Lo studio scientifico della comunicazione non verbale risale al periodo im-
mediatamente successivo al secondo conflitto mondiale; la prima metà del secolo
è stata infatti caratterizzata da isolati studi sulla voce, l’abbigliamento e il volto.
Con gli anni ’50 si è invece avuto un significativo incremento del numero di ricer-
che sulla comunicazione non verbale, ma è a partire dagli anni ’60 che si è mani-
festata una vera e propria esplosione dell’attenzione da parte dei ricercatori
psicosociali.
Negli ultimi decenni, dunque, in seguito a svariati studi, è maturata la con-
vinzione che la comunicazione umana risulti dalla interdipendenza di diversi si-
stemi comunicativi: i processi di interazione, infatti, si fondano sul funzionamento
integrato e simultaneo di elementi verbali, ma anche intonazionali, paralinguistici
e cinesici prodotti dai soggetti che comunicano.
L’interesse per la ricerca di seguito presentata è sorto a partire dalle conside-
razioni sopra descritte e dalla convinzione che nei contesti professionali il com-
portamento non verbale ricopra una importanza rilevante nella gestione e nella
formazione delle impressioni, in particolare modo nelle situazioni di selezione del
personale.
L’obiettivo del lavoro è infatti quello di individuare come il comportamento
non verbale dei candidati alla selezione si modifica in relazione a certe caratteri-
stiche degli stessi (esperienza lavorativa), dell’intervistatore (amichevole-ostile) e
dell’evolversi della relazione (trascorrere del tempo).
La convinzione di aver trascurato troppo a lungo gli aspetti non verbali del
comportamento, forse in ragione del fatto che essi sono così connaturati nelle inte-
razioni della vita quotidiana che risulta difficile esserne pienamente consapevoli,
ha favorito la decisione di servirsi di una metodologia di osservazione diretta del
comportamento in situazione naturale. Tale scelta metodologica rappresenta un
aspetto piuttosto innovativo con riferimento alle indagini già svolte
sull’argomento poiché per ragioni di riservatezza, accedere ad una osservazione
diretta sul campo in un contesto lavorativo, è risultato estremamente difficile.
Nei capitoli che seguiranno sarà presentato il lavoro svolto trattando in pri-
mo luogo la comunicazione non verbale nelle sue origini e funzioni sottolinean-
done la complessità interna. La letteratura portata a sostegno di tale argomento
servirà a presentare lo sfondo teorico dal quale sono sorte le ipotesi e i metodi che
hanno dato origine alla ricerca effettuata.
A seguito di questa breve trattazione, sarà presentata la tesi secondo la quale
in situazioni di relazioni di potere asimmetriche, quali quelle che troviamo in con-
testi di selezione, vi siano ben determinati comportamenti comunicativi non ver-
bali atti a caratterizzare l’interazione. Nello specifico, le diverse indagini svolte
circa la comunicazione non verbale nel processo di selezione del personale, mira-
no ad evidenziare un chiaro e definito interesse della psicologia del lavoro su tale
aspetto comunicativo. Negli ultimi trenta anni si sono ottenuti risultati che oltre a
rendere noto il fenomeno, hanno offerto interessanti spunti di riflessione.
Nella seconda parte sarà affrontata più specificatamente la ricerca in tutte le
sue parti, dalla costruzione dello strumento alla descrizione della fase sperimenta-
le fino a giungere alla presentazione dei risultati ed alla discussione critica di
quanto ‘trovato’.
1- LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
1.1- TENTATIVI DI DEFINIZIONE
Le definizioni della comunicazione non verbale sono abbondanti e diverse
tra loro per ampiezza e rigore. Sebbene attualmente non esista alcuna definizione
univoca, appare evidente che non si possa fare riferimento alla sola comunicazio-
ne gestuale, mimica e cinetica, ma che bisogna prendere in considerazione tutta
una serie di comportamenti in modo integrato, che vanno dalla prossemica
all’abbigliamento, agli stimoli olfattivi ecc.
Qui di seguito è riportata a titolo esemplificativo una breve trattazione circa
alcuni tentativi di dare una definizione del comportamento non verbale.
Knapp (1972 cit. in Poli, 1980) ha affermato che una possibile definizione
del comportamento non verbale è che esso “comprende tutte le risposte umane che
non possono essere descritte come parole espresse manifestamente (oralmente o
per iscritto)”.
D’altra parte, Key (1972 cit. in Poli, 1980), un linguista, ha notato che “tutta
la comunicazione umana consiste in movimenti del corpo. I movimenti
dell’apparato vocale possono provocare il linguaggio, cioè l’azione verbale, o il
paralinguaggio, cioè un’azione non verbale”.
Rispetto a queste definizioni piuttosto vaghe e generiche, altri autori si sono
proposti di tentare una definizione più precisa proponendo dettagliate classifica-
zioni di comportamenti.
Per esempio, Duncan (1969) suddivide i comportamenti non verbali in:
(a) movimenti del corpo o comportamento cinetico: gesti e altri movimenti
del corpo inclusi espressione facciale, movimento degli occhi e postura;
(b) paralinguaggio: qualità della voce, pause e suoni come risa, sbadigli e
brontolii;
(c) prossemica: ‘uso dello spazio dell’uomo’ (Hall, 1969, p. 11);
(d) olfatto;
(e) sensibilità della pelle al tatto e alla temperatura;
(f) uso di artefatti come abiti e cosmetici.
