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Attraverso un’indagine dei messaggi che riguardano il Parco, trasmessi alla popolazione da
alcuni mezzi di comunicazione di massa, ho potuto verificare come i giornali sardi non abbiano
favorito in modo soddisfacente la comunicazione tra i vari attori coinvolti dal Parco e dunque
come non siano stai utilizzati correttamente. Essi hanno dedicato troppo spazio all’argomento
cosi da determinare nella popolazione forti aspettative che però non sono state soddisfatte e
hanno rischiato di danneggiare l’immagine del Parco che, a causa di problemi burocratici, ha
visto rallentare la propria attività.
Uno studio delle curve di domanda e di offerta del Parco mi ha consentito di tracciare le linee
generali di un progetto di comunicazione. L’impatto sui media e, di conseguenza sulla
popolazione locale, è stato a lungo trascurato e considerato singolarmente, tramite studi, ricerche
e progetti sui siti puntuali all’interno delle varie aree che costituiscono il Parco. Questo non
dispone ancora, sebbene siano passati dieci anni dalla sua istituzione, di un piano generale di
coordinamento e dunque di comunicazione che permetta di valorizzare al meglio il patrimonio di
cui dispone.
Il consorzio del Parco ha il compito di promuovere attività di bonifica, restauro, conversione e
valorizzazione dei siti e luoghi più significativi, con l’obbiettivo di suscitare nella popolazione
locale un senso di appartenenza che con gli anni si sta estinguendo e creare nel turismo una fonte
di potenziale sviluppo economico e occupazionale.
Il Parco, come verrà detto nei capitoli che seguono, è composto da otto aree non sempre
adiacenti o perfettamente collegate. Queste aree racchiudono al loro interno una molteplicità di
realtà storiche, archeologiche, naturali, sociali e minerarie che fanno del Parco un luogo unico e
significativo dal punto di vista geologico e culturale. Questi siti necessitano di un piano generale
che definisca chiaramente le attività di coordinamento e di comunicazione da compiere per
raggiungere il massimo dell’efficienza e creare un’immagine unitaria del Parco. Esso dispone di
una varietà di elementi culturali e storici che non sono presenti in nessun altro luogo d’Europa.
La presenza di una popolazione cosi segnata da questi aspetti mi ha autorizzato a pensare il
Parco G.S.A. della Sardegna come un tipico esempio di ecomuseo, caratterizzato dal
coinvolgimento della comunità locale, delle sue credenze e tradizioni.
La decisione dell’Unesco di dichiarare il Paro G.S.A. della Sardegna primo esempio della rete
mondiale dei Geoparchi costituisce una nuova possibilità di sviluppo territoriale e promozione
culturale.
Tra i tanti progetti che sono stati proposti e/o realizzati, ho analizzato più dettagliatamente gli
eventi che coinvolgono il Parco nel contesto internazionale promosso dall’Unesco e in
particolare dalla Rete Geoparks. Una sorta di work in progress che mi ha concesso di riassumere,
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all’interno di una griglia, alcuni degli strumenti di comunicazione utilizzati finora dal Parco e
che possono essere migliorati e utilizzati in futuro. L’analisi muove dall’esigenza di raggiungere
e soddisfare alcuni standard qualitativi richiesti nel contesto Europeo della comunicazione. Gli
strumenti della comunicazione, grazie agli stimoli ricevuti dall’Unione Europea, che ne ha
riconosciuto l’importanza e la funzione essenziale nei processi di sviluppo locale, occupano un
ruolo di primo piano.
Con lo scopo di riassumere brevemente le singole iniziative svolte dal Parco ho ideato una
tabella standard di rilevazione contenente le voci:
1. Iniziativa
2. Settore
3. Descrizione attività di comunicazione
4. Pubblico di riferimento
5. Periodo
6. Obiettivi
Una volta descritte le iniziative Geoparks ho voluto schematizzare ciascun mezzo di
comunicazione utilizzato con lo scopo di individuare i punti di forza e di debolezza di ciascun
strumento e per fornire un chiaro modello di utilizzo di tali mezzi comunicativi. Le
caratteristiche prese in considerazione sono:
- Fornitore
- Redazione
- Distribuzione
- Tempistica
- Materiale occorrente
- Destinatari
Le 300 ore di stage presso il consorzio del Parco mi hanno permesso di tastare con mano
alcuni dei mezzi comunicativi di maggior impatto come ad esempio il sito web e le conferenze
stampa, ma anche la segnaletica esterna, l’intervista tramite questionario, le mailing list e tanti
altri.
