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CAPITOLO 1
MARKETING E OVEREATING
L’obesità come definita dall’OMS è “l’epidemia del secolo”. Ciò ha
fatto sì, che catturasse l’attenzione degli studiosi che si concentrano sulle possibili
influenze, che possano spingere a un consumo incontrollato di cibo. In particolare le
attenzioni degli studiosi si sono concentrate sul ruolo che il marketing gioca
nell’incremento di tale vasto problema. Dal punto di vista medico, l’obesità è una
patologia multifattoriale, tipica anche se non esclusiva delle società dette del
“benessere”. Si definisce obeso un individuo la cui massa di tessuto adiposo sia
eccessiva, con indice di massa corporea (BMI) superiore a 30. Tele parametro si
ricava dal rapporto tra il peso espresso in chilogrammi e l’altezza espressa in metri al
quadrato.
Tabella 1.1: Indice di Massa Corporea
BMI
Sottopeso < 18,5
Normopeso 18,5 – 24,5
Sovrappeso 25 – 29,9
Obesità moderata (I grado) 30 – 34,9
Obesità severa (II grado) 35 – 39,9
Obesità grave (III grado) >40
Fonte: Obesità.org (2011)
L’obesità è quasi sempre correlata ad altre malattie, tra queste le disfunzioni
cardiocircolatorie, il diabete, patologie a carico del sistema osteo – circolare, ictus e
la sindrome da apnea notturna. Dieta ipocalorica e attività fisica possono aiutare nei
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casi meno gravi, ma per quelli più problematici si interviene anche con terapie
farmacologiche o chirurgiche. L’orientamento comune è che al di sopra di un certo
peso corporeo la si debba considerare una patologia cronica al pari del diabete e
dell’ipertensione arteriosa. È da anni dimostrato che i soggetti obesi hanno
un’aspettativa di vita qualitativa e quantitativa ridotta e pertanto l’impegno degli
operatori sanitari deve essere rivolto alla ricerca di risposte sempre più efficaci e
stabili.
1.1 Rilevanza dell’Overeating
L’obesità costituisce sempre più un problema ubiquitario, la cui prevalenza
nella popolazione occidentale oscilla oggi, in rapporto ai criteri di misurazione
utilizzati, tra il 10% e il 60%, percentuale che tuttavia è destinata a crescere
ulteriormente, soprattutto nei paesi in via di occidentalizzazione (OMECA 2008). Lo
stesso peso corporeo medio ha subito, negli ultimi venti anni, un incremento che si
attesta intorno ai 3 Kg /anno. Si è inoltre assistito ad un abbassamento dell’età
media colpita : la patologia si riscontra oggi sempre più tra giovani e giovanissimi. In
particolare l’obesità nei bambini è in costante aumento: se per i bambini dai 6 ai 12
anni tra il 1976 e il 1980 il tasso di obesità era del 7%, nella stessa fascia di età tra il
1988 e il 1994 era del 12% per poi passare alla punta del 15% nel 2000. In Italia le
regioni maggiormente interessate da questo fenomeno - problema sono
prevalentemente quelle dell’Italia Meridionale, tant’è che a Napoli si registra un
tasso di obesità infantile del 16,5% (ISTAT 2005). In generale si può affermare che
la patogenesi dell’obesità sembra essere principalmente correlata ad uno squilibrio
tra introito alimentare e spesa energetica, se pure recenti studi abbiano evidenziato
l’importanza della componente genetica eredo–familiare, collegata a vari meccanismi
coinvolti nel bilancio energetico. Il quadro complessivo risulta così estremamente
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complesso e la patologia finisce per compromettere il funzionamento della quasi
totalità degli organi ed apparati dell’organismo umano, determinando anche un
incremento di rischio per tumori considerando inoltre che l’aspetto esteriore riveste
oggi una grande importanza nei rapporti interpersonali, il raggiungimento ed il
mantenimento di un peso accettabile costituiscono oggi un obiettivo spesso
fortemente ricercato dai pazienti, frequentemente esasperato dagli archetipi
pubblicitari proposti dai mass media. L’ OMS, in seguito ad uno studio
commissionato al Food Agricolture Organization (FAO 2004), ha evidenziato come
