Comunicazione e pubblicità come fonte di valore per il marchio: indagine sugli investimenti pubblicitari nelle Marche
azienda, anche a livello inconscio: è importante allora fare in modo che essa diventi uno
strumento di leva strategica e una fonte di vantaggio competitivo per l’organizzazione.
Fare e non comunicare equivale infatti a non aver fatto. Produrre un bene di elevata
qualità può non significare nulla, se ciò non viene percepito adeguatamente dal
potenziale acquirente. Inoltre, in una grossa quantità di acquisti, il consumatore non si
trova a scegliere tra una serie di “prodotti alternativi”, bensì fra un insieme di “marchi
alternativi”, associati a dei prodotti assolutamente fungibili fra loro. La competizione,
allora, si gioca sempre più sulle politiche di branding, ossia sulla capacità delle imprese
di riuscire a costruirsi un marchio con un’immagine particolarmente forte, alla quale
vengano associate, di volta in volta, percezioni di qualità, di valori, di emozioni, di status,
ecc. La comunicazione, attraverso le sue varie forme e i suoi diversi strumenti, diventa
allora il mezzo ideale per riuscire in quest’opera e costruire così una delle risorse
intangibili più importanti e a più lungo ritorno per l’azienda.
Lo scopo di questo lavoro sta nel mostrare, appunto, quanto la pubblicità possa
diventare un investimento strategico per l’impresa: un concetto che per una buona fetta
del tessuto economico rappresenta una quasi assoluta novità. Oggi, infatti, la
comunicazione pubblicitaria viene frequentemente vista dall’imprenditore come una
spesa molto volentieri eliminabile e dagli incerti benefici, una sorta di “male necessario,
perché fatto da tutti”. Spesso il problema della costruzione di una forte identità di brand è
stato sottovalutato, specie dalle piccole e medie imprese, che oggi si trovano a pagare il
prezzo di scelte sbagliate prese nel passato, legate ad un concetto ancora molto
tradizionale di impresa, di prodotto e di concorrenza. Non si è compreso invece che,
mentre un bene può essere imitato con facilità e, grazie alle continue innovazioni
tecnologiche, anche con notevoli risparmi di costi, un forte marchio rappresenta un
potente scudo di difesa per l’azienda da possibili attacchi concorrenziali.
In questo lavoro, dopo aver spiegato il potenziale strategico dell’utilizzo di tale
forma di comunicazione, verrà effettuata un’analisi della condizione attuale nella regione
Marche sotto questo punto di vista, confrontandola con le varie situazioni di “eccellenza”
presenti sul resto del territorio italiano. Il fine è quello di verificare quanto sia stato
Introduzione
compreso dagli imprenditori marchigiani il ruolo della pubblicità e della politica di
marchio, quali settori si dimostrino più sensibili a tale problematica e quali ne siano
invece ancora lontani. Inoltre, una volta individuate le industrie e le aziende che
investono maggiormente in advertising, sarà possibile, attraverso il paragone con le
migliori realtà del nostro Paese, verificare anche a quale livello la situazione marchigiana
si ponga.
Il lavoro è suddiviso in nove capitoli. Nel primo, si introduce il concetto di
impresa come “catena del valore”, ripreso dallo schema concettuale del Porter. L’azienda
viene quindi vista come un insieme di attività, ciascuna delle quali può generare un
valore per il cliente finale; tale concetto di catena del valore consente di comprendere
meglio come un’azienda possa ottenere un vantaggio competitivo, definito come la
capacità di un’organizzazione di presidiare, sviluppare e difendere nel tempo, con
maggiore intensità e competenza di un rivale, un fattore critico di successo in un mercato.
Tale posizione di superiorità può essere ottenuta in una qualunque delle varie fasi della
catena di attività e può consistere o in un vantaggio di differenziazione o in un vantaggio
di costo. Varie sono le possibilità per rendere “unica” la propria offerta, ma il punto
fermo è costituito dalla necessità imprescindibile di far percepire al cliente finale il valore
creato, affinché egli vada a ricompensare tale esclusività con un premium price
(vantaggio da differenziazione) o con un’alta quantità domandata (convenienza percepita
nel vantaggio competitivo da costo).