Il Piano di comunicazione, previsto dalla legge 150 e da me pensato, poggia le sue basi
essenzialmente sul coinvolgimento locale e dunque sulle pratiche di rilevazione della
soddisfazione del pubblico reale e potenziale. Il coinvolgimento emotivo è fondamentale: la
cultura infatti si costruisce anche attraverso la diffusione delle giuste informazioni e
approfondimenti. Per questo motivo mi è sembrato doveroso inserire una sezione dedicata alla
realizzazione e utilizzo di un questionario che mi aiutasse a stabilire e analizzare il livello di
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soddisfazione della popolazione a proposito delle attività comunicative promosse dal consorzio e
dei mezzi di comunicazione in generale per capire come e dove occorre orientare i propri sforzi
per ottenere il maggior numero di risultati.
Il lavoro dunque si compone di due macro sezioni: una parte introduttiva teorica e una parte
più critica e tecnica che è consistita grosso modo nell’analisi dei dati raccolti, al fine di delineare
sommariamente un piano di comunicazione generale che permetta di inserire il Parco all’interno
del contesto internazionale della Rete europea Goparks come geosito ecomuseale.
Attraverso la collaborazione di alcune associazioni come “Pozzo Sella per il Parco
Geominerario”, il consorzio si propone di offrire spazio ai giovani, dando rilievo ai lavori svolti
da numerosi studenti che hanno partecipato attraverso le proprie tesi di laurea al progetto “Tesi
di Laurea”. Il Parco si ritrova gratuitamente un bagaglio di studi e testimonianze che
costituiscono un nuovo simbolo e danno al Parco una nuova immagine su cui puntare.
I giacimenti minerari divengono giacimenti culturali e permettono di definire una nuova
identità per il territorio. I primi richiedevano una commercializzazione mentre oggi si propone di
rivalorizzare e trasmettere nuovi valori che non sempre consistono in qualcosa di materiale.
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I
Capitolo
1.1. Nuove proposte di sviluppo culturale:
1.1.1. Il Museo: cos’è e cosa vuole rappresentare:
Il sistema attuale di classificazione dei musei trae origine da un documento dell’UNESCO,
poco noto anche agli addetti ai lavori, che risale al 1984 – in codice l’UNESCO/STC/Q/853 –
finalizzato a normalizzare le statistiche dei musei a livello internazionale attraverso uno schema
che li suddivide in alcune grandi classi: dai musei d’arte, ai musei di storia e archeologia, ai
musei di storia, a quelli di scienze naturali, della scienza e della tecnica, di etnografia e
antropologia, ai musei specializzati, territoriali, generali ecc. in funzione di una loro univoca
classificazione sul piano statistico, che non consente però di individuare le specificità di musei
all’interno di ognuna di queste tipologie. In particolare all’interno di categorie «residuali» come
quella dei musei specializzati o di quella eccessivamente generica dei musei territoriali, anche se
analoghe considerazioni possono essere fatte un po’ per tutti i musei.
Applicato alla situazione italiana lo schema UNESCO è stato un po’ modificato da Daniela
Primicerio per adattarlo alla realtà italiana in occasione dell’indagine condotta nel 1990
(Primicerio, Milano 1991).
L’analisi anche superficiale di quella ricerca o di un qualunque censimento dei musei svolto su
base regionale offre materia di ulteriore riflessione, evidenziando attraverso i nomi dei musei
non soltanto una realtà molto più articolata, e in parte diversa da regione a regione, ma anche una
sorta di palinsesto di culture e tradizioni museali che si sono espresse in forme molto
differenziate nel tempo, a seconda dell’ambito tipologico o disciplinare di riferimento, che hanno
trovato espressione nelle denominazione stesse dei musei, nelle parole scelte e usate per unire o
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distinguere, per attribuire una nuova identità a ciascun museo nella grande famiglia dei musei e
nella sotto famiglia di riferimento.
