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INTRODUZIONE
L’idea di sviluppare una tesi di laurea sull’editoria al servizio della comunicazione
d’impresa, intesa come funzione da non considerare inessenziale bensì di notevole
rilevanza nell’esercizio dell’attività aziendale, nasce dalla volontà di coniugare il settore
editoriale con quello economico. L’avvicinamento a una disciplina economica applicata,
nella fattispecie, al mondo editoriale, il cui studio è stato reso possibile dal corso
universitario in “Management per l’editoria”, ha stimolato un interesse personale a
esaminare un aspetto considerato dai più accessorio, ma che costituisce, invece, un tratto
essenziale per l’esistenza della rivista oggetto di studio all’interno del presente lavoro. A
ciò si aggiunge la curiosità di comprendere, seppure a livello generale, le dinamiche che
sottendono innanzitutto il settore all’interno del quale si contestualizza il prodotto editoriale
oggetto della ricerca e, in secondo luogo, gli obiettivi cui esso è finalizzato, sebbene il suo
scopo precipuo sia l’intermediazione comunicativa tra buyer e fornitori. Partendo, quindi,
dall’idea di esaminare e presentare una rivista insolita perché unica nel suo genere, questa
diviene l’oggetto dell’indagine ivi proposta, la quale richiede l’analisi dei due macro-
argomenti ad essa strettamente collegati: la comunicazione d’impresa e il settore
ortofrutticolo.
Il concetto che questa tesi, strutturata in tre capitoli, vuole trasmettere è che la
comunicazione costituisca un aspetto rilevante nella vita e nell’operare aziendale, al pari
delle altre funzioni. Pertanto, scopo di questa ricerca è far emergere il valore della
comunicazione, il cui fine è veicolare non solo informazioni inerenti le caratteristiche
funzionali e qualitative del prodotto ma anche i suoi aspetti distintivi. In un mercato ormai
saturo di prodotti simili fra loro e, perciò, interscambiabili, la comunicazione deve essere
utilizzata come forma di differenziazione tra i prodotti. Essa, da sempre vista come una
spesa, talvolta anche superflua, deve essere invece considerata come una forma di
investimento: gli imprenditori e i manager aziendali, soprattutto italiani, dovrebbero
percepire l’importanza di investire denaro in un piano di comunicazione che permetta loro
di avere un ritorno nel breve o lungo termine. L’informazione diventa, quindi, fonte di
business, intesa come elemento che “fa la differenza” e in questo ha la possibilità di
8
avvalersi di svariati strumenti, fra i quali la produzione editoriale: comunicando i valori e
gli aspetti distintivi dei propri prodotti, le aziende possono differenziarsi le une dalle altre,
così come possono differenziare il proprio prodotto da quelli concorrenti. Se riescono ad
attirare l’attenzione e l’interesse del consumatore, possono modificare il suo
comportamento di acquisto, inducendolo ad acquistare il proprio prodotto piuttosto che
quello concorrente.
Il fatto che la comunicazione, nel contesto italiano, venga ancora inadeguatamente ritenuta
poco vantaggiosa e influente all’interno di un’azienda è dimostrato dal fatto che gli
imprenditori preferiscano paradossalmente investire del denaro nella realizzazione di
prodotti nuovi, per i quali la percentuale di rischio di fallimento comporterebbe una perdita
maggiore di quanto possa determinare un fallimento nella strategia di comunicazione
implementata.
Il primo capitolo affronta il tema della comunicazione d’impresa e, più specificatamente,
della pubblicità. Partendo da una definizione generica del concetto di comunicazione
aziendale, si analizzano le diverse tipologie di comunicazione di cui essa consta: interna,
esterna e istituzionale, fornendo di ognuna di queste una panoramica esplicativa. Si cercano
quindi le ragioni che sottendono la ritardata diffusione della pubblicità e della
comunicazione in Italia, introducendo così uno degli aspetti a completamento della già
arretrata situazione promozionale nazionale.