Nel secondo capitolo, si va ad isolare, all’interno della catena del valore, le
attività raggruppabili sotto la definizione di “marketing”, cercando, in primis, di mettere
in evidenza il nesso intercorrente tra la strategia competitiva dell’azienda e le sue
implicazioni sulle scelte riguardanti le politiche di questa specifica attività. Essa è
intrinsecamente trasversale, in quanto va ad interagire con quasi tutte le altre realtà
dell’organizzazione, e comprende sia il momento conoscitivo, quello dell’analisi del
mercato e delle sue richieste, sia i momenti strategico e operativo, di creazione
dell’offerta nelle sue molteplici variabili. All’interno del marketing vi saranno fasi più
marcatamente strategiche ed altre più prettamente tattiche, ma una tendenza inarrestabile
Comunicazione e pubblicità come fonte di valore per il marchio: indagine sugli investimenti pubblicitari nelle Marche
della moderna impresa è quella di spostare progressivamente l’attenzione dal tangibile
all’intangibile, dalla produzione di beni e servizi alla creazione di marchi e di immagini,
con uno stravolgimento che comporta conseguenze spesso imprevedibili sul piano
dell’economia mondiale, dei consumi, del mercato del lavoro, dei costumi.
Nel terzo capitolo si fa una panoramica di tutta quella che è l’imprescindibile
attività di comunicazione all’interno dell’impresa, imprescindibile perché viene
comunque effettuata da qualunque organizzazione, consapevolmente o meno. Si
distinguono i vari tipi di comunicazione che si possono porre in essere (interna,
economico-societaria, istituzionale e di marketing) e i diversi pubblici ai quali debbono
essere veicolati i messaggi. Dopo aver analizzato i riflessi che su questa attività ha
riversato la trasformazione post-fordista delle imprese, si elencano alcuni elementi di
complessità intrinseca dell’azienda e del suo ambiente circostante che portano alla
necessità di una gestione integrata della comunicazione, che porti alla realizzazione di un
piano strategico comunicazionale (coerente con le strategie principali dell’impresa) che
vada a combinare coerentemente le varie attività possibili. Si vanno poi ad elencare
alcuni dei più abituali errori in cui le imprese sono incorse nella gestione di tale area
aziendale e alcuni tratti dei più tipici profili di eccellenza, nonché le collocazioni più
frequenti, e quelle invece migliori, che la “attività di comunicazione” può incontrare
all’interno dell’organigramma dell’impresa. Attraverso anche una serie di esempi di fatti
realmente accaduti, si mostra come la comunicazione, se ben utilizzata, possa diventare
anche uno strumento efficacissimo per la gestione di varie crisi nelle quali può incorrere
l’azienda. Infine, si vanno ad elencare una serie di possibili evoluzioni future della
società e dei consumi che porteranno delle sicure novità nella gestione della
comunicazione aziendale.
Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sulle politiche di marca e sulle
trasformazioni che sono avvenute in tale ambito negli anni. Oggi il brand riveste un ruolo
assolutamente primario nell’offerta, proprio perché tutti i prodotti sul mercato sono
sempre più simili fra loro. Per questo, la concorrenza e la personalizzazione avviene a
livello di attributi intangibili, di valori intrinseci e di associazioni mentali, piuttosto che a
Introduzione
livello di prestazioni funzionali. Il marchio, da concetto astratto qual era, è divenuto un
investimento aziendale assolutamente di primo piano, anche per il crescente ruolo sociale
che è stato assunto dai consumi. Nel capitolo si analizza quello che è il ruolo sia del
brand, sia del logo, che anche dell’immagine, tre elementi distinti, ma strettamente
interdipendenti fra loro. Si spiega poi il valore che la marca assume, e le funzioni che
essa svolge, sia nei confronti del consumatore che verso il produttore, analizzando i vari
benefici apportati ad entrambi e le stime monetarie riguardanti i principali marchi
mondiali. Si sottolinea poi come risulti fondamentale, per l’impresa moderna, un’attenta
gestione della propria immagine, un patrimonio intangibile di alto valore che può però, se
trascurato, nascondere delle insidie molto pericolose, ma che, se accompagnato da un
posizionamento coerente, può invece diventare una fonte di vantaggio competitivo. Dopo
aver espresso il contributo che la comunicazione, e più specificatamente la pubblicità,
può fornire all’immagine e al brand, si impone una riflessione su un argomento
particolarmente attuale: le contestazioni che avvengono frequentemente un po’ in tutto il
mondo contro i principali marchi che hanno dominato per decenni il panorama
economico globale.