Si è molto parlato della specificità dell’Italia rispetto al resto del mondo, individuandola
fondamentalmente nel nesso determinante tra musei e territorio, in quella particolare natura dei
musei e del patrimonio culturale italiano che fa del nostro paese un «museo a cielo aperto», un
grande «museo diffuso» (Paolucci, Torino 1996). Precedentemente André Chastel aveva
mirabilmente descritto l’Italia come un sistema unitario in cui un museo si trova per lo più
collocato all’interno di un edificio che è a sua volta un bene culturale, inserito in un contesto
urbano e di un paesaggio che a loro volta fanno parte del patrimonio culturale (Chastel, Milano
1980). La sua voce si è unita a quella di Andrea Emiliani, di Bruno Toscano, di Gianni Romano
(Romano, Milano 1980) e di Antonio Paolucci, tutti storici dell’arte, anche se nella stessa
prospettiva hanno lavorato anche storici e antropologi, operatori delle Soprintendenze e delle
Regioni, dando luogo a sistemi locali e regionali, di cui lo stesso fenomeno degli ecomusei è in
fondo frutto.
Le forme attraverso cui questo rapporto fra museo e territorio si è instaurato, sviluppato e
cresciuto sono in realtà molteplici, stratificate nel tempo e differenziate sul piano regionale.
Cercare di cogliere le specificità, la varietà, la multiformità dei musei italiani costituisce una
condizione per giungere a una nuova sintesi che non si accontenti delle generalizzazioni
consolidate, ma le verifichi, le discuta e le confermi su nuove basi, attraverso un’analisi della
forma linguistica, oltre che scientifica, culturale e museografica che le diverse tipologie di museo
hanno assunto.
1.1.2. Evoluzione del significato di Museo:
Nel corso degli ultimi anni la parola museo ha perso il suo significato negativo di istituzione
polverosa ed immobile nel tempo.
La varietà delle discipline esistenti sui musei fanno correre il rischio di un certo livello di
incertezza semantica. Sia nelle lingue neolatine sia in quelle germaniche i suffissi in
“museologia”, “museografia” e “museo tecnica”, sono quelli classici di logos e gràphein. Le
teorie e le tecniche operative che hanno caratterizzato il campo museale negli ultimi
cinquant’anni sono talmente mutate che non è sempre di grande utilità attribuire alla museologia
l’area teorica, alla museografia il disegno della forma e struttura visiva dei musei e alla
museotecnica i metodi, le abilità e i processi necessari al loro corretto funzionamento.
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E’ sufficiente una verifica sui dizionari lessicografici e sull’Enciclopedia Italiana per
dimostrare come questo campo sia tutt’oggi soggetto a rapide evoluzioni.
L’edizione del 1949 della Treccani, alla voce Museo aggiunge, accanto a una breve trattazione
storica e sistematica, un paragrafo destinato alla “organizzazione e Architettura” (Gavazzoli,
Milano 2005).
L’instaurazione di un nuovo lessico si verifica nel 1948 attraverso la fondazione
dell’International Council of Museums, legato all’UNESCO.
Nelle due riviste che pubblicano i lavori, “Museum” e “Icom News”, viene utilizzato il vocabolo
museology/ muséologie/ museologia, nelle tre lingue più diffuse. Nell’aggiornamento del lemma
“Museo” dell’Enciclopedia Italiana (1949-1961), nel paragrafo “Organizzazione e Architettura”,
l’autore Francesco Minissi definisce la “Museografia” una nuova specializzazione architettonica,
che ha come fine il potenziamento della funzione socio-educativa dei musei e il loro inserimento
nella dinamica della vita moderna. Il concetto di Museografia si accompagna dunque alla
concretezza degli spazi ma tende a estendersi alle questioni di ordinamento critico, scientifico,
didattico e culturale delle collezioni e dell’organizzazione dei musei (Lessico Universale
Italiano, Roma 1974).
