7
gravitazionale del mondo “comunicazione e marketing politico”. Un mondo che,
del resto, ha come fine ultimo un risultato, quello elettorale, che sta solo al
cittadino produrre.
Il presente lavoro avrà dunque lo scopo di presentare al lettore un quadro
efficace di quanto avviene, a livello di comunicazione e marketing, durante una
competizione elettorale; di ciò che sistema politico e sistema dei media fanno, o
non fanno, per coinvolgere il cittadino nella competizione elettorale e per,
possibilmente, convincerlo ad orientare il suo voto in una determinata direzione.
Il primo capitolo è dedicato alla definizione del fenomeno “comunicazione
politica”: definisce i suoi confini epistemologici, tenendo ben presente il suo
carattere interdisciplinare; identifica i flussi comunicativi fra i tre attori e le
caratteristiche di questi; propone, in sintesi, una traccia della ricerca
internazionale; illustra i processi evolutivi del fenomeno, con particolare
attenzione alla personalizzazione e leaderizzazione della competizione elettorale;
cerca di fare il punto dell’annoso problema di quale influenza e quali effetti
abbiano le fonti di comunicazione (media, reti sociali, politici) sui cittadini-
elettori; discute, sulla base delle più recenti evidenze empiriche, della prospettiva
comunicazionale sulla formazione della decisione di voto. Il capitolo si conclude
con un paragrafo dedicato alla legge che disciplina l’accesso ai mezzi di
informazione durante le campagne elettorali e referendarie.
Nel secondo capitolo vengono illustrate le caratteristiche e approfondite alcune
tematiche inerenti il marketing politico-elettorale, inteso come strumento, che in
epoca di campagne “lunghe” non si esaurisce certo nella fase della competizione
elettorale, atto a riavvicinare il cittadino alla politica, ovvero a permettere alla
politica stessa di rispondere meglio alle domande provenienti dall’elettore. Il
capitolo cerca quindi di sottolineare come il marketing politico, attraverso gli
strumenti che lo caratterizzano (ricerca, segmentazione dell’elettorato,
posizionamento dell’offerta, comunicazione, propaganda ecc…), possa diventare
l’approccio sistemico attraverso il quale partiti, politici e candidati, possono dare
una risposta mirata, puntuale, alla domanda di politica, sia nel periodo
extraelettorale che in quello elettorale.
8
La seconda parte della tesi si concentra sull’analisi di quanto, a livello di
comunicazione e marketing politico, è accaduto nelle elezioni politiche italiane
del 13 maggio 2001.
Nel terzo capitolo viene quindi approfondita l’analisi delle caratteristiche
dell’elettorato italiano nel periodo delle ultime elezioni politiche. Sulla base
dell’imponente base di dati fornita dalla ricerca Itanes, vengono affrontate varie
tematiche inerenti le modalità di formazione della decisione elettorale del
cittadino italiano, con particolare riguardo ai vari elementi (in particolare
comunicazione interpersonale e mediatica) che intervengono nei processi
cognitivi che conducono, finalmente, ad una scelta di voto. Il capitolo sottolineerà
come le motivazioni di voto del singolo elettore siano sì meno vincolate rispetto al
passato a schemi cognitivi un tempo consolidati, ed abbiano assunto la forma di
una maggiore individualizzazione della scelta di voto, ma anche come tale scelta
rimanga tutt’ora vincolata a strutture come la famiglia, la religione, la classe
sociale, il territorio, la fedeltà partitica o, almeno, coalizionale. L’orientamento in
Italia è cambiato, perché qui la società è rapidamente cambiata, a partire dal
sistema politico, molto più che altrove. Di conseguenza sono cambiate anche le
motivazioni dell’elettore, che sono diventate più individuali, hanno assunto un
peso più importante sulla decisione che viene definita nell’urna, anche se non
prevalgono del tutto su quelle ambientali.
Il quarto ed ultimo capitolo ha ad oggetto lo studio di quanto è avvenuto, a
livello di comunicazione e marketing, nelle elezioni del 13 maggio 2001.