molti dei decessi attribuiti a malattie croniche sono dovuti a fattori di rischio che
potrebbero essere facilmente evitati, proprio come l’obesità. Sempre più persone nel
mondo in via di sviluppo soffrono di malattie croniche, un cambiamento epocale fino
a pochi decenni fa, quando la malattia cronica è stata associata al mondo ricco e
sviluppato. Una maggiore urbanizzazione gioca un ruolo importante in questo
cambiamento, infatti chi abita in città è più probabile che consumi diete ad alta
intensità energetica, ad alto contenuto di grassi e carboidrati (OMS 2011). Questo
improvviso cambiamento nella dieta sta avendo, in combinazione con uno stile di
vita sedentario, sta avendo un effetto drastico sui poveri urbani. Quindi ciò che si
evidenzia è che il problema non riguarda più soltanto i paesi ricchi. Ora evidenziamo
nello specifico i dati: la maggior parte delle nazioni supera la soglia del 10% della
popolazione obesa. In testa USA e Messico con rispettivamente il 30,6% ed il 24,2%
a seguire il Regno Unito col 23%. Il primato negativo dunque agli USA, e ciò non
sorprende. “La nuova epidemia”, così come definita dall’OMS, è uno dei problemi
che compare nell’agenda del governo da anni, assillo della sanità, delle assicurazioni,
delle grandi corporation dell’alimentazione, che ora combattono in prima linea
contro il grasso. La secondo posizione al Messico: i meno ricchi, più fragili e
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affamati dall’illusione dell’hamburger e patatine fritte. E così, scendendo ma sempre
in testa alla lista alternando tra occidente opulento e vicino est che lo imita: quarto
posto a Repubblica Slovacca, Grecia (nonostante la dieta mediterranea), Australia,
Nuova Zelanda, Ungheria, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Canada. Sempre più i
paesi comunitari afflitti dalla bilancia: Spagna, Irlanda, Germania, Finlandia,
Portogallo, Islanda, Turchia, Belgio, Polonia, Olanda. Secondo i dati resi pubblici al
congresso europeo sull’obesità (ECO 2008) dall’International Association for the
Study of Obesity (IASO), nell’Europa dei 27, in tutti i paesi, ad eccezione di Estonia,
Lettonia e Romania, oltre la metà della popolazione maschile è obesa e sovrappeso.
Leggermente migliore la situazione per quanto riguarda le donne: in soli 5 paesi
(Austria, Cipro, Gran Bretagna e Malta) il dato supera il 50% . Ciò che tuttavia
preoccupa maggiormente è che, rispetto ai dati rilevati negli anni passati, l’obesità è
in crescita i entrambi i sessi, in quasi ogni nazione, con minime eccezioni.
Figura 1.1: Percentuale di adulti obesi in alcuni paesi europei
Fonte: Istat (2007)
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Per quanto riguarda i bambini la situazione è più complessa. Innanzitutto, è
difficile, se non impossibile, comparare i dati, in quanto i dati raccolti dalla IASO nei
diversi paesi spesso fanno riferimento a classi di età differenti. I dati peggiori
sembrerebbero essere quelli della Gran Bretagna, che presenta nella fascia di età 5-17
anni il 29% di bambini in sovrappeso, seguiti poi dai paesi mediterranei (Italia,
Malta, Spagna e Cipro) e dal Portogallo. In ogni caso per l’OMS un bambino su
cinque in Europa è in sovrappeso. Ogni anno ai 14 milioni di bambini in sovrappeso
– di cui 3 milioni obesi – se ne aggiungono 400 mila “nuovi”. Il WHO ha evidenziato
come il sovrappeso nei bambini sia il disturbo infantile più comune e come entro il
2012 un bambino su dieci sarà obeso e quindi più a rischio di sviluppare diabete di
tipo 2, ipertensione e insonnia, disagi psicologici e sociali. L’aspetto che preoccupa
di più è che questi bambini rimangano obesi anche da adulti, sviluppando così
malattie più gravi che porteranno a una riduzione di lunghezza e qualità di vita.
1.1.1 La Situazione in Italia
Secondo le indagini multiscopo Istat, dal 2001 ad oggi in Italia è in aumento
il trend della quota di obesi. Nel 2006, la proporzione di obesi si attestava al 10,2%.