Nell’Enciclopedia Universale dell’Arte del 1963, alla voce “Musei e Collezioni” si definisce
la “Museologia” come l’ampliamento della Museografia e “disciplina che non si limita ai
problemi architettonici strutturali ed espositivi, ma che ha interessi più ampi, estesi alla vita
stessa del museo, ad ogni aspetto del suo funzionamento e delle sue finalità” (Gavazzoli, Milano
2005). Il termine Museologia si è affermato più tardi nei dizionari come sinonimo di
Museografia, ma con la tendenza ad aprirsi ad ogni aspetto della vita del museo, al suo
funzionamento e alle sue finalità.
“Museotecnica”, infine, compare legato all’architettura ed è sinonimo di museografia, “arte di
ordinare un museo, disponendo adeguatamente i vari pezzi” (Lessico Universale Italiano, Roma
1974).
La mancanza di univocità del termine e l’articolarsi in varie sottodistinzioni hanno indotto il
comitato internazionale dell’ICOM per la museologia a iniziare nel 1993 un esame comparato e
uno studio che porti un lessico condiviso nelle diverse lingue (Gavazzoli, Milano 2005).
La ricchezza storica e artistica italiana ha dato origine a una legislazione di tutela
estremamente rigorosa, ma rivolta essenzialmente ai beni archeologici e artistici, con una
particolare attenzione ai rischi del patrimonio diffuso sul territorio piuttosto che alle potenzialità
di valorizzazione di quello custodito e controllato nei musei. Questi fattori hanno messo da parte
- 11 -
il ruolo del museo, cioè quello di luogo deputato alla raccolta e alla trasmissione di oggetti (non
solo eccellenti o antichi, ma anche riferiti alla società in tutti i suoi aspetti).
Oggi la professione museale, pur rimanendo ancorata agli elementi costitutivi del museo,
comporta funzioni e responsabilità nuove e si sta diramando in sottospecializzazioni. Per anni il
conservatore di museo si è limitato a registrare o promuovere le nuove acquisizioni e ad
assicurare le protezioni meccaniche e di custodia contro il furto e il danneggiamento, a
disciplinare l’orario di visita e le norme. La radicale modifica del rapporto fra il museo e la
società, ha messo in crisi l’antica istituzione di carattere statico che richiedeva soltanto
competenze storico-artistiche e archeologiche. Negli ultimi anni la professione è divenuta
nettamente più complessa attraverso lo sviluppo delle conoscenze sul degrado delle opere d’arte
e i progressi nel campo del restauro attraverso le nuove tecnologie (Gavazzoli, Milano 2005).
Nuovi assetti economici e diverse normative nel settore amministrativo e finanziario hanno
infine posto le premesse per la nascita di numerose professioni, arti e mestieri afferenti ai musei
1
.
Per museo si intende una "struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone
beni culturali per finalità di educazione e di studio" (articolo 101 del Codice dei beni culturali e
del paesaggio). La definizione di Museo, presente nel Codice, lascia aperto il dibattito fra gli
operatori del settore sulle funzioni e sulle finalità degli istituti museali.
A tale proposito nel complesso delle tematiche inerenti le istituzioni museali e le loro funzioni,
l'ICOM (International Council of Museums) all’articolo 2, ha elaborato nel 2004 la seguente
definizione:
“un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della
società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche
sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le
acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di
studio, di educazione e di diletto” (Gavazzoli, Milano 2005).
1
Per approfondire il concetto di professione museale si consiglia la visione della Carta Nazionale delle Professioni
museali, promossa dalla Conferenza Permanente delle Associazioni museali italiane: AMACI, AMEI, ANMLI,
ANMS, ICOM ITALIA, SIMBDEA, aggiornata il 6 giugno 2007 e consultabile al sito: http://www.icom-italia.org
La Carta mette a fuoco 20 profili professionali riuniti in una Mappa delle professionalità museali, descrivendone
competenze, conoscenze e abilità, responsabilità e attività, requisiti d’accesso. Offre una risoluzione comune non
solo in tema di profili, ma anche in relazione ai contratti di riferimento e all’inquadramento dei profili nei diversi
contesti di lavoro (dipendente, pubblico e privato, statale e degli enti locali, a contratto, nel quadro di aziende
private, a statuto cooperativo, etc.). Obiettivo della Carta è divenire non solo una piattaforma di lavoro condivisa
dalla comunità professionale, ma un punto di riferimento per l’insieme dei soggetti istituzionali coinvolti a vario
titolo nella gestione dei musei.
