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INTRODUZIONE
«Non è possibile una crisi di governo la prossima
settimana: la mia agenda è già piena.»
H. Kissinger
Nel presente scritto ci si interroga sulle modalità che le imprese dovrebbero adottare per
gestire e superare quelle crisi che improvvisamente si abbattono su di loro, scardinando le
routine aziendali e lasciando profonde tracce non solo sui bilanci societari, ma anche nella
memoria dei consumatori. Si tratta di un momento eccezionale della gestione aziendale, che
ha lo scopo di guidare l’impresa fuori dal contesto drammatico in cui viene a trovarsi,
cercando di accelerarne il superamento e reprimerne tutte le potenziali conseguenze a lungo
termine.
La gestione di una crisi aziendale è, quindi, caratterizzata da un’elevata complessità, ed è
fortemente esposta al rischio di errori per la delicata situazione ambientale e psicologica che
si viene a creare all’esterno ed all’interno dell’impresa. Queste caratteristiche richiedono che
l’attività in esame sia il risultato di una attenta e valida pianificazione e preparazione. Al
management aziendale, infatti, non può più essere concesso di farsi sorprendere impreparato,
riducendo la propria azione all’adozione di strategie a posteriori, tese semplicemente a
sminuire l’accaduto, magari nascondendone o scaricandone la responsabilità su altri. Per la
sopravvivenza dell’impresa è, invece, necessario che il management acquisisca
consapevolezza del verificarsi di fenomeni di squilibrio, fenomeni che possono appunto
minare alle radici la stabilità aziendale. In particolare, è necessario che le imprese
comprendano che anche le situazioni di più grave crisi possono essere prevenute e
controllate con rapidità ed efficacia, cioè nei tempi più brevi e con i minori danni possibili,
grazie a particolari metodologie e tecniche.
Il piano dell’opera può idealmente essere suddiviso in due parti: la prima, teorica, si
preoccupa di analizzare i concetti chiave che costituiscono la disciplina del Crisis
Management. In particolare, il capitolo primo offre una concettualizzazione della crisi per
meglio definire questo fenomeno organizzativo, in relazione ai diversi significati che esso può
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assumere. L’utilizzo del termine in questione, infatti, si presenta spesso vago e generico ed è
necessario stabilire le peculiarità della crisi organizzativa
I concetti chiave e gli strumenti della Crisis Communication sono, invece, affrontati nel
capitolo secondo in cui viene dedicato spazio alle diverse fasi che costituiscono la gestione
delle crisi, dalla prevenzione fino alla fase di recupero e apprendimento che segue alla crisi.
Nella seconda parte, invece, la prospettiva si restringe sull’analisi del caso Mercedes Benz in
occasione del lancio, e successivo rilancio sul mercato, del modello di autovettura
denominato “Classe A”.
La scelta di questa case history non è casuale, ma indirizzata alla rappresentazione di una
situazione di crisi in cui fossero individuabili i prodromi, l’inizio, uno svolgimento e una
conclusione ben definite, nonché errori e interventi a regola d’arte. È mia opinione che
questo esempio di crisi aziendale fornisca spunti di riflessione molto interessanti e, in
particolar modo, mostri il ruolo centrale e imprescindibile di una buona comunicazione e di
buone relazioni con gli stakeholder.
Nelle intenzioni del management della Casa di Stoccarda, questa automobile ha
rappresentato il simbolo più alto e tangibile di un processo di sostanziale ed epocale
riposizionamento della marca Mercedes-Benz, nell’ambito di una strategia di mercato
profondamente rinnovata. In questo senso Classe A è stata definita dalla stampa specializzata
- ma anche dalla stessa Casa tedesca - come un prodotto fortemente innovativo nei concetti
e nei contenuti, pur tuttavia nel solco di una tradizione storica fortemente legata ai valori del
marchio. A dissipare ogni possibile contraddizione tra i segni veicolati dalla product image di
Classe A e quelli storicamente avvalorati dalla tradizione di corporate, è intervenuta una
strategia di comunicazione ricca ed articolata. Strategia che, però, ha inaspettatamente
dovuto fare i conti con un incidente di percorso, accaduto pochi giorni dopo la
presentazione ufficiale della vettura sul mercato europeo. Classe A, infatti, si è
imprevedibilmente ribaltata nel corso di un test automobilistico (il famoso “test dell’alce”),
rivelando seri problemi di stabilità e mettendo così in forte crisi tutto il sistema della
comunicazione, fino a qual momento predisposto con successo da Mercedes-Benz.