Vengono quindi analizzati i principali eventi della campagna (cartellonistica, caso
“Satyricon”, copertura televisiva ecc…) e le caratteristiche salienti delle differenti
strategie comunicative adottate dagli schieramenti di centro-destra e centro-
sinistra. Lo scopo è quello di far emergere i perché, a livello di comunicazione,
della vittoria della Casa delle libertà e della sconfitta dell’Ulivo, tenendo sempre
presente come il requisito essenziale per una campagna elettorale vincente sia
predisporre una strategia comunicativa che risponda al meglio alle aspettative
dell’elettore.
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Capitolo primo
LA COMUNICAZIONE POLITICA
1. UNA DISCIPLINA DAGLI INCERTI CONFINI
Da molti anni la comunicazione politica si è posta prepotentemente al centro
degli scenari politici e istituzionali di tutti i paesi democratici, diventando “risorsa
di potere, oggetto di competizione politica, strumento di lotta e luogo di scontro
tra le forze politiche, economiche e culturali” (Mazzoleni, 1998, p.7).
Facendo attenzione a non cadere nell’errore di una concezione olistica che
riduce la politica a comunicazione, è possibile tuttavia affermare, guardando la
storia antica e moderna, che la politica ha sempre avuto una forte dimensione
simbolica e comunicativa, più o meno evidente a seconda dello spirito del tempo.
Oggi, nell’era della comunicazione di massa, della rivoluzione digitale e delle
tecnologie della comunicazione, il rapporto tra politica e comunicazione ha
raggiunto un livello di interdipendenza impensabile fino ad un secolo fa. “Se
rimane sempre ampia la zona oscura degli arcana imperai anche nella politica
delle democrazie pluraliste e di massa, si è fortemente ridotto lo spazio non
comunicativo della dinamica e della dialettica politica” (Mazzoleni, 1998, p.14).
Presidenti, governi, istituzioni politiche, leader di partito, candidati alle
elezioni, cioè tutti i soggetti della politica, fanno comunicazione: perché glielo
richiede la loro funzione di rappresentanti e gestori della cosa pubblica, perché per
ottenere e mantenere il consenso popolare devono dibattere pubblicamente con gli
avversari, perché è loro impossibile sottrarsi al fascio di luce dell’informazione
globale, perché non c’è politica senza simboli e rituali.
Molte ragioni spiegano dunque la necessità della comunicazione nella
politica, e dunque della comunicazione politica; sono ragioni certo intuitive, ma
10
dietro di esse si estendono vasti orizzonti fenomenici, di notevole complessità, che
richiedono strumenti conoscitivi appropriati.
Inoltre, molti eventi delle cronache politiche, non solo italiane, come le
campagne elettorali, l’esplosione del fenomeno dei sondaggi politici, le lotte senza
quartiere per il controllo dei canali televisivi, il braccio di ferro sulla
regolamentazione del sistema radiotelevisivo, le polemiche sull’informazione
schierata e conformista, gli allarmi per i pericoli della “videocrazia” e per i rischi
insiti nella “tecnopolitica”, mettono continuamente in cima alle priorità
dell’agenda pubblica i problemi del rapporto tra politica e comunicazione.
Ancora, la conquista del potere da parte dei mass media, e in primo luogo
della televisione, del palcoscenico della politica, avvenuta rapidamente, in
concomitanza con i radicali cambiamenti nella società e nella cultura di massa
nella seconda metà del XX secolo, ha profondamente cambiato i connotati e,
secondo alcuni, gli stessi geni della politica, fino a rendere difficile immaginare
una politica che non sia anche “mediatica”. La comunicazione di massa ha
amplificato il ruolo della leadership nell’arena politica moderna, ha selezionato
molta parte delle élite politiche con criteri nuovi, imposti dai registri
comunicazionali dello spettacolo, trasformando la natura dello “spazio pubblico”
da luogo del dialogo a luogo del consumo.