Il quinto capitolo è dedicato al principale strumento di comunicazione utilizzato
dalle aziende: la pubblicità. Dopo averla definita con precisione, per distinguerla dalle
altre forme di contatto con il pubblico, si passa ad analizzarne le potenzialità, gli obiettivi
per i quali viene utilizzata e gli effetti più comuni che provoca sul consumatore e
sull’impresa, ricordando che sono molti i possibili scopi di una campagna pubblicitaria e
pertanto è bene che l’azienda vada a concentrarsi solo su quelli che reputa principalmente
strategici. Prima ancora di intraprendere un’azione pubblicitaria, l’organizzazione deve
inoltre effettuare un’analisi del proprio target e dell’“immagine” di prodotto che intende
far percepire, due elementi che influiranno in modo decisivo sulle scelte successive.
Vengono poi elencate alcune regole base di condotta per la realizzazione di una
campagna e alcune tra le più diffuse modalità di definizione della strategia pubblicitaria,
che vanno sempre e comunque adattate alla situazione peculiare dell’impresa. Molto
importante è la fase creativa nella quale si realizza il messaggio: in questo caso bisogna
Comunicazione e pubblicità come fonte di valore per il marchio: indagine sugli investimenti pubblicitari nelle Marche
contemperare le esigenze del piano e della strategia di marketing con la necessità di
originalità e innovazione, per permettere alla comunicazione di superare l’affollamento
sui mezzi e farsi quindi notare dal potenziale cliente. Si passa poi all’analisi della fase
successiva, quella che avviene tutta nella mente dell’individuo, la rielaborazione del
messaggio che può portare ad una modifica degli atteggiamenti, in senso positivo o
negativo, fino ad un eventuale acquisto. Qui entra in gioco tutta una serie di variabili
psicologiche e sociologiche, molto spesso difficilmente prevedibili nei loro esiti, ma dalle
quali comunque non si può prescindere in sede di pianificazione e di creazione della
pubblicità. Infine, l’advertising viene analizzato nel suo ruolo sociale, andando a
verificare come si rapporti in maniera interdipendente con l’ambiente circostante, con
una serie di influenze reciproche che portano la pubblicità a diventare un vero e proprio
specchio della cultura nella quale è immersa.
Il sesto capitolo propone una breve rassegna degli altri strumenti utilizzati dalle
imprese nei loro piani di comunicazione, strumenti che a volte sostituiscono la campagna
pubblicitaria, ma che più spesso la integrano. Si tratta della promozione vendite, delle
pubbliche relazioni, delle sponsorizzazioni, della publicity, della vendita personale e del
direct marketing. Ciascuno strumento viene analizzato nelle sue principali caratteristiche,
nei suoi effetti principali, nelle motivazioni che portano al suo utilizzo e nelle situazioni
in cui può costituire un’efficace fonte di vantaggio per l’impresa.
