11
Negli ultimi decenni gli eventi fondamentali della storia e le
vicende della politica internazionale hanno portato a cambiamenti sempre
più veloci negli equilibri mondiali: la fine del bipolarismo, il crollo e la
conseguente disintegrazione del blocco sovietico, l’11 settembre e le
nuove minacce terroristiche, sono tappe della nostra storia che hanno
avuto ripercussioni sull’intero sistema globale. Per dirla con Negri, «Il
bipolarismo […] rendeva agevole la comprensione del quadro geo-
politico internazionale, mentre con la frammentazione che
contraddistingue il mondo post-bipolare lo scenario si presenta
notevolmente complicato». In questo quadro «elementi significativi del
“nuovo disordine mondiale” sono il rischio della proliferazione delle
armi nucleari e chimiche, i flussi migratori incontrollati, un multiforme
terrorismo…»4 La società ha dovuto compiere scelte politiche ben
precise, e di conseguenza anche la funzione militare ha dovuto,
parafrasando Janowitz5, “adattarsi” e cercare quindi la sua nuova
dimensione. Infatti, continuando con Negri «In corrispondenza di tale
situazione i compiti delle Forze Armate diventano sempre più dinamici,
rivolti verso l’esterno…»6
4
F. BATTISTELLI, T. AMMENDOLA, M. NEGRI, La conoscenza come risorsa produttiva: le forze
armate di fronte alla società postmoderna, Centro Militare di Studi Strategici, Roma 1996, pag. 71
5
Janowitz, nel suo “The professional soldier” (1960) definisce un assunto fondamentale: nel quadro
internazionale del secondo dopoguerra, caratterizzato dallo scontro ideologico, le conseguenze
politico-sociali dell’azione militare sono più avvertite rispetto al passato e questo concorre ad una
convergenza degli interessi e delle sfere di attività civili e militari. Di conseguenza, i cambiamenti
interni delle società nazionali portano inevitabilmente ad adeguamenti dell’istituzione militare. Questi
adattamenti sono identificati nella ridefinizione delle strategie operative dovute ai cambiamenti
tecnologici; secondo, nell’adattamento al cambiamento sociale e delle mentalità individuali; terzo,
nell’adattamento ad una molteplicità di funzioni o ipotesi di impiego (deterrenza strategica, limitazione
della guerra convenzionale, guerra psicologica e confronto ideologico)
6
F. BATTISTELLI, T. AMMENDOLA, M. NEGRI, La conoscenza come risorsa produttiva… op cit.
pagg. 71-72
12
La nostra analisi in questo capitolo sui compiti istituzionali è
circoscritta, ovviamente, alle Forze armate italiane e vuole giungere ad
una descrizione estesa di quanto tracciato nei riferimenti normativi del
nostro Paese per valutarne la sua efficacia attuale alla luce delle ultime
riflessioni della sociologia militare.
I compiti Istituzionali che le Forze Armate sono chiamate ad
assolvere sono contenuti nella Legge 14 Novembre 2000, n° 3317, in
conformità ai principi stabiliti negli articoli 11 e 52 della Costituzione
della Repubblica Italiana. Sempre nello stesso provvedimento legislativo
vengono tracciate le priorità della difesa dello Stato, della realizzazione
della pace e della sicurezza in conformità alle regole del diritto
internazionale, della salvaguardia delle libere istituzioni.