Si tratta di processi di grande valenza sociale e politica, che incidono
profondamente sull’universo dei rapporti all’interno delle élite politiche e tra
queste e il potere dell’informazione, sul funzionamento dei meccanismi
democratici della delega e della rappresentanza, sulla qualità dell’esercizio del
potere. Incidono, insomma, sul senso stesso della comunicazione politica nell’era
dei mass media.
Per queste ragioni non meraviglia il vivo interesse per il fenomeno della
comunicazione politica da parte di schiere di studiosi in tutte le parti del mondo
(interesse che, un tempo, era solo anglosassone), di molti operatori
dell’informazione, degli stessi politici e, negli ultimi anni, anche di ampi settori
della pubblica opinione sull’onda di vicende politiche che hanno contribuito a
tematizzare fortemente il campo dei rapporti tra comunicazione e potere.
11
Oggi, nell’era dei mass media e della videopolitica globale, chiunque è in
grado di percepire immediatamente il senso del concetto di “comunicazione
politica” e sa distinguere bene il fenomeno tra altre centinaia di fenomeni che
compongono la realtà sociale. L’espressione stessa, combinazione di due vocaboli
familiari ai più, aiuta a stabilire un nesso di reciprocità tra i due mondi della
comunicazione (la televisione, la stampa, l’informazione) e della politica (partiti,
leader, candidati, Parlamento).
Dietro l’apparenza di semplicità per l’uomo della strada, si cela tuttavia una
realtà fenomenica che allo studioso si presenta di difficile definizione, poiché la
comunicazione politica sconfina in più territori, che spaziano dalla politologia alla
sociologia, all’antropologia, dalle scienze della comunicazione e dell’opinione
pubblica alla psicologia, alla retorica, alla pubblicità. Si tratta di un oggetto
“poliedrico”, che racchiude in sé o raccoglie sotto il suo cappello altri fenomeni o
determinati aspetti di questi. Così, per esempio, il giornalismo politico, la
pubblicità elettorale, i dibattiti tra candidati, i simboli e i riti della politica,
rientrano a pieno titolo nel dominio della comunicazione politica, pur possedendo
ognuno la propria specificità concettuale.
Queste brevi considerazioni sottolineano una delle peculiarità della
comunicazione politica, ossia il suo carattere interdisciplinare, e non solo
nell’accezione di disciplina scientifica. Dalla lista appena accennata risulta con
chiarezza che si è di fronte ad un campo complesso, che comprende la sfera
dell’agire politico, le istituzioni dei mass media, le pratiche professionali,
l’attenzione del mondo scientifico.
12
2. UNO SGUARDO ALLA STORIA: NON C’E’ POLITICA SENZA
COMUNICAZIONE
“La storia della comunicazione politica inizia nello stesso momento in cui la
filosofia greca comincia a riflettere sul potere, sull’autorità, sulla democrazia”
(Mazzoleni, 1998, p.21). Per la prima volta nella Grecia del IV secolo a.C. viene
posto e discusso il problema dei rapporti politici tra membri di una comunità, e
dunque per la prima volta si tocca il problema della comunicazione tra gli stessi
membri, tra i vari strati sociali che compongono la polis. Né Platone, né Aristotele
usano mai il termine di comunicazione, ma era ben presente nella loro
osservazione e nell’analisi della realtà politica del loro tempo un tema che,
venticinque secoli dopo, rimane un problema aperto: l’effetto del discorso
persuasorio sul pubblico dei cittadini. Il potere della retorica già era argomento di
dibattito tra i filosofi greci.
La retorica era l’arte della persuasione tout court (e come tale fu insegnata
con successo nelle scuole dall’antichità greco-romana fino all’epoca moderna);
ma le sue tecniche furono applicate naturalmente alla politica, l’attività più
significativa della vita della polis. Pur non negando il valore della violenza (che
condannano), i pensatori greci attribuiscono alla dialettica, alla retorica, alla
sofistica un ruolo fondamentale nel determinare la qualità e la direzione dei
rapporti di forza e della lotta per il potere nella società. E’ attraverso queste arti
della comunicazione che i cittadini si scontrano, discutono, impongono questa o
quella posizione, collaborano, decidono, fanno cioè politica.