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Tale definizione del museo è valida indipendentemente da qualsiasi limitazione che possa
risultare dalla natura dell’Amministrazione responsabile, da condizioni statuarie locali, dal
sistema di funzionamento o dal peculiare indirizzo delle collezioni di una specifica istituzione.
Sono quindi aggiunte alle funzioni la ricerca, come aspetto qualificante e fondante dell’attività
del museo, e alle finalità il diletto, indissociabile dallo scopo educativo e di studio.
Ogni museo deve dunque svolgere funzioni istituzionali sue proprie, regolate dalla legislazione
nazionale sui beni culturali. Esse hanno comunque un intrinseco codice etico.
1.1.3. Il Museo come nuova forma di sviluppo:
Il museo è oggi percepito dal pubblico come un’istituzione dinamica, in grado di fornire
sempre nuove prospettive culturali e di svilupparsi in rapporto con le modificazioni della società
(Gavazzoli, Milano 2005). Alla base di questa evoluzione vi è la presa di coscienza da parte dei
cittadini dell’importanza sociale, politica ed economica del patrimonio culturale. Si è compreso,
infatti che queste istituzioni sono i cardini dell’autocoscienza comunitaria, sono i luoghi dove il
patrimonio culturale si conserva e viene diffuso e trasmesso da una generazione all’altra.
Questo aumento di interesse ha stimolato le amministrazioni pubbliche a mettere in atto
gestioni sempre più avanzate, a studiare nuove forme di organizzazione e a preparare il personale
per la nuova tipologia di Museo. Gli enti pubblici, sollecitati dalla politica dell’Europa
comunitaria, promuovono oggi corsi di formazione del personale destinato a ricoprire ogni tipo
di ruolo all’interno dei musei, mentre le università hanno dato origine a dei veri e propri corsi di
laurea con lo scopo di valorizzare la gestione del patrimonio culturale.
Il progressivo avvicinamento del museo alla società contemporanea e la sua interdipendenza
con l’economia e con il mercato hanno fatto sviluppare anche l’offerta di servizi che favoriscono
il benessere del visitatore, gli offrono opportunità collaterali e accrescono finanziamenti
all’istituzione.
Tra i servizi accessori troviamo:
9 Concessione di riproduzione a scopo commerciale;
9 Servizi di collaborazione, formazione, prestazioni scientifiche e didattiche richiesti da enti e
associazioni;
9 Punti vendita dei musei e connesse attività commerciali e di ristoro;
9 Concessione di spazi dell’area museale, specificamente dedicati, per iniziative esterne.
Un museo deve poter svolgere tutte le funzioni e offrire servizi essenziali e, se possibile,
accessori che aggiungono comodità particolari al pubblico. Secondo le circostanze e la fase
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evolutiva dell’istituzione, il responsabile vaglierà quali funzioni o servizi occorre ridurre e su
cosa concentrare, nel breve o medio periodo, le forze.
Il processo di evoluzione dei Musei si può descrivere come un circolo virtuoso (Gavazzoli,
Milano 2005). Un incremento della conoscenza e delle tecniche genera un processo incrementale
di tutte le attività museali: incremento della conservazione (aumento di vigilanza, studio,
promozione e controllo sulla conservazione), incremento della comunicazione (attraverso una
ripresa del rapporto fra il museo e il pubblico e il riaccreditamento dell’istituzione), incremento
del valore simbolico e di riconoscimento e un incremento delle risorse (investimenti e
sponsorizzazioni).
La missione del museo moderno è la continua interpretazione delle sue raccolte.