L’accaduto ha portato ad una clamorosa smentita dell’intero complesso di attese abilmente
progettato per il lancio della vettura, generando così una crisi comunicativa di vasta portata
tra l’azienda tedesca ed il suo pubblico, con un’ampia eco sulla stampa e presso l’opinione
pubblica.
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1 CRISI
La legge di Murphy sostiene che «Se qualcosa può andar male, lo farà». Non solo, in un passo
successivo aggiunge che «Se c’è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il
danno maggiore sarà la prima a farlo». L’effetto di questi assiomi non si traduce in un
semplice errore o in una situazione da ricondurre all’ordine, più verosimilmente può portare
a danni irreparabili per la reputazione dell’azienda. Questi danni possono avere implicazioni
finanziarie, attitudinali e motivazionali che necessitano di lunghi anni per essere riparate.
In greco antico le parole χ ρ ι σ ι σv (crisis) e χ ρ ι νο (crino), rispettivamente sostantivo e verbo,
racchiudono una triplice valenza semantica
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:
Pragmatica, centrata sul concetto di divisione, allontanamento, distanza dalla
situazione preesistente.
Cognitiva, imperniata sulla funzione del discernere, interpretare, sulla percezione
della differenza e sulla consapevolezza dell’evento come trasformazione del reale.
Timica o affettiva, che comporta la formulazione da parte del soggetto di un giudizio
sul fenomeno, una presa di posizione che testimonia la reazione dell’individuo al
cambiamento verificatosi.
Anche la parola latina crisis è legata a concetti di divisione, selezione, decisione e momento
determinante. Con il tempo, in tutte le lingue europee, la parola “crisi” ha assunto
connotazioni e significati prettamente negativi: ad essa sono associati concetti di
“aggravamento di un processo che può essere economico, clinico o politico” e di disordine e
destabilizzazione.
Tuttavia il simbolo della parola cinese “crisi”, (wei-ji 危 機 ,) è rappresentato dalla
combinazione di due parole: “pericolo” e “opportunità”. Se, infatti, una crisi può sicuramente
costituire una grave minaccia per la sopravvivenza dell’organizzazione, essa rappresenta
anche un’importante opportunità di crescita che, se colta, si risolve in un “circolo virtuoso”
dell’apprendimento, per mezzo del quale si è raggiunta la conoscenza necessaria e sono state
apportate le adeguate modifiche affinché un evento così traumatico e drammatico non possa
più ripetersi.
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Perini A. (1998), Le relazioni con i media, in Bucci A. e altri, La comunicazione di crisi, Nuova Arnica Editrice.
Pp:12
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Secondo i moderni studiosi di comunicazione di crisi, «una crisi è un evento imprevisto e
straordinario il cui accadimento e la cui visibilità all’esterno e all’interno minacciano di
produrre effetti negativi sull’organizzazione, impresa o industria e sulla sua reputazione, così
come sui suoi stakeholder strategici, sui pubblici di riferimento, sui prodotti e sui suoi
risultati economico-finanziari».
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Come da definizione quindi, presenta due caratteristiche fondamentali: l’eccezionalità
dell’evento critico e la visibilità dell’evento negativo e dei suoi effetti.
L’eccezionalità dell’evento critico è palese, dal momento che la crisi interrompe il
normale andamento del business e interferisce con esso. Sabotaggi, incidenti e
terremoti sono grilletti che innescano crisi improvvise e lasciano un margine di
tempo limitato per elaborare risposte adeguate. Per questo è essenziale essere dotati
di piani di emergenza preventivi. Tuttavia problemi di qualità dei prodotti,
controversie sindacali, scandali mediatici o incidenti, benché siano eventi eccezionali,
non sempre sono imprevedibili. Alcuni di essi hanno periodi di incubazione piuttosto
lunghi durante i quali possono rendersi visibili solo i prodromi di una successiva crisi.