Nel settimo capitolo vengono messe in rilievo le varie caratteristiche dei mezzi di
comunicazione di massa sui quali è possibile veicolare i messaggi pubblicitari,
spiegandone le peculiarità, i punti di forza e di debolezza, che fanno, di volta in volta,
preferirne alcuni rispetto agli altri, portando quindi alla definizione del media-mix per la
campagna pubblicitaria. Un’attenzione particolare è dedicata ad Internet, uno strumento
dalle potenzialità talmente vaste, tanto che, ad oggi, ancora molte aziende non riescono
ad individuare con efficacia la via e le modalità di utilizzazione per il perseguimento dei
propri scopi. Infine, si accenna alla figura dell’agenzia pubblicitaria nella definizione
della campagna, evidenziando il ruolo, ormai divenuto insostituibile, che tale gruppo di
professionisti può apportare attraverso una molteplicità di servizi offerti.
Introduzione
L’ottavo capitolo tratta il complesso tema della programmazione degli
investimenti pubblicitari e della verifica dell’efficacia degli stessi. Per quanto riguarda la
fase della pianificazione, molti sono gli elementi che vanno ad influire sulle possibili
scelte dell’azienda, come parecchie sono le possibili soluzioni, in termini di spesa, offerte
dai vari mezzi di comunicazione di massa. Nella pratica, sono diversi i metodi di
programmazione utilizzati, ciascuno con alcuni punti di forza e di debolezza. Una
situazione, quindi, complessa, che deve essere valutata attentamente senza incorrere in
facili automatismi. Ancora più difficile risulta la fase della successiva misurazione
dell’efficacia della pubblicità. In questo caso, lo stato dell’arte è da considerarsi ancora
primordiale, anche perché ciò che andrebbe controllato sono variabili molto poco
oggettive, come l’atteggiamento del consumatore. In tutto questo difficile procedimento
di programmazione e di valutazione un punto fermo rimane, comunque, la chiarezza
degli obiettivi cui la pubblicità è deputata nei singoli casi specifici. Utili, ma non
sufficienti, potranno inoltre risultare ricerche e sperimentazioni su campioni.
Il nono capitolo, infine, è dedicato all’indagine sulla dinamica degli investimenti
pubblicitari nelle Marche. Dopo aver presentato le modalità di svolgimento dell’analisi,
viene presentato un quadro generale di riferimento a livello regionale, confrontato con la
situazione italiana, per verificare quanto si è speso nel biennio 1999 - 2000, in quali
settori, attraverso quali mezzi e secondo quale stagionalità. Successivamente l’analisi
diventa più dettagliata: si passa, infatti, allo studio di ciò che è avvenuto, sempre nel
periodo di riferimento, nei principali settori industriali marchigiani e nelle aziende più
rappresentative, cogliendo l’occasione per effettuare dei continui paragoni con quelle che
sono le “eccellenze” a livello nazionale. Lo scopo è verificare, di volta in volta, quanto la
realtà regionale sia al passo con i tempi e quali siano, invece, quelle produzioni nelle
quali è necessario un cambiamento di rotta e un maggiore adeguamento alle nuove
modalità di competizione sul mercato.
CAPITOLO 1
L’IMPRESA COME CATENA DEL VALORE
L’impresa come catena del valore
1. L’impresa come catena del valore
Nella definizione della strategia globale l’imprenditore non può prescindere dal
considerare le opportunità di acquisire una posizione di vantaggio competitivo nel
mercato o nei mercati da servire.
Secondo Porter
2
, la scelta di un mercato servito è guidata non solo dalla sua
attrattività, cioè dalle tendenze espansive della domanda e dei margini lucrabili, ma
anche dalla posizione competitiva che l’azienda potrà assumere, cioè dalle situazioni di
vantaggio che potrà acquisire rispetto alla concorrenza e che le assicureranno la
conquista di una soddisfacente quota di mercato.
La scelta sarà sempre in funzione di elementi oggettivi (settoriali) e soggettivi
(aziendali) perché si fonderà sulla capacità di assumere un vantaggio competitivo
durevole nel mercato prescelto. L’attrattività di un settore può essere valutata, secondo
questo autore, analizzando l’incidenza delle cinque forze che, interagendo, determinano
condizioni più o meno favorevoli per l’impresa operante. Esse sono: l’entrata di nuovi
concorrenti, la minaccia di sostituti dei prodotti, il potere contrattuale dei clienti, quello
dei fornitori, e infine la rivalità tra i concorrenti presenti.