Questo è possibile attraverso diverse modalità di comunicazione, dai libri alle mostre, alle
iniziative didattiche. Queste attività educative, motivate dall’esigenza di rivisitare e aggiornare il
rapporto tra museo e pubblico e fra il museo e il progresso delle discipline, storiche e
scientifiche, può precedere, accompagnare e seguire il momento fondamentale dell’allestimento.
- 14 -
II
Capitolo
2.1. Museo e Parco:
Se da un lato è possibile avanzare una definizione generica e tecnica del museo come luogo di
conservazione di oggetti, dall’altro una definizione di “parco” è molto più incerta e sfumata.
Il termine parco si riferisce all’area estesa di protezione integrale dei siti, che nel nostro caso
rappresentano dei siti geominerari, o come sistema di servizi collegati ai siti. Il termine si presta
a tutte le interpretazioni possibili, dal momento che non è codificato da alcun supporto
legislativo (Francovich e Zifferero, Siena 1997). Se il parco può essere genericamente definito
come l’”assetto giuridico-amministrativo di un insieme territoriale, in virtù delle cui finalità
globali e specifiche, la salvaguardia e lo sviluppo degli elementi naturali ed umani che lo
costituiscono sono promossi e disciplinati in un regime di reciproca compatibilità” (Giacobini e
Romani, Milano 1992), la difficoltà maggiore sta nel definire il concetto del termine
Geominerario. Ad ogni modo, il termine parco, può essere inteso nel nostro caso, come sistema
di gestione integrata delle testimonianze della cultura mineraria e della dotazione di elementi
significativi di attività produttive dimesse.
I segni dell’uomo servono per arricchire lo sfondo, sul quale la comunità residente ha costruito
nel tempo un rapporto di armonia con la natura, da tutelare perché rilevante ai fini dell’odierna
qualità della vita.
Nella classificazione delle misure di conservazione proposte dall’Unione Internazionale per la
Conservazione della Natura e delle sue Risorse (IUCN), nella categoria del “paesaggio protetto”
si mira a preservare paesaggi naturali notevoli per l’interazione fra uomo e territori, che sono in
grado di assicurare risorse ambientali per la fruizione pubblica, in senso ricreativo e turistico, da
- 15 -
realizzare entro il tradizionale stile di vita e l’abituale attività economica del luogo (Ferrara e
Vallerini, Rimini 1996).
Non c’è dubbio che la società dei consumi abbia acutizzato le necessità della tutela rispetto
alle capacità della fruizione, almeno nei paesi industrializzati.
Con la crescita del prodotto interno si è registrato un aumento del consumo culturale, che mette a
dura prova la conservazione del patrimonio. E’ interessante osservare come alcuni paesi
occidentali si pongono il problema della conservazione e della valorizzazione di un territorio,
proprio per sottolineare e garantire il senso pubblico di tutta la storia, ai fini della legittimazione
dello stato democratico (Ferrara e Vallerini, Rimini 1996). Occorre creare una fruizione del
passato meno distaccata e sfocata e far crescere una maggiore consapevolezza individuale dei
processi dinamici di trasformazione del paesaggio e della sua tutela: cioè identità del luogo posta
in essere dall’uomo, riconosciuta, trasformata, mantenuta o distrutta nel corso del tempo.
2.2. La formula dell’Ecomuseo per salvaguardare il Patrimonio Culturale:
Il patrimonio culturale è un concetto che ha subito nell’ultimo secolo importanti modifiche.
Si tratta di un fenomeno che può essere definito come un affrancamento progressivo della
nozione di patrimonio dai concetti estetici a quelli sociali. Il concetto di patrimonio culturale è
legato oggi, molto più che in passato, a due concetti cruciali: quelli di territorio e di identità
(Maggi, Novara 2000).
Attraverso il fenomeno della globalizzazione, che caratterizza questi ultimi anni, hanno preso
vita due effetti fra loro coesistenti e interessanti sul piano culturale.
Il primo è la tendenza a creare una cultura internazionale, trasportabile ovunque, perché
standardizzata nei modi di presentazione, circolazione e produzione. La cultura è diventata nel
tempo un mezzo di promozione di un paese nonostante l’omologazione culturale.