Questi segnali andrebbero colti in modo da poter contenere gli effetti negativi.
La visibilità dell’evento negativo e dei suoi effetti è scontata al giorno d’oggi, specie se
contempla elementi di grande interesse generale (salute, sicurezza) o i cosiddetti “hot
buttons” (qualsiasi evento che coinvolga bambini, terrorismo o ambiente ha un
cartello con scritto CRISI incollato sopra). Questa visibilità mediatica sull’evento e
sull’intera organizzazione e la relativa diffusione di indiscrezioni richiede un
immediato intervento del professionista di relazioni pubbliche dell’organizzazione, che
deve porsi come unica fonte ufficiale di informazioni. Vivere in un’era di trasparenza
significa che nessuna azienda è immune al rischio di una crisi. Le organizzazioni sono
diventate una sorta di serra in cui nulla può restare nascosto. Inoltre, parafrasando
Bland
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la vera crisi non è l’evento negativo che colpisce l’azienda, ma la percezione
dell’accaduto da parte dei pubblici.
Per un direttore d’azienda può essere difficile da accettare, ma le probabilità di dover
affrontare una profonda crisi sono molto più alte oggi di quanto lo siano mai state. Ci
troviamo in una società altamente sviluppata, con accesso a un vasto arsenale di risorse
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Gironda G. P., La comunicazione in stato di emergenza e di crisi, in Invernizzi E. (a cura di), Dispense di relazioni
pubbliche, IULM, Milano, 2001. p.21
3
Fearn-Banks, K. Crisis communications – a casebook approach, Lawrence Erlbaum Associates Inc, 2006. p.5
4
Bland M. (1995), Strategic crisis management, in Norman A.H. (a cura di), Strategic Public Relations,
MacMillan, Houndmills
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tecnologiche. Errori umani, imprecisioni nei giudizi, mancanza di tempestività nel reagire,
scarsa prevenzione o semplicemente rifiuto di fronteggiare la crisi possono colpire chiunque.
Con tutto ciò, bisogna acquisire consapevolezza che la propria azienda andrà, prima o poi,
incontro a una crisi. La domanda è “quando?”. Nel crisis management pensare negativo è
molto più appropriato del cieco ottimismo. D’altra parte una crisi non è necessariamente un
evento così catastrofico da distruggere la vita dell’impresa, come vedremo in seguito,
affrontare una crisi e trasformarla in opportunità è possibile: una comunicazione veloce ed
efficace può rafforzare la reputazione. Quando l’interesse nei confronti delle persone è
collocato prima degli affari, solitamente all’azienda viene accordata una seconda chance.
Reagire in modo efficiente ed efficace è l’imperativo.
Come se il costante controllo mediatico non bastasse, le organizzazioni odierne
sperimentano un’ulteriore complicazione rispetto al passato: il numero esponenzialmente
maggiore di stakeholder coinvolti. Mentre negli anni ’70 e ’80 un manager doveva
preoccuparsi al massimo di azionisti e dipendenti, oggi esistono moltissime altre parti che
sono interessate dall’operato dell’azienda: sindacati, associazioni ambientaliste e per i diritti
degli animali, attivisti di ogni tipo, blogger, banche, analisti finanziari, governi, commissioni
investigative. In breve esiste una costellazione potenzialmente infinita di parti coinvolte.
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1.1 Tipi di crisi
Durante il processo di crisis management è ovviamente di fondamentale importanza
identificare il tipo di crisi in cui ci si trova. Queste sono potenzialmente innumerevoli, ma un
primo tentativo di mappatura delle diverse tipologie di crisi è stato realizzato dall’USC Centre
for Crisis Management in collaborazione con la National Association of Manufactures. Il progetto
porta all’individuazione di sette categorie, suddivise in base a caratteristiche comuni e ad
analogie strutturali:
attacchi esterni di natura economica;
attacchi esterni di natura informativa;
rotture;
grandi danni, disastri ambientali;
malattie professionali;
danni psicologici;
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Stephens, K.K.; Malone, P.C.; Bailey, C.M. (2005) “Communicating with stakeholders during a crisis –
evaluating message strategies” Journal of business communication, Volume 42, No. 4
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percezioni.