Tabella 1.1: Persone con più di 18 anni, per indice di massa corporea (2001-2008)
ANNI SOTTOPESO NORMOPESO SOVRAPPESO OBESI
2001 3,3 54,2 33,9 8,5
2002 3,2 54,7 33,6 8,5
2003 3,2 53,9 33,8 9
2005 2,8 52,6 34,7 9,9
2006 2,8 52 35 10,2
2008 3 51,2 35,5 9,9
Fonte: Istat (2008)
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Valore che sembrava stabilizzarsi nel 2008, quando si è registrato un valore
simile (9,9%). Tuttavia, nel 2008 è aumentata la proporzione delle persone in
sovrappeso. Rapportata alla popolazione interessata dalla rilevazione Istat (>18 anni,
50 milioni circa di persone), la stima del numero totale di obesi tra gli adulti è pari a
circa 5 milioni di persone. La proporzione di obesi è diversa per età ed è massima tra
i 55 e i 64 anni. Numeri confermati anche dal sistema di sorveglianza Passi, che
forniscono un quadro dei dati riferiti alle Asl partecipanti all’indagine durante
un’intervista telefonica da un campione di residenti di età compresa tra i 18 e i 69
anni. Secondo i dati raccolti nel 2009 del pool delle Asl che partecipano al sistema di
sorveglianza Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), circa tre
adulti su dieci (32%) risultano in sovrappeso, mentre uno su dieci è obeso (11%):
complessivamente, quindi, circa quattro adulti su dieci (42%) sono in eccesso
ponderale. Il sovrappeso è una condizione diffusa e che tende ad aumentare con l’età,
è più frequente negli uomini, nelle persone con basso livello di istruzione e in quelle
che dichiarano di avere molti problemi economici. Dal confronto con le stime dei
due anni precedenti, nel triennio 2007-2009 si nota che il valore delle persone in
eccesso ponderale è rimasto stabile: 43% nel 2007 e nel 2008, 42% nel 2009.
Figura 1.2: Eccesso Ponderale (Sovrappeso/peso)
Fonte: PASSI (2009)
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Le differenze rilevate sul territorio sono considerevoli e nel confronto
interregionale si osserva un gradiente Nord-Sud: la P.A. di Trento è il territorio con
la percentuale più bassa di persone in sovrappeso o obese (35%), mentre la Calabria
(con le Asl di Cosenza e Vibo Valentia) è l’area con la percentuale più alta (51%). I
dati Passi confermano l’impressione secondo cui le persone in sovrappeso spesso - e
le persone chiaramente obese a volte - non hanno l’esatta consapevolezza della
propria condizione. Tra le persone in sovrappeso, infatti, ben il 46% ritiene il proprio
peso giusto. Inoltre, un obeso su dieci percepisce il proprio peso come adeguato. Il
Passi riesce a stimare anche la proporzione di grandi obesi, cioè coloro che hanno un
indice di massa corporea maggiore o uguale a 40. Questa quota, nel 2008, è dello
0,5%. La percentuale di diabetici tra i grandi obesi è di oltre il 24%. Per quanto
riguarda l’obesità in età infantile la sorveglianza in età infantile effettuata dal sistema
di monitoraggio “OKKIO alla SALUTE” fornisce dati misurati sullo stato ponderale
dei bambini delle scuole primarie (6-10 anni), degli stili nutrizionali, dell’abitudine
all’esercizio fisico e delle eventuali iniziative scolastiche che favoriscono una sana
alimentazione e l’attività fisica. Nel 2010, la prevalenza di sovrappeso e obesità è
pari rispettivamente al 23% e all’11%, inoltre si è messo in luce come vi sia tra i
bambini la diffusione di abitudini alimentari che predispongono all’aumento di peso.
