da cui
consegue la necessità di porre in essere uno studio scientifico su di essa, ragione per cui
iniziano a diffondersi i sondaggi d’opinione
13
. Nel 1935, infatti, George Gallup fonda
l’“American Institute of Public Opinion” e vari studiosi due anni dopo fondano la
“Public Opinion Quarterly”. Da allora il sondaggio di opinione sarà una pratica molto
diffusa negli Stati Uniti e sarà riconosciuto da molti come lo strumento di maggiore
democratizzazione della politica, di espressione della vox populi. Lo stesso Gallup
dichiarò che questo tipo di impiego del sondaggio poteva contribuire a che il sistema
politico diventasse meno elitario
14
. In realtà poi queste convinzioni sulla valenza
11
G. Bisiach, Le grandi Battaglie: la battaglia di Leningrado, film documentario degli archivi RAI.
12
P. Ortoleva, Mass media. Nascita ed industrializzazione, Firenze, Giunti, 1995, p. 157.
13
Cfr. anche paragrafo sui sondaggi d’opinione, p. 26.
14
F. Amoretti, La comunicazione politica, Roma, N.I.S., 1997, p. 119.
12
“democratica” del sondaggio d’opinione saranno ampiamente dibattute e contraddette
da più parti
15
.
E’ interessante anche, per quanto riguarda gli Stati Uniti, fare qualche
osservazione attinente alla seconda guerra mondiale, visto che anche sull’altra sponda
dell’Atlantico in questa circostanza la propaganda ebbe notevole eco. Il giorno dopo
l’attacco di Pearl Harbour da parte dei giapponesi nel 1941, il presidente Roosevelt fece
un discorso alla radio al popolo americano: gli Stati Uniti erano in guerra, gli Stati Uniti
erano stati attaccati “senza provocazione alcuna”. Su questo il presidente pareva battere
molto. Ma interessanti sono stati i resoconti filmati della guerra che venivano mostrati
alla nazione. Jhon Ford, agli inizi della sua carriera, fu incaricato più volte dal governo
di riprendere con la cinepresa le scene più cruente della guerra. Filmò intanto alcune
immagini successive all’attacco di Pearl Harbour, ma soprattutto quelle dello sbarco in
Normandia da parte delle truppe alleate nel 1944. Questi reportages furono tutti
censurati o furono tagliate le immagini in cui gli americani si erano resi responsabili di
comportamenti non ortodossi o di veri e propri soprusi, al pari dei loro nemici, come, ad
esempio, l’uccisione di prigionieri di guerra: per non peccare di autolesionismo,
insomma, il mito del soldato americano leale ed eroico non doveva essere intaccato, e il
popolo doveva andare fiero dell’operato dei suoi militari
16
.
15
Cfr. pp. 26-7-8.
16
A. Cecchi Paone, Appuntamenti con la storia: l’attacco di Pearl Harbour, film documentario degli
archivi Mediaset.