Alla luce dell’analisi del settore, per arrivare poi a comprendere su quali elementi
l’impresa deciderà di inserirsi in un certo ambito competitivo, Porter introduce il concetto
di catena del valore, che rappresenta uno schema molto utile per inquadrare con
sistematicità il processo di formulazione della strategia competitiva.
In sostanza, si afferma che l’azienda, con la sua attività, crea un valore per il
cliente, valore che è misurato dal prezzo che il cliente paga o sarebbe disposto a pagare
per il prodotto. Tale valore creato si distingue in due parti: i costi sopportati per la
prestazione delle attività necessarie a progettare, produrre, vendere, distribuire e fornire
assistenza e il margine che rimane all’azienda.
2
L’impostazione del presente capitolo è basata, salvo specifici riferimenti, sul contributo offerto da M.
Porter in “Il vantaggio competitivo” (1987), Edizioni di Comunità, Milano.
Comunicazione e pubblicità come fonte di valore per il marchio: indagine sugli investimenti pubblicitari nelle Marche
La più ampia differenza tra prezzo e costi deriva dalla maggiore efficienza ed
efficacia nella prestazione delle attività. “Le attività generatrici di valore sono quindi i
singoli elementi costitutivi del vantaggio competitivo. Il modo in cui ciascuna attività
viene svolta […] determinerà se un’azienda ha costi alti o bassi rispetto alla concorrenza
[…] e anche il suo contributo alle necessità del compratore e quindi la differenziazione”
(Porter, 1987: 49).
Il concetto di catena del valore aiuta a comprendere quali siano le fonti del
vantaggio competitivo, pervenendo ad una distinzione delle funzioni di gestione in due
gruppi: le attività primarie e quelle di supporto. Le prime sono rappresentate
sostanzialmente dalle funzioni di produzione e di vendita, mentre le seconde sono
classificate con criteri di maggiore elasticità. Comunque sia, la distinzione può differire
da settore a settore e le varie definizioni devono essere applicate al solo scopo di favorire
la miglior visione possibile del business.
Il Porter suddivide le attività primarie nella logistica interna, nella trasformazione,
nella logistica dei rapporti con l’esterno, nel marketing e nelle vendite, e nei servizi (in
particolare l’assistenza post-vendita). Quindi, le attività primarie riguardano il ciclo
produzione-vendita, con terminali a monte nella logistica interna e a valle nei servizi alla
clientela.
Le attività di supporto, intese a fornire le basi per l’attuazione delle attività
primarie, sono costituite dall’approvvigionamento, dallo sviluppo delle tecnologie, dalla
gestione delle risorse umane e dall’infrastruttura dell’impresa (funzioni contabili,
finanziarie, legali, direttive).
L’impresa, dunque, deve mirare a costruire il suo vantaggio competitivo, che
viene definito come la capacità di un’impresa di presidiare, sviluppare e difendere nel
tempo, con maggiore intensità e competenza di un rivale, un fattore critico di successo in
un mercato. Esso è dovuto quindi ad una posizione di superiorità acquisita dall’impresa,
relativamente ai suoi concorrenti, in virtù di una sua specifica capacità di perseguire e far
apprezzare dal mercato l’unicità che caratterizza l’offerta dei suoi prodotti e servizi
(vantaggio di differenziazione), di produrre beni e servizi con un significativo vantaggio
L’impresa come catena del valore
o superiorità di costo rispetto ai rivali (vantaggio di costo) o di operare in un segmento o
in una nicchia ben protetta del mercato (vantaggio di specializzazione) (Valdani, 1986).