Uno scarto sostanziale emerge lampante e naturale dal confronto
tra le norme di principio sulla disciplina militare8 datate 1978 e le norme
per l’istituzione del servizio militare professionale di più recente
impostazione: confrontando l’articolo 1 della legge 331 con l’articolo 1
della Legge 11 luglio 1978, n° 3829, possiamo renderci conto di
sostanziali differenze. Al comma 4 dell’Articolo vigente si definisce una
innovazione assoluta, ovvero che le Forze Armate hanno il compito di
operare “al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in
conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni
7
Legge 14 Novembre 2000, n° 331 Norme per l’Istituzione del Servizio Militare Professionale,
pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” – Serie Generale n° 269 del 17 novembre 2000
8
Legge 11 luglio 1978, n° 382, Norme di principio sulla disciplina militare, pubblicata sulla “Gazzetta
Ufficiale” – Serie Generale n° 203 del 21 luglio 1978
9
L’articolo in questione, abrogato dall’articolo 1 della Legge 14.11.2000 n° 331 recita: “Le Forze
armate sono al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro attività si informano ai principi
costituzionali. Compito dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica è assicurare, in conformità al
giuramento prestato e in obbedienza agli ordini ricevuti, la difesa della Patria e concorrere alla
salvaguardia delle libere istituzioni e al bene della collettività nazionale nei casi di pubblica calamità”
13
delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte”. Si può
affermare, dunque, che dietro la definizione dei compiti istituzionali delle
Forze Armate c’è la nobile causa della difesa dei diritti umani nell’ottica
dei principi O.N.U., diritti universalmente riconosciuti dalla comunità
mondiale. Ma poiché la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite non
possiede un proprio esercito permanente, ecco che gli stati nazionali forti
economicamente, Italia compresa, sono coinvolti con i propri organismi
militari alla formazione di adeguati strumenti per la difesa del diritto
internazionale. L’ex Ministro della Difesa Antonio Martino, nel 2003, in
pieno fermento innovativo dello strumento militare nel nostro paese, così
si esprimeva in relazione all’importanza della trasformazione dello
strumento militare nel contesto internazionale:
“[…] per capire la assoluta particolarità del momento che
attraversano le Forze Armate, che esse sono al centro di una radicale
riforma caratterizzata soprattutto dalla imminente sospensione del
servizio militare obbligatorio, dal progressivo incremento del
volontariato, dal consolidamento della presenza femminile, da
mutamenti strutturali e ordinativi che puntano a dare maggiore
coesione all’intero strumento militare, in una logica interforze, su un
piano più elevato di efficienza e qualità. L’insieme di questi sforzi di
ammodernamento si muove in modo coordinato con quanto deciso in
sede NATO e UE insieme ai nostri alleati e partner […]”10
Le attuali specificità dello strumento militare in Italia, quindi, si
richiamano a nuove integrazioni: all’esterno sui fronti internazionali e
regionali, all’interno con la logica interforze. Marina Militare,
Aeronautica Militare, Esercito Italiano e Arma dei Carabinieri diventano
le articolazioni di un’unica azione militare.
10
Giovanni CERBO, a cura di, Informare e comunicare nel nuovo scenario politico strategico
internazionale, stabilimento grafico militare, Gaeta, 2003
14
In Sociologia, lo scopo definito “scientifico” nell’acquisizione di
nuove metodologie di conoscenza e di riflessione sulla realtà11, risulta
sicuramente l’istanza fondamentale per delineare i nuovi tratti
organizzativi e operativi dell’organizzazione militare; caratteristiche,
queste, che passano in primis dal carattere innovativo della professione
militare. Questa particolare professionalità dà vita ad una nuova identità
di militare, impegnato sempre più in operazioni di peace-keeping in
diversificati scenari di azione internazionali.
1.2 La professionalizzazione dello strumento militare: identità
militare e nuova frontiera del peace-keeping
Gli scenari internazionali attuali presentano delle peculiarità che
difficilmente riconducono ad etichette definitorie precise. «La nostra
epoca vive le contraddizioni di una modernità portata alle estreme
conseguenze e che assiste al crollo dei miti […] che per lungo tempo
l’avevano sostenuta»12. Dal crollo del mondo bipolare in poi, i continui
cambiamenti degli scenari geopolitici hanno avuto una accelerazione
impressionante che a tutt’oggi non sembra fermarsi. «Da concentrata che
era in determinate zone e tra pochi protagonisti (l’Europa centrale, la
Nato e il Patto di Varsavia), la minaccia bellica ha attenuato la propria
potenzialità distruttiva in termini assoluti, ma si è fatta più diffusa, più
ricorrente, più alla portata di mano di soggetti minori e non istituzionali».