1.2 Cause dell’Obesità
Da un certo punto di vista, la causa dell’obesità è semplice, si consumano
meno energie di quante se ne assumono. Ma da un altro punto di vista, è elusiva,
coinvolgendo la regolazione del peso corporeo, principalmente del grasso corporeo. I
fattori che determinano l’obesità possono essere distinti in genetici, ambientali e
regolatori. Per quanto riguarda i fattori genetici, recenti scoperte hanno aiutato a
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spiegare come i geni possano causare l’obesità e come possano influenzare la
regolazione del peso corporeo. L’entità delle influenze genetiche sull’obesità umana
è stata valutata con studi sui gemelli, sulle adozioni e sulle famiglie. Le influenze
genetiche possono essere più importanti nel determinare la distribuzione regionale
del grasso piuttosto che il grasso corporeo totale. Il fatto che le influenze genetiche
spieghino solo il 33% delle variazioni del peso corporeo significa che l’ambiente
esercita un’enorme influenza. Quest'influenza è ampiamente illustrata dal notevole
incremento della prevalenza dell'obesità durante lo scorso decennio. Lo stato
socioeconomico ha un'importante influenza sull'obesità, particolarmente tra le donne.
La correlazione negativa tra lo stato socioeconomico e l'obesità riflette una causa di
base. Gli studi longitudinali hanno mostrato che l'appartenenza fin dalla nascita a uno
stato socioeconomico basso è un potente fattore di rischio per l'obesità. I fattori
socioeconomici influenzano in maniera molto importante sia l'assunzione che il
dispendio di energia. Dai dati della World Health Organization emerge come
l’obesità sia più diffusa tra le categorie sociali svantaggiate che hanno minor reddito
e istruzione, oltre che maggiori difficoltà di accesso alle cure. L’obesità riflette e si
accompagna dunque alle disuguaglianze, favorendo un vero e proprio circolo
vizioso. Gli individui che vivono in condizioni disagiate devono far fronte a
limitazioni strutturali, sociali, organizzative, finanziarie e di altro genere che rendono
difficile compiere delle scelte adeguate sulla propria dieta e attività fisica. Per
esempio, in Francia una porzione da 100 calorie di frutta e verdura, che contiene una
quantità di elementi nutritivi superiore di cinque volte (dal punto di vista energetico)
rispetto ad altri alimenti, può costare anche cinque volte di più. I gruppi a basso
reddito, di solito, hanno meno accesso a palestre e centri benessere, oltre a vivere in
zone che tendenzialmente incoraggiano di meno all’attività fisica. Nei paesi più
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poveri, ma con uno sviluppo rapido si riscontra un veloce aumento dell’obesità,
mentre nei paesi più avanzati con le maggiori disparità di reddito tra ricchi e poveri si
riscontrano in genere livelli più alti di obesità. L’abbondante assunzione di cibo è
associato con l’obesità, particolarmente tra le donne. Per molti anni, si è ritenuto che
degli oscuri disturbi del metabolismo causassero l’obesità, mentre l’assunzione del
cibo era normale. Tuttavia, questa grande assunzione di cibo di solito comprende
un’abbondante assunzione di grassi, che predispone già da sola all’obesità. Uno stile
di vita sedentario, come quello prevalente nelle società occidentali, è un altro
importante fattore ambientale che favorisce l’obesità. L'attività fisica non solo
richiede un dispendio di energia, ma aiuta anche a controllare l'assunzione del cibo.
In Europa Occidentale almeno due terzi degli adulti non svolge sufficiente attività
fisica e la situazione continua a peggiorare. L’ambiente in cui le persone vivono
spesso scoraggia l’attività fisica, se si considera che, in Europa, il 50% degli
spostamenti in macchina copre distanze inferiori ai cinque chilometri. Distanze che
potrebbero essere coperte in bicicletta in 15-20 minuti . Sebbene l'assunzione di cibo
aumenti con l'aumentare delle richieste energetiche, può non ridursi in modo
proporzionale, quando l'attività fisica si riduce a livelli minimi; in alcune persone,
quindi, la riduzione dell'attività fisica può in realtà causare un aumento
dell'assunzione del cibo. Tra i fattori regolatori, la gravidanza è la principale causa
dell’obesità in alcune donne. Un aumento delle cellule adipose e della massa del
tessuto adiposo durante l’infanzia e la fanciullezza e, per alcune persone gravemente
obese, anche durante l’età adulta, predispone all’obesità. Questo incremento può
essere pari a 5 volte il numero delle cellule adipose delle persone di peso normale. La
dieta riduce solo le dimensioni delle cellule adipose e non il loro numero. Di
conseguenza, le persone con un tessuto adiposo ipercellulare possono tornare a un
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peso normale solo attraverso una marcata riduzione del contenuto lipidico di
ciascuna cellula adiposa. Tale riduzione e gli eventi associati a livello della
membrana plasmatica, pongono un limite biologico alla capacità di perdere peso e
possono spiegare la difficoltà a raggiungere un peso normale. In un numero esiguo di
persone l’obesità è causata dai danni celebrali dovuti a un tumore. Recentemente i
farmaci sono stati aggiunti all'elenco dei fattori che causano l'obesità, per l'aumentato
uso della farmacoterapia, mentre i fattori psicologici, una volta considerati
un'importante causa di obesità, sono ora largamente ritenuti limitati a due modelli
alimentari anormali: gli attacchi di bulimia incontrollata e la sindrome da
alimentazione notturna che consiste nell’anoressia al mattino e iperfagia
(incontrollato appetito) serale con insonnia.