Si può dunque affermare che la comunicazione politica, quale forma civile di
interazione politica, precede la stessa riflessione sul suo uso e sui suoi abusi, laddove
nasca un embrione di organizzazione sociale di carattere urbano e di natura democratica
(Ibidem).
Com’è avvenuto nelle agorà delle città-stato dell’antica Grecia.
Il mondo romano fornisce altri esempi di “proto” comunicazione politica
durante il periodo della repubblica, quando il governo era retto da magistrati eletti
dai cittadini. E’un periodo anche di guerre civili ma
13
la lotta per il potere non si traduce solamente in scontri armati tra le varie fazioni,
ma anche e soprattutto in una straordinaria intensificazione di attività politiche. In quegli
anni le tecniche di seduzione e di manipolazione dell’elettorato si sviluppano
considerevolmente fino a divenire strumenti indispensabili della conquista del potere
(Chesnais, 1995, pp.120-121).
La testimonianza dei documenti conservatisi fino ad oggi fa pensare che
proprio le numerose elezioni, a Roma, come nelle province periferiche, abbiano
spinto all’elaborazione di sofisticate tecniche di comunicazione delle campagne
elettorali, miscelando le regole della retorica e della dialettica di origine greca alle
arti della persuasione di tipo clientelare, più consone alla tradizione romana.
L’esempio romano è diventato paradigmatico anche per le campagne elettorali
di molti secoli dopo. Alcuni termini entrati nell’uso nell’epoca moderna risalgono
a quell’esperienza, come “candidato”, nome dato al pretendente alle cariche
pubbliche che durante la campagna elettorale si rivestiva di una toga bianca come
segno di riconoscimento; e “comizio”, riunione del popolo attorno ad un oratore
che espone le sue posizioni e cerca di convincere l’uditorio. Il Piccolo manuale
della campagna elettorale, scritto in forma di lettera dal fratello a Cicerone che si
presentava candidato, è una piccola summa di consigli e suggerimenti di come
convincere gli elettori, che anticipa le tecniche di marketing politico messe a
punto dagli esperti di comunicazione del XX secolo.
Conclusasi l’epoca della repubblica romana, dalla nascita dell’impero fino
alla fine delle monarchie assolutiste, la democrazia elettorale ha conosciuto una
parentesi lunga diciotto secoli, interrotta per brevi periodi dalle esperienze delle
città-libere del Nord Europa e dei comuni in Italia. Da una prospettiva
storiografica della comunicazione pubblica, accanto al dispotismo e al
soffocamento delle voci libere ad opera sia dei sovrani che delle chiese, l’unico
tipo di attività di comunicazione politica individuabile è il sistematico controllo e
l’altrettanto sistematica manipolazione della cultura e dell’informazione,
consigliata anche da Machiavelli al suo Principe. Solo dopo la Rivoluzione
americana, con il varo della Costituzione, e con la Rivoluzione francese, dunque
con la rinascita degli ideali libertari e democratici, è possibile ritrovare l’esercizio
di forme di comunicazione politica, durante e fuori delle occasioni elettorali.
14
Il XX secolo è il teatro di ulteriori sommovimenti e di grandi passioni
politiche, il secolo della rivoluzione industriale, dell’urbanesimo, della
scolarizzazione di massa. La democrazia fatica a consolidarsi dopo secoli di
assolutismi. Le campagne elettorali, con i loro tipici rituali comunicativi,
tramandatici da un’ampia letteratura aneddotica (si pensi ai dibattiti Lincoln-
Douglas), gli scontri fra partiti nei Parlamenti d’Europa, il sorgere di grandi leader
politici, la creazione di prestigiose testate giornalistiche, sono tutti fatti che
marcano la nascita della moderna comunicazione politica. Wolton descrive questo
stato di cose:
La comunicazione politica è il prodotto evolutivo del duplice processo di
democratizzazione e di comunicazione che ha trascritto l’ideale politico democratico del
XVIII secolo nello spazio pubblico allargato, dove le differenti componenti hanno uno
statuto legittimo. Il grande problema da quel momento in poi è stato non solamente di
imporre il modello democratico, ma anche di adattarlo ad una società radicalmente
diversa da quella nella quale era stato pensato. Quel modello, benché legato al voto e al
diritto di manifestazione del pensiero, era stato concepito nel contesto di una società
illiberale e poco numerosa, molto differente dalla società di massa che prenderà forma nel
XX secolo, dominata dal peso dei grandi numeri, dai media e progressivamente
dall’opinione pubblica divenuta forza autonoma (Wolton, 1989, p.29).