La diffusione di decine di focolai di guerra, di minacce armate, di crisi,
11
A. GOBBICCHI (a cura di) La professione militare oggi – Caratteristiche sociali e nuovo contesto
geopolitico, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 9
12
F. BATTISTELLI, T. AMMENDOLA, M. NEGRI, La conoscenza come risorsa produttiva… op cit.
pagg. 19-20
15
hanno condotto le organizzazioni internazionali a unire le proprie forze in
sempre più numerose e preparate alleanze internazionali.
Nella realtà della nostra Marina Militare, questo concetto è ben
conscio: «Allargamento, partecipazione ed inclusione ispirano le
relazioni internazionali e la cooperazione e la gestione delle crisi
risultano essere le due facce di una stessa medaglia: l’impegno per la
sicurezza internazionale. I confini tradizionali perdono il loro significato
strategico ed il mondo assume una connotazione sempre più
marittima…»13. Ma per attuare queste strategie internazionali, lo
ricordiamo, bisogna passare dalla formazione degli uomini che
compongono le Forze armate.
Il dibattito nell’ultimo ventennio sulla nuova identità militare e sul
ruolo che le Forze armate devono sostenere per poter fronteggiare il
mondo multicentrico è stato ampio e fruttuoso, proprio nella peculiarità
della formazione professionale legata alla nuova dimensione operativa
militare, ovvero quella del peace-keeping. Formazione di tipo
manageriale si è integrata all’istruzione e alla formazione militare,
predisponendo gli uomini con le stellette ad una nuova visione della loro
figura e della loro professionalità: «tecnici e manager sono espressioni
della stessa realtà: ossia si tratta di “professionisti” […] il manager è una
figura in evoluzione nel mondo produttivo, appunto perché si sposta
sempre più verso la professionalità […] Su questa linea direi che, a
livello militare, tecnico e manager si trasformano semplicemente in
professional militari»14.
13
Rapporto 2006 della Marina Militare, U.COM. aprile 2006, pag. 9
14
G.P. PRANDSTRALLER, Professione militare e “conoscenza” nella società post-industriale, in A.
GOBBICCHI (a cura di) La professione militare oggi… op. cit. pagg. 119-120
16
In termini strategico - operativi, l’attuale contesto storico-sociale
planetario porta con sé nuove preoccupazioni per gli Stati in tema di
sicurezza nazionale e internazionale. Di conseguenza, la maggior
frequenza di cooperazione tra nazioni a livello militare conduce
all’approntamento di una serie di eventi di diversa tipologia che, per
forza di cose, richiede «l’esigenza di disporre di una comune deontologia
della professione militare, nonché di disporre di personale
professionalmente e soprattutto moralmente preparato ad assolvere,
spesso in assoluta autonomia, una più ampia gamma di compiti, per molti
aspetti più delicati di un tempo” (Binelli Mantelli, 1994, p. 17)»15 e
perciò una maggiore qualificazione dell’azione militare. Le operazioni
determinate dalle diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite che investono anche i contingenti italiani, per esempio,
rappresentano quegli aspetti che «… “mettono alla prova la macchina
bellica […] anche per quanto attiene la flessibilità e la capacità di trovare
soluzioni a problemi […] tipici delle missioni di peace-keeping»16.