1.3 Effetti dell’obesità
L’obesità non è semplicemente un problema estetico o sociale ma una
malattia cronica che a sua volta rappresenta un elevato fattore di rischio per altre
malattie. La gravità degli effetti dell’obesità è data dal grado di obesità che la
persona presenta. Più è alto è l’indice di massa corporea (BMI) maggiore sarà il
rischio e la gravità dei suoi effetti. Secondo proiezioni del ministero della salute del
Regno Unito, si può prevedere che in media l’aspettativa di vita per gli uomini
diminuirà di cinque anni entro il 2050 se persisteranno gli attuali livelli di obesità.
Ciò deriva anche dalle abitudini acquisite nell’infanzia per quanto riguarda dieta e
attività fisica, infatti, non cambiano facilmente lungo il corso della vita. Tra le
conseguenze più immediate le più frequenti sono rappresentate da problemi di tipo
respiratorio (affaticabilità, apnea notturna), di tipo articolare, dovute al carico
meccanico, disturbi dell’apparato digerente, disturbi di carattere psicologico: i
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bambini sovrappeso possono sentirsi a disagio e vergognarsi, fino ad arrivare ad un
vero rifiuto del proprio aspetto fisico; spesso sono bambini derisi, vittime di scherzi
da parte dei coetanei e a rischio di perdere l’autostima e sviluppare un senso di
insicurezza, che li può portare all’isolamento: escono meno di casa, stanno più tempo
davanti alla televisione, istaurando un circolo vizioso che li porta ad un
iperalimentazione reattiva.
Tabella 1.3: Valutazione secondo il rischio
Valutazione BMI Rischio perdita
anni di vita
Cachessia < 18 >4 anni
Sottopeso 18 – 21 0,3 – 4 anni
Regolare 21 – 28 < 0,3 anni
Sovrappeso 28 – 34 0,3 – 4,5 anni
Obeso >34 >4,5 anni
Fonte: OMS (2009)
Inoltre nei soggetti affetti da obesità si ha una maggiore frequenza di alcune
malattie, soprattutto: diabete, ictus celebrale, ipertensione arteriosa, infarto cardiaco,
alcuni tipi di tumori maligni (colon, mammella, utero).
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Figura 1.3: aspettative di vita sana
Fonte: EUROSTAT (2010)
Ciò che emerge dalla Figura 1.3, è che anche se l’aspettativa di vita degli
italiani è in continuo aumento, il dato allarmante è che si vive più a lungo, ma
soffrendo di malattie croniche, acute e disabilità croniche che indubbiamente
l’obesità contribuisce a creare. Questo significa che gli anni che viviamo in buono
stato di salute, sono sempre di meno. Un altro aspetto da considerare è il costo che
l’obesità rappresenta per la società: fino al 6% delle spese sanitarie (OMS 2009)
nella regione europea dell’OMS è legato all’obesità tra gli adulti. C’è anche un altro
costo indiretto, dovuto alla perdita di vite, produttività e reddito. Si stima, ad
esempio, che la Spagna spenda per l’obesità in totale circa 2,5 miliardi di euro ogni
anno. Il costo varia comunque da paese a paese. A causa dell’obesità, in Svezia si
spendono 45 dollari all’anno procapite per le spese sanitarie, e a questi si aggiungono
costi indiretti per 157 dollari. In altri paesi il costo diretto procapite si aggira più o
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meno intorno allo stesso valore: fino a 35 dollari in Germania, 32 nei Paesi Bassi. In
Belgio, la spesa procapite è di ben 69 dollari e rappresenta così quasi il 6% delle
spese sanitarie. E per di più questi costi sono in continuo aumento. Nel Regno Unito
il costo procapite è passato da 13 dollari nel 1998 a 25-31 dollari nel 2002. In Italia
l’impatto dell’obesità, soprattutto dell’obesità grave, sui costi sociali nel nostro paese
supera ogni anno gli 8 miliardi di euro, pari al 6,7% della spesa sanitaria nazionale.