Occorre dunque attendere il XX secolo per poter parlare di comunicazione
politica in senso pieno. Soltanto con la nascita dei grandi mezzi di comunicazione
di massa, il cinema, la radio e più tardi la televisione, si creano le condizioni per
lo sviluppo e la maturazione di tutte le forme e di tutti gli strumenti di
comunicazione applicabili alla sfera politica. Tra le due guerre mondiali e negli
anni della guerra fredda, lo sviluppo della comunicazione politica ha conosciuto
una significativa battuta d’arresto. La propaganda e la manipolazione hanno avuto
il sopravvento sulla dialettica democratica e sulla libera informazione, soprattutto
nei paesi sotto i regimi fascisti e comunisti. Non così invece nei paesi che hanno
preservato o riconquistato la democrazia dopo la Seconda guerra mondiale. Il più
grande laboratorio della comunicazione politica “moderna” sono però stati gli
Stati Uniti: la stabilità delle istituzioni democratiche e l’ampia libertà goduta dal
sistema dell’informazione e della comunicazione hanno senza dubbio giovato allo
sviluppo interno e poi all’esportazione di modelli complessi ed avanzati di
comunicazione politica.
15
Mentre nel vecchio continente imperversava il fascismo e si consolidava lo
stalinismo, negli Stati Uniti si celebrava il connubio tra pubblicità, marketing,
informazione, sondaggi d’opinione, nel grande gioco della politica e delle campagne
elettorali (Mazzoleni, 1998, p.19).
La comunicazione politica, come area di ricerca e come disciplina di
insegnamento, è nata infatti negli Stati Uniti, sull’onda dei fermenti intellettuali
degli anni ’50. Da quegli anni in poi è stata una continua espansione, nelle
istituzioni accademiche statunitensi ed europee, anche se la primogenitura e lo
sviluppo maggiore sono attribuibili alla ricerca aldilà dell’Atlantico. La diffusione
del nuovo mezzo della televisione, negli anni ’50 e ’60, ha impresso una
fortissima accelerazione allo sviluppo della comunicazione politica, la cui
influenza sui modelli di relazione tra sistemi dei media e sistemi della politica nei
paesi democratici occidentali è più che evidente.
Il resto è storia di oggi: dai grandi dibattiti Kennedy-Nixon a quelli più
nostrani Prodi-Berlusconi; dai grandi reportages dal Vietnam di Cronkite alle
“grandi cerimonie dei media” delle telecronache dello sfondamento del muro di
Berlino. La comunicazione politica svolge certamente un ruolo cruciale nell’agorà
contemporanea. “Oggi difficilmente la politica può prescindere dai mass media, e
soprattutto dalla televisione”
1
(Ibidem).
1
Credo sia impossibile che la politica, oggi, rinunci alla comunicazione mediatica, strumento
imprescindibile nel contesto politico contemporaneo. Risulta assai arduo immaginare
l’approvazione di una legge, una discussione parlamentare o la presentazione di un candidato
senza la pubblicità che i media garantiscono ad ogni espressione dell’attività politica in senso lato.
16
3. COMUNICAZIONE POLITICA: ATTORI E POSSIBILI DEFINIZIONI
Gli attori della comunicazione politica sono tre: il sistema politico, il sistema
dei media, il cittadino-elettore.