Trattando il tema della comunicazione non si possono tralasciare gli strumenti di cui questa
si avvantaggia, le cosiddette leve della comunicazione: ognuna di queste viene definita
nelle sue origini storiche, nella funzionalità e finalità. Tali strumenti possono essere
impiegati sia per indirizzarsi alla società intesa come gruppo di consumatori finali, sia al
cliente business, ovvero l’operatore specializzato che acquista prodotti da utilizzare come
input per nuove produzioni o semplicemente per rivenderli.
Fondamentale diviene così lo studio della comunicazione in base al destinatario cui essa si
rivolge. Questo perché il consumatore e l’operatore di settore hanno due modi differenti di
approcciarsi al mercato, all’azienda e ai suoi prodotti e necessariamente diversa deve essere
il tipo di comunicazione implementato dall’impresa nei confronti di questi: deve colpire il
9
cuore nel caso del consumatore, stimolandolo con claim studiati ad hoc per attirare la sua
attenzione e suscitare la sua curiosità verso il prodotto reclamizzato; deve impressionare la
ragione del cliente aziendale, convincendolo della qualità e della funzionalità del prodotto,
del quale egli ha potenzialmente necessità.
Nello specifico è la comunicazione tra imprese l’argomento sul quale si intende focalizzare
l’attenzione all’interno del presente lavoro proprio perché questo è l’ambito nel quale si
inserisce il prodotto editoriale analizzato nell’ultimo capitolo. Al fine quindi di
comprendere il campo di applicazione della rivista in esame è bene approfondire il contesto
che la circonda, per poterne altresì meglio cogliere l’utilità.
Il secondo capitolo è interamente dedicato al settore ortofrutticolo italiano, esplorato anche
in rapporto al contesto internazionale. Si presentano in principio le dinamiche che hanno
condotto l’Italia a cedere la propria supremazia alla Spagna per quanto concerne
l’esportazione di ortofrutta, mantenendo tuttavia inalterata la propria posizione egemonica
relativamente alla produzione. Da quest’analisi emerge come il Belpaese sia la nazione
principale che potrebbe risentire delle minacce provenienti dai cosiddetti Paesi terzi del
Mediterraneo che, forti anch’essi di un clima analogo a quello italiano, di una consolidata
gestione logistica, di ottimi servizi complementari al prodotto e di notevoli performance
produttive sono in grado di commerciare prodotti potenzialmente molto competitivi rispetto
quelli italiani. Inoltre, questi Paesi si avvantaggiano di prezzi molto bassi per rivolgersi a
segmenti di mercato estesi, disposti a sacrificare la qualità del prodotto – che seppur elevata
non è in grado di eguagliare quella italiana – per poterlo acquistare a un prezzo inferiore.
Ed è proprio questa una delle ragioni che rende questi Paesi dei potenziali ma non effettivi
competitor dell’Italia: sulla base delle variabili qui considerate – prezzo e qualità – i Paesi
citati vanno infatti a soddisfare fette di mercato molto diverse, proseguendo quindi su due
binari paralleli e non intersecanti fra loro.
Segue quindi un’analisi strutturale e organizzativa del comparto. Si individuano i principali
player della filiera ortofrutticola, evidenziando le discordanze caratterizzanti la dislocazione
di questi sul territorio italiano, e studiandone altresì il livello di integrazione verticale,
avvalorando l’indagine con esempi di aziende più o meno totalmente integrate
nell’espletamento delle proprie attività.
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Dalla produzione si giunge quindi alla distribuzione: lo sviluppo della distribuzione
moderna e l’avvento della Grande distribuzione organizzata hanno decisamente influito
sugli aspetti distributivi del settore agro-alimentare, provocandone profonde trasformazioni
non solo per quanto concerne il sistema dell’offerta agro-alimentare o il rapporto tra cliente
e fornitore, bensì anche per quanto attiene il ruolo giocato dal settore distributivo, non più
mero intermediario tra produttore e consumatore ma figura attiva nella creazione di valore
per il consumatore finale. Si individuano così i vari stadi attraverso i quali può transitare un
bene, classificando il canale di distribuzione sulla base non solo della sua lunghezza ma
anche della tecnica di vendita adottata e delle relazioni che si instaurano fra i diversi attori
coinvolti. Infine, con riferimento ai mutamenti causati dall’entrata massiccia della GDO nel
settore distributivo si evidenzia, attraverso dati e statistiche tratti da studi condotti dal
Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara, come questa abbia assunto una posizione
egemonica nella vendita dei beni alimentari.
Prima di capire come il tema della comunicazione sia vissuto dalle aziende italiane, si
affronta una tematica scottante nella commercializzazione dei beni agro-alimentari: qualità,
salubrità e sicurezza diventano valori chiave per la vendita dei prodotti ortofrutticoli, verso
i quali i consumatori iniziano a manifestare un occhio di riguardo. Ecco, quindi, che si
espongono le regolamentazioni che normalizzano i requisiti per ottenere le certificazioni di
qualità, di prodotto e le certificazioni ambientali ed etiche così come si approfondiscono le
norme che disciplinano la commercializzazione dei prodotti.
In ultima analisi si indaga il tipo di comunicazione implementato dalle aziende
ortofrutticole italiane al fine di comprenderne il reale grado di attività. La disamina viene
condotta empiricamente, consultando i siti internet di alcune aziende prese a campione.
Quest’ultimo paragrafo funge, inoltre, da raccordo con il terzo capitolo destinato al caso di
studio, rappresentato da un prodotto editoriale unico nel suo genere che coniuga le
tematiche affrontate nei capitoli precedenti. Si definiscono così le peculiarità che
contraddistinguono la rivista oggetto d’esame, descrivendone i processi produttivi e
distributivi che ne permettono la diffusione a livello mondiale. In un contesto dove le
imprese sono restie per motivi economici o per trascuratezza a pianificare e attuare
un’adeguata strategia di comunicazione e di promozione, Fruitbook intende porsi come un
11
unicum al servizio del business, con l’obiettivo di promuovere il “Made in Italy” a livello
internazionale mediante la pubblicizzazione di queste stesse imprese.
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CAPITOLO 1
COMUNICAZIONE D’IMPRESA E PUBBLICITÀ
1 Per una prima definizione di comunicazione d’impresa
“Non si può non comunicare”
Ho voluto intenzionalmente iniziare il presente lavoro di tesi con quest’espressione che
riprende uno degli assiomi elaborati dagli studiosi membri della scuola di Palo Alto
1
, in
quanto ritengo possa introdurre, in modo singolare, i diversi concetti relativi alla
comunicazione d’impresa che, progressivamente, verranno presentati all’interno di questa
ricerca.
In primo luogo mi spinge a riflettere su alcune definizioni di comunicazione d’impresa utili
a comprendere il punto di partenza della mia indagine. Riprendendo l’incipit di questo
primo paragrafo, si introducono anzitutto i principi elaborati dalla scuola di Palo Alto,
considerati le quattro leggi della nuova comunicazione:
“Non si può non comunicare”: ogni essere umano non può non interagire con le
persone che lo circondano. Tutte le situazioni interpersonali sono necessariamente
comunicative: anche se in modo inconscio, non intenzionale, non verbale, si
comunica. La comunicazione non è, infatti, necessariamente volontaria: qualsiasi
reazione o comportamento umano veicola un messaggio. Il silenzio stesso così
come le semplici espressioni facciali sono un’esemplare forma di comunicazione.
“Tutto è comunicazione”: tutto ciò che esprimiamo, sia in forma orale che scritta, il
modo e i mezzi utilizzati per farlo è comunicazione. È stato inoltre dimostrato che
la comprensione di un messaggio dipende più dal rapporto che intercorre tra gli
interlocutori che dal contenuto realmente espresso.
1
Cittadina in periferia di San Francisco, dove agli albori degli anni ’60 venne fondata da ricercatori e
intellettuali attivi in vari campi dello scibile l’omonima scuola. Questi studiosi si prodigarono per indagare il
concetto di comunicazione all’interno di svariati ambiti.
13
“Quello che viene comunicato è quello che l’altro comprende”: quando si emette un
messaggio, esso corrisponde a una mappa mentale elaborata nella mente del
locutore; quando il messaggio viene recepito dal relativo interlocutore, esso andrà a
inserirsi in una mappa mentale completamente differente da quella del mittente.
“In una relazione è la persona più flessibile ad avere più potere”: per poter
raggiungere al meglio uno scopo, sarebbe opportuno essere rigidi sull’obiettivo ma
flessibili sul percorso da intraprendere per poterlo raggiungere.
Questi principi forniscono i concetti base della comunicazione, permettendoci in seguito di
addentrarci nella più specifica comunicazione d’impresa.
La comunicazione d’impresa può essere definita come «l’insieme dei processi relazionali
che l’impresa attiva per influenzare (rinforzandoli o modificandoli) gli atteggiamenti e i
comportamenti dei propri interlocutori sociali e di mercato, nel perseguimento dei suoi
obiettivi».
2
La definizione rispecchia la posizione di certi studiosi per i quali la
comunicazione d’impresa è fondamentale per influenzare gli interlocutori più importanti
dell’impresa stessa.
Similmente, Elisabetta Corvi descrive la comunicazione come «tutto ciò che,
esplicitamente o implicitamente, incide (modificandoli o rinforzandoli) sugli atteggiamenti
e sui comportamenti delle persone»
3
. Le sue parole anticipano qui uno dei presupposti
legati alla pubblicità: come vedremo nei paragrafi seguenti, uno degli obiettivi della
pubblicità è proprio quello di suscitare nel consumatore un atteggiamento favorevole nei
confronti dell’azienda, al fine di indurlo a preferire i suoi prodotti rispetto ad altri
alternativi e concorrenti; ciò dimostra come la pubblicità, e la comunicazione in generale,
siano in grado di mutare il comportamento d’acquisto e di consumo dell’individuo.
James Grunig, noto per i suoi studi nell’ambito delle pubbliche relazioni, preferisce invece
analizzare il fenomeno della comunicazione nel suo significato più generico, adattandolo in
un secondo momento all’ambito imprenditoriale: la comunicazione prevede
imprescindibilmente uno o più soggetti che emettono un messaggio ad altri che, quindi, lo
2
Pastore A., Vernuccio M., Impresa e comunicazione, Apogeo, Milano 2008, p. 20.
3
Corvi E., La comunicazione aziendale. Obiettivi, teniche, strumenti, Egea, Milano 2007, p. 5.
14
ricevono. I destinatari del messaggio emettono a loro volta una risposta, instaurando così
una comunicazione a due vie, tipica della comunicazione d’impresa.
4
Svariate sono poi le definizioni di comunicazione d’impresa che la identificano come un
insieme di attività il cui fine è informare i vari stakeholders
5
della mission
6
dell’impresa,
ovvero ciò che l’impresa rappresenta e fa sul mercato.
Ancora, la comunicazione d’impresa può aiutare l’organizzazione a migliorare la propria
reputazione nei confronti dei pubblici di riferimento, siano essi interni o esterni:
La comunicazione d’impresa è una funzione gestionale che offre un sistema organizzato per
ottenere un effettivo coordinamento all’interno dell’impresa, sia nell’ambito della
comunicazione interna che di quella esterna, al fine di stabilire nei propri confronti, una
reputazione positiva da parte dei suoi pubblici di riferimento.
7
In ultima istanza c’è chi riconosce la comunicazione d’impresa nella comunicazione
organizzativa:
la comunicazione organizzativa è l’insieme delle attività manageriali miranti a favorire la
comprensione reciproca tra l’organizzazione stessa e i propri pubblici di riferimento,
costituendo, progettando e coordinando l’immagine; organizzando i messaggi da diffondere
e le informazioni da acquisire. L’obiettivo finale della comunicazione organizzativa
consiste nel favorire l’ottenimento di scambi ripetuti e durevoli tra l’organizzazione stessa e
lo scenario o il mercato in cui opera. Al fine di conseguire i propri obiettivi, ogni
organizzazione comunica sia al suo stesso interno (comunicazione interna), sia con
l’ambiente in cui è insediata (comunicazione esterna).
8
4
Grunig J., Managing Public Relations, Harcourt Jovanovich, New York 1984.
5
Insieme dei soggetti che hanno un interesse nei confronti di un’organizzazione e che con il loro
comportamento possono condizionarne l’attività. Fanno parte di questo insieme i clienti, i dipendenti, i
fornitori, i finanziatori, i collaboratori, le istituzioni, l’opinione pubblica, ecc.
6
La mission di un’organizzazione o impresa è l’espressione generale del principale obiettivo
dell’organizzazione, che, idealmente, è in linea con i valori e le aspettative dei principali stakeholder e
riguarda le possibilità e i limiti dell’organizzazione (“A mission is a general expression of the overriding
purpose of the organization, which, ideally, is in line with the values and expectations of major stakeholders
and concern with the scope and boundaries of the organization”. Fonte: Cornelissen J., Corporate
Communication: A Guide to Theory and Practice, Sage Publications Ltd, London 2011, p. 9).
7
Cornelissen J., Corporate Communication, Sage Publications Ltd, London 2004, p. 11.
8
Perrone F., Manuale introduttivo alla comunicazione aziendale, Franco Angeli, Milano 2006, p. 72.
15
Per concludere,
per comunicazione d’impresa si intende l’insieme dei processi di comunicazione che
un’impresa decide di predisporre al fine di informare, persuadere e motivare il proprio
pubblico di riferimento, sia esso interno o esterno alla struttura aziendale. In altre parole, la
comunicazione d’impresa si pone come obiettivo il miglioramento dell’identità e
dell’immagine dell’impresa, al fine di aumentare la credibilità a livello strategico ed
economico. Per incrementare, altresì la fiducia e la legittimazione del pubblico nei suoi
confronti, al fine anche di attrarre le risorse di cui necessita per un risultato positivo che
continui nel tempo.
9
Comunicazione interna ed esterna: una premessa
Ogni impresa che ambisca a diventare leader nel mercato di riferimento deve confrontarsi
con l’ambiente esterno. Per riuscire a conservare la propria posizione egemonica all’interno
del mercato ha la necessità, fra le altre cose, di mantenere costantemente attivo il processo
comunicativo. È proprio per tale motivo che spesso parlando di comunicazione aziendale
emerge l’espressione “flusso continuo”: l’impresa dovrebbe, infatti, avviare un flusso
comunicativo continuo, privo, cioè, di interruzioni. La comunicazione non dovrebbe essere
mai realizzata per tentativi saltuari ma dovrebbe essere un processo che accompagna
l’attività aziendale nella sua quotidianità. È anche proprio grazie all’apporto delle attività di
comunicazione che le imprese sono in grado di competere all’interno di mercati sempre più
caratterizzati da processi di evoluzione e mutazione. Pertanto, la comunicazione d’impresa
è un’attività che non dovrebbe essere mai trascurata: di fatto, non si può pretendere che i
consumatori utilizzino un servizio o acquistino un bene di cui non sono nemmeno a
conoscenza.
10
9
Pecchenino M., La comunicazione d’impresa, Laterza, Roma-Bari 2009, p. XIII.
10
L’attività di comunicazione è un requisito implicito dell’attività di marketing. Considerato il marketing
come l’insieme dei metodi atti a collocare col massimo profitto prodotti o servizi in un dato mercato, per
soddisfare i bisogni e le esigenze dei consumatori, è evidente che l’impresa debba attuare forme di
comunicazione per far conoscere e, quindi, posizionare il proprio prodotto o servizio sul mercato.
16
La conoscenza, da parte del potenziale acquirente, dell’esistenza sul mercato di un bene o di
un servizio e delle sue caratteristiche è alla base di qualsiasi attività di vendita.
11
Sarebbe inoltre opportuno sfatare un mito che per anni ha frenato numerose piccole e medie
imprese dall’attuare una simile attività: la comunicazione aziendale è una pratica alla
portata di tutte le aziende, a prescindere dalla loro dimensione. Per decenni si è ritenuto che
la comunicazione fosse un’attività ad appannaggio esclusivo delle grandi imprese o delle
multinazionali. Diversamente, essa è un’attività che deve coinvolgere specialmente le
piccole e medie imprese e, soprattutto, è un’attività da non sottovalutare.
Ciò spiega perché in Italia la comunicazione si sia diffusa con una certa lentezza rispetto
agli altri Stati europei. Il tessuto economico italiano è costituito per la maggior parte da
piccole e medie imprese le quali hanno sempre ritenuto inopportuno o, forse, inutile avviare
un’intensa attività di comunicazione.
Troppo spesso, inoltre, si è data maggior rilevanza all’aspetto produttivo dell’attività
aziendale, senza considerare quello comunicativo, e quasi sempre i soggetti imprenditoriali
hanno scarsamente sfruttato le diverse sinergie offerte dai vari aspetti della comunicazione.
Eppure, la comunicazione è un’attività che se esercitata e gestita con efficacia può rivelarsi
una delle risorse più importanti dell’operare aziendale. Essa rappresenta «il tessuto
connettivo tra il mondo della produzione e il mercato, è il terreno di coltura del
consumismo ed è lo strumento indispensabile sia per parlare all’interno dell’impresa che
per dialogare con tutto il sistema degli stakeholder»
12
.
Testimonianza del valore assunto dalla comunicazione negli ultimi anni è data anche dal
seguente passaggio:
l’importanza della comunicazione è dimostrabile dalla crescita esponenziale di studi
inerenti le Scienze della comunicazione ad un semplice dato riguardante ancora gli Stati
Uniti, secondo il quale l’industria della comunicazione è la terza in quanto a velocità di
crescita. Crescita che è raddoppiata negli ultimi vent’anni e che si trova in continua ascesa.
11
Caruso E., Comunico, quindi esisto, Tecniche Nuove, Milano 2005, p. 9.
12
Caruso E., Comunico quindi esisto, op. cit., p. 35.
17
Fra due aziende che offrono lo stesso prodotto o servizio di uguale qualità, quella che ha più
possibilità di successo è sicuramente l’azienda che propone una comunicazione adeguata
con tecniche precise, arrivando prima e con maggiore efficacia al destinatario e/o
consumatore. La comunicazione diventa quindi elemento fondamentale sul quale l’azienda
investe risorse e in nessun caso marginale.
13
Nonostante l’importanza che le si attribuisce, la comunicazione d’impresa è ancora
scarsamente considerata un’attività prioritaria, in modo particolare in Italia: non vi è da
parte delle aziende una solida consapevolezza degli strumenti disponibili e dei relativi
effetti, e pochi la concepiscono come concreta forma di investimento, efficace contributo
allo sviluppo aziendale. Di conseguenza, i vari strumenti di cui si serve la comunicazione
(quali pubblicità, siti web, promozioni, sampling, sponsorizzazioni, ecc.) vengono perlopiù
vissuti come un obbligo di cui l’impresa si deve dotare poiché è un qualcosa che tutti
hanno, ma di cui difficilmente ne viene misurata l’utilità.
14
1.1 Le ragioni del ritardo pubblicitario in Italia
Il lento e ritardato procedimento di diffusione dell’attività di comunicazione aziendale nel
contesto italiano non rappresenta l’unico elemento diffusosi con indugio. Analizzando,
infatti, anche il panorama pubblicitario italiano si può riscontrare in questo un certo ritardo
di sviluppo rispetto a quanto ha avuto luogo nel contesto internazionale
15
. In particolare, tre
sono i soggetti a cui vengono imputate le ragioni del ritardo pubblicitario in Italia: la
società, le aziende e i pubblicitari.
In ambito sociale, un incisivo fattore di ritardo è determinato dalle conseguenze della
politica autarchica promulgata dal Fascismo, sebbene Mussolini abbia spesso adottato
tecniche retoriche e persuasive – di uso comune nella reclamizzazione dei prodotti – per
poter comunicare al meglio con l’opinione pubblica (numerosi, infatti, sono gli slogan
propagandistici ossessivamente ripetuti al fine di creare e mantenere un consenso sociale) e
13
Passaggio tratto da un articolo redatto dal Dott. Alessandro Battaglia in data 24 marzo 2010 e reperibile al
sito internet: www.comunicareoggi.biz/?p=50
14
http://www-3.unipv.it/cim/corsi/marketing/B2B.pdf
15
Su questa tematica si veda in particolare Codeluppi V., Iperpubblicità, Come cambia la pubblicità italiana,
Franco Angeli, Milano 2000, e il contributo di Bourlout A., sub vocem «Pubblicità in Italia», in Colombo F.
(a cura di), Atlante della comunicazione, Hoepli, Milano 2005.
18
sebbene il regime mussoliniano abbia affrontato la crisi economica degli anni ’30 facendo
ampio uso della pubblicità per sostenere la campagne collettive a favore della promozione
dei prodotti nazionali. Questa attività di governo venne ben presto emulata dalle aziende
che investivano in campagne pubblicitarie tese ad esaltare i prodotti italiani. In seguito alla
distruzione comportata dalla Seconda guerra mondiale e all’attuazione del Piano Marshall
per la ricostruzione dei Paesi distrutti dalla guerra, gli Stati Uniti iniziarono a esercitare una
certa influenza politica, economica, ma soprattutto culturale in quegli stessi Paesi.
Considerando il settore pubblicitario, iniziarono ad essere aperte in Italia alcune succursali
delle più potenti agenzie multinazionali statunitensi attive appunto in campo pubblicitario –
fra le quali, la Lintas nel 1948, la già citata J.W. Thompson nel 1951 e la CPV l’anno
seguente – così da indurre uno sviluppo e un’internazionalizzazione del mercato
pubblicitario italiano, per il quale venne adottato il modello professionale americano: il
contesto pubblicitario italiano non sottostette perciò a uno sviluppo autonomo quanto
piuttosto a un’importazione passiva di una cultura estranea che “colonizzò” la cultura e la
società italiana
16
. Va da sé che simili argomentazioni possono valere anche per gli altri
Paesi ricostruiti dalla potenza economica americana; tuttavia, ciò che risulta essere
esclusivo del contesto italiano è il percorso seguito dalla pubblicità televisiva, il quale
costituisce un altro considerevole fattore di ritardo: la televisione italiana iniziò a
trasmettere pubblicità il 3 febbraio 1957 ma solo all’interno della trasmissione Carosello. In
questa circostanza la pubblicità divenne una sorta di commedia, con “scenette” la cui
realizzazione coinvolse grandi nomi dello spettacolo. Tuttavia ciò mantenne la pubblicità
italiana piuttosto arretrata (troppo spesso accadeva infatti che l’attenzione dello spettatore
fosse monopolizzata più dal personaggio televisivo che rivestiva il ruolo di testimonial
pubblicitario che dal prodotto reclamizzato, il quale, di conseguenza, slittava in secondo
piano e scarsamente veniva memorizzato dal consumatore) rispetto a quanto stava
accadendo nel resto del mondo, dove la pubblicità proseguiva con rapidità nel proprio
sviluppo e iniziava a diffondersi una vera e propria cultura pubblicitaria che si avvaleva di
validi strumenti teorici e pratici.
16
È proprio negli Stati Uniti che nascono, dopo la II Guerra Mondiale, i primi istituti e dipartimenti di
comunicazione associati alle scuole di giornalismo. Ciò diede origine alla scienza della comunicazione, nella
quale gli Usa divennero capiscuola. Fonte: Caruso E., Comunico, quindi esisto, op. cit., p. XIV.