Figura 1.1: Suddivisione di una catena del valore
ATTIVITA’ INFRASTRUTTURALI
GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
SVILUPPO DELLA TECNOLOGIA
APPROVVIGIONAMENTO
LOGISTICA
IN ENTRATA
ATTIVITA’
OPERATIVE
LOGISTICA
IN USCITA
MARKETING
E VENDITE
SERVIZI
Fonte: Porter (1987: 58)
Il concetto di differenziazione riporta ai “meccanismi d’isolamento”, ossia
l’opportunità di creare delle barriere nei confronti della concorrenza, per acquisire una
“rendita imprenditoriale” di tipo monopolistico. Attraverso quindi delle fonti di
vantaggio competitivo durevole, l’impresa può quindi conseguire delle posizioni di
superiorità nell’ambiente di riferimento (Sciarelli, 1991). Questa rendita, derivante dal
possesso di risorse, capacità, competenza e conoscenze migliori non disponibili per altre
imprese, si concretizza nella differenza tra il valore ex post (flusso dei pagamenti) ed il
costo ex ante delle risorse combinate per dar vita all’investimento (Rumelt, 1989).
La differenziazione deriva inoltre dal creare valore per l’acquirente, attraverso
l’impatto di un’azienda sulla catena del valore del cliente stesso. Il valore viene creato
quando l’impresa crea un vantaggio competitivo per il suo acquirente: una riduzione dei
suoi costi (intesi, in senso lato, anche come sacrifici da sostenere) o un incremento delle
prestazioni del prodotto o servizio. Le forme e le specifiche condotte perseguibili per
Comunicazione e pubblicità come fonte di valore per il marchio: indagine sugli investimenti pubblicitari nelle Marche
posizionare e differenziare prodotti e servizi nelle percezioni dei potenziali clienti sono
naturalmente svariate. Gli unici limiti al loro sviluppo sono rappresentati dalla
disponibilità di risorse sufficienti e necessarie a tale scopo, nonché dalla volontà e
capacità creativa dell’impresa di definirle e di attuarle. Tra le varie modalità ricordiamo
(Valdani, 1986):
• offerta di prodotti e servizi che siano percepiti dai clienti e dai distributori di
valore superiore e potenziati, per le loro caratteristiche, rispetto a quelli dei
concorrenti, al punto tale da giustificare, per il cliente, il costo ed il sacrificio di
un prezzo più elevato;
• definizione di servizi periferici a supporto dei prodotti, un’assistenza tecnica
superiore, una capacità di evasione degli ordini tempestiva, o più in generale
un’abilità a risolvere i problemi dei clienti;
• creazione di una forte immagine di marca, utile per rafforzare la fedeltà del
consumatore. Immagine capace di simbolizzare ed essere associata ad un attributo
o una specifica competenza, unanimemente riconosciuta;
• offerta al mercato di un sistema composito di prodotti, capace di soddisfare tutti i
suoi bisogni;
• offerta di prodotti caratterizzati da innovazioni e nuove tecnologie;
• rafforzamento della qualità e della copertura distributiva del mercato
Il valore creato per il cliente deve però essere da lui percepito, se si vuole che
venga ricompensato con un premium price, quindi l’azienda deve comunicare i suoi
valori all’acquirente servendosi, ad esempio, della pubblicità e della forza vendita. Si
spiega quindi il ruolo di attività primarie dato dal Porter al marketing e alla gestione
vendite, che rappresentano l’insieme di operazioni orientate a procurare i mezzi mediante
i quali i compratori possono acquistare il prodotto e sono indotti a farlo, quali, ad
esempio, la pubblicità, la promozione, le forze di vendita, le offerte, la scelta dei canali,
le relazioni con gli stessi e la determinazione dei prezzi.
Sebbene il modello di Porter abbia avuto gran successo tra economisti ed
aziendalisti, non mancano, nella letteratura specialistica, contributi parzialmente
L’impresa come catena del valore
correttivi. Alcuni, infatti, recependo il concetto di offerta aziendale come risultato di una
complessa serie di attività generatrici di valore, coinvolgente vari attori che lavorano in
tempi e luoghi diversi per produrre l’offerta stessa per e con il cliente, premono però per
sottolineare come, negli anni più recenti i soggetti economici siano sempre più impegnati
in rapporti di lavoro non solo sequenziali, ma anche simultanei con altri operatori.