Per sistema politico, o sistema della politica, si intende generalmente
l’insieme delle istituzioni politiche che costituiscono l’ossatura della vita politica
di un paese: ne sono parte i tre poteri individuati da Montesquieu, ossia il
Parlamento (Camera e Senato), il governo (centrale: ministeri, amministrazioni
varie, e periferico: regioni, province, comuni), la magistratura, ma anche il capo
dello stato. E’ a pieno diritto sistema politico anche l’area non istituzionale,
identificabile nei soggetti politici, quali partiti, movimenti, gruppi di pressione. La
natura della comunicazione proveniente dal sistema politico è duplice: da un lato,
quando i comunicatori sono soggetti politici impegnati nella competizione per il
potere, è espressione di un interesse di parte, quindi propagandistica, volta a
mantenere il consenso conquistato con le elezioni; dall’altro, quando gli stessi
soggetti politici rivestono funzioni istituzionali, è espressione della funzione di
“pubblicità” dell’azione di governo, è quindi comunicazione informativa ed
educativa per la cittadinanza (che sarebbe più appropriato definire
“comunicazione pubblica” e non “politica”). Nella pratica, questa distinzione si fa
più sfumata, per cui in certi sistemi politici e in relazione a certi soggetti politici
ed istituzionali, è difficile tracciare un chiaro confine tra le due funzioni
comunicative, perché è innegabile che campagne di informazione pubblica
organizzate dai governi su temi di interesse generale abbiano nel contempo delle
finalità promozionali per il leader o il partito al potere.
Le strategie comunicative di un governo sono essenzialmente due: il media
management e l’information management
2
. La prima strategia consiste nello
“stabilire rapporti collaborativi con il sistema dei media del paese, con l’obiettivo
di massimizzare la visibilità dell’intera compagine governativa” (Mazzoleni,
2
La distinzione tra media e information suggerisce immediatamente che si tratti di una differenza
apparentemente sottile ma in realtà sostanziale: se i media producono informazione, intervenire su
questi significa provare ad influire sul processo di produzione dell’informazione partecipandovi,
ma non determinandolo. Se un governo punta sull’information management intende invece
intervenire “alla radice”, determinando i flussi dell’informazione prima che questi passino per
l’altro canale di selezione della stessa, ovvero i media.
17
1998, p.28) tramite partecipazione a programmi televisivi di dibattito, conferenze
stampa, interviste concesse ai giornali ecc…La seconda strategia si avvale invece
dei “metodi di palese o occulta manipolazione dell’informazione da parte dei
politici al potere” (McNair, 1995), tramite la sua selettiva diffusione, restrizione
e/o distorsione. Si tratta dell’attività di comunicazione che maggiormente sfugge
all’opinione pubblica. Anche in questo caso gli esempi sono i più vari: si va dal
tentativo discreto di un primo ministro di influenzare le nomine, non di sua
competenza, nelle reti televisive pubbliche, alle pressioni su direttori o giornalisti
perché trattino o non trattino certe notizie, fino alla censura vera e propria, anche
se oggi è rara e può avere effetti boomerang. “Sono tattiche usate da tutti i governi
a tutte le latitudini istituzionali” (Mazzoleni, 1998, p.32).
La collocazione dei partiti sullo scacchiere della politica nazionale e la loro
tradizionale funzione è in crisi un po’ dappertutto, il che sta provocando effetti
importanti anche sul versante della comunicazione. In sintesi, la comunicazione
prodotta dai partiti e diretta sia all’interno del sistema partitico, sia all’esterno
verso il sistema dei media e verso l’opinione pubblica, è oggi modellata
sull’esigenza dei media. Questo significa l’adattamento dei registri comunicativi
dei partiti alla sintassi dei mezzi di comunicazione di massa. Uno sviluppo recente
nella mediatizzazione della comunicazione del partito e della natura dello stesso è
la nascita del cosiddetto “partito mediale”. I partiti tradizionali hanno
generalmente una struttura organizzativa diffusamente radicata sul territorio,
propri canali interni di comunicazione e una storia e una cultura di tipo ideologico
che richiama correnti di pensiero anche molto antiche. Il partito mediale non ha
nessuna di queste caratteristiche: essendo fondato su una forte azione pubblicitaria
di tipo massmediatico, anche la sua comunicazione interna si appoggia sui canali
dei media. Essendo costituzionalmente un partito “leggero”, non ha un
radicamento né storico né organizzativo sul territorio, se non in minima misura e
di tipo “avventizio”. In compenso (Forza Italia docet ),
il partito mediale ha una forte leadership al vertice, altamente personalizzata, che trae
legittimazione dal carisma personale, dalla visibilità assicuratagli dai media, ma anche
dalla mancanza di una dialettica interna che possa sfidarla (Maraffi, 1995, p.250).