Il secondo effetto è la forte domanda di identità, che si manifesta a scala locale, e che presenta
caratteristiche reazionarie, come aggressività o volontà di conservazione a oltranza.
Questo aspetto commerciale è affiancato da un movimento di riscoperta tipico della cultura
locale, creativo e finalizzato alla conservazione della diversità e che muove dalla riscoperta
dell’identità come reazione alla standardizzazione culturale.
Quello locale è un territorio più facilmente percorribile dall’innovazione in campo culturale.
Il patrimonio tradizionale è funzionale a una gestione accentrata del potere. Il patrimonio locale
invece non può essere promosso se non coinvolgendo e delegando. L’approccio multidisciplinare
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e il collegamento fra le diverse iniziative sono conditio sine qua non per il successo (Maggi,
2000).
L’ancoraggio al territorio permette anche di rispondere alla crisi determinata dall’ambivalenza
di molte delle appartenenze culturali contemporanee e dall’assenza di un “centro di gravità” in
un mondo in rapido mutamento. In questo contesto non stupisce il particolare interesse verso il
modello dell’ecomuseo, adatto per le sue caratteristiche di
museo di identità e del territorio, a farsi interprete di questa
nuova domanda.
L’Ires ha cosi avviato nel 1998 un’indagine europea sugli
ecomusei (Maggi e Falletti, Torino 2001). L’indagine si è
basata su una survey postale che ha coinvolto oltre 200
istituzioni e su interviste e colloqui con direttori e manager di
24 ecomusei italiani ed europei. Sono stati effettuati colloqui
con esponenti di organismi internazionali o operanti
nell’ambito degli ecomusei (UNESCO, ICOM…). Un
questionario in varie lingue è stato inviato a quasi 700 musei. Il
rilevamento ha preso in considerazione musei di diverse
tipologie, tenendo conto delle esperienze tipiche di ciascun
paese, nell’ambito delle iniziative di valorizzazione delle
comunità e del territorio.
I risultati della ricerca europea hanno dimostrato che l’interesse per gli ecomusei e per la
valorizzazione museale del patrimonio etnografico, territoriale è diffuso e crescente.
Si è dimostrato che negli ultimi dieci anni ha preso vita un’importante trasformazione dei musei,
riconducibile a un rafforzamento del legame fra istituzione museale e comunità e una migliore
enfasi attribuita agli aspetti sociali della cultura.
Con la formula dell’ecomuseo si contrappongono obiettivi di sviluppo economico, legati a una
valorizzazione turistica, e di rafforzamento dell’identità attraverso il recupero delle radici
storiche della comunità e della memoria. La contrapposizione fra fini economici e culturali può
essere attenuata attribuendo la priorità al primo obiettivo.
La trasformazione del patrimonio è un fenomeno di lungo periodo in corso dalla fine del
secolo XIX (Maggi, Convegno Novara 2000). Gli ecomusei costituiscono un passo di questa
lunga evoluzione. Essi sono istituzioni legate alle domande della collettività, che in questa fase
riguardano soprattutto i modi con cui assicurare lo sviluppo economico in settori non tradizionali
e in cui conservare un’identità nell’era della globalizzazione.
Cascata Linas
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La creazione e il rafforzamento dell’identità sono gli aspetti chiave della questione. Il patrimonio
culturale inteso nel senso contemporaneo del termine può giocare il suo ruolo in presenza di
un’identità sociale forte, cui l’ecomuseo deve concorrere.
La formula dell’ecomuseo ha come effetto l’evocazione del mito del ritorno alla terra, la tutela
della natura, la valorizzazione delle zone rurali, il recupero delle attività artigianali e delle
tradizioni culturali locali. La nuova formula museale si circoscrive all’ecologia e all’etnologia
regionale (G.H. Riviére, Parigi 1989).
Il significato della parola ecomuseo viene coniato da Riviére, il quale li definisce:
“musei dell’uomo e della natura, del tempo e dello spazio, in cui l’uomo
viene interpretato all’interno del suo ambiente naturale e la natura allo
stato selvaggio ma anche nell’adattamento impostole dalla società
tradizionale e industriale” (Bonomauri e Maugeri, Bologna 1990).