Pertanto, tali attori non si rapportano più tra loro secondo il modello semplice,
unidirezionale, sequenziale descritto dalla nozione della catena del valore. Il rapporto tra
due soggetti tende ad essere molto più complesso di quanto si possa concettualmente
cogliere nel modello unidirezionale “make/buy” sottostante alla catena del valore.
Anziché “aggiungere” valore uno dopo l’altro, i partner nella produzione di un’offerta
creano insieme il valore attraverso svariati tipi di relazioni “di co-produzioni”.
Il concepire l’offerta come territorio dove i soggetti confluiscono per co-produrre
valore suggerisce di considerare gli attori stessi riuniti in “costellazioni del valore”. In
questa più idonea prospettiva, il valore viene co-prodotto da operatori che si interfacciano
l’un l’altro. Essi distribuiscono a se stessi e agli altri, esplicitamente o implicitamente, nel
tempo e nello spazio, i compiti che la creazione del valore comporta. Tutto ciò apre la
strada a molte opportunità nel definire le relazioni tra i diversi soggetti e nell’assegnare le
attività (Normann e Ramirez, 1995).
Pertanto, specie riguardo al marketing, è bene considerare quello che viene
definito il rapporto “reciproco” tra le varie parti dell’organizzazione, ossia quella
relazione per cui gli output di ogni sezione dell’impresa diventano input per le sezioni da
cui ottengono i loro input (Thompson, 1967), sottolineando quindi il ruolo trasversale di
questa funzione, che si trova ad interagire con molte, se non addirittura tutte, le
operazioni aziendali.
CAPITOLO 2
IL RUOLO DEL MARKETING
Il ruolo del marketing
2. Il ruolo del marketing
La strategia competitiva ha l’obiettivo di far conseguire un “vantaggio
competitivo conservabile” all’impresa. Essa quindi si collega sia alla scelta delle porzioni
o segmenti di mercato da soddisfare, sia alle azioni conducibili per poter acquisire, nei
mercati serviti, le posizioni di vantaggio desiderate. I due aspetti, peraltro, risultano
particolarmente correlati, poiché l’impresa sceglierà quei segmenti o sub-segmenti in cui
potrà ottenere il vantaggio competitivo e quest’ultimo deriverà dal tipo di strategia
praticabile in base alle risorse specifiche possedute (Sciarelli, 1991).
A livello puramente indicativo, possono essere definite quattro principali linee di
sviluppo, ossia modalità secondo le quali l’azienda intende progredire.
Tabella 2.1: Possibili linee di sviluppo per l’impresa
Prodotti
Linee di sviluppo
Attuali Nuovi
Attuali Espansione Sviluppo dei prodotti
Mercati
Nuovi Sviluppo del mercato Diversificazione
Fonte: Guatri e Vicari (1986: 246)
Espansione significa aumento delle dimensioni della presenza sugli stessi mercati
e per gli stessi prodotti. L’azienda utilizza preesistenti capacità di marketing e
tecnologiche, non è presente alcuno sforzo di innovazione. Sviluppo dei prodotti implica
l’applicazione di nuove capacità tecnologiche, rimanendo invece invariate le capacità di
marketing. Con lo sviluppo del mercato (inteso sia in senso geografico, che come nuovi
segmenti) l’impresa ricerca differenti strumenti commerciali e li applica ai prodotti già in
portafoglio, mentre la diversificazione rappresenta la massima innovazione, sia in termini
tecnologici che di mercato e, essendo la linea di sviluppo più complessa e rischiosa, è
spinta generalmente dalla ricerca di più elevati margini o da una migliore stabilità di
lungo periodo connessa alla presenza in una pluralità di settori.