Riccibitti (1987), distingue invece tra:
(a) elementi non verbali del parlato suddivisi in intonazione della parola o
della frase; e paralinguistica, cioè qualità della voce, vocalizzazioni e fe-
nomeni temporali;
(b) elementi cinesici, distinti in microcinesica, come mimica facciale e
sguardo; e macrocinesica, ovvero movimenti del corpo nello spazio co-
me postura, orientazione e distanza, e movimenti di parti del corpo quali
gesti o cenni del capo.
Zamuner (1998), nel trattare quelli che sono i comportamenti non verbali
più frequentemente discussi, fornisce anch’egli un tentativo di definizione-
classificazione di essi. Si distinguono:
(a) la cinesica o linguaggio del corpo;
(b) il paralinguaggio, costituito dalle vocalizzazioni prive di contenuto;
(c) il grado di contatto fisico tra due individui;
(d) la prossemica o comportamento nello spazio interpersonale;
(e) le caratteristiche fisiche degli individui e
(f) gli ornamenti come profumi, gioielli, abbigliamento o trucco.
Di fronte a tale complessità, è evidente che tentare di dare una definizione
onnicomprensiva del fenomeno appare impresa assai ardua; quello che si può fare,
invece, è considerare come comunicazione non verbale tutto ciò che non si comu-
nica o non si può comunicare attraverso la parola. Se ci affidiamo ad un’ottica di
tale tipo, ci si rende immediatamente conto di quanto sia stato riduttivo negli anni
passati considerare degno di interesse teorico il solo aspetto ‘parlato’ della comu-
nicazione. Esso risulta sicuramente il più immediato ed efficace, ma non esaurien-
te.
In realtà noi comunichiamo la nostra ‘essenza ’ con tutto il nostro essere:
come direbbe Abercrombie (1968 cit. in Nannetti, 1996) “noi parliamo con i no-
stri organi vocali, ma conversiamo con tutto il nostro corpo”. E’ importante ren-
dersi conto che in ogni momento della vita di relazione, noi ‘parliamo’ anche con
il calore del corpo, col colore della nostra pelle, con le espressioni del viso, con gli
odori, i vestiti, gli oggetti che ci appartengono ecc. Questo discorso è valido per
gli esseri umani come per tutti gli esseri viventi, ma l’uomo possiede un’abilità
che lo rende estremamente evoluto rispetto agli altri, che è la parola. Ma cosa ac-
cadrebbe se, invece, noi fossimo consapevoli di tutti i molteplici mezzi di espres-
sione che possediamo? Forse, questo ci renderebbe veramente evoluti e dal punto
di vista comunicativo abili in modo più completo.
1.2- LE ORIGINI
Se proviamo a chiederci da dove origina la comunicazione non verbale
nell’uomo, può essere utile studiare la filogenesi di alcuni comportamenti degli
animali. Nel caso di questi ultimi, gran parte dei meccanismi di comunicazione
sono innati e derivati da fattori biologici in conseguenza del processo di evoluzio-
ne della specie.
Questa spiegazione, logicamente non è soddisfacente per comprendere i
comportamenti umani. Certamente molti comportamenti non verbali sono anche
nell’uomo derivati dall’evoluzione della specie e comuni a tutti gli esseri umani,
ma gran parte di essi sono sicuramente appresi o comunque ampiamente
modificati dall’apprendimento.
Ciò che è difficile definire riguarda ‘cosa’ e ‘quanto’ sia derivato
dall’apprendimento; ulteriore elemento di confusione nasce dall’assenza di ricer-
che specifiche su tale argomento. In base ai pochi dati disponibili sembra che un
insegnamento esplicito e cosciente della comunicazione non verbale sia relativa-
mente raro, mentre un ruolo importante sarebbe svolto da fenomeni imitativi. Ar-
gyle (1978) sostiene che i segni che indicano età, classe sociale, ecc. possano es-
sere appresi dall’osservazione; ma vi sono usi complessi della comunicazione non
verbale, come ad esempio l’elaborazione dei segnali non verbali che regolano il
flusso del discorso tra due o più persone che risultano difficili da spiegare.
In relazione alla distinzione tra innato e appreso, può risultare utile affidarsi
alle ricerche transculturali che hanno mostrato dati piuttosto interessanti. Innanzi
tutto si è osservato come vi siano rilevanti differenze interculturali dovute proba-
bilmente ai meccanismi imitativi di apprendimento; ma d’altro canto, vi sono al-
cuni aspetti della comunicazione non verbale (come ad esempio quelli legati
all’espressione facciale delle emozioni), che con minime variazioni sono comuni a
tutte le culture umane e dunque presumibilmente innati.
A questo punto appare spontaneo chiederci ‘perchè’ si usa la comunicazione
non verbale. Nel caso degli animali la risposta è semplice: si sono evoluti quei
modelli di comunicazione non verbale che hanno carattere di necessità per la so-
pravvivenza.
Nel caso degli uomini non è evidente perché si abbia bisogno di usare la
comunicazione non verbale, poiché noi abbiamo la facoltà della parola che a pri-
ma vista sembra un mezzo di comunicazione assai più elaborato, sottile e flessibi-
le rispetto a grugniti, cenni del capo o altro. Argyle (1978) ipotizza che forse c’è
qualcosa della comunicazione non verbale che il linguaggio non può riuscire a fa-
re altrettanto bene; per esempio attraverso il non verbale una comunicazione po-
trebbe esser più diretta e più carica di efficacia. “Vi sono forse delle cose che il
linguaggio non è ben idoneo ad esprimere. O forse vi sono cose che è meglio non
rendere troppo esplicite o a cui è meglio non prestare eccessiva attenzione” (Ar-
gyle, 1978, p.7).