Due sono le caratteristiche fondamentali degli ecomusei (G.H.Riviére, Parigi 1989):
1. la territorialità
2. l’interdisciplinarietà
Alla base di queste due caratteristiche sta l’idea di un museo aperto sul territorio circostante che
costituisce il naturale prolungamento dei suoi contenuti e l’ambito della sua missione, cioè quella
di studiare, tutelare e promuovere il patrimonio naturale e culturale del luogo.
Tra il 1971 e il 1974 comincia la stagione degli ecomusei segnata dal legame con
l’archeologia industriale. Nasce un ecomuseo nel cuore della comunità urbana di Le Creusot
Montceau les Mines. Qui Riviére prende spunto per definire un nuovo modello di museo basato
sul coinvolgimento e la partecipazione della comunità locale. “La comunità costituisce un museo
vivente in cui il pubblico si trova permanentemente all’interno; il museo non ha dei visitatori, ci
sono gli abitanti” (G.H.Riviére, Parigi 1989).
E’ dunque fondamentale mettere solide radici a livello locale, ma se lo sviluppo non supera i
confini del proprio territorio l’ecomuseo non ha futuro.
Esempi di ecomuseo ce ne sono tanti e tante sono le proposte per una corretta valorizzazione
dei patrimoni territoriali. Questa considerazione è stata alla base anche dell’iniziativa di Trento,
che ha portato un gruppo di ecomusei di alcuni paesi dell’Unione a riflettere sui modi e sui tempi
per costruire una rete europea di conoscenza, confronto e azione comune.
Fra il 5 e l’8 maggio 2004 un gruppo di ecomusei europei si è riunito a Sardagna, con il
coordinamento della Provincia di Trento e la collaborazione dell’Ires Piemonte.
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Il workshop ha riunito ecomusei di quei paesi che con maggiore consapevolezza hanno posto
negli anni recenti il problema della costruzione delle reti lunghe, dunque Italia, Polonia,
Repubblica Ceca e Svezia.
L’Ires ha realizzato un’indagine nazionale per verificare lo stato dell’arte degli ecomusei
italiani nei confronti dell’Europa. La ricerca ha coinvolto oltre 40 ecomusei italiani attraverso un
questionario postale, interviste sul campo e incontri diretti. Il quadro è confortante in quanto a
numerosità delle iniziative, ma emerge la necessità, sempre più consapevole, di un
coordinamento che ripristini un rapporto corretto fra i progetti comunitari e l’integrazione
europea: i primi sono un mezzo per ottenere la seconda e non viceversa.
La Dichiarazione di Trento parte da una definizione condivisa di ecomuseo:
“L’ecomuseo è un processo dinamico con il quale le comunità
conservano, interpretano e valorizzano il proprio patrimonio in funzione
dello sviluppo sostenibile.”
L’ecomuseo è basato su un patto con la comunità.
Definizioni ne esistono molte, ma ciò che conta è quali sono gli elementi chiave di una
definizione e cosa vogliono significare.
Processo dinamico significa che l’ecomuseo non è solo un fatto formale, un percorso disegnato
sulla carta, ma deve corrispondere ad azioni concrete, capaci di cambiare la società e incidere
positivamente sul paesaggio.
Per comunità si intende un gruppo caratterizzato da:
- coinvolgimento generalizzato
- responsabilità condivisa
- ruoli intercambiabili.
Conservazione, interpretazione, gestione del patrimonio significa che della pratica
dell’ecomuseo fanno parte la lettura e la comunicazione del proprio patrimonio, la capacità di
reinterpretarlo e valorizzarlo. Il concetto di patrimonio è strettamente legato a quello di territorio,
e include la storia delle persone e delle cose, il visibile e il nascosto, il materiale e l’immateriale,
la memoria ed il futuro.
Lo sviluppo sostenibile è al centro degli obiettivi dell’ecomuseo e significa, fra l’altro, aumentare
il valore del territorio anziché consumarlo. Il modello emergente individua oggi due elementi
chiave in questo processo: la valorizzazione condivisa dei milieu territoriali e il rafforzamento