L’asse verticale (Fig. 1) pone in contrapposizione le crisi percepite di natura tecnico-
economica a quelle di natura umano-sociale. Pertanto i quadranti superiori riportano
situazioni causate da un errore nelle procedure tecniche o nei sistemi informativi, mentre
quelli inferiori riguardano situazioni che possono essere imputate al comportamento umano
o ai sistemi sociali. La dimensione orizzontale riporta, invece, le modalità con cui si
manifestano le crisi. I quadranti di destra riguardano crisi che hanno origine da eventi
relativamente insignificanti, normali problemi quotidiani, anche se, in tal caso, ciò che in
genere è “normale” qui degenera in crisi di grandi dimensioni. Sul quadrante di sinistra sono
poste invece le crisi dovute a deviazioni dalla normalità. Tra il quadrante di destra e quello di
sinistra esiste un rapporto di causa-effetto.
Infine, il quadrante in basso a destra fa riferimento alla categoria “percettiva” che pone
l’attenzione sulla reputazione dell’organizzazione.
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Forti
Umane/sociali
Normali
Tecniche / economiche
Figura 1: (Pearson, Mitroff, 1993; p. 10)
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Lerbinger propone invece che i tipi di crisi vengano raggruppati in tre insiemi: crisi relative
all’ambiente fisico, crisi relative all’ambiente umano e crisi di gestione sbagliata.
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Crisi relative all’ambiente fisico
Disastri naturali: i disastri naturali e le catastrofi dominano ancora il nostro
concetto di crisi. Questi includono terremoti, alluvioni, siccità, valanghe o trombe
d’aria che minacciano la vita, le proprietà e l’ambiente. (Esempio: l’uragano Katrina).
Disastri tecnologici: causati dall’applicazione umana della scienza. Nelle società
sviluppate le fonti di rischi si sono trasferite drasticamente dalla natura alla
tecnologia, spinta ai suoi limiti dal progresso esponenziale. La rilevanza dei rischi
geofisici negli Stati Uniti è oggi ridotta a sole 1000 fatalità all’anno, mentre le minacce
derivanti dallo sviluppo tecnologico aumentano sempre più. Charles Perrow ha
individuato due caratteristiche della moderna tecnologia che la rendono così
rischiosa. La prima è la sua complessità, la seconda è lo stretto collegamento
esistente fra i suoi sottosistemi, di modo che il malfunzionamento di un sottosistema
scatena reazioni imprevedibili in altri sottosistemi. (Esempio: la centrale di
Chernobyl).
1.1.1 Crisi relative all’ambiente umano
Confronto: le aspettative globali dei consumatori continuano ad innalzarsi, cosicché
quando esse vengono disilluse possono generare reazioni di frustrazione. Il pubblico è
diventato più consapevole, informato ed istruito, per questo domanda prodotti più
sicuri ed affidabili, basso impatto ambientale, condizioni di lavoro eque e molti altri
adempimenti. Si sono formati gruppi di attivisti che affrontano le imprese in relazione
a questi problemi, spesso anche in modo eclatante in modo da attirare l’attenzione
dei media e, conseguentemente, della direzione aziendale. I tipi più comuni di crisi di
confronto sono boicottaggi, sit-in, ultimatum alle autorità o occupazione degli edifici.
(Esempio: il boicottaggio della Nike).
Malevolenza: gruppi o individui estremisti possono utilizzare atti di terrorismo o
altre forme di violenza per forzare l’accettazione delle proprie richieste o
semplicemente punire quelle aziende che, nella loro ottica, rappresentano un male.
Molte aziende si sono trovate davanti a espropriazioni da parte di regimi ostili,
tentativi di estorsione criminale, attacchi alle reti interne da parte di hacker, dicerie
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Pearson, C.M.; Mitroff, I.I. (1993) “From crisis prone to crisis prepared: a framework for crisis management”
The Executive, Vol.7, No.1
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Lerbinger, O. (1997) The crisis manager: facing risk and responsibility, Lawrence Erlbaum Associates Inc.