Nell’analisi del numero delle operazioni di peace-keeping dal
dopoguerra ad oggi, troviamo confermato un sempre maggior utilizzo di
questo strumento. «Fino al 1980 le operazioni di peace-keeping vere e
proprie non avevano superato la quindicina»17 e negli anni ’80 «erano
state soltanto tre e per di più ufficialmente al di fuori del quadro
dell’O.N.U.»18. Battistelli suddivide operazioni di peace-keeping di
“prima generazione”, riferendosi al periodo 1945-1990 e di “seconda
15
F. BATTISTELLI, T. AMMENDOLA, M. NEGRI, La conoscenza come risorsa produttiva: le forze
armate di fronte alla società postmoderna, op. cit. pag. 72
16
A. GOBBICCHI (a cura di) La professione militare oggi… op. cit. pag. 25
17
F. BATTISTELLI, Soldati. Sociologia dei militari italiani nell’era del peace-keeping, op. cit. pag.
74
18
ibid. pag. 74
17
generazione”, dal 1990 ad oggi: «Dal confronto tra le une e le altre,
emerge che le differenze sono non solo di ordine quantitativo, bensì
anche qualitativo»19. Inoltre, dal punto di vista giuridico, diventa
importante ribadire che «Negli anni Novanta […] si assiste a una
rinnovata presenza della bandiera dell’O.N.U.»20.
Soffermandosi sulle differenze qualitative citate precedentemente,
ossia quelle che connotano le operazioni di peace-keeping di seconda
generazione, risalta la partecipazione di due superpotenze (Stati Uniti e
Russia) che hanno partecipato alle operazioni “Desert storm” e alle
missioni in Somalia e in Bosnia sotto l’egida dell’O.N.U. «Ma -
continuando ancora con Battistelli - il dato più nuovo è ancora un altro e
riguarda l’ambiente nel quale le missioni prendono corpo. Nel “vecchio”
peace-keeping si trattava di un ambiente che, ancorché critico, aveva
comunque sperimentato un processo di stabilizzazione, culminato in un
accordo di pace o, almeno, di tregua d’armi. Nel “nuovo” peace-keeping,
invece, l’ambiente si presenta come instabile o addirittura come
turbolento, dato che, accanto ai compiti di interposizione e di
monitoraggio tradizionalmente assolti dalle forze di pace, le attuali
missioni prevedono anche compiti di peace-making o, addirittura, di
peace-enforcement»21. Peace-keeping quindi non è solo «una nuova
frontiera della pace e basta. Con tutta la sua carica di novità […] il peace-
keeping è sì una frontiera della pace nel mondo multi-centrico ma è,
anche, una frontiera della guerra. Per la stretta compenetrazione tra
19
ibid. pag. 75
20
ibid. pag. 75
21
ibid. pag. 76
18
l’aspetto umanitario e quello bellico (Loi, 1994), il peace-keeping può
essere definito la nuova frontiera del militare […]»22.
Nel particolarissimo periodo di “rimodulazione” dell’ultimo
quindicennio, le Forze Armate italiane sono state impegnate in diverse
missioni sia di carattere umanitario che di peace-keeping, con risultati e
apprezzamenti di prim’ordine: potremmo parlare di “volontà
contemporanea” delle nostre Forze armate di crescere “con” e “per” la
partecipazione ad attività di interesse nazionale e internazionale. Citare
sommariamente realtà socialmente diverse come il Libano, l’Albania, la
ex Jugoslavia, l’Afghanistan, dove le Forze armate italiane si confrontano
con e insieme alle altre compagini internazionali a favore delle
popolazioni di quei luoghi, può rendere l’idea di come delicato e
sfaccettato sia diventato il ruolo del militare oggi.
Le istanze e gli interessi della comunità internazionale, come
abbiamo visto, hanno condotto sempre più ad una marcata
professionalizzazione degli uomini e delle donne con le stellette che si è
tradotta perciò in una scelta politica di istituzione di Forze armate
composte da soli professionisti.
Lo Stato italiano con la già citata Legge 14 Novembre 2000, n°
331 ha posto le basi per l’istituzione del servizio militare professionale23.
Su tali basi si è concretizzata la promulgazione del menzionato decreto
22
ibid. pag. 85
23
L’Articolo 3 comma 1 della Legge 14 Novembre 2000, n° 331 specifica che “Il Governo è delegato
ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle
competenti Commissioni parlamentari che si esprimono entro sessanta giorni dalla data di
assegnazione del relativo schema, corredato dai pareri previsti dalla legge, un decreto legislativo per
disciplinare la graduale sostituzione, entro sette anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del
medesimo decreto legislativo, dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con
personale civile del Ministero della difesa […]”