18
Anche sotto l’ampia etichetta di sistema dei media si cela una molteplicità di
emittenti e di produttori di messaggi. All’interno dei confini di un paese, il
sistema dei media è l’insieme delle “istituzioni mediali che svolgono attività di
produzione e di distribuzione del sapere (informazioni, idee, cultura)” (McQuail,
1994, p.19). Essi sono i grandi mass media e i nuovi media: la televisione
(pubblica e commerciale, nazionale e locale, via etere e via cavo), la radio, la
stampa (quotidiana e periodica), il libro, il cinema, i “nuovi media” (Internet in
testa). Tutti questi media si rapportano con il sistema della politica secondo
modalità che cambiano da cultura a cultura e che sono in funzione delle finalità
delle imprese editoriali che li possiedono o li gestiscono. Chiaramente, il peso
specifico di ciascun mezzo nel circuito della comunicazione è molto diversificato
ed è legato all’atteggiamento che assume nei confronti soprattutto dell’attore
sistema politico. Tale atteggiamento spazia dalla collaborazione al conflitto,
passando per la dialettica e l’indifferenza. In ogni caso, nel modello “mediatico”
delle società postindustriali, “i media sono lo spazio dove viene rappresentata e
officiata la politica e dove avviene lo scambio fra i tre attori” (Mazzoleni, 1998,
p.50). Questa centralità dei media nell’arena politica è una esclusività dell’età
contemporanea, fortemente segnata dalla comunicazione di massa. Diffondendosi
rapidamente e con grande successo, hanno conquistato il ruolo di agenzia di
socializzazione accanto e sempre più al posto delle altre agenzie tradizionali:
chiesa, scuola, partito. In particolare la televisione, come era entrata nelle case,
entra prepotentemente anche nella politica, grazie alla sua funzione di mezzo di
informazione, di osservatrice della lotta politica e di palcoscenico di questa. Oggi,
“analizzare la comunicazione politica prodotta dal sistema dei media significa,
essenzialmente, assumere come oggetto di studio il prodotto del mezzo televisivo”
(Bentivegna, 2001, p.23). L’indicatore più chiaro di tale rilevanza sta
nell’attenzione che i politici prestano all’attribuzione degli spazi televisivi in
campagna elettorale, da un lato, e nel gradimento che i telespettatori hanno
mostrato negli ultimi anni per i cosiddetti programmi della telepolitica, dall’altro.
Il cittadino-elettore, il terzo grande attore della comunicazione politica, è lo
stesso pubblico della comunicazione di massa. Secondo Sara Bentivegna,
19
i flussi comunicativi prodotti dalle istituzioni politiche e da quelle mediali assumono
senso solo in relazione alla presenza dei cittadini che, nel corso delle campagne elettorali,
si trasformano in elettori ai quali destinare tutte le informazioni utili per assumere una
decisione di voto (Bentivegna, 2001, p.24)
3
.
Individuati i tre attori protagonisti della comunicazione politica, è possibile
provare a dare una definizione della stessa. In sintesi, la comunicazione politica è
definibile come lo “scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-
politico prodotti dal sistema politico, dal sistema dei media e dal cittadino-
elettore” (Mazzoleni, 1998, p.34). La comunicazione politica è dunque il prodotto
dello scambio tra i tre attori dello spazio pubblico.
Tale semplice definizione ha il pregio di contenere e di dare il giusto peso ai
fattori del processo della comunicazione politica (emittenti/attori, contenuti dello
scambio, destinatari) all’interno di un ambito concettuale rapportato
all’interpretazione dello sviluppo della democrazia moderna. Tuttavia, questa
definizione, non fa giustizia completa della estrema complessità del fenomeno
della comunicazione politica
4
. Una complessità che, come è già stato sottolineato,
è da attribuire alla sua natura ibrida, di fenomeno che si colloca sullo spartiacque
tra due grandi sfere dell’attività umana, la comunicazione e la politica, ognuna in
possesso di una propria natura che ne marca i confini e ne mantiene intatti i
caratteri costitutivi. Non esiste nella letteratura scientifica una sistematizzazione
onnicomprensiva del fenomeno della comunicazione politica. L’irriducibilità a
confini seppur larghi ma sempre circoscriventi l’ampiezza del fenomeno, ha
“impedito la costruzione di un modello passe-partout, attento a non privilegiare le
caratteristiche comunicazionali a scapito di quello politologiche e viceversa”
(Ibidem). Se sono chiari gli elementi di cornice alla luce dei quali studiare la
comunicazione politica, frutto di un processo in costante evoluzione che vede
coinvolte dimensioni plurime a loro volta in continua trasformazione e che
attingono da un ventaglio di discipline assai vasto (politologia, sociologia, scienza
dell’opinione pubblica, statistica, scienze della comunicazione, psicologia,
3
Nel prossimo paragrafo verrà approfondito il ruolo del cittadino destinatario dei messaggi
prodotti dal sistema politico e dal sistema dei media.
4
Mi pare che tale definizione presenti pure il limite di non dare il giusto peso alla forma attuale e
moderna del fenomeno “comunicazione politica”, che è una forma tecnologica, mediale, interattiva
e forse meno “romantica” di quanto possa esprimere il tentativo, del resto assai arduo, di
Mazzoleni di fornirne una cornice esplicativa.
20
linguistica, semiotica), “la mutevolezza dell’oggetto di studio e la grande varietà
di approcci fanno sì che a tutt’oggi non esista una definizione precisa ed univoca
di comunicazione politica” (Bentivegna, 2001, p.21). I tentativi di
sistematizzazione sono necessariamente tentativi parziali, perché inevitabilmente
focalizzano su una faccia della medaglia, anche se non penalizzano
necessariamente l’altra.
3.1. LA TELEVISIONE, IL MEDIA PER ECCELLENZA
Lo spot, il dibattito e il talk show sono i principali strumenti con i quali il
sistema televisivo ha accolto la politica, imponendole di adattarsi ai suoi schemi
comunicazionali ma fornendo anche alla politica stessa l’opportunità di ritrovare il
contatto con gli elettori, creando una piazza elettronica nella quale tentare di
riattivare un dialogo coi cittadini.
La nascita “ufficiale” dei dibattiti politici viene collocata nel 1960 a Chicago,
con protagonisti i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti: Richard Nixon e
John Kennedy. Il dibattito di Chicago, primo di una serie di quattro, si tenne in
uno studio televisivo con un gruppo di giornalisti, un moderatore e due candidati.
La ragione della grande risonanza di questo evento non attiene alle questioni
affrontate dai due candidati ma alle immagini che raggiunsero i telespettatori
(circa 71 milioni per i quattro dibattiti). Nixon, reduce da una serie di malanni
fisici, appariva sullo schermo pallido e con profonde occhiaie. Il suo vestito, di
una cupa tonalità grigia, contribuiva a non mettere in risalto la sua figura su un
fondale della stessa tonalità di grigio
5
. Infine, il suo lanciare veloci occhiate
all’avversario, al moderatore e alla telecamera contribuì a far risaltare il suo
disagio per la situazione che stava vivendo. Kennedy, al contrario,
indossava un vestito scuro, controllava fisicamente lo spazio dello studio televisivo,
sapeva dove guardare quando non aveva la parola: in breve, metteva in pratica quanto
aveva appreso nella fase preparatoria del dibattito (Bentivegna, 2001, p.42).
5
Un’immagine assolutamente perdente e ben poco comunicativa: basti immaginare quali
polemiche scatenerebbe oggi l’apparizione in tv di un politico esteticamente poco curato.