La condizione di obesità può danneggiare anche il portafoglio delle aziende, in
termini di spese mediche e di giorni di lavoro perduti. È emerso come negli Stati
Uniti il costo annuale aggiuntivo per ogni lavoratore obeso può raggiungere i 2500
dollari. Gli scienziati della RTI International hanno usato due set di dati relativi a
oltre 45000 impiegati full-time, di età compresa fra i 18 e i 64 anni. I ricercatori
hanno confrontato informazioni quali l’indice di massa corporea (BMI), i giorni di
malattia e le spese mediche totali. In generale i risultati hanno mostrano che, al
crescere del BMI, aumentano i costi delle spese mediche sia degli uomini che delle
donne. I costi aggiuntivi variano da 162 dollari per gli uomini leggermente obesi ai
1524 dollari per gli uomini con un BMI superiore a 40. Nel caso delle donne, gli
stessi costi vanno da 474 a 1302 dollari. Quando i ricercatori hanno calcolato poi il
costo dei giorni di lavoro perduti per gli impiegati obesi, hanno scoperto che il costo
procapite ammonta annualmente ad una cifra compresa fra i 460 e 2486 dollari.
Tenendo conto della prevalenza dell’obesità e della generale distribuzione dei sessi
nella forza lavoro, si ipotizza che un’azienda americana con 1000 dipendenti perda
circa 285000 dollari l’anno. Il commento di Eric Finkelstein: “Se la prevalenza e il
costo dell’obesità sul lavoro dovessero continuare ad aumentare, cresceranno anche
le motivazioni finanziarie a cercare strategie per ridurre questi costi. Queste strategie
potrebbero includere dei programmi per la gestione del benessere e delle malattie
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legate all’obesità sul posto di lavoro”. Anche se più difficili da quantificare in
termini finanziari, devono essere considerati inoltre anche altri costi intangibili, come
per esempio il minor rendimento scolastico, la discriminazione lavorativa, i problemi
psicosociali e la scarsa qualità della vita. In ultimo e non meno importante va
sottolineato come che l’obesità contribuisce a diminuire quelle che sono le
aspettative di vita delle persone. In particolare in Italia, anche gli abitanti sono
longevi, negli ultimi anni si è visto un crollo impressionante delle “aspettative di vita
sana”, che è un parametro che ci dice quanto a lungo viviamo senza malattie.
1.4 Influenze del Marketing
È diffusa l’impressione che questo sia il grande momento del cibo. Parlare
di cibo sembra essere di moda, le trasmissioni Tv includono sempre più spesso
cuochi e ricette. Le guide gastronomiche sono molto vendute. Il turismo si
avvantaggia dei percorsi enogastronomici, cuochi e nutrizionisti diventano famosi
come calciatori. Il cibo è sicuramente al centro di una diffusa ondata di interesse e
attrazione. Ciò che accomuna tutte queste tendenze è l’obiettivo di raggiungere o di
diffondere un migliore livello di qualità delle scelte alimentari, posto che nel
concetto di qualità è incluso non solo l’aspetto edonistico dell’esperienza con il cibo,
ma quello più generale al benessere psicofisico che il consumo di cibo è in grado di
trasmettere. Ma come è possibile direzionare le scelte alimentari delle persone verso
questo obiettivo di qualità? Per capire come si risponde a questa domanda, occorre
risalire un passo a monte verso le conoscenze di cui oggi disponiamo circa i fattori
che influenzano le scelte alimentari. Il presente lavoro intende proprio indagare sui
fattori e segnali, sfruttati dalle industrie alimentari e